diadiche che i due ‘significati’ generano nella loro applicazione.
Senza addentrarci su di un terreno eccessivamente esegetico, poter giungere
al gioco linguistico di Wittgenstein necessita “vedere” e “vedere come” il fi-
losofo austriaco dalla gioventù del Trattato logico-filosofico (da adesso TL),
cioè dalla dottrina della logica raffigurativa delle proposizioni, sia giunto in
un processo riorganizzativo del ‘suo’ mondo ad una seconda fase, quella
delle Ricerche Filosofiche (da adesso RF), in cui il mondo in opposizione
al TL si ‘mette’ a disposizione del linguaggio non più privato e solipsistico
ma sociale. Anche Kuhn risente di questo processo diacronico in cui da una
prima formazione tecnico-manualistica alla fisica teorica , sposta i suoi inte-
ressi, a dir la verità mai dimenticati, allo studio della storia, della filosofia
della storia e dell’epistemologia. Nel documentare queste fasi di mutazione
e di ampliamento concettuale, possiamo renderci conto di come alcuni ‘as-
serti ‘ di base del TL (dire e mostrare, i limiti del mondo, solipsismo) sia-
no oltrechè ‘radici’ guida del ‘secondo’ Wittgenstein e delle RF anche,
nel caso dell’epistemologia kuhniana, delle nozioni necessarie per meglio
comprendere e focalizzare le doti “quantizzanti” delle rivoluzioni scientifi-
che. Nell’ipotizzare e nel lavorare su questa sorta di ‘comunione’ unidire-
zionale (nel senso che ci troviamo a trattare una forma di implicazione con-
cettuale che transita dal gioco linguistico al paradigma) possiamo notare co-
me nella loro (di Wittgenstein e di Kuhn) ontogenesi persiste l’esigenza di
ridurre ‘al possibile’ quella forma di confusione e di disordine appartenen-
te ai loro “mondi”. Prendendo spunto dalle opere principali di Wittgen-
stein, confusione e disordine si manifestano nel caso del TL negli ‘sviamen-
ti’ causati dalle apparenze ingannevoli del linguaggio ordinario e quindi nel-
la necessità di analizzare le proposizioni per portare alla luce la loro struttu-
ra nascosta; nelle RF si cerca invece di superare gli ‘sviamenti’ del linguag-
gio ordinario cercando di chiarire come le proposizioni trovano applicazione
nei giochi linguistici . Wittgenstein sarà per tutta la vita soggiocato da que-
sta confusione sostanzialmente interiore e legata alla drammaticità storica
della sua epoca (le due guerre) e alle contraddizioni valoriali che nella filoso
fia dell’epoca inducono Wittgenstein a concepire la filosofia stessa non già
come un insieme di teorie (come comunemente la teoria viene concepita),
ma come un’attività la cui funzione è quella di chiarire le proposizioni.
Kuhn , dal canto suo, sin dalla Rivoluzione Copernicana (da adesso RC)
mette in chiaro come, ad esempio, nella confusione scaturita all’interno del-
la tradizione tolemaica ( si parla di una dozzina di sistemi tolemaici ) si in-
neschino le condizioni per una rivoluzione; oppure, senza calcare troppo
sull’argomento, la crisi che si può innescare in una scienza normale non è
altro che una fase in cui non si riesce a dare una risposta alle ‘domande’ del
proprio paradigma (Wittgenstein avrebbe detto “non mi ci raccapezzo”) ren-
dendo il ‘tutto’ indisciplinato e non ben ordinato per quanto riguarda la di-
rezione paradigmatica ottimale da prendere, per uscire dalle ‘non risposte’
alle domande problematiche. Cercherò, durante la stesura di questa tesi, di
chiarire un’po questi argomenti nella consapevolezza del fatto che l’obietti-
vo che mi sono proposto non è di ’radicare’ l’epistemologia kuhniana nella
filosofia wittgensteiniana ma di “dire” la relazione tra gioco linguistico e pa-
radigma e non solo di “mostrarla”.
“A me pare che vi sia una chiara analogia fra i giochi linguistici e i paradig-
mi, e perciò credo che si possa parlare dei paradigmi scientifici come di
particolari giochi linguistici creati all’interno delle varie discipline scien-
tifiche”. (Wittgenstein e la conoscenza scientifica, D. L. Phillips pag 144).
Thomas S. Kuhn: la genesi epistemologica
T.S. Kuhn (1922-1966) prima di evolvere in un vero e proprio filosofo della
scienza intraprese la carriera di ricercatore in fisica teorica per l’università
di Harvard. Dopo aver svolto alcune ricerche nel campo dei radar, abbando-
nò questo genere di studi per avvicinarsi ad un ambito meno sperimentale e
tecnico ma più dotato storicamente e filosoficamente. Questo genere di nuo-
ve ricerche riguardavano, attraverso lo studio e la ricostruzione concettuale
di alcuni esempi di “attività” scientifica di scienziati del passato, come sia
stato possibile lo sviluppo della ricerca scientifica. Non so con esattezza se
durante la sua formazione scolastica Kuhn abbia fatto la conoscenza della fi-
losofia aristotelica ed ellenica in generale ma sicuramente, e come ci è dato
da capire in “ La tensione essenziale “, Kuhn dimostra una certa perples-
sità soprattutto nei riguardi della concezione aristotelica del moto :
“Nello studio della biologia e della politica la sua ( di Aristotele ) interpre-
tazioni dei fenomeni era stata sovente sia accurata che profonda. Come era
possibile che queste sue peculiari doti gli fossero mancate quando aveva
studiato il moto.” (In “La tensione essenziale”, da adessoTS, pag int 8).
In effetti, nella complessità della fisica e metafisica aristotelica, il moto era
caratterizzato dall’esistenza di un “primo motore”, da una “potenza” , da un
“atto” e da una definizione del movimento concepito come “ L’entelechia
di ciò che è in potenza in quanto tale “(FISICA III). In queste set di nozioni
Kuhn individua da scienziato “moderno” “cose evidentemente assurde”
(in la TE pag int. 9) che lo portano dopo un periodo di riflessione a scopri-
re e a conoscere i motivi di queste assurdità:
“Improvvisamente intuì la traccia di uno schema logico per una lettura alter-
nativa dei testi sui quali ero impegnato. Per la prima volta detti la dovuta
importanza al fatto che l’argomento di Aristotele era il mutare delle qualità
in generale…”(in la TE pag int 10).
In queste ultime righe troviamo, in ‘germe’, quella prospettiva storica e so-
ciologica che Kuhn svilupperà prima nella Rivoluzione Copernicana e poi
fondamentalmente in La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche (da adesso
SSR) e in saggi successivi di revisione e precisazione. In effetti, già nella
prefazione alla RC, Kuhn chiarisce che nonostante il termine “rivoluzione”
sia al singolare, si tratta nel caso specifico della rivoluzione copernicana,
in realtà di un “complesso di eventi” che hanno portato oltre ad una tra-
sformazione nell’astronomia matematica, anche a mutamenti concettuali nel
campo della cosmologia, della fisica, della filosofia e della religione.
Nella prefazione alla RC Kuhn, oltre a precisare gli obiettivi propositivi del
saggio in questione, cerca di strutturare e di ‘inquadrare’ le doti ‘olistiche’
e ‘circolari’ che le rivoluzioni scientifiche e sociali possiedono e come, da
una rivoluzione, si ‘approdi’ ad un “complesso di eventi” :
“Il libro viola ripetutamente i confini tradizionali che separano il campo del-
la scienza da quello della storia o della filosofia. L’astronomia planetaria
non fu mai una pratica scientifica assolutamente indipendente [..].
Gli astronomi si impratichivano anche in altre scienze ed erano legati a di-
versi sistemi filosofici e religiosi”. (RC pag int 16-17).
“Inoltre, sebbene i materiali teorici scientifici siano fondamentali, essi non
hanno alcuna funzione finchè non siano inseriti in un determinato contesto
storico o filosofico in cui illuminano la via dello sviluppo scientifico, la na-
tura dell’autorità della scienza e il modo nel quale la scienza influenza la
vita umana.” (RC pag int 17-18). Già nelle pagine di introduzione a la RC e
poi nel proseguo del saggio, notiamo come la prospettiva storica di Kuhn si
discosta, per così dire, dalla tradizione ermeneutica classico-tradizionale, si
discosta poiché, a differenza di quest’ultima, guarda al fatto scientifico e al-
la sua genesi come ad un accadimento che coinvolge la scienza in un suo
“mondo”, ossia in un mondo che rende possibile quel dato modo di procede-
re scientifico e che viene accettato dalla comunità scientifica come corretto.
Questo modo di fare e di procedere ‘corretto’ viene, sin dall’inizio de la RC,
affrontato da Kuhn in uno studio sull’universo “a due sfere”, studio che di
fatto si conclude nell’evidente constatazione che l’universo a due sfere non
è altro che “un prodotto dell’immaginazione dell’uomo. E’ uno schema con-
cettuale, una teoria che deriva da osservazioni, ma al tempo stesso va al di là
di esse [..]. Tuttavia (la cosmologia a due sfere) fornisce già efficaci illustra-
zioni di alcune delle funzioni logiche che le dottrine scientifiche possono
compiere per gli uomini che le sviluppano o le usano”. (RC pag 47).
“Ma gli schemi concettuali hanno funzioni psicologiche oltrechè logiche e
queste dipendono dalla fede e dall’incredulità dello scienziato.”(RC pag 51)
“La caratteristica di uno schema concettuale è quella di fornire, più che
delle precise direttive, dei suggerimenti per l’opera di organizzazione e di
ricerca. Nessuno schema concettuale è nato dal nulla.” (RC pag 54).
Gli schemi concettuali “mostrano come le teorie siano in grado di guida-
re uno scienziato nell’ignoto, insegnandogli dove deve guardare.”
In queste proposizioni de la RC, il concetto di ”schema concettuale”,
che si dimostra essere uno degli strumenti ‘archetipi’ dell’intera epistemolo-
gia kuhniana, è senza dubbio dedotto da Kuhn dal saggio di Fleck sulla Ge-
nesi e sviluppo di un fatto scientifico; in tale saggio Kuhn rimane particolar-
mente colpito dalla discussione di Fleck “sul rapporto fra scienza della rivi-
sta e scienza dei manuali” e dalle considerazioni “sulle difficoltà di trasmis-
sione delle idee fra due collettivi di pensiero e sui limiti di partecipazione
a diverse comunità di pensiero” (pag 254 della pref. all’ed. americana del
saggio di Fleck: Genesi e sviluppo di un fatto scientifico. Da adesso GS).
In effetti lo schema concettuale possiede in germe quelle caratteristiche ba-
silari che poi Kuhn in seguito determinerà come essere gli elementi denotan-
ti del concetto di paradigma e di scienza normale; tant’è che nello schema
concettuale troviamo una teoria che deriva da osservazioni e quindi con una
struttura logica (nel senso di una capacità razionalmente relativa a quel
mondo) come substrato, una funzione psicologica in grado di gratificare fi-
deisticamente lo scienziato, la capacità di fornire dei suggerimenti e delle di-
rettive metodologiche e di organizzazione e, soprattutto, la capacità di gui-
dare lo scienziato anche nell’ignoto ‘dicendogli’ dove deve guardare in base
a dei dati di partenza e cosa attendersi nella sua ricerca da quei dati poiché,
ogni schema concettuale nasce in un sistema sociale culturale e relazionale.
A pag 95 de la RC Kuhn, dopo essersi chiesto come sia possibile che il geo-
centrismo, nonostante alcune evidenti imperfezioni, sia riuscito a resistere
così a lungo (19 sec.), ci dice che questa solidità è stata possibile dal fat-
to che gli interrogativi riguardanti la storia di un complesso di idee sono
legati alla natura e alla struttura degli schemi concettuali e al processo con
cui uno schema concettuale ne sostituisce un altro; e tutto ciò, non può che
portarci ad intravedere le condizioni di base per ipostatizzare il concetto di
incommensurabilità: ”Da un punto di vista logico, vi sono sempre molti
schemi concettuali alternativi in grado di ordinare ogni serie prescritta di os-
servazioni; ma questi schemi alternativi differiscono nelle previsioni interne
a fenomeni non compresi nella serie [..]. Ma queste alternative concordano
soprattutto sulle osservazioni già eseguite. Esse non danno spiegazioni
identiche di tutte le osservazioni possibili.”(RC pag 96). Ma le capacità e
le potenzialità di uno schema concettuale non si esauriscono di certo qui,
poichè egli ci “informa sul moto delle stelle che lo scienziato non ha mai si-
stematicamente osservato [..]. Questo è un nuovo tipo di conoscenza deriva-
ta all’origine non dall’osservazione, ma direttamente dallo schema concet-
tuale.” (RC pag 53). Ciò comporta una inevitabile funzione pedagogico –
manualistica dello schema concettuale, una funzione che legittima il dove e
il come guardare, il pensare e il ‘vivere’ nel nostro mondo. Questa importan-
te funzione educativa dello schema concettuale verrà poi, nella prospettiva
epistemologica de la SSR, riversata nel ruolo propedeutico e formativo che
Kuhn assegna ai manuali e alla loro determinante capacità nel formare lo
scienziato in stretta connessione con i precetti del proprio paradigma. Tutto
ciò, d'altronde, non renderà però possibile l’eventuale contatto comunicativo
fra un gruppo paradigmatico ed un altro gruppo, tutto ciò non legittimerà al-
tro che ‘l‘alterità’ dell’altro gruppo-sistema (il sistema tolemaico e quello
copernicano invertono i ruoli che rispettivamente assegnano alla terra e al
sole), e tutto ciò non farà altro che strutturare un sistema manualistico – pe-
dagogico diverso dall’altro, tant’è che “schemi alternativi differiscono nelle
previsioni ma concordano nelle osservazioni già eseguite.”(RC pag 96).
L’analogia accennata in precedenza fra il “collettivo di pensiero” di Fleck
e lo “schema concettuale” di Kuhn, può essere ulteriormente ‘traslata’, pro-
prio per le caratteristiche intrinseche dello schema concettuale, nel concetto
‘temporale’ di scienza normale: ”La scienza senza questi ordinati schemi
che le sue teorie ci forniscono (si tratta in ogni caso di strutture conchiuse)
sarebbe incapace di raccogliere una quantità così enorme di informazioni
dettagliate sulla natura.” (RC pag 50). Questa priorità dello schema concet-
tuale nel fornire le teorie necessarie (e non) affinchè la natura e il mondo
abbia un ordine e un’organizzazione scientifica e sociale, avrà il suo massi-
mo (non) definitivo compimento ne la SSR, dove la’scienza normale’ non è
altro che una “ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti
dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per
un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento
della sua prassi ulteriore.” (SSR pag 29). Ora, anche se la scienza normale
ci fornisce dei risultati in grado di garantirci per un certo arco di tempo una
data prassi scientifica, l’incremento e la crescita di quest’ultima è possibile,
nell’epistemologia kuhniana, fondamentalmente attraverso dei ‘salti quanti-
ci’ determinati dall’incapacità della scienza normale di progredire difronte
ad una o più anomalie. Il progresso e la crescita nella scienza e nella cono-
scenza non avviene, secondo Kuhn, come per i positivisti e i neopositivisti
per accumulazione continua, ma per un processo che non prevede tempi ben
definiti, ma spazi di tempo legati al manifestarsi e al riconoscere delle ano-
malie che non possono essere superate dalla scienza normale in uso. In una
interessante epistola riportata da Kuhn in la RC, Copernico illustra al ponte-
fice Paolo III il motivo del perché il De Revolutionibus fù scritto e pubbli-
cato dopo tante reticenze e paure: lo scopo del De Revolutionibus era di ri-
solvere il problema del moto planetario che sia gli aristotelici e i tolemaici
avevano ‘sistemato’ con l’elaborazione di “omocentrici, eccentrici, epicicli”
ed una matematica ad hoc necessaria per rimanere all’interno di quello stes-
so schema concettuale. Nell’epistola si legge: ”Così nel corso della dimo-
strazione si trova che (gli aristotelici e i tolemaici) hanno omesso qualcosa
di indispensabile, oppure che hanno introdotto qualcosa di estraneo e di irri-
levante. Il che non sarebbe loro certamente accaduto se si fossero uniformati
a principi sicuri. Infatti se le ipotesi da essi assunte non fossero errate, tutto
ciò che ne consegue troverebbe conferma senza alcun dubbio. Sebbene le
cose che qui affermo possono apparire oscure, esse diventeranno tuttavia
più chiare a tempo opportuno.”(RC pag 177). Nell’introdurre qualcosa di
indispensabile, e/o di estraneo e irrilevante, i fautori del sistema geocentrico
mantengono attivi in maniera quasi automatica i precetti (teorie leggi e teo-
remi matematici) che sostengono il loro schema concettuale o paradigma di
appartenenza; inoltre, secondo Copernico, dal momento che bisogna attener-
si a determinati risultati da conseguire, non ultimo quello religioso, si è pro-
ceduti anche assumendo delle ipotesi iniziali “opportunamente errate, tali
che, se queste stesse ipotesi non fossero errate ci si accorgerebbe dei falsi ri-
sultati conseguiti”. Copernico, quindi, si è reso conto di tali risultati e Kuhn
ci fa opportunamente notare come “per la prima volta un astronomo tecnica-
mente preparato aveva respinto la tradizione scientifica consacrata dal tem-
po in forza di motivi legati alla sua scienza, e questa presa di coscienza pro-
fessionale di lacune tecniche diede inizio alla rivoluzione copernicana.”(RC
pag 178). Evidentemente, qui, c’è già una presa di coscienza dell’ ‘insupe-
rabilità’ di determinate anomalie all’interno dello schema concettuale tole-
maico, di una ‘discrepanza’ fra teoria ed osservazione, di una rottura interna
della scienza normale che, non essendo è in grado di far rientrare l’anomalia
rilevata, cerca manifestatamente di intaccare scientificamente, e non solo, la
scienza precedente (il sistema tolemaico), per accedere ad un nuovo sistema
scientifico in grado di superare le anomalie precedentemente riscontrate.
Come ho già chiarito nell’introduzione, lo scopo principale di questa tesi è
di cercare di penetrare nell’ ‘idea’, cioè nella forma visibile e intellegibile
del gioco linguistico e del paradigma, forma visibile e intellegibile che già
introspettivamente viene, a mio dire, accennata dallo stesso Kuhn quando in
la SSR deve ‘dirci’ qualcosa sulle regole “autosufficienti”. Ora, dato che è
una questione importante e che riesamineremo poi con più ‘calma’, è bene,
e per il momento, solo accennare a tale problematicità, ad una problematici-
tà che Kuhn caratterizza nell’ “abituale comportamento” (SSR pag 68) degli
scienziati e ad una sua superabilità attraverso la rassomiglianza di famiglia.
In una scienza normale i diversi problemi e le diverse tecniche di ricerca
non hanno in comune fra di loro solo il fatto di soddisfare qualche insieme
di regole o di assunzioni strutturali di una tradizione scientifica ma, al con-
trario, di avere dei rapporti di rassomiglianza con e/o di modellarsi con quel-
la parte del corpo scientifico che la comunità riconosce come suoi punti fon-
datamente cardinali. In pratica, secondo Kuhn, lo scienziato viene ‘indot-
trinato’ attraverso modelli euristici trasmessigli nella ‘sua’ fase di apprendi-
mento dal mondo scientifico e culturale di appartenenza, ‘costringendolo’
a non avere la necessità di conoscere “quali caratteristiche hanno conferito
a questi modelli lo status di paradigmi della comunità. E poiché questo è il
loro abituale comportamento, essi non hanno bisogno di un insieme comple-
to di regole” (SSR pag 68) ma di un insieme di rassomiglianze di famiglia
con cui poter ‘adattare’ la loro attività scientifica a quella legittimata dal pa-
radigma di affiliazione. Questa sorta di anticipazione della relazione regole-
rassomiglianza di famiglia deve esser vista, secondo me, come ciò che segue
ad alcune anticipazioni concettuali già presenti in la RC: ” Noi dimentichia-
mo volentieri che molti dei concetti in cui crediamo ci sono stati faticosa-
mente inculcati nella nostra giovinezza. Noi li accettiamo troppo facilmente
come i prodotti naturali e incontestabili delle nostre sole percezioni e respin-
giamo invece concetti differenti dai nostri come errori, radicati nell’ignoran-
za e nella stupidità e perpetuati da una cieca obbedienza all’autorità. La no-
stra educazione ci pone fra noi e il passato.[..] L’autorità degli scritti di Ari-
stotele deriva in parte dall’acume delle sue idee originali, in parte dalla loro
immensa portata e coerenza logica [..] (e soprattutto) dalla capacità di e-
sprimere in forma sintetica ed armonica molte nozioni naturali dell’univer-
so.” (RC pag 123). Qui direi proprio che Kuhn voglia farci notare come
noi scienziati e non ci dimentichiamo spesso che molti dei concetti (ma una
domanda, un problema, dubbio sono ‘primariamente’ dei concetti) in cui
crediamo, cioè a cui diamo valore perché immanenti al nostro mondo, ci so-
no stati fatti apprendere, anche forzatamente, nella nostra giovinezza attra-
verso un processo pedagogico-funzionale al nostro mondo. E questa plurali-
tà di concetti ci viene talmente ben inculcata che li accettiamo come prodotti
naturali delle nostre percezioni, cioè come di ciò che si manifesta nel risulta-
to del contatto dell’uomo con il mondo esterno, e a tal punto da farci respin-
gere dei concetti differenti dal nostro semplicemente perchè errori radicati
nell’ignoranza e nella stupidità. La nostra educazione, ossia il nostro modo
di conoscere il mondo, si pone tra le nostre potenzialità creative e capacitive
(nel senso di poter rispondere o almeno riconoscere un’anomalia che si pre-
senta) ed il passato, ossia con il nostro sistema di valori trasmessici attraver-
so un’educazione sempre più manualistica.”L’autorità degli scritti di Aristo-
tele deriva”, secondo Kuhn, dalla capacità della teoria di rispondere, in ma-
niera logica e coerente, agli interrogativi che si generano sincronicamente ad
una data epoca su molti fenomeni naturali, strutturandosi in una ”forma sin-
tetica ed armonica”. Molte volte, ad esempio, noi stessi reagiamo a degli sti-
moli esterni in una maniera quasi automatica e quasi naturale, in una manie-
ra che supera la nostra limitatezza intuitiva, in una maniera in cui l’esterno
ci appare come delle “coerenti nozioni naturali dell’universo.” (ibidem).
Queste nozioni naturali dell’universo non sono altro che delle informazioni
prioritariamente percettive e poi educative che noi apprendiamo natural-
mente e socialmente senza il bisogno e la ”necessità di conoscere quali ca-
ratteristiche hanno conferito a questi modelli acquisiti lo status di paradigmi
della comunità. E poiché [..] (gli scienziati) non hanno bisogno di un in-
sieme completo di regole” (SSR pag 68), ma di una rassomiglianza di fa-
miglia di regole con cui poter adattarsi all’attività scientifica legittimata
dal paradigma di appartenenza, risulterà da qui “il loro abituale comporta-
mento” al rispetto delle regole riconosciute ed introiettate come naturali.
Dalla stesura della Rivoluzione Copernicana al saggio La struttura delle ri-
voluzioni scientifiche, che è poi l’opera kuhniana di maggior valore episte-
mologico, trascorrono circa 5 anni in cui l’autore si ‘apre’ la strada con sag-
gi divulgativi, incontri e conferenze ad alto livello cognitivo, euristico ed e-
segetico. In questo periodo di avvicinamento, in un saggio del 61, Kuhn
‘mette a punto’ gli argomenti non solo scientifici ma anche filosofici che
poi in SSR prenderanno la ‘loro forma’ (provvisoriamente) definitiva. Il
saggio in questione, dal titolo La funzione della misura nella scienza fisica
moderna (da adesso FM), può esser validamente considerato come lo statuto
programmatico de la SSR, in quanto troviamo, sin dall’inizio, le condizioni
ermeneutiche per poter considerare la storia, non più come una struttura au-
tonoma ed esterna alla propria epoca, ma le condizioni, sempre ermeneuti-
che, per poter validare la storia come un mezzo ad uso filosofico ed esempli-
ficativo: ”la storia sarà veramente insegnamento di filosofia per mezzo dell’-
esempio.”(FM pag 194). In effetti, e poi sopratutto in SSR, Kuhn ribadirà, in
forza, l’esigenza per cui la storia e la storiografia non siano più dei modelli
conchiusi e fini a se stessi, cioè isolati dalle altre scienze, ma che siano dei
modelli di utilità per le altre strutture scientifiche. La scienza, ci dice Kuhn,
è una costellazione di fatti, che in un processo frammentario vengono som-
mati al deposito sempre crescente della tecnica e della conoscenza scientifi-
ca, e ciò comporta l’esigenza che lo studio di ciò che è scientifico debba es-
ser strutturato all’interno della propria epoca. In tal modo si possono com-
prendere gli errori e le confusioni che, ai nostri occhi e al nostro attuale mo-
do di procedere, gli scienziati e le scienze di un’epoca hanno indebitamente
commesso. Nel capitolo primo de la FM Kuhn determina il carattere ierati-
co e fuorviante che la tradizione scientifica volutamente assegna ai manuali
scientifici e alla loro capacità di formare l’uomo di scienza ‘alla’ e sola co-
munità di appartenenza: “Lo scopo di un manuale è quello di fornire al letto-
re [.] le proposizioni di ciò che la comunità scientifica contemporanea pensa
di sapere, e le principali applicazioni alle quali questa conoscenza può es-
sere dedicata.(I manuali) confondono piuttosto che aiutare lo sconsiderato
(lo scienziato) che sia alla ricerca di metodi produttivi. I manuali di scienza
insegnano come ‘leggere’ la letteratura, non come crearla o valutarla” (
FM pag 200). I manuali, di per se stessi, possono soltanto insegnare allo stu-
dente ad accettare quello che è dato dalla comunità scientifica e sociale di
appartenenza, senza poter partecipare, perlomeno nella fase pedagogica, alla
creazione o valutazione di ciò che ci viene dato. Un addestramento così otte-
nuto e così soverchiante, è in pratica una forma di acculturazione pratica-
mente invalidante, poichè non aiuta lo scienziato alla ricerca di metodi per
la scienza, e ci ‘mostra’ invece come leggere la letteratura ma non come co-
municarla e ‘dirla’. Queste negatività del manuale, consequenziali però alla
sua capacità euristico-preformativa, sono poi riprese in la SSR da Kuhn per
precisare ulteriormente come il manuale, in forza alla sua natura accomodan
te, alieni le capacità dello scienziato nel saper ‘ascoltare’ anche al di là della
propria epoca e, quindi, di poter far ricorso nella propria attività a metodi e
valori alternativi. I manuali possono “confondere” piuttosto che aiutare lo
“sconsiderato”(lo scienziato) soltanto se questo, disgraziatamente, si impe-
gna in una ricerca di metodi produttivi e costruttivi, ma non se si attiene alle
conoscenze depositate nel manuale. Anche qui si ripropone, secondo me, e
dopotutto come abbiamo già analizzato, l’esigenza kuhniana di ridurre al
minimo le condizione di disordine e di confusione che si instaurano in
assenza dei manuali. In effetti, se il manuale ci impedisce di vedere l’ ‘al-
ter’, cioè di oltrepassare i suoi confini euristici, non per questo non è in gra-
do di porci le (sue) domande e di renderci possibili le (sue) risposte interne.
In pratica Kuhn sviluppa e approfondisce questo concetto in la SSR sotto il
termine di “rompicapo”: ‘un rompicapo è un problema che si genera all’in-
terno di un paradigma o scienza normale la cui soluzione è necessariamente
inscritta all’interno del paradigma; un rompicapo chiarisce e affina le armi
(strumenti e teorie) del paradigma senza però innescare le crisi generatrici di
fasi rivoluzionarie’.