norme in bianco
1
della nostra Carta. Neppure la legge n. 87 del 1953
riuscì a conferire maggiore consistenza all’istituto; sembrò, anzi, che
avesse confermato la volontà di rinviare tale compito alla giurisprudenza
costituzionale.
Ciò comportò, e comporta tuttora per la Corte, un’intensa attività volta
alla precisazione dei contorni sostanziali e processuali dell’istituto.
In particolare, per quanto riguarda il profilo che maggiormente ci
interessa - vale a dire la nozione di potere - avremmo modo di constatare
l’importanza di quest’opera e dei relativi risultati, ai fini
dell’individuazione dei poteri dello Stato.
Attraverso una costante (ma non sempre coerente) evoluzione
giurisprudenziale, talvolta adeguandosi senza scosse alle posizioni della
dottrina, altre volte superandole
2
, la Corte darà un contenuto alle scarne
disposizioni legislative, individuando una schiera di poteri tanto vasta da
far affermare che: “Probabilmente non è possibile indicare un elenco
finito dei poteri dello Stato, che dunque non costituiscono un numerus
clausus”
3
.
1
L’espressione appartiene a PISANESCHI, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Presupposti
e processo, Milano 1992, pag. 14.
2
Ci si riferisce al superamento della tesi che individuava i poteri in base alla primarietà della funzione e a
quella che postulava la distinzione tra soggetto sostanziale e soggetto processuale.
Ne è conferma la sent.406/89 (con cui la Corte dei Conti è riconosciuta potere dello stato, pur essendo
organo ausiliario) e la sent.410/98 (che ammette il conflitto proposto direttamente dal Presidente del
Consiglio per la tutela di proprie attribuzioni, senza che sia necessario l’intervento del Governo).
3
La citazione è tratta da SPADARO-RUGGERI, Lineamenti di giustizia costituzionale, pag. 339.
Soprattutto a partire dagli anni novanta, i risultati di questo intenso
lavoro contribuiranno in modo decisivo all’ampliamento dell’ambito
soggettivo del conflitto, risultando per un verso “rivoluzionari” della
stessa nozione di potere.
Si pensi alla possibilità che il singolo parlamentare sollevi conflitto a
tutela di sue attribuzioni
4
o, ancora, alla legittimazione processuale di un
qualsiasi Ministro
5
.
Si è avverato almeno nel secondo degli esempi citati, uno di quei casi
che la dottrina ha definito di “scuola” o “difficili”.
“Dal che, oltre ad una gradita conferma” - scriveva un giurista che
aveva previsto l’eventuale ammissibilità di un conflitto sollevato da un
Ministro - “…si dovrebbe ricavare forse un ulteriore suggerimento: di
attenersi in futuro ad un contegno di scaramantica prudenza nel
prospettare casi di scuola
6
”.
Questa non è che un’implicita conferma dell’importanza, ai fini
dell’elaborazione della nozione di potere, del contributo giurisprudenziale;
contributo attraverso cui la Corte è riuscita, non solo ad ampliare e
rinnovare il concetto di potere ma anche, a rendere operante la relativa
disciplina e con essa lo stesso conflitto.
4
Per la verità si tratta solo di una possibilità prevista dalla Corte nell’ord.177/98.
5
Infatti, nel conflitto deciso con la sent.7/96, non rilevava tanto lo status di Ministro guardasigilli del
ricorrente, ma la mozione di sfiducia individuale contro il singolo Ministro genericamente considerato.
6
L’espressione appartiene a BIN, L’ultima fortezza, op. cit.
Capitolo I
1 I conflitti di attribuzione: concetti generali.
Ai sensi dell’art. 37 L. 87/53, il conflitto sorge in relazione alla
delimitazione della sfera di attribuzione determinata da norme
costituzionali e il ricorso, recita l’art. 26 N.I., deve contenere
l’esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l’indicazione delle
norme costituzionali che regolano la materia.
Dunque: in gioco sono le attribuzioni costituzionali e per risolvere il
conflitto è necessario utilizzare - quale parametro - le norme
costituzionali di volta in volta rilevanti.
In realtà, occorre andare oltre un’interpretazione strettamente
letterale delle disposizioni citate per due ragioni.
La prima consiste nel fatto che la Costituzione non contiene una
disciplina sufficiente della struttura e delle funzioni dei poteri, né dei
loro rapporti.
L’altra è che il giudizio sui conflitti tende sempre più a configurarsi
come sindacato sulle modalità di esercizio del potere la cui disciplina è
affidata, in gran parte, a fonti subcostituzionali
1
.
1
VERONESI, “I poteri davanti alla Corte. Cattivo uso del potere e sindacato costituzionale” Milano
1999, considera come caratteristica fondamentale di ogni giudizio della Corte, un’indagine sul modo in
cui il potere è stato esercitato.
Si comprende pertanto la possibilità che il parametro possa essere
costituito anche da norme non formalmente costituzionali
2
.
La giurisprudenza della Corte conferma quest’indirizzo; in alcune
pronunce il parametro è stato integrato con norme di legge ordinaria
3
,
in altre persino con norme di regolamento parlamentare e consuetudini
costituzionali
4
.
Come si è detto prima, l’eterogeneità delle norme parametro è stata
anche la conseguenza del mutamento della tipologia dei conflitti.
Superata l’idea che i conflitti nascono sempre da una “vindicatio
potestatis
5
”, oggi è più probabile - forse più credibile - che l’organo
ricorrente lamenti il cattivo uso di competenze altrui, non essendo
contestata la relativa titolarità.
Si pensi ad un conflitto tra Camera e autorità giudiziaria in relazione
all’art. 68 Cost.: i giudici, di fronte ad una delibera di insindacabilità
per le opinioni espresse da un parlamentare, possono adire la Corte,
2
Già SORRENTINO, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato in Riv. Trim. d. Pubb., pag. 705,
distingueva tra individuazione del potere, basata su norma formalmente costituzionale, ed oggetto del
giudizio, perché "le norme sulla competenza possono essere anche legislative e consuetudinarie".
3
Sent. 69/78. A volte il parametro sembra essere costituito soltanto da norme di legge ordinaria: nel
conflitto tra Presidente del consiglio e procura delle Repubblica (sent. 110/98) il fondamento delle
attribuzioni del ricorrente - in materia di opposizione del segreto di stato - solo in senso molto generale
può ricondursi alla Costituzione piuttosto che non alla legge 801/1977.
4
Sent. 7/96.
5
La Corte nella sent.129/81 ha affermato che “il conflitto non si restinge alla sola contestazione circa
l’appartenenza del medesimo potere ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo
esercizio di un potere altrui consegue la menomazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente
assegnata all’altro soggetto”.
per contestare il cattivo uso (non la titolarità
6
) del potere parlamentare,
qualora la valutazione operata dalla Camera non sia da questi
condivisa.
Non sono mancati casi in cui il cattivo esercizio del potere consisteva
in un’omissione
7
: a differenza del conflitto Stato-Regioni, che sorge da
un atto invasivo della competenza altrui (art. 39, L. 87/53), quello
interorganico non prevede la necessità di un atto. Non solo: qualora vi
sia, qualunque tipo di atto purché imputabile ad organi dello Stato
apparato, o con esso concorrenti
8
, può essere oggetto del giudizio.
Anche le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge
costituirebbero materia di conflitto.
Sebbene “in linea di principio il conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato non possa ritenersi dato contro una legge o atto
equiparato”
9
, di fronte al rischio che la decretazione d’urgenza possa
comprimere i diritti fondamentali dei soggetti privati, “determinando
situazioni non più reversibili né sanabili anche con la perdita di
efficacia della norma”, la Corte non solo ha ritenuto possibile il
conflitto su un decreto legge, ma ha affermato che le stesse ragioni di
ammissibilità valgono anche per le leggi e i decreti delegati, quando
6
Sent. 1150/88.
7
Sent. 406/89.
8
Sent. 69/78; ord. 380/93.
9
Sent. 406/89.
ricorrono particolari condizioni (sent. 161/95). L’unica eccezione è
rappresentata dalle pronunce della stessa Corte, inoppugnabili ex art.
137, u.co., Cost. “La Costituzione, nello stabilire che contro le decisioni
della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione,
preclude in modo assoluto ogni tipo di gravame diretto a contrastare,
annullare o riformare, in tutto o in parte, le decisioni della Corte.
L’espressa esclusione di qualsiasi impugnazione (…), non si limita ad
interdire gravami devoluti ad altri giudici, giacché non è configurabile
un giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di
giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche il ricorso alla stessa
Corte contro le decisioni che essa ha emesso”
10
.
10
Sent. 29/98.
2. La nozione di potere emersa nel corso dei lavori preparatori
sull’art.134 Cost.
“È buon canone d’interpretazione riferirsi alla volontà dei costituenti,
ogni volta che sia possibile determinare con sicurezza il contenuto e
suffragare l’interpretazione letterale del testo. Purtroppo però, nella
fattispecie, i lavori preparatori sono di scarsissimo ausilio per la grande
disparità dei punti di vista che orientarono i Costituenti e per l’uso non
sempre preciso ed omogeneo dei termini ai quali fu fatto ricorso
1
”. La
frase citata mostra con tutta evidenza come, già nel periodo
immediatamente successivo all’entrata in vigore della Costituzione, vi
fosse la consapevolezza dell’impossibilità di dare una fisionomia al
giudizio sui conflitti, ripercorrendo l’iter dei lavori sull’art.134 Cost.
Ancor più difficile, appare poi chiarire, cosa intendesse il Costituente
con l’espressione “poteri dello Stato
2
”, che costituisce il nodo
problematico di qualsiasi indagine su tale competenza.
Le difficoltà nascono dal fatto che il dibattito sull’istituto fu poco più che
sommario, in quanto incentrato sulla necessità di creare “un apposito
organo che vigili all’osservanza della Costituzione e la garantisca contro
1
Relazione alla Camera dei Deputati dell’On. A. TESAURO, in Manuale legislativo della Corte
costituzionale a cura di BATTAGLINI-MINNINI, pag. 405 ss.
2
Questa tesi era già avanzata da M. MAZZIOTTI che dedicò un paragrafo della propria opera a
“l’inadeguatezza dei lavori preparatori per intendere il concetto di potere dello Stato..”.
ogni tentativo di annullamento
3
”, sicché il problema “conflitto di
attribuzione” acquistò un ruolo marginale e fu rinviato a un momento
successivo, quando cioè sarebbe stato chiarita la funzione della Corte
stessa. Infine a complicare ulteriormente le cose, fu la circostanza che gran
parte delle decisioni furono prese in comitati ristretti, al di fuori di ogni
pubblicità
4
.
Ciò che comunque si ricava dai dibattiti è che l’istituto era nuovo: nel
sistema flessibile dello Statuto Albertino, gli eventuali contrasti tra i poteri
erano lasciati alla fluidità delle relazioni politiche, risolti per lo più
ricorrendo ai principi dell’ordinamento o a consuetudini.
Né, questa competenza della Corte, richiamava i conflitti di attribuzione
della legge del 1877. Sebbene la proposta Calamandrei, che è considerato
l’ideatore dei conflitti, parli di “conflitti di attribuzione tra i vari poteri
5
”,
essa non aveva nulla a che fare con l’omonimo titolo della legge del 1877.
Probabilmente quest’espressione infelice
6
” voleva richiamare più il
concetto che in quella legge era stato riversato dalla legge del 1859
7
,
precedente al sistema di giustizia amministrativa: in origine, il conflitto di
3
Proposta dell’On. LEONE nella Commissione per la Costituzione, in Manuale legislativo della Corte
costituzionale,op. cit, pag. 140 ss.
4
PISANESCHI, I conflitti.., op. cit., pag. 12 ss.
5
Proposta dell’ On. P. CALAMANDREI, in Manuale legislativo della Corte costituzionale, op. cit., pag.
137 ss.
6
Intervento al Senato dell’On. V. E. ORLANDO, 1949, in Codice della Corte Costituzionale, pag. 400 ss.
7
I conflitti di attribuzione furono introdotti con la legge RATTAZZI del 1859; essa disciplinava i conflitti
tra autorità giudiziaria e l’amministrazione contenziosa lasciati alla decisione del re. Nel 1865 la relativa
risoluzione fu di competenza del Consiglio di Stato; la legge del 1877 l’affidò alla Cassazione.
attribuzione, si verificava tra soggetti appartenenti a poteri diversi
8
. Del
resto “non era possibile che, nel creare un nuovo organo, si fosse
attribuito ad esso la stessa competenza della giurisdizione ordinaria
9
.
Per quanto poi riguarda il termine “poteri”, è probabile che non si
riferisse ai tre poteri tradizionali
10
. Il Costituente dunque, non volle dare
un significato tradizionale al termine; probabilmente, non accettando il
principio della separazione della separazione, “potere” aveva il significato
di “organo”. Lo stesso Calamandrei, discutendo un ordine del giorno teso
ad inserire il principio, negava tale necessità in quanto “il principio sarà
più o meno rispettato, secondo il modo in cui si organizzeranno gli
organi”.
Il fatto poi che i “vari poteri” di Calamandrei divennero “i poteri dello
Stato”, in seguito all’approvazione dell’emendamento Tosato, non
contrasta con quanto sin qui è stato detto. Le parole “dello Stato” furono
aggiunte, non certo per riafferrare cio’ che non era stato introdotto in
Costituzione ma per chiarire definitivamente la differenza del conflitto di
competenza della Corte, da quello della Cassazione. “Non occorrerebbe
aggiungere a “conflitti fra i poteri” “dello stato” ma, poiché l’On. Mortati
8
La dottrina, a quel tempo, riteneva, infatti, che la legge del 1877 disciplinasse i conflitti di giurisdizione,
non quelli di attribuzione.
9
Relazione TESAURO in Manuale legislativo.., op. cit., pag. 405 ss.
10
N’è conferma la mancata approvazione della proposta dell’On. PERSICO il quale, ipotizzando conflitti
tra il Presidente della Repubblica e i poteri, e quelli tra i poteri, si riferiva proprio alla triade
montesquievana.
aveva chiesto di affidare alla Corte i conflitti di giurisdizione, l’On.
Persico chiede che sia stabilito che la Corte non sia competente per questi
ultimi; ma è inutile dirlo (…) ad ogni modo, a togliere la minima ombra di
dubbio, basta qui dire “conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato”;
che è del resto la materia di cui la Corte deve occuparsi per la sua stessa
ragione d’essere
11
”.
Dunque “potere”, per il Costituente, significava organo previsto in
costituzione le cui relazioni sarebbero state tutelate dal nuovo strumento
affidato alla Corte. Altro non si può desumere, data l’esiguità delle fonti;
esiguità dalla quale possiamo solo ulteriormente dedurre che il concetto
nasce scevro dai significati, che dottrina e giurisprudenza, gli
attribuiranno.
11
On. RUINI, in Manuale legislativo, op. cit., pag. 175 ss.