Introduzione
L’architettura è l’arte sociale per eccellenza. Pretendere la
qualità del costruire è, prima ancora che un imperativo etico, un
concreto interesse per l’intera collettività.
E’ nota la metafora del Filarete che nel suo Trattato giunse a
sostenere l’indispensabilità del “padre”, oltre che della
“madre”, per la nascita di un edificio, vale a dire (più
genericamente) del committente che promuove una qualunque
opera, oltre che dell’architetto che la concepisce.
Committenza che, sia essa pubblica o privata, viene tutelata
dalla stessa Carta Costituzionale con il previsto esame di Stato,
dovendo gli Ordini tutelare i cittadini sulla qualificazione dei
professionisti iscritti agli Albi.
Il professionista, infatti, nello svolgimento delle sue attività
è per legge sottoposto ad un controllo delle proprie capacità
professionali. Controllo che va oltre il conseguimento di un
titolo di studio, nonché una vigilanza delle sue qualità morali.
Lo Stato ha delegato questi compiti di sorveglianza agli
Ordini (enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica),
che costituendo anche espressione della volontà manifestata
dagli iscritti, dovrebbe soddisfare contemporaneamente
l’interesse dello Stato al corretto svolgimento dell’attività
professionale nonché l’interesse degli iscritti all’Albo mediante
la tutela della loro dignità e del loro decoro.
L’argomento oggetto della presente ricerca trae spunto da
queste ed altre considerazioni per giungere ad una analisi
sull’ordinamento professionale dell’Architetto, oggi vigente in
Italia. In altre parole si vuole comprendere lo stato dell’arte
anche attraverso un confronto con gli altri paesi membri UE,
volendo considerare le esigenze di mercato in continuo
cambiamento ma anche la recente riforma federalista in atto nel
nostro paese.
La professione di Architetto rientra tra le cosiddette
“professioni intellettuali”, cioè fra quelle attività lavorative
autonome “protette”, ovvero disciplinate da Ordini
professionali sotto la vigilanza dello Stato.
A pieno titolo il nostro paese rientra in quest’ultimo e
risulta essere interessante l’individuazione di caratteristiche
comuni e principali differenze tra i vari modelli di ordinamento
professionale.
Negli anni dell’integrazione politica ed economica,
l’Unione Europea ha dato la spinta definitiva al cambiamento
delle professioni tecniche, mediante l’emanazione di due
importanti normative: la Direttiva 85/384 sulla formazione di
Architetto e la Direttiva 92/50 inerente la prestazione di servizi
attinenti la progettazione per le opere pubbliche.
Altro spunto per analizzare l’argomento in oggetto è stata
l’ “indagine conoscitiva nel settore degli ordini e collegi
Introduzione
professionali”, realizzata nel 1997 dall’Autorità Garante della
concorrenza e del mercato, attraverso la quale emersero e
seguirono reazioni molteplici e non sempre concordi del
“mondo” delle professioni.
Difatti l’allora Consiglio Nazionale degli Architetti
riconobbe e condivise la scelta secondo cui si sarebbe dovuta
modernizzare la legislazione sugli Ordini professionali (fra il
1997 ed il 1998 l’argomento oggetto di maggiore confronto era:
Ordini si o Ordini no?), affrontando i tradizionali assetti della
professione, nell’ottica della competitività di mercato e dei
benefici per gli utenti.
Tutto ciò escludendo ogni tipo di difesa corporativa di
categoria, oltre ad infondate accuse, che pure hanno
accompagnato l’indagine della Commissione “Antitrust”.
Gli architetti italiani, più ancora di altre categorie, hanno
vissuto in prima persona questo genere di problematiche,
organizzando convegni nazionali, dibattendo e partecipando su
questi temi in occasione di vari seminari, contribuendo alla
costituzione del Comitato Unitario delle Professioni e degli
Ordini (C.U.P.), adoperandosi per rendere costante e proficuo il
confronto con il mondo politico, interrogando su specifiche
questioni la magistratura ed affrontando inoltre le recenti e
“pesanti” modifiche stabilite dal D.P.R. 328/01. Decreto,
quest’ultimo, che ha inevitabilmente comportato la revisione
dei requisiti dell’ammissione all’esame di Stato oltre alla
definizione, negli Albi stessi, di sezioni distinte relative a due
differenti livelli di profili formativi e che per nulla ha
contribuito a ridurre incertezze ed ambiguità relative al futuro
professionale degli architetti italiani, che già durante la fase
formativa si trovano a dovere scegliere fra corsi di laurea
specialistica e non, attualmente non riconosciuti dal mondo del
lavoro.
Dunque una questione delicata che comporta una seria
riflessione sui valori della nostra società, che sempre più dovrà
riconosce nei professionisti italiani, quali Knowledge workers
delineati dalla sociologia post-industriale, la cosiddetta “terza
forza sociale” del Paese.
Attraverso il presente documento ci proponiamo di
studiare il peso assunto da questi ed altri fatti, accaduti negli
ultimi anni, analizzandone gli aspetti salienti e descrivendo il
dibattito attuale, inserito a pieno titolo in quello Europeo.
Gli stessi soggetti intervistati, che molto hanno contribuito
alla stesura del presente lavoro, per primi credono che tutto ciò
porterà (lo spera e lo vuole credere anche chi scrive) ad una
vasta riforma non solo del mondo dei professionisti e dunque
degli Ordini, ma anche della professione di Architetto e del
proprio Ordinamento professionale.
L’Organizzazione delle professioni
CAPITOLO 1
L’ORGANIZZAZIONE DELLE
PROFESSIONI
L’Organizzazione delle professioni
L’architetto d’oggi è chiamato in prima linea a rispondere
alle necessità della società moderna. Per la soluzione dei
problemi quotidiani, egli, è tenuto a spaziare dalla scienza pura
alle sue applicazioni, attraverso la predisposizione per le
macchine, la costruzione degli edifici, la razionalizzazione dei
processi produttivi, la definizione di assetti urbanistici, la
ricerca e lo sfruttamento di sempre nuove forme di energia,
nonché la tutela dell’ambiente.
A ragione di tale funzione, l’architetto rientra a pieno titolo
fra i professionisti intellettuali, fra coloro cioè che svolgono
servizi essenziali, muovendosi in un campo a volte aleatorio,
mettendo a disposizione non solo le competenze strettamente
tecniche, ma anche un vasto bagaglio di saggezza ed oculata
discrezionalità.
Come gli altri professionisti intellettuali quali, per esempio,
il medico e l’avvocato, gli architetti devono attingere ai valori
della cultura umanistica per poterli trasfondere nella loro opera,
affinché la ricerca tecnico-scientifica e le applicazioni
conseguenti siano fattori di progresso.
La professione dell’architetto, applicando un complesso
bagaglio di conoscenze specifiche a problemi di notevole
rilevanza per il contesto sociale, può costituire un bersaglio per
facili critiche e sospetti da parte dei profani.
Si pensi, ad esempio, alla difficoltà in cui ogni
professionista talvolta si trova nel giustificare alla clientela
l’onorario per l’opera, compiuta la sua attività.
Infatti, vi è molto lavoro che non è possibile vedere ed anzi
“la professione intellettuale non dà vita se non ad un complesso
lavorìo della mente che non può che materializzarsi, ma che
non trova la sua essenza nella materializzazione”
(1)
.
I conflitti fra obblighi privati e responsabilità pubbliche,
che riguardano tutte le attività professionali, assumono aspetti
di particolare delicatezza nel caso delle professioni tecniche,
poiché – nello specifico - per gli architetti i doveri professionali
interagiscono con fattori legati al loro essere operatori in
posizione intermedia fra l’ordinamento, che richiede loro, ad
esempio, il rispetto di una sempre più vincolante disciplina
edilizia, urbanistica, ambientale, ed i cittadini, che spesso sono
portatori di esigenze in conflitto con quelli di altri privati o
della intera collettività.
Il riconoscimento di questa funzione di cerniera fra
pubblico e privato comporta che l’alternativa fra la fiducia
__________
(1)
Trib. Roma, 30 aprile 1954, in Foro It., 1954, c. 1006.
L’Organizzazione delle professioni
individuale, che l’architetto (come del resto, ogni
professionista) deve riscuotere dal proprio cliente, e il controllo
sociale, che i pubblici poteri devono esercitare, si risolva con
una sorta di “contratto sociale”.
Si può infatti dire che i professionisti abbiano concluso un
ideale patto con il quale essi assicurano l’impegno ad un
autocontrollo individuale e collettivo diretto a tutelare gli
interessi non solo dei clienti, ma anche del resto della comunità.
Autocontrollo che trova la sua fonte nel rispetto
individuale delle norme e dei valori che caratterizzano il lavoro
professionale (norme deontologiche) e nella organizzazione dei
professionisti in gruppi omogenei mediante gli ordini ed i
collegi professionali
(2)
.
Nel presente capitolo si procederà trattando prima l’aspetto
generale delle professioni e loro aspetti salienti, concludendo
poi con notizie specifiche relative all’organizzazione degli
Ordini.
1.1 PROFESSIONI INTELLETTUALI.
Una prima significativa definizione del termine professioni
possiamo darla indicandole in termini di “abilità specifiche basate
su corpi di teoria provenienti dalle scienze, acquisiti attraverso
curricula di livello universitario e lunghi periodi di pratica”.
La Costituzione italiana non fa alcun cenno esplicito alle
professioni intellettuali. Tuttavia è pacificamente ritenuto che
l’art.35 primo comma, secondo cui «La Repubblica tutela il
lavoro in tutte le sue forme e applicazioni», si riferisca anche al
lavoro autonomo nel cui ambito sono comprese le professioni
intellettuali.
La disciplina normativa generale delle professioni è
contenuta, in Italia, nel codice civile, precisamente nel capo II
“delle professioni intellettuali”, del titolo III “del lavoro
autonomo”, del libro V, “del lavoro”.
Con l’espressione professioni intellettuali sono individuate le
attività lavorative autonome tradizionalmente definite con la
frase “professioni liberali”.
__________
(2)
MUSOLINO G., La responsabilità del professionista tecnico, 1990,
Maggioli Editore, Rimini, pagg.10-15.
L’Organizzazione delle professioni
In apertura del capo, l’articolo 2229 del Codice civile
stabilisce che «La legge determina le professioni intellettuali per
l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione ad appositi albi o
elenchi».
(3)
In effetti con leggi successive o precedenti sono
state istituite le vigenti professioni libere o professioni protette
tra le quali la professione di Architetto e di Ingegnere (1923), di
avvocato (1874 e 1933), di medico (1910 e 1946).
La definizione della nozione di “professione intellettuale” è
stata affrontata in una realtà dove il diffondersi sempre più
emergente di nuove figure lavorative, la complessità del
sistema sociale ed economico e, infine, l’affermarsi di nuovi
modelli di organizzazione, ha reso stretti i confini nell’ambito
dei quali la dottrina tradizionale era solita definire la
professione intellettuale in base al carattere della prestazione. In
altri termini, l’art.117 della Costituzione (che verrà
specificamente trattato al Capitolo 3) demanda alla legislazione
concorrente la materia della «professioni»; ma spesso, nella
normativa e tra gli interpreti, si discorre di «professioni
intellettuali», di professioni «protette» ovvero di «libere
professioni».
Intorno al termine professioni dunque ruota un insieme di
predicati - «intellettuali», «libere», «protette» - che in taluni casi
sembrano sommarsi – come quando si parla di «libere
professioni intellettuali» - in altri, configgere: vedi «libere
professioni» e «professioni subordinate». A ben vedere, però,
tutte queste parole si ritrovano nella comune pretesa ad essere
custodi del valore – quello della libertà dell’ intelligere che
fonderebbe e precederebbe lo stesso diritto delle professioni. La
peculiarità della prestazione intellettuale si è recentemente, e
autorevolmente, ribadito è «di implicare sempre la soluzione di
un problema sulla base di un sapere e, quindi, di rivelare un
contenuto creativo o inventivo», per cui quella intellettuale è
«una prestazione che confronta un sapere a un problema».
(4)
__________
(3)
Art. 2229 c.c.
“I. La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi.
II. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la
tenuta dei medesimi ed il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle
associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge
disponga diversamente.
III. Contro il rifiuto di iscrizione o la cancellazione degli albi o elenchi, e
contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione
del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via
giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali”.
(4)
LEOZAPPA A. M., Professioni intellettuali e legislazione speciale:
spunti per una riflessione, Rivista del Notariato, n.5/2002, pag. 1180 e ss.
L’Organizzazione delle professioni
Tale prestazione ha quale carattere principale l’impiego di
intelligenza e cultura in misura prevalenti rispetto all’uso di
eventuale lavoro manuale (sempre presente, ma in modo più o
meno intenso).
E’ significativo, a dimostrazione dell’importanza di tale
requisito, che in antichità, le operae liberales, per il loro intrinseco
pregio, non potessero essere oggetto di una valutazione
economica (spiegheremo meglio questo concetto all’inizio del
paragrafo successivo).
L’aspetto economico ha sempre carattere secondario di
fronte alla salvaguardia delle esigenze morali e dell’interesse
del cliente.
Il cliente affida al professionista elementi importanti della
sua personalità, così che i loro rapporti si stabiliscono su un
piano più umano che economico.
Accanto all’intellettualità, è dunque da sottolineare la
delicatezza morale della prestazione, che incide su interessi
strettamente personali di soggetti privati. Questo requisito è
visibile, più che in altri casi, nelle professioni di medico e
avvocato.
L’autonomia è assieme all’intellettualità ed alla
professionalità, il terzo elemento caratterizzante della
professione intellettuale. L’esercizio di quest’ultima è utile alla
società e costituisce un bene prezioso da salvaguardare. Di
conseguenza i risultati che i professionisti raggiungono,
attraverso l’esercizio della propria attività lavorativa,
costituiscono fini di pubblico interesse: il professionista viene,
lavorando, ad esercitare una attività di pubblico interesse di cui
si possono fare innumerevoli esempi.
E’ impossibile poter definire questi fini pubblicistici con
una sola frase, perché l’unico elemento che li accomuna è la
pubblica utilità in essi insita.
Così, ad esempio, l’attività esplicata dagli avvocati è
indispensabile per l’amministrazione della giustizia quanto
quella del giudice, perché gli avvocati e i procuratori, difensori
delle parti, forniscono al giudice tutti gli elementi di fatto e di
diritto, attraverso i quali deve essere esplicata la funzione
giurisdizionale che gli compete.
La professione forense, nel consente dunque ai cittadini di
avvalersi della giustizia, perché anche i difensori, rendendo
possibile l’opera istruttoria del giudice, partecipano alla
formazione del giudizio e quindi cooperano con la giustizia.
Per i notai, il fine pubblico perseguito è ravvisabile nella
pubblica fede, in quanto si tratta di accertare, in forma
autentica, la veridicità di certi fatti aventi rilevanza giuridica.
Per i medici, la finalità è costituita dalla sanità pubblica,
che concretamente viene salvaguardata attraverso le cure, delle
L’Organizzazione delle professioni
quali sono oggetto i singoli pazienti. E gli esempi potrebbero
continuare.
Il legislatore ha voluto che i privati, che esercitino una
libera professione, siano obbligati a non pregiudicare le finalità
pubblicistiche, insite nell’esercizio della stessa. Il privato agisce
cioè per un fine di lucro, per un fine privato, ma nello stesso
tempo compie un’attività che è utile a tutta la collettività.
La normativa del settore garantisce l’osservanza, da parte
dei professionisti, della correttezza professionale, - concetto più
ampio di quello di norma di comportamento - che è sancita
dallo Stato.
Tutto ciò che è contra jus è evidentemente scorretto dal
punto di vista professionale, ma, viceversa, vi sono anche dei
fatti, i quali non sono espressamente vietati da norme
imperative, e che sono tuttavia contrari a norme di correttezza e
di etica professionale.
Accanto al complesso di norme giuridiche che
l’ordinamento sancisce, vi è dunque un complesso di norme,
delle quali il “gruppo” è portatore, e che si possono definire di
deontologia professionale.
1.2 L’ORDINAMENTO DELLE PROFESSIONI.
Delle professioni in generale, sono importanti due aspetti:
uno economico, l’altro giuridico. Quello economico scaturisce
dalla loro rilevanza dall’economia odierna.
Tre dati: le professioni rappresentano una cifra oscillante
tra il 4 ed il 7% del prodotto interno lordo; rappresentano in
termini di occupazione, il 7% degli occupati
(5)
; fanno parte dei
servizi, che sono l’ “ala marciante” dell’economia moderna.
Quindi, dal punto di vista economico, le professioni sono
una realtà fondamentale.
Dal punto di vista giuridico, le professioni rappresentano
tre entità diverse: professioni “protette” o regolate; professioni
riconosciute; professioni non regolate.
Le professioni del primo tipo si dicono protette quando per
esse sono istituiti ordini o collegi professionali, non essendo
sufficiente per considerarle tali la semplice previsione di un
__________
(5)
CASSESE S., Professioni e ordini professionali in Europa, Il Sole 24
Ore, Milano 1999, pagg. 9 e ss.
L’Organizzazione delle professioni
albo o un elenco (a questa regola generale, prevista c.d. dall’art.
2229 del c.c., fa eccezione il caso dei revisori contabili,
professionisti per i quali non esiste un Ordine, ma sono previste
attività esclusive e riservate).
L’esercizio professionale incide, in questi casi, su rilevanti
interessi generali spesso direttamente tutelati dalla
Costituzione, o ad essa connessi, e quindi su diritti
fondamentali (ad esempio, il diritto alla salute, alla salubrità dei
luoghi di lavoro, il diritto alla difesa, il diritto all’ambiente, il
diritto alla pubblica incolumità).
Possiamo riassumere, come proposto di seguito, i caratteri
generali delle professioni protette (o libere):
™ Intellettualità (prevalenza della componente intellettuale
rispetto a quella manuale che, per esempio, prevale –
quest’ultima - nell’attività artigianale);
™ Indipendenza (subordinazione alle sole norme
scientifiche della propria disciplina, col fine che il
professionista risulti utile al cliente e
contemporaneamente rispettoso delle leggi che tutelano
gli interessi della collettività);
™ Libertà economica (in tempi passati i professionisti
appartenevano a ceti benestanti che non necessitavano
di essere retribuiti, trattandosi, secondo la concezione
antico-romana, non di lavoro ma di operae liberales, cioè
attività che richiedevano solo manifestazioni di
riconoscenza. L’esigenza, oggi, di garantire la libertà
economica è motivo per cui sono state create le tariffe
professionali approvate per legge, con divieto di
concorrenza tra professionisti, sul prezzo del servizio);
™ Fiduciarietà (il cliente, libero di scegliere nell’ambito
degli iscritti all’Albo, sceglie il professionista avendo
fiducia nella sua competenza tecnica e nella moralità
del suo comportamento).
Il secondo tipo di professioni comprende quelle
riconosciute, ovvero disciplinate dalla legge, per l’inerenza ad
esse di interessi rilevanti sul piano sociale, anche se non
riconducibili in modo diretto ai principi prima richiamati.
Il terzo tipo di professioni è dato dalle professioni non
regolamentate, ma presenti sul mercato del lavoro a volte anche
attraverso le proprie associazioni.
Si tratta delle nuove professioni, frutto della proliferazione
del terziario verificatasi a partire dagli anni Ottanta e che oggi
tendono a reclamare il riconoscimento pubblico (Teresi, F.,
Professioni, in “Dig. Disc. Pubbl.”, vol. XII, 1997, 6).
L’Organizzazione delle professioni
1.3 ISCRIZIONE ALL’ALBO: OBBLIGATORIETA’ O
FACOLTATIVITA’ ?
Il sistema italiano è, in base a quanto analizzato nel
paragrafo precedente, un sistema aperto. Infatti è bene
specificare fin da subito che non si impone per tutte le
professioni intellettuali l’iscrizione ad un albo o ad un elenco,
ma ciò si verifica solo per quelle attività espressamente previste
dalla legge. L’analisi della disciplina delle professioni implica,
allora, la valutazione di due distinti profili:
a) il primo di ordine generale, coinvolgenti interessi e
finalità pubblicistiche, attinente all’organizzazione
della categoria;
b) il secondo, di carattere più strettamente privatistico,
relativo alla definizione della natura e della disciplina
dei rapporti giuridici che si instaurano tra
professionista e cliente, in occasione della stipula del
contratto di prestazione di opera intellettuale
(Giacobbe, G., Professioni intellettuali, in “Enc. Del
Dir.”, vol. XXXVI, 1987).
E’ da ritenere superata l’impostazione secondo cui non si
può parlare propriamente di disciplina dell’esercizio della
professione (neanche, forse, di professione) quando la legge
non prevede la costituzione di un ente pubblico professionale,
ma soltanto l’esistenza, presso una pubblica amministrazione,
di un ruolo che non ha funzioni di certezza locale ma
semplicemente informativa, né quando sia semplicemente
previsto dalla legge un esame di Stato per l’esercizio
professionale (Piscione P., Professioni - disciplina delle -, in “Enc.
Del Dir.”, vol. XXXVI, 1987).
Ogni ente professionale è un’organizzazione di beni e
persone che si coordinano in vista di uno scopo. L’ente
professionale è, personificato, l’apparato organizzativo al quale
sono attribuite molteplici funzioni: si ha un complesso di organi
che è dotato di personalità giuridica e che, come tale, si
contrappone ai singoli professionisti.
Tra l’organizzazione dell’ente e la classe professionale si
instaura una serie di rapporti che sono vasti e complessi, perché
è attraverso l’inserimento nell’organizzazione dell’ente che
viene disciplinata l’attività di questi ultimi. Il legislatore pone a
base del concetto di ordine o di collegio professionale quello di
albo, e non ne concepisce l’esistenza a prescindere da quello.
Gli enti professionali determinano un inquadramento dei
professionisti nella propria organizzazione. L’albo non è
L’Organizzazione delle professioni
soltanto un documento in cui è contenuta una lista di nomi,
bensì è l’elemento sul quale si incardina l’organizzazione
professionale, in quanto solo coloro, che in esso sono iscritti,
sono abilitati ad esercitare la professione. L’albo ha certo una
funzione certificativa, ma questa non è fine a sé stessa, perché
l’attività svolta dai privati necessita, quando lo Stato ravvisi un
certo interesse pubblico nel suo svolgimento, di un apposito
titolo, e l’iscrizione all’albo si identifica con questo titolo.
Il diritto di esercitare una professione intellettuale
presuppone un’organizzazione professionale, perché spetta
solo a coloro che sono iscritti all’albo. La disciplina pubblicistica
del contratto d’opera professionale è strettamente connessa a
quella privata. Sancisce il 1° comma dell’art.2231: «Quando
l’esercizio di una attività professionale è condizionata
all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi
non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della
retribuzione».
A tutti gli effetti di legge, sono liberi professionisti coloro
che sono iscritti in appositi albi, tenuti dagli enti professionali, e
l’attitudine a stipulare il relativo contratto di prestazione
d’opera intellettuale sorge con l’anzidetta iscrizione, come si
estingue con la relativa cancellazione. Soltanto coloro che
posseggono i necessari requisiti e che quindi offrono garanzie
di esercitare correttamente la professione sono ammessi
all’esercizio della stessa ; e il diritto è loro conferito fintanto che
conservino tali requisiti.
1.4 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA ED IL RUOLO
DEGLI ORDINI E DEI COLLEGI PROFESSIONALI.
In corrispondenza a determinate categorie di soggetti che
esercitano una libera professione intellettuale, si identificano
quelle organizzazioni che sono istituite per legge in tutto il
territorio dello Stato e alle quali, tali soggetti, se vogliono
esercitare la propria attività lavorativa, debbono appartenere:
ordini e collegi professionali.
Le organizzazioni professionali sono importanti sia per
ragioni sociologiche ed economiche, sia giuridiche (abbiamo già
accennato a parte di questi caratteri).
Dal punto di vista sociologico, esse hanno raggiunto
dimensioni davvero ragguardevoli, in rapporto al numero
complessivo di professionisti che ne fanno parte: si calcola che
siano più di 3,5 milioni il totale dei professionisti
L’Organizzazione delle professioni
(”regolamentati” e “liberi”) mentre gli iscritti agli ordini e ai
collegi professionali circa 1,7 milioni (Il Sole 24 Ore, 14 gennaio
2003).
Proprio le nuove professionalità, inoltre, impiegano
tecniche innovative, costituendo la parte più avanzata del
mondo del lavoro.
Anche dal punto di vista economico, l’apporto delle
professioni è importante non solo in senso diretto, vale a dire
per la ricchezza che esse creano o sono idonee a creare, ma
anche per l’apporto che forniscono alle imprese e soprattutto
alla collettività.
Anche i profili giuridici delle organizzazioni professionali
(che meglio saranno presentate nel corso del capitolo)
presentano notevole rilievo pratico e teorico.
La distinzione tra Ordini e Collegi non è rigorosa, e non si
possono ad essa ricollegare differenze secondo il diritto.
In linea di massima si indicano come Ordini quegli enti
professionali per entrare a far parte dei quali è richiesta quasi
sempre (quale titolo di studio) la laurea, e si parla di Collegi nel
caso contrario.
Tale criterio venne adottato dall’art. 1 del R.D.L. 24 gennaio
1924 n.103. Ma tale norma non ha impedito che vi siano, nel
vigente diritto, enti professionali per i quali questa prerogativa
non è rispettata.
Così, ad esempio, per i notai si parla nella legge di Collegi,
mentre per appartenervi è richiesta la laurea in giurisprudenza.
L’espressione ente professionale è più comprensiva e, al di
là di ogni tradizionale denominazione, indica la sostanziale
unitarietà e la vera essenza della categoria qui considerata.
1.4.1 CENNI SULLA EVOLUZIONE STORICA.
L’ordinamento professionale italiano inizia a configurarsi a
partire dalla seconda metà del 1800, sull’onda di una vicenda di
lunga durata che viene fatta risalire alle trasformazioni delle
antiche corporazioni medioevali.
Da un punto di vista sociologico tale affermazione è
ritenuta concettualmente non del tutto esatta, in quanto la
continuità tra le professioni moderne e corporazioni medioevali
è più formale che sostanziale e vale principalmente per gli
elementi ideologici tradizionali incorporati dalle prime:
leggende, simboli, stereotipi, perfino alcuni vocaboli del gergo
L’Organizzazione delle professioni
professionale. Inoltre, alcune delle più importanti professioni
liberali attuali sono nate e si sono sviluppate all’ombra ed alle
dipendenze della grande impresa e della grande
organizzazione.
L’evoluzione storica della disciplina può essere divisa in
quattro periodi:
a) periodo liberale;
b) periodo fascista;
c) periodo repubblicano;
d) periodo comunitario.
Il primo periodo inizia con l’emanazione della legge 8
giugno 1874, n.1938 che disciplina la professione di avvocato e
procuratore legale.
Nasce così il primo ordinamento autonomo di una
professione liberale che verrà a costituire l’esempio
dimostrativo di riferimento per la disciplina delle altre
professioni. Questa legge, ispirandosi ai criteri della
legislazione francese relativa agli avvocati, fissa i seguenti
principi:
a) monopolio legale dell’esercizio professionale riservato a
coloro che ottengono l’iscrizione all’apposito albo;
b) autonomia dell’ente professionale costituito su base
corporativa e dotato di personalità giuridica;
c) affidamento all’ente dei compiti di tenuta dell’albo e
mantenimento della disciplina degli iscritti;
d) sottoposizione dell’ente alla vigilanza dello Stato.
Ispirate dallo stesso modello, sono state emanate
successivamente le leggi relative ad altre professioni: notaio,
1879; ragioniere, 1906; sanitario, 1910; ingegnere, architetto e
perito, 1923.
Il secondo periodo inizia con l’emanazione della legge 3
aprile 1926, n.563 alla quale segue il regolamento di attuazione
adottato con R.D. 1° luglio 1926, n.1130, poi consacrati nella
Carta del lavoro.
Questi atti sopprimono gli Ordini e i Collegi e ne
trasferiscono le funzioni ai sindacati professionali, che
assumono la rappresentanza e la tutela unitaria delle relative
categorie professionali.
Lavoratori autonomi e subordinati, datori di lavoro, artisti
e professionisti fanno parte di un’unica organizzazione
sindacale per ogni categoria che li rappresenta e ne compone i
conflitti nell’ambito delle corporazioni.
L’Organizzazione delle professioni
Le corporazioni – si leggeva nella Carta del lavoro –
costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della
produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. In
virtù di questa generale rappresentanza, essendo gli interessi
della produzione interessi nazionali, le corporazioni sono
riconosciute dalla legge come organi dello Stato (De Rosa, G.,
Storia contemporanea, Minerva, Roma, 1982). Si formarono
effettivamente, in quel periodo, sei confederazioni di datori di
lavoro e sei di lavoratori, per le diverse branche dell’industria,
del commercio, dei trasporti marittimi ed aerei, dei trasporti
terrestri e della navigazione interna, della banca e
dell’assicurazione, mentre una tredicesima associazione riuniva
i professionisti e gli artisti. In sostanza, c’era, per ogni categoria,
un unico sindacato, quello fascista, ad iscrizione obbligatoria,
che era esso stesso inquadrato in un’organizzazione più ampia,
la “corporazione”, in cui stavano al fianco della rappresentanza
imprenditoriale per la medesima categoria.
Il terzo periodo inizia prima dell’adozione della
Costituzione con l’emanazione del D.Lgs. 23 novembre 1944,
n.382. Questo devolve nuovamente la custodia degli albi, e le
relative funzioni disciplinari per ciascuna professione, al
rispettivo consiglio dell’Ordine o Collegio.
La nuova organizzazione è impostata su basi democratiche
e configura gli organi di vertice come esponenziali del corpo
professionale liberamente eletti dall’assemblea degli iscritti.
La Costituzione italiana non reca disposizioni specifiche in
materia di ordini professionali. Le uniche norme che
espressamente si riferiscono alle professioni sono l’art.33,
quinto comma (“è prescritto un esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio professionale” – cfr. con il capitolo successivo) e
l’art.120, terzo comma (“la Regione non può limitare il diritto
dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio
nazionale la loro professione, impiego o lavoro”).
Tuttavia è possibile ravvisare le basi costituzionali delle
attività professionali sia nel generale principio “lavorista”
(secondo il quale è primario il valore del lavoro nell’assetto
economico) sia nelle varie e specifiche norme che riconoscono e
tutelano diritti potenzialmente oggetto del campo di azione di
professionisti.
Il quarto periodo inizia con l’attuazione del Trattato della
Comunità europea riguardo al diritto di stabilimento e di libera
circolazione dei servizi. Ciò si realizza con l’emanazione di
direttive comunitarie che, dapprima si occupano di specifici
settori professionali, poi introducono un sistema generale di
riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che
L’Organizzazione delle professioni
sanzionano formazioni professionali (n.89/48/CEE del
Consiglio del 21 dicembre 1988 e n.92/51/CEE del Consiglio
del 18 giugno 1982).
Le direttive in questione sono state emanate in
considerazione del fatto che l’eliminazione fra gli stati membri
degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi
costituisce uno degli obiettivi della Comunità e che per i
cittadini essa implica la facoltà di esercitare una professione, a
titolo indipendente o dipendente, in uno Stato membro diverso
da quello nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche
professionali.
La struttura degli Ordini e dei Collegi professionali è
caratterizzata dalla presenza della pluralità dei soggetti, che, in
quanto iscritti all’albo, si trovano in un certo rapporto con la
pubblica amministrazione; l’ente professionale presuppone una
classe di cittadini, i quali esercitano una professione
intellettuale, che è pertanto costituita da più persone le quali
hanno in comune la capacità giuridica di esercitare la stessa
autonoma attività lavorativa intellettuale.
Di conseguenza, il concetto di ente professionale non si
esaurisce nel riferimento ad un complesso di organi capace di
agire, quale potrebbe aversi presso un qualsiasi altro ente
pubblico, ma deve essere inteso anche in riferimento ad un
substrato corporativo che, da un lato, è parte integrante
dell’organizzazione dell’ente, dall’altro a quest’ultima si
contrappone.
Per definire le caratteristiche di tale gruppo, è essenziale,
preliminarmente, analizzare la posizione organizzativa dei
soggetti che esercitano la libera professione.
I professionisti, in quanto perseguono fini di pubblico
interesse, devono essere considerati soggetti ausiliari della
pubblica amministrazione, pur essendone soggetti estranei, in
quanto la coadiuvano nel perseguimento dei suoi scopi. Essi
agiscono pur sempre, come gli enti pubblici, per fini di pubblico
interesse, così da potere essere qualificati, organi impropri o
indiretti della pubblica amministrazione.
Il professionista non è organo dell’ente perché, così come
tutti i soggetti i quali agiscono nell’interesse
dell’amministrazione pubblica, ma restando estranei alla sua
organizzazione, agisce in nome proprio e sotto la propria
personale responsabilità. E ciò a differenza degli organi della
pubblica amministrazione, i quali la impegnano direttamente,
agendo nell’interesse a esclusivo di quest’ultima.