3
frammentazione, ristrutturazione e sedimentazione, ma che in
esse sia possibile trovare un nocciolo comune che le riesca a
porre in relazione concreta a partire da una comunicazione a
“basso livello”.
Nella prima parte della presente tesi il tentativo è quello
di operare una “semplificazione” attraverso uno “smontare” la
cultura categorizzandone successivamente i “pezzi”
ricercandone il più possibile gli elementi “semplici” comuni,
cioè le istanze e i bisogni primari, che essendo i più “leggibili”
diventano veicoli linguistici per una comunicazione efficace.
Nella seconda parte, è quello di mostrare come la ricerca
del dialogo imposta dall’attuale incontro – scontro tra la
cultura occidentale in generale ed europea in particolare con la
cultura islamica, porti a considerare il terreno dei diritti umani
come il più idoneo, in quanto fondamentalmente comune, per
la soluzione delle questioni inerenti al raggiungimento di una
situazione di pace globale.
4
Parte Prima
LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
COME LINGUAGGIO A “BASSO LIVELLO”
§ 1. La relazione umana come obiettivo della comunicazione
E’ necessario partire dall’idea che “la comunicazione
umana è la conditio sine qua non della vita umana e
dell’ordinamento sociale”.
1
Tradotto in altri termini, significa
che la comunicazione è una necessità alla quale l’individuo
non può sottrarsi. Tale presupposto nasce dall’assunto che la
comunicazione è un comportamento ed è quindi impossibile
per un individuo “non comportarsi”. Va da sé che ogni
comportamento è anche una comunicazione.
2
Senza entrare troppo nel dettaglio del volume sulla
pragmatica della comunicazione umana citato in nota, nato
nell’ambito di una ricerca mirata al contesto delle
psicopatologie legate alla comunicazione, è però da
sottolineare che gli autori individuano tre settori relativi alla
comunicazione umana: in relazione alla trasmissione
dell’informazione (sintassi), al significato della medesima
(semantica) e al comportamento come comunicazione
(pragmatica). Il terzo, quello della pragmatica, è l’aspetto più
importante in quanto aspetto metacomunicativo che qualifica
gli altri due perché è finalizzato allo stabilirsi di una relazione;
1
P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. Jackson, Pragmatica della
comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971
2
Cfr la scheda sulla Pragmatica della comunicazione umana in
A.Infantino, La comunicazione interculturale, in E.Nigris (a cura di),
Educazione interculturale, Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 207-208
5
è, per così dire, l’aspetto procedurale che dà senso alle
informazioni e ai significati. Senza il traguardo dello stabilirsi
di una relazione ogni comunicazione risulta inutile in quanto
inefficace.
La stessa sociolinguistica, partendo dal concetto
chomskyano di “competenza linguistica”, intesa come
“complesso innato di conoscenze relative alle regole
linguistiche possedute da un parlante-ascoltatore ideale”
3
, il
cosiddetto Lad (Language acquisition Device), lo supera e lo
critica considerando la competenza linguistica solo un
sottoinsieme della più complessa e più importante
“competenza comunicativa”. Anche in questo caso la
comunicazione è intesa non come mero scambio di contenuti
linguistici e di significati, ma come strumento per la relazione
umana.
In uno studio che cerca una risposta concreta ed efficace
al problema della comunicazione tra gli uomini e le culture è
fondamentale porsi la questione in termini chiari: perché
nonostante l’evidente bisogno
4
della relazione umana e della
comunicazione tra le culture ancora oggi il dialogo viene
costantemente interrotto e reso inefficace dall’ostilità e dalla
contrapposizione forte tra individui e culture?
3
ivi, p. 201
4
Elena A.A. Garcea, La comunicazione interculturale, Armando editore,
Roma 1996, p.17
6
§ 2. Il problema della comunicazione interculturale
Quando parliamo di necessità della relazione umana ci
riferiamo a uno statuto ontologico dell’essere umano che, in
quanto tale, nasce e si forma con una insopprimibile
propensione verso l’altro da sé. La comunicazione è proprio
questa abilità che l’uomo sviluppa a partire da un bisogno.
Parlare di bisogni non significa fare astrazione ma è un chiaro
riferimento a una realtà concreta. I bisogni condivisi sono il
punto di partenza per la costituzione di ogni gruppo umano:
non c’è gruppo se non c’è condivisione di necessità e/o di
obiettivi. I gruppi si aggregano intorno a bisogni comuni. La
comunicazione diventa il veicolo per la realizzazione di tali
comuni istanze. Se ogni gruppo si identifica attraverso il
riconoscimento di un proprio codice, elaborato al fine di una
regolamentazione del comportamento comune e alla
soddisfazione di comuni necessità,
5
riconoscerà come diverso
un gruppo con un altro codice e come tale non lo riterrà
funzionale alla realizzazione dei propri bisogni: da qui
l’indifferenza o, nel caso di bisogni in competizione, l’ostilità.
Quando l’ostilità diventa però una competizione che
porta svantaggi alla realizzazione dei bisogni di ciascuno dei
contendenti, nasce l’esigenza di una comunicazione allargata e
al di fuori del proprio ambito. Qui si evidenzia il problema
della comunicazione tra gruppi diversi: codici linguistici,
significati e comportamenti comunicativi non sembrano più
relazionabili in quanto elaborati in contesti diversi.
Trasferendo il modello del gruppo alla realtà delle
culture, ancora di più si rende evidente che le culture, in
quanto risultato di un più ampio e complesso sistema di valori,
comportamenti e linguaggio, sembrino destinate, come nei
5
ivi, p.18
7
risultati più radicali di una elaborazione filosofica in chiave
relativistica, all’assoluta incomunicabilità.
6
In risposta all’idea dell’incomunicabilità che
l’evidenziarsi della pluralità delle culture suscita nella
riflessione filosofica relativistica viene incontro la ricerca
antropologica contemporanea che presuppone un concetto
diverso di cultura, articolato in quattro presupposti
simmetricamente opposti ai presupposti sull’incomunicabilità
che il relativismo culturale come impostazione filosofica, e
non metodologica, propone:
7
al presupposto dell’organicità
delle culture si risponde con la connessione problematica tra
gli elementi costitutivi di una cultura; all’idea della chiusura
delle culture si oppone l’idea dell’apertura; alla compiutezza
dei sistemi di valori, la modificabilità dei sistemi dei valori; al
rapporto necessario tra valori e gruppo sociale, il rapporto
problematico tra valori e gruppo sociale.
In sintesi quello che oggi si contesta alla riflessione
filosofica relativistica sono le conclusioni: le culture non sono
delle monadi chiuse, definite in partenza, ma dei sistemi in
movimento e in costante divenire nell’incontro - scontro con le
altre.
Dunque il problema della comunicazione interculturale
non è di tipo strutturale ma metodologico.
6
cfr P.Rossi, Cultura e antropologia, Einaudi, Torino 1983, p.42, sul
relativismo culturale: “Nella sua formulazione più radicale – che è quella
offerta da alcuni indirizzi dello storicismo contemporaneo, e soprattutto
da Spengler – questa impostazione proclama l’eterogeneità insuperabile
delle culture e l’impossibilità di una loro comunicazione reciproca”
7
ivi, pp. 48-49
8
§ 3. I bisogni come invito alla relazione. La piramide di
Maslow
La natura del metodo nasce anch’essa dalla necessità
della stessa comunicazione, comunicazione come bisogno di
relazione. Non ci saranno né incontro né scontro se non ci si
pone nell’ottica del bisogno. La relazione in un gruppo nasce
dalla consapevolezza che uno può aiutare l’altro a soddisfare i
propri bisogni.
Ogni individuo desidera soddisfare i bisogni
fondamentali illustrati dalla famosa Piramide di Maslow.
I bisogni umani sono suddivisi in cinque categorie e
sono gerarchici: perché nasca il desiderio di soddisfare quelli
della categoria successiva, è necessario che quelli della
categoria precedente siano già stati soddisfatti.
• Alla base della piramide si trovano i bisogni
fisiologici/organici, per esempio il bisogno di mangiare,
bere, dormire, coprirsi…
• Della seconda categoria fanno parte i bisogni
relativi alla sicurezza (safety) quali il bisogno di un
rifugio, di tranquillità e di pace…
• Nella terza categoria troviamo i bisogni
relativi all’appartenenza (belonginess) di cui fanno parte
il bisogno di avere amicizie, di far parte di un gruppo, di
amare ed essere amati…
• Nella quarta quelli relativi alla stima di sé
(esteem) quali il bisogno di avere un’immagine positiva
di se stessi e in generale di apprezzarsi e di essere
apprezzati dagli altri
9
• Nella quinta e ultima categoria troviamo i
bisogni relativi alla realizzazione di se stessi (self
actualisation) tra cui rientrano desideri quali
l’aspirazione a mettere in opera le proprie facoltà,
esprimere la propria creatività, oltrepassare i propri
limiti.
Secondo Maslow, quindi, una persona non può evolvere
se i suoi bisogni primari non sono stati soddisfatti: se non lo
sono, la persona non potrà essere sana né fisicamente, né
mentalmente. Per contro, una volta che le necessità elementari
siano state soddisfatte la persona tenderà naturalmente a
spostare la sua attenzione verso aspetti meno materiali e più
elevati, provando nuovi bisogni.
Ovviamente alcuni bisogni sono più urgenti di altri: i
bisogni biologici sono i più pressanti. Ma è anche vero che se
non sono soddisfatte le premesse di una categoria non
biologica, l’accesso a quella successiva diventa quasi
impossibile: per esempio, una persona che ha una bassa stima
di sé difficilmente riuscirà a realizzarsi perché con ogni
probabilità avrà troppi problemi in quell’aspetto della propria
vita per riuscire anche solo a desiderare davvero di migliorare
e svilupparsi.
La persona si trova in uno stato di benessere quando può
soddisfare regolarmente i suoi bisogni. E’ fondamentale quel
bisogno che se non soddisfatto attenta alla sopravvivenza della
persona; è innato quello che nasce con l’uomo e che anche se
non sollecitato si manifesterà comunque a partire dai primi
anni di vita e si ritroverà in ogni persona indipendentemente
dal luogo o dall’epoca: è invece acquisito il bisogno che nasce
da un’abitudine ed è dunque frutto dell’esperienza.
Secondo Maslow i bisogni di natura superiore sono
fondamentali quanto quelli primari – anche se non sono vitali.
10
Ciascuno di noi può raccogliere la sfida del proprio
sviluppo – oppure rifiutarla.
In questa visione, dietro ogni riuscita psico-spirituale ma
anche materiale si trova una forte motivazione che ha prima
ispirato, e poi alimentato, uno sforzo.
Infine, Maslow distingue due determinanti del
comportamento: le determinanti motivazionali, quelle legate ai
bisogni – e quelle della realtà, le forze favorevoli o sfavorevoli
esercitate dall’ambiente. L’uomo si troverebbe dunque in un
costante stato di motivazione, e quando un bisogno è
soddisfatto, immediatamente ne insorge un altro.
Ma poiché i bisogni sono organizzati in modo
gerarchico dallo stesso organismo, essi hanno una
preponderanza relativa. Le aspirazioni più elevate dell’uomo
non derivano dunque da un bisogno legato alla mancanza di
qualcosa di esterno all’organismo, ma da un bisogno di
crescita interiore.
8
Una critica mossa alla gerarchia dei bisogni riguarda il
fatto che essa rispecchia né più né meno quello che la cultura
occidentale definisce come mète socialmente accettabili.
Inoltre, spesso l'individuo presenta nello stesso tempo
motivazioni diverse non riconducibili ad una scala gerarchica,
ma è importante tenerla in considerazione perché ci dà un
preciso indirizzo sulla metodologia da seguire
nell’impostazione di una comunicazione interculturale
concreta e produttiva per il benessere dei soggetti in dialogo.
8
A.H. Maslow, Motivazione e personalità. Armando editore, Roma
1970,
11
§ 4. L’esperanto come tentativo di comunicazione
interculturale
In maniera forse un po’ azzardata possiamo dire che il
primo tentativo di comunicazione interculturale attraverso la
pianificazione di una lingua caratterizzata da una grammatica
di notevole semplicità, è da attribuire al medico polacco di
origine ebraica L. Zamenhof che nel 1887 pubblicò la prima
grammatica dell’esperanto, oggi la più diffusa delle lingue
ausiliarie. Sebbene tale lingua abbia avuto diffusione
soprattutto tra una ristretta élite di specialisti, in ambiti peraltro
esclusivi quali istituti universitari e circoli culturali, quello
che a noi interessa è la filosofia che sta dietro all’idea di
Zamenhof, le cui linee guida sono ben sintetizzate nel
Manifesto di Praga, documento conclusivo del congresso
mondiale del 1996, dal tema chiarificatore “Una lingua per la
pace e la democrazia mondiali”. Ne riportiamo di seguito il
testo:
“Noi, membri del movimento mondiale per la
promozione della lingua internazionale esperanto,
indirizziamo questo manifesto a tutti i governi, a tutte le
organizzazioni internazionali e a tutte le persone di buona
volontà, dichiariamo la nostra ferma intenzione di continuare
a lavorare per il perseguimento degli obiettivi qui di seguito
espressi e invitiamo ciascuna organizzazione e ciascun singolo
individuo a unirsi ai nostri sforzi in tal senso.
Lanciato nel 1887 come progetto di lingua ausiliaria
per la comunicazione internazionale, e sviluppatosi
rapidamente in una lingua viva e ricca di espressività,
l'esperanto funziona già da oltre un secolo per unire gli
uomini al di là delle barriere linguistiche e culturali, mentre
gli obiettivi di coloro che lo usano non hanno perduto nulla
della loro importanza e della loro attualità. Né l'utilizzazione
a livello mondiale di alcune lingue nazionali, né i progressi
12
nella tecnica delle comunicazioni, né il ritrovamento di nuovi
metodi d'insegnamento delle lingue potranno realizzare i
seguenti princìpi, che noi consideriamo essenziali per un
giusto ed efficiente ordine linguistico.
Democrazia
Un sistema di comunicazione che privilegia nettamente alcuni
uomini, ma richiede ad altri di investire anni di sforzi per
raggiungere un livello inferiore di capacità, è
fondamentalmente antidemocratico. Sebbene, come ogni altra
lingua, l'esperanto non sia perfetto, esso supera di gran lunga
ogni rivale nel campo della comunicazione a livello mondiale.
Noi affermiamo che dalla diseguaglianza linguistica consegue
diseguaglianza nella comunicazione a tutti livelli, compreso il
livello internazionale. Noi siamo un movimento per la
comunicazione democratica.
Educazione transnazionale
Ogni lingua etnica è legata a una determinata cultura e
a una determinata nazione (o gruppo di nazioni). Per esempio
l'alunno che studia l'inglese scopre la cultura, la geografia e
la politica dei Paesi di lingua inglese, specialmente gli Stati
Uniti d'America e la Gran Bretagna. L'alunno che studia
l'esperanto scopre un mondo senza frontiere, dove nessun
Paese gli è straniero.
Noi affermiamo che l'educazione realizzata per mezzo
di una lingua etnica, quale essa sia, è legata a una definita
visione del mondo. Noi siamo un movimento per l'educazione
transnazionale.
13
Efficacia pedagogica
Solo una piccola percentuale di coloro che studiano una
lingua straniera giungono a possederla veramente. Invece è
possibile giungere a una piena padronanza dell'esperanto
anche studiandolo da autodidatti. Diverse ricerche hanno
dimostrato che l'esperanto è utile come preparazione
all'apprendimento di altre lingue. Esso è stato inoltre
raccomandato, nell'insegnamento, come elemento essenziale
che consente agli alunni di prendere coscienza di cosa sia una
lingua.
Noi affermiamo che la difficoltà di apprendimento delle
lingue etniche rappresenterà sempre un ostacolo per molti
alunni, che peraltro si gioverebbero della conoscenza di una
seconda lingua. Noi siamo un movimento per un più efficace
insegnamento delle lingue.
Plurilinguismo
La comunità esperantista è una delle poche comunità
linguistiche su scala mondiale i cui parlanti, senza eccezioni,
siano in possesso di due o più lingue. Ogni membro della
comunità ha accettato di fare lo sforzo di apprendere almeno
una lingua straniera, fino a un sufficiente livello di
comunicazione orale. In molti casi ciò ha portato a conoscere
e ad amare varie lingue e in generale ad avere un più ampio
orizzonte personale.
Noi affermiamo che gli appartenenti a tutte le
comunità linguistiche, sia grandi che piccole, dovrebbero
disporre di una possibilità reale di impadronirsi di una
seconda lingua, fino a un elevato livello comunicativo. Noi
siamo un movimento mirante a ottenere che tale possibilità
venga fornita.
14
Diritti linguistici
La disparità di potere fra le lingue è alla base di una
continua insicurezza linguistica o di una diretta oppressione
linguistica per grande parte della popolazione mondiale. Nella
comunità esperantista gli appartenenti a lingue maggiori e
minori, ufficiali e non ufficiali, s'incontrano su un terreno
neutrale, grazie alla volontà reciproca di realizzare un
compromesso. Tale equilibrio tra diritti linguistici e
responsabilità crea un precedente utile a sviluppare e valutare
altre soluzioni per la diseguaglianza linguistica e per i conflitti
generati dalle lingue.
Noi affermiamo che le grandi differenze di potere tra
le lingue minano le garanzie, espresse in tanti documenti
internazionali, di parità di trattamento senza discriminazioni
su base linguistica. Noi siamo un movimento per i diritti
linguistici.
Diversità delle lingue
I governi nazionali tendono a considerare la grande
diversità delle lingue nel mondo come un ostacolo alla
comunicazione e al progresso. Nella comunità esperantista,
invece, tale diversità linguistica è vissuta come una fonte
costante e irrinunciabile di ricchezza. Di conseguenza ogni
lingua, così come ogni specie vivente, costituisce un valore in
sé e pertanto è degna di protezione e sostegno.
Noi affermiamo che le politiche di comunicazione e di
sviluppo, se non sono basate sul rispetto e sul sostegno di
tutte le lingue, condannano all'estinzione la maggior parte
delle lingue del mondo. Noi siamo un movimento per la
diversità linguistica.