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Münchener Neuesten Nachrichten, Rote Fahne, Berliner Tageblatt,
Völkischer Beobachter.
• Frankfurter Zeitung era un quotidiano della sinistra liberale, e
uno dei più diffusi a livello nazionale; il suo nome era garanzia di
serietà e obiettività. Lo stile era molto austero, paragonabile al
Times per la grafica e per la mancanza di foto.
• Vossische Zeitung e Berliner Tageblatt erano entrambi liberal-
democratici e tra i più importanti e autorevoli giornali berlinesi,
ma a diffusione nazionale.
• Vorwärts era l’organo dello Spd, con diffusione nazionale.
• Deutsche Allgemeine Zeitung è un giornale conservatore,
anch’esso di Berlino.
• Münchener Neuesten Nachrichten è stato analizzato perché
bavarese e quindi osservatore di Hitler in modo particolare
all’inizio della sua carriera politica. La mancanza di fonti letterarie
su questo giornale non permette di ricostruirne la storia in modo
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completo: era il giornale degli ambienti industriali, e quindi
conservatori, di Monaco; era stato fondato nel 1848 e fu uno dei
pochi quotidiani a opporsi apertamente a Hitler dopo la presa del
potere.
• Rote Fahne, fondato da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, era
l’organo del Kpd, ed è al limite opposto rispetto a Völkischer
Beobachter, ma sullo stesso stile, con titoli gridati e poca analisi
politica. È un “Kampfblatt”, un foglio di lotta.
• Völkischer Beobachter era di proprietà della Nsdap e questo lo
portava, ovviamente, a osannare senza ritegno Hitler. Su ogni
pagina venivano pubblicati titoli riferiti al loro capo. Termini
razzisti ricorrevano continuamente nei testi, senza fare differenze
tra ebrei e marxisti. Le date in cui è stato considerato Völkischer
Beobachter sono limitate ad alcuni periodi, e non all’intero arco
di tempo presentato nella tesi, per la difficoltà di trovare copie del
giornale.
Il metodo è stato di confronto tra tutti i quotidiani, sulla base di
alcune date considerate significative per l’evoluzione della storia e
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dell’immagine di Hitler e del suo partito. Nel confronto sono stati
tralasciati avvenimenti importanti solo per la storia della Repubblica e
della sua stampa perché l’analisi è concentrata sulla figura del leader
della Nsdap. I fatti sono stati quindi scelti per la loro rilevanza nella
storia ma anche per lo spazio che hanno avuto sui giornali; è stato
interessante confrontare anche questo aspetto, cioè vedere quali eventi
hanno avuto un significato simile nei giornali dell’epoca, dopo la presa
del potere da parte dei nazisti e soprattutto dopo la seconda guerra
mondiale, e quali invece erano molto rilevanti all’epoca e non hanno più
importanza per noi.
Nel capitolo 2 si parla dei primi anni in cui Hitler emerge come
figura politica, partendo dal congresso nazionale della Nsdap in cui il
leader del partito riuscì a imporsi contro le autorità cittadine. Questo è il
primo evento che lo riguarda ad aver interessato giornali nazionali.
Naturalmente il putsch è stato seguito da tutti i giornali come
avvenimento di rilievo, e il verdetto del processo ha avuto eco
internazionale.
Gli anni 1926- 1929, trattati nel capitolo 3, sono cruciali perché è
durante questo periodo che Hitler passa da leader di un partito di
provincia, al limite della legalità, a figura a livello nazionale, soprattutto
con la lotta contro il piano Young a fianco di un uomo già conosciuto,
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Alfred Hugenberg. Nonostante l’importanza di queste date, non molti
quotidiani si sono occupati degli avvenimenti considerati. La fonte
principale in questo caso è stata il quotidiano nazista, che ha sempre
seguito da vicino ogni fatto che coinvolgesse Hitler.
Il 1930 sarà l’anno fondamentale per la considerazione della
stampa nei confronti di Hitler. La nomina di Wilhelm Frick a ministro in
Turingia fu la prima volta in cui il futuro Führer si fece notare per la sua
tendenza dittatoriale; questo è un evento letto allo stesso modo da alcuni
giornali dell’epoca e dagli storici posteriori. Il 1931 vede il primo
colloquio di Hitler con Hindenburg, che anticipa, nella nostra
considerazione, quelli della fine del 1932, ma all’epoca ha rappresentato
solo un incontro chiarificatore tra i due, che come vedremo non ha
suscitato lo stesso interesse su tutti i quotidiani.
Nel capitolo 5 l’attenzione è concentrata sul 1932, l’anno in cui gli
ultimi resti della Repubblica vennero spazzati via dalla violenza delle Sa
da una parte e dal cancellierato di Von Papen dall’altra. Gli eventi
considerati vanno infatti dal divieto delle Sa, proclamato da Brüning, alla
“domenica di sangue di Altona”, quando le Sa avevano già ripreso
possesso delle strade, al successivo rovesciamento del governo
prussiano, voluto da Hitler, fino ad arrivare ai colloqui di quest’ultimo
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con Hindenburg per tentare di formare un governo capeggiato appunto
dalla Nsdap.
Solo nel 1933 vedremo il crollo definitivo di quello che restava
delle libertà di stampa e civili, cancellate dai vari decreti di Göring. Sono
solo tre gli eventi visti nel capitolo 6, perché dopo l’incendio del
Parlamento la censura è stata molto pesante sia nei confronti dei giornali
che dei partiti, e tutti gli oppositori sono stati eliminati. Dopo il 28
febbraio non ha più nessun significato confrontare le posizioni dei
quotidiani perché cominciano a diventare uniformi, a parte qualche caso
eccezionale di ribellione al sistema.
La fonte principale sono i quotidiani sopra elencati. La base storica è
stata preparata su biografie di Hitler, testi sulla Repubblica di Weimar e
testi di storia del giornalismo. Su Internet si trovano molti testi e articoli
sulla storia, e addirittura sulla storia del giornalismo, del periodo del
regime nazista, ma quasi nulla sulla storia di Weimar.
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1. PREMESSA STORICA
1.1 Storia della Repubblica
La nascita della Repubblica di Weimar viene segnata da diversi
fattori. Sulla Germania sconfitta nella prima guerra mondiale pesavano
infatti, da un lato, l’influenza della Russia rivoluzionaria, dall’altro le
imposizioni del Trattato di Versailles, firmato da Hermann Müller il 22
giugno 1919. La Germania fu costretta a risarcire i vincitori con 269
miliardi di marchi-oro e un settimo del territorio, in cui abitava circa il
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10% della popolazione: oltre a quanto conquistato durante la guerra,
dovette lasciare l’Alsazia- Lorena alla Francia e la Prussia occidentale
alla Polonia, mentre Danzica fu dichiarata città libera; ma il punto del
trattato che più lo fece sentire come un “Diktat” fu il fatto che sulla
Germania ricadde tutta la colpa della guerra. Dovette inoltre rinunciare
alle sue colonie, e fu concesso ai cittadini che vivevano vicino ai confini
il diritto di decidere se essere annessi da altri Stati.
I livelli economici di prima della guerra furono raggiunti
nuovamente solo nel 1927. Nel 1919 la produzione industriale era ai
livelli del 1888, e questo era parzialmente dovuto al Trattato di
Versailles, perché nei territori ceduti si trovava gran parte delle materie
prime. La sola Alsazia- Lorena forniva il 70% della produzione tedesca;
l’agricoltura perse il 14% del terreno. Anche il pagamento delle
riparazioni influì in modo disastroso. Solo la perdita delle colonie non
ebbe alcuna conseguenza economica.
I primi anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla
riconversione dall’economia di guerra a quella di pace, compresa la
reintegrazione dei soldati nei processi economici.
A metà degli anni Venti il commercio con l’estero divenne più
importante rispetto ai tempi dell’Impero. Venivano importate materie
prime e alimentari ed esportati prodotti finiti e macchinari. Questo era
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reso possibile dai bassi costi di produzione che permettevano
l’esportazione a prezzi molto bassi. Tra il 1920 e il 1922 fu quasi
raggiunta la piena occupazione.
Nonostante lo sviluppo dell’industria l’economia rimase
soprattutto agraria. La congiuntura positiva era però solo un’apparenza.
Già nel 1923 ci fu un calo della produzione e la Germania entrò in una
nuova crisi economica. Nello stesso momento ci fu l’occupazione, da
parte della Francia, della Ruhr, il bacino più importante per la
produzione energetica e le materie prime.
Nel 1924 l’introduzione di capitale straniero permise numerose
innovazioni, con la diffusione di tecniche più moderne e la
razionalizzazione del processo lavorativo. In questo periodo sorsero
grandi compagnie come Aeg, Daimler- Benz, Ig- Farbenindustrie dalla
fusione di Agfa, Basf, Bayer e Hoechst. La congiuntura positiva terminò
nel 1929 con la crisi economica mondiale e la fine dell’ingresso del
capitale americano. La produzione industriale scese del 40% e tornò ai
livelli del 1904. Molte banche fallirono.
La società della Repubblica di Weimar era estremamente
contraddittoria al suo interno. Soprattutto negli anni dopo il primo
conflitto mondiale era diffusa la miseria, i reduci di guerra affollavano le
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strade, adulti e bambini erano malnutriti. A causa della carestia oggetti
preziosi venivano scambiati con patate, uova, farina, zucchero.
Disoccupazione, fame e miseria portarono a un aumento della
criminalità; soprattutto i negozi di alimentari venivano presi di mira e
svaligiati. L’inflazione galoppante nel 1923 peggiorò la situazione e
ridusse in povertà molti cittadini, mentre arricchì enormemente gli
speculatori.
Anche la sconfitta in guerra aveva avuto pesanti conseguenze
psicologiche, soprattutto sui reduci, che spesso si unirono in corpi
speciali, mentre altri si convertirono al pacifismo e organizzarono marce.
Le dimostrazioni erano all’ordine del giorno sulle strade di Weimar, da
tutte le parti politiche.
Negli anni Venti ci fu un’ondata di consumismo e cultura del
divertimento, grazie anche ai nuovi media. Circa due milioni di persone
andavano al cinema, la borghesia andava all’opera e a teatro. Nel 1923 si
diffuse la radio. Eventi sportivi e concerti poterono così venire seguiti
dalla massa. La radio e i dischi resero famosi balli come il charleston.
La principale fonte d’informazione per i cittadini erano i circa
3.400 quotidiani. Si diffusero le riviste illustrate. Anche la pubblicità
corrispose al bisogno di immagini, con cartelloni e filmati al cinema.
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La cultura di massa diminuì il divario fra poveri e ricchi, fra città e
campagna, lavoratori e borghesia. Al cinema andavano persone di tutti i
ceti sociali, tutti cantavano le stesse canzoni e vedevano le stesse
immagini. Imperavano però ancora opposizioni ideologiche e di classe. I
nobili e l’alta borghesia si riconoscevano nel liberale Dvp e nel
monarchico Dnvp. Soprattutto i lavoratori, il 45% della popolazione,
avevano coscienza di classe, e i loro partiti erano Spd e Kpd.
L’introduzione della giornata di otto ore permise anche ai
lavoratori di avere del tempo libero. Il costo della vita tornò solo nel
1928 ai livelli del 1914. Dalla fine della guerra iniziò la penuria degli
appartamenti, perché la popolazione era passata da 350 mila a 900 mila
persone. Nonostante il boom della costruzione nel 1924, nel 1925 un
milione di persone non avevano una casa. La Bauhaus di Walter
Gropius, una scuola d’arte, offrì alternative alle tipiche strutture cittadine
e alle forme costruttive tradizionali. Gli appartamenti dovevano essere
funzionali. Crearono prototipi anche per l’industria.
La situazione delle donne era di sottomissione al marito; non in
molte partecipavano alla vita sociale, culturale e lavorativa. Soprattutto
nei paesi, il centro della loro vita restava la casa.
Con la rivoluzione del 1918/19 caddero gli ultimi residui feudali.
Continuarono invece la fuga dalla campagna e l’urbanizzazione,
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tendenza già cominciata nell’impero. Fino al 1933 la popolazione delle
città aumentò del 30%. Dagli anni Venti la campagna fu coinvolta nel
processo di modernizzazione con l’introduzione dell’elettricità e quindi
della radio e del telefono. Nonostante iniziassero a diffondersi i camion
era però ancora prevalente l’uso del cavallo. L’uso dei macchinari
agricoli invece rese meno faticoso il lavoro dei contadini. La reazione a
questo fu un desiderio di ritorno alla natura, e il contadino divenne una
figura simbolica, legata alla purezza.
Molti giovani divennero scout per cercare di sfuggire alla
modernizzazione e alla “americanizzazione” della vita. Gran parte di
questi apparteneva alla “generazione perduta”, che aveva fatto
esperienza nelle trincee della guerra o che era dovuta crescere senza
padre.
Con la crisi economica del 1929 ritornarono la miseria e la
disoccupazione per la maggior parte della popolazione; la crisi fu
accompagnata da disperazione e rassegnazione, e da molti suicidi. Altri
videro in Hitler la loro ultima speranza.
Grazie alla sua Costituzione fu la prima democrazia tedesca, e
anche il primo tentativo repubblicano. A fine settembre 1918 era chiaro
che la Germania aveva perso la guerra. Il generale Ludendorff firmò la
tregua, che prevedeva anche la costituzione di un governo parlamentare,
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perché le forze dell’Intesa avrebbero trattato solo con un governo
democratico. Il principe Max von Baden decise però troppo tardi di
proclamarlo: la popolazione era amareggiata dalla guerra, dalla carestia,
dai morti e desiderava la fine della monarchia.
Il 29 ottobre marinai di stanza a Kiel e Wilhelmshaven decisero di
non obbedire all’ordine di tentare un ultimo attacco disperato contro la
flotta britannica. La “Rivolta dei marinai” si estese a tutto il paese, fino
al 10 novembre furono organizzati consigli di lavoratori e soldati che
assunsero la direzione delle città. Sempre più persone chiesero
l’abdicazione dell’imperatore e la costituzione di una repubblica
democratica. Monaco fu uno dei centri del movimento dei consigli. Kurt
Eisner, uno dei fondatori nel 1917 dell’Uspd, il 7 novembre proclamò il
libero Stato bavarese. Il regnante, Ludovico III, non si oppose e abdicò.
La mattina del 9 novembre la rivoluzione raggiunse la capitale. I
lavoratori berlinesi presero parte allo sciopero organizzato dall’Uspd.
Centinaia di migliaia si riversarono nel centro della città, provocando
violenti scontri. Con volantini i dimostranti chiesero una nuova forma di
governo. Contro di loro furono schierate le truppe dei Cacciatori, le
uniche rimaste a Berlino. Quando si sparse la notizia che anche i
Cacciatori erano passati dalla parte dei rivoluzionari, il Cancelliere Max
von Baden cercò di convincere l’imperatore Guglielmo II, rifugiato in
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Belgio, che l’abdicazione era l’unica alternativa; benché questi non fosse
convinto, il principe, per calmare la popolazione, ne diede la notizia. Con
un atto parlamentare lasciò il cancellierato a favore del
socialdemocratico Friedrich Ebert.
Scopo della direzione socialdemocratica fu fermare la rivoluzione
comunista. Ebert voleva evitare soprattutto che gli scontri, fino ad allora
quasi senza morti, si trasformassero in una guerra civile come in Russia.
Un consiglio democratico fu composto per votare la nuova forma di
governo. Ebert fu profondamente sdegnato quando il suo compagno di
partito Philip Scheidemann proclamò, alle 14 del 9 novembre, da una
finestra del Parlamento, la Repubblica senza prima consultarlo. L’
intenzione di Scheidemann era di precedere l’annuncio di Karl
Liebknecht della libera repubblica socialista tedesca, fissato alle 16 dello
stesso giorno dal balcone del castello di Berlino,.
La doppia proclamazione della Repubblica chiarì la polarizzazione
del movimento rivoluzionario. Nella seconda settimana di novembre la
situazione iniziale in Germania era caratterizzata da un labile equilibrio
tra tre forze concorrenti. Accanto ai resti dell’amministrazione e
dell’esercito del vecchio potere statale c’erano le forze moderate del
centro, dello Spd e dei liberali di sinistra, favorevoli alla creazione di una
repubblica moderna ma col mantenimento delle principali strutture
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economiche e sociali. Dall’altra parte c’erano i diversi gruppi della
sinistra radicale, fra cui gli spartachisti di Karl Liebknecht e Rosa
Luxemburg che, richiamandosi alla Rivoluzione d’ottobre, deponevano
sostanzialmente il parlamentarismo, e sulla testata Rote Fahne
dichiaravano di voler costituire una repubblica socialista.
Questo contrasto si risolse già nei primi giorni della rivoluzione a
favore del parlamentarismo. Il 10 novembre Spd e Uspd, su piano di
parità, costituirono il Consiglio dei delegati del popolo sotto la direzione
di Ebert e di Hugo Haase. I rappresentanti dello Spd erano Scheidemann
e Otto Landsberg, dell’Uspd Emil Barth e Wilhelm Dittmann. Non
incontrarono alcuna vera resistenza. L’assemblea plenaria dei consigli di
soldati e lavoratori riconobbe il governo provvisorio. Per controllo fu
costituito un consiglio esecutivo.
La stessa sera del 10 novembre il generale Wilhelm Groener giurò
fedeltà al nuovo governo e dichiarò di appoggiarlo contro qualunque
potenziale attacco da parte della sinistra radicale. Da parte sua Ebert
garantì l’autonomia della direzione dell’esercito. Con il patto Ebert-
Groener il governo si assicurò un importante mezzo per mantenere il
potere e diede la possibilità alla socialdemocrazia di mantenere il
controllo sulle guerre civili che sarebbero seguite.