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tra le righe in un’analisi storica e scientifica che non può rimanere
esente da considerazioni soggettive e critiche.
A ben vedere, in effetti, la storia del Welfare State non può non
risultare appassionante per uno studioso di Scienze Politiche, attento
alle problematiche sociali e allo sviluppo delle relazioni che legano
l’apparato decisionale - amministrativo, il “potere”, al tessuto sociale,
i cittadini.
Questo mio breve, ma spero interessante, lavoro non pretende di
fornire una nuova teoria delle politiche sociali, bensì ha la modesta
ambizione di interpretare la natura dei sistemi di Welfare
contemporanei così come si sono originati ed evoluti nel corso della
storia più recente. Il mio contributo, infatti, esamina la nascita delle
prime politiche sociali, propriamente dette, ossia degli interventi
specifici sulla struttura sociale della comunità ad opera dei governanti.
Tali politiche, originariamente di indirizzo paternalistico, sono
divenute sempre più complesse e al contempo necessarie,
accompagnando il cittadino e la comunità nel suo sviluppo civile ed
economico. Oggi sono la chiave di lettura e una sfida per ogni
democrazia.
La struttura del mio lavoro è abbastanza lineare e, spero, chiara.
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I primi tre capitoli sono dedicati allo studio del “Welfare State”.
Tale termine è analizzato, inizialmente, dal punto di vista etimologico
per esigenze di carattere scientifico. Quindi si passa all’esame della
materia in questione dal punto di vista storico e, infine, sociologico.
Inizialmente, infatti, mi si è posta l’esigenza di chiarire
obiettivamente l’oggetto del mio studio, il concetto di Welfare. La
domanda “cos’è il Welfare State” richiede una risposta precisa ed
esauriente che non lascia adito ad alcun dubbio. La risposta fornita, a
tale riguardo, è utile per individuare gli elementi da prendere in
considerazione, delimita il campo di osservazione nell’indagine
storica.
L’approccio ad una corretta indagine sulla natura e
sull’evoluzione del Welfare State, tuttavia, non mi sarebbe sembrato
soddisfacente se non avessi fatto chiarezza anche su cosa in effetti è
significato Welfare State nel corso degli anni. In effetti è proprio
questo l’obiettivo del secondo capitolo: dare una sintetica, ma chiara
delucidazione su cosa lo Stato Sociale significhi e rappresenti per la
dottrina nel coso della storia.
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Il dibattito sulla natura e sull’essenza del Welfare State si
completa con le schematizzazioni dei modelli di Welfare system
fornite dai più importanti sociologi.
Un passo ulteriore e decisivo nello studio di tale dibattito si
compie nel capitolo successivo, il terzo. L’appassionante
contrapposizione delle maggiori scuole di pensiero, il pluralismo, il
marxismo e una recente e “alternativa” prospettiva, rivela tutta la
complessità nell’interpretazione, a livello sociale, cosa sia il Welfare
State.
A ben vedere, quindi, i primi tre capitoli possono essere
considerati “propedeutici” per il quarto, nucleo del mio lavoro. Dopo
aver tentato di fare chiarezza sul Welfare State, questo diviene unico e
indiscusso protagonista.
È analizzato nella sua storia nei più importanti Paesi europei. La
scelta di un’analisi di tipo comparata è indispensabile per fare luce
sulla storia di tale dottrina economica e politica. La storia del Welfare
State non può considerarsi, certamente, prerogativa di un unico Stato,
di conseguenza ho deciso di prendere in considerazione i Paesi che
maggiormente hanno offerto contributi all’evoluzione dello Stato
Sociale. Ciò, tuttavia, ha comportato l’esclusione di molti Paesi. Tali
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omissioni, operate per motivi di spazio nonché per non tradire la
coerenza e la natura del mio lavoro, sono state in taluni casi molto
dolorose (si pensi all’omissione dello sviluppo del Welfare in Francia,
negli Stati Uniti e nel blocco Sovietico). Tuttavia l’esigenza di
ripercorrere le tappe principali che spieghino il Welfare occidentale
contemporaneo, mi ha convinto a concentrarmi sullo studio della
storia di Inghilterra, Svezia, Germania e Italia. Le politiche sociali di
tali Paesi costituiscono la matrice principale e il modello dello
sviluppo dei Welfare contemporanei di tutto il mondo.
Il quarto capitolo è “corollato”, poi, dal successivo: le ultime
evoluzioni del Welfare State viste nel continuum temporale
presentato. In effetti nel quinto capitolo cerco di presentare lo stato
degli attuali Welfare System come una naturale conseguenza delle
politiche sociali che tali Paesi hanno adottato nel corso della storia. In
tale sede si farà riferimento anche al dibattito concernente gli
ultimissimi indirizzi delle riforme welfariane che gli Stati stanno
introducendo.
In conclusione, il lavoro spero risulti chiaro, interessante e
interpreti bene l’obiettivo di una tesi di Scienza Politiche, la
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formazione di uno spirito critico per “leggere” al meglio la società che
ci circonda nelle sue più complicate sfumature.
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1. DEFINIZIONE DI “WELFARE STATE”
Oggigiorno sempre più sta acquistando peso e spazio
nell’attenzione di tutti noi il ruolo delle politiche sociali che i governi
promulgano. Tali politiche vanno sotto il nome di politiche di welfare.
In questa prima parte dell’analisi del concetto di welfare, mi
preoccuperò di inquadrare l’oggetto di studio, partendo dalla
definizione e cercando di rispondere alla domanda “che cos’è il
welfare?”.
Il termine “welfare” è ormai entrato nel linguaggio corrente. Il
più delle volte, tuttavia, se ne fa abuso e genera equivoci e
fraintendimenti. In effetti il termine è molto vago e generico.
Analizzare la parola, in sé, forse aiuta a chiarire i dubbi e le
perplessità sul suo significato.
Benché si sia molto scritto sulla definizione del welfare state
manca ancora una spiegazione che metta tutti gli studiosi d’accordo e
che unisca tutte le diverse interpretazioni che nel corso della storia il
welfare ha conosciuto. Le varie spiegazioni, infatti, peccano quasi
tutte di obiettività e scientificità, non sono oggettive, imparziali e sono
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state confutate, criticate e a volte anche ritrattate dagli stessi autori.
Questo stesso problema è stata individuato anche da Morlicchio
1
quando ammette la difficoltà insita nella scelta tra le traduzioni che
sono state date al welfare. Espressioni come “stato sociale” o “stato
assistenziale” o, ancora, “stato del benessere” sono, infatti, cariche di
interpretazioni molto diverse della società e dell’economia. Tale
difficoltà, nel caso specifico sopra citato, è subito risolta o, è più
corretto dire, evitata da Morlicchio E.: la traduzione “stato del
benessere” è senz’altro quella corretta, tuttavia non è possibile usarla
perché le politiche di welfare attuate non sono state efficaci e non
hanno realizzato, appunto, il benessere. Questa posizione, peraltro più
che discutibile, porta l’autore a mantenere il termine invariato per
concentrarsi sull’assetto empirico del welfare nei vari Paesi, in tal
modo “il termine evita di essere evocativo, perde, appunto perché
riferito a realtà concrete e articolate, la sua laterale accezione”
2
. Tale
soluzione, forse, sarà adatta per coloro i quali già conoscono i vari
significati di “welfare state”, ma non per chi è alle prime armi in tali
studi. Se il problema posto era esatto e quanto mai opportuno ad
1
Morlicchio E. nella prefazione a Gough Ian (1983, L’economia politica del Welfare State,
Napoli, Loffredo).
2
Morlicchio E., in Gough, ’85, op. cit., pag. 8.
9
introdurre uno studio sul welfare, la soluzione cui l’autore è pervenuto
mi sembra quanto mai radicale e non esaustiva.
Lo stesso problema ritorna in Franzoni F. e Graziali P.
1
, ma ora
viene affrontato decisamente, gli autori forniscono una definizione
corretta scientificamente e assolutamente imparziale “in termini
volutamente generali e ancora approssimati, intenderemo allora per
welfare state quella particolare configurazione sociale nella quale la
regolazione dei rapporti tra i soggetti e tra i sottosistemi sociali è per
larga parte sussunta sotto la responsabilità dello Stato”. Se, da una
parte, ora abbiamo capito cosa è in linea generica un welfare state,
dall’altra i dubbi su cosa sia concretamente il welfare, ovvero su come
lo stato regoli i rapporti tra i soggetti e sottosistemi sociali,
permangono o addirittura aumentano (chi sono i soggetti e i
sottosistemi sociali?).
Tuttavia tale posizione rimane senz’altro preferibile rispetto a
quella di chi cerca una definizione assoluta di welfare state. Tale
proposito, oltre ad essere molto ambizioso, è praticamente impossibile
in quanto il welfare è una costruzione sociale che non può essere
teorizzata “ab astracto” senza tenere conto delle peculiarità di ogni
1
Franzoni F. e Graziali P. in La Rosa, 1995, Solidarietà, equità e qualità. In difesa di un nuovo
welfare in Italia, Milano, FrancoAngeli.
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singolo contesto. Per esempio in quasi tutti gli autori in cui mi sono
imbattuto si faceva riferimento (esplicitamente o implicitamente) alla
definizione di Wilensky H. L.
1
: “L’essenza del welfare state è un
livello di reddito minimo garantito dallo Stato, il nutrimento, la salute,
l’abitazione e l’istruzione, assicurate ad ogni cittadino come un diritto
politico, non come carità”.
Questa spiegazione del concetto di Welfare, per quanto non si
possa definire errata, risulta del tutto inadeguata per chi, come nel mio
caso, si accinge a compiere uno studio storico sul Welfare. Infatti il
difetto intrinseco imputabile a tale definizione, come giustamente
notano anche Franzoni e Graziali in La Rosa
2
, è di essere fin troppo
preciso e non può essere estesa nel tempo e nello spazio risultando
quindi molto limitativa.
Quindi la domanda tanto banale quanto complessa nella
risposta, mi si ripropone immutata: cos’è, in concreto, il welfare state?
Definire il welfare è tutt’altro che facile, la chiave di volta è nel
trovare una definizione che metta tutti d’accordo, che non sia né
troppo generica da lasciare dubbi e domande senza risposta, né troppo
precisa da essere applicabile solo in pochissimi casi e modelli. In ogni
1
Wilensky H. L. 1980, Neocorporativismo, accentramento e stato assistenziale, pag. 19, Bologna,
Cappelli.
2
Franzoni e Graziali in La Rosa (1995, op. cit.).
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approccio, dallo storico al sociologico, dall’economico al giuridico, si
incorre nel rischio di perdersi in un coacervo di definizioni,
teorizzazioni, interpretazioni spesso discordanti, dove i giudizi di
valore troppo spesso si frappongono a descrizioni tendenzialmente
oggettive. Ma, come tante volte capita, il problema forse è risolvibile
con il più classico e semplice dei metodi.
Per rispondere all’annosa domanda e spiegare il significato del
concetto è utile guardare alla parola stessa e rintracciarne l’etimologia,
l’origine storica e la sua evoluzione.
Etimologicamente “welfare” è costituito da due lemmi: “well” e
“fare”. Sul significato dei termini singoli non ci sono molti dubbi: il
primo significa sicuramente “bene” nelle sue più svariate accezioni.
Le perplessità sul significato del secondo termine sono più numerose,
ma quasi sicuramente il significato che gli si attribuisce in questo caso
è quello di “essere, stare”. Tale spiegazione trova la sua più efficace
conferma nell’origine storica del termine.
La prima volta che “welfare” compare su un libro è nel 1941, il
titolo dell’opera è Citizen and Churchman
1
. L’autore di tale lavoro,
l’arcivescovo William Temple, non avrebbe mai pensato di aver
individuato con tale neologismo la chiave principale di lettura delle
1
Vedi l’“Enciclopaedia Britannica” alla voce Temple, William.
12
politiche democratiche dei governi occidentali del XX e del XXI
secolo. La parola venne coniata semplicemente per sottolineare la
differenza tra i governi “warfariani” e quelli welfariani: in particolare
Temple volle evidenziare come le politiche naziste mirassero alla
potenza e alla forza dello stato e della sua popolazione, mentre
Churchill conduceva il Regno Unito verso uno stato di benessere, con
politiche, appunto, attente allo stato di salute della popolazione. Da
allora “welfare” ha assunto il significato di assetto statale vicino alle
esigenze primarie della popolazione.
Non è, certo, nel 1941 che sono iniziate le politiche welfariane,
anzi la loro origine è ben più antica (già nel secolo XVII la “Poor
Law” della regina Elisabetta d’Inghilterra può essere intesa come
espressione di politica welfariana).
Pertanto si può analizzare il principale significato storico che è
stata attribuito al “welfare state” lungo gli anni. Tale espressione è
genericamente usata per definire le politiche statali attente alle
problematiche sociali, dalla sicurezza alla salute, dall’istruzione
all’abitazione.
Alla luce di tali considerazioni già mi è possibile estrapolare
una definizione di welfare state, infatti l’analisi del termine, quella
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etimologica e quella storica, mi conducono univocamente a
considerarlo come l’insieme di norme, leggi, istituzioni (pubbliche e
private), che tutelano il cittadino assistendolo, per assicurargli una
vita il più possibile sicura dai rischi della società contemporanea.
Se ciò è vero, allora si può considerare il welfare state come
l’insieme degli interventi dello stato che strutturano l’assetto sociale
ed economico, ossia come l’ammontare di spesa pubblica dei singoli
governi. Di questo parere sono i riferimenti a livello internazionale,
sia l’International Labour Office (ILO) che l’Organisation for the
European Cooperation and Developement (OECD) hanno, infatti,
guardato al welfare come l’insieme delle politiche macroeconomiche
di spesa pubblica dei vari governi. In particolare, come ricordano
Franzoni e Graziali
1
, ripartiscono la spesa pubblica in tre aree di
interesse: l’area “tradizionale”; il “welfare state”; l’“economia mista”.
La prima “comprende la spesa per la difesa, la giustizia, l’ordine
pubblico e i servizi generali; il welfare state comprende la spesa per i
merit goods (salute, istruzione, edilizia popolare) e per il sostegno dei
redditi familiari (previdenza ed assistenza); infine l’economia mista
comprende le partecipazioni statali, i sussidi alla produzione, gli
interessi sul debito pubblico…”
1
Franzoni e Graziali in La Rosa (1995, op. cit.).