religioso
2
; non si tiene a mente che anche nel nome della religione cristiana e
persino alla guida dei pontefici di Roma si sono combattute guerre e crociate:
il Cristianesimo medioevale abbracciò la guerra santa dopo averla rifuggita per
un millennio, ma è vero anche che il Cristianesimo riformato, dopo un altro
mezzo millennio la abbandonò, e così anche il Cristianesimo cattolico, seppure
dopo lunghi tentennamenti; tuttavia un testo fondamentale, quale è quello che
chiude il Concilio Vaticano II, ribadisce la teoria della guerra giusta, retaggio
della lunga tradizione che, come si vedrà in seguito, ha come punto di partenza
Agostino, il cui pensiero verrà rielaborato in sede canonistica e teologico –
dottrinale, fino ad arrivare ai giorno nostri.
Lo scopo che questo lavoro si propone è proprio quello di dimostrare che la
teoria e la pratica della guerra non erano certo estranee al mondo cristiano
occidentale medioevale, attraverso l’analisi testuale delle opere di due tra i più
grandi sistematori del pensiero occidentale (cioè cristiano) medioevale, coloro
che, gettando le basi per gli sviluppi futuri della concezione di guerra non solo
per il corso del medioevo, ma fino ai giorni nostri, avviarono la discussione
sulla “guerra giusta”, avendo come precedente le teorie di S. Agostino. E
questi non sono altri che Graziano, giurista bolognese del XII secolo, uno tra i
fautori della rinascita dello studio del diritto romano, e Tommaso d’Aquino, il
filosofo, “doctor angelicus”, i quali si trovarono a fare i conti da un lato con la
prassi del continuo ricorso alla violenza nel mondo cristiano e da parte degli
2
Peter Partner ricorda che “Nonostante tutta la retorica impiegata contro di loro [i fondamentalisi
islamici], si è dato il caso di gruppi armati fondamentalisti protetti dai governi occidentali. In
Afghanistan i servizi segreti statunitensi hanno goduto per anni di un rapporto quasi coniugale con i
mujahidin che, in quanto nemici dei comunisti senza dio, venivano indicati come detentori di virtù
mitiche e riforniti delle armi e delle tecniche che da allora in poi sono state usate in conflitti
fondamentalisti di tutt’altra natura, fuori come dentro l’Afghanistan. Come risultato, quegli stessi
combattenti per la libertà islamici, che prima ricevevano sostegno, adesso agli occhi dei servizi di
sicurezza sono diventati pericolosi terroristi.” (P. Partner. Il Dio degli eserciti. Islam e Cristianesimo:
le guerre sante. Torino: Einaudi, 1997, p. XX)
stessi uomini di chiesa, dall’altra con la parola di Dio contenuta nell’Antico
Testamento e con il messaggio evangelico di Cristo. Mia intenzione non è
certo quella di difendere la religione islamica, rivalutandone i caratteri pacifici
contro il suo presunto carattere bellicoso, dal momento che questa indagine
presupporrebbe la conoscenza dei testi in lingua araba nonché della cultura
islamica; il punto di partenza per lo studio del concetto di guerra rimane quello
del pensiero cristiano occidentale, mediato dai testi in lingua latina dei due
autori in esame, che riportassero una riflessione, una considerazione sul tema
dei conflitti armati, o semplicemente una citazione del termine bellum che
potesse immettersi in un discorso teorico generale. Un prezioso aiuto mi è
stato fornito dagli indici delle concordanze del Decretum e delle opere di
Tommaso d’Aquino, indici che mi hanno proposto una lunga serie di luoghi in
cui comparisse la parola bellum, dai quali sono stati ovviamente esclusi quei
passi non significativi per un discorso generale.
Entrambi gli autori presi in esame, pur nella diversità delle esperienze
personali, erano parte integrante dell’ordinamento ecclesiastico della chiesa
occidentale, uno nell’odine dei camaldolesi, l’altro nei domenicani, e svolsero
un’attività per così dire militante come teologi e come sistematori del pensiero
cristiano nell’ambito del diritto e della filosofia: di conseguenza era usuale che
si servissero, nelle loro speculazioni dottrinali, oltre che delle opere precedenti
dei Padri della Chiesa, soprattutto delle Sacre Scritture, fonte prima di ogni
riflessione, che talvolta citavano a memoria, eventualità non infrequente nel
periodo medioevale, come provano le scorrettezze nel riportare le parole dal
passo originale. Ho ritenuto opportuno dunque in primo luogo verificare caso
per caso la correttezza della citazione evangelica o patristica, restituendone il
testo autentico; in secondo luogo mi è parso utile avviare l’indagine del
concetto di guerra in Graziano e Tommaso d’Aquino premettendo una
riflessione preliminare proprio sul significato e sulle accezioni del termine
bellum nelle Sacre Scritture, utilizzano lo stesso metodo d’indagine già
sperimentato per Graziano e S. Tommaso. Come risultato di questa ricerca
introduttiva, confrontando il significato e le interpretazioni del concetto di
guerra, di particolari eventi bellici circoscritti all’antico mondo ebraico o le
esortazioni a mettere in pratica alcune virtù, come la mansuetudine o il valore
guerriero, ho avuto il riscontro di particolari differenze tra Antico e Nuovo
Testamento. Tutto ciò è stato profondamente produttivo, nella misura in cui le
medesime discrepanze di valori, presenti anche all’interno del Nuovo
Testamento, sono state avvertite e sfruttate dai due autori presi in esame, che
le hanno portate come prove a carico per dimostrare i propri argomenti, che,
nella maggior parte dei casi, si risolvono nella propensione a posizioni
belliciste e alla giustificazione della guerra, a patto che siano operanti
determinate condizioni.
Mi si potrà obiettare: tutto questo, Agostino, Graziano, Tommaso, il
Medioevo, in che modo hanno attinenza con il presente, con l’11 settembre,
con il pericolo terroristico che sembra sfuggire anche agli invincibili servizi
segreti americani, con la guerra in Afghanistan? Io rispondo: parlare della
guerra, di qualsiasi guerra, delle giustificazioni che appartengono a una
millenaria tradizione, nella quale si tentava persino di renderla compatibile
con il compito d’amore di un cristiano, può servire a farsi consapevoli
dell’inapplicabilità di tali giustificazioni a un presente in cui la pace è ormai
tregua tra le guerre, in cui si assiste a una radicale trasformazione dei mezzi
bellici, in cui le più grandi potenze mondiali hanno a disposizione micidiali
armamenti nucleari e batteriologici. Che senso ha ormai parlare di una giusta
guerra di difesa, quando l’evoluzione dei mezzi offensivi non rendono più
possibile una netta distinzione tra guerra di attacco e guerra di difesa? Ci sono
due modi di intendere la guerra di difesa: in senso stretto, come risposta ad
una violenza subita (vim vi repellere licet), in senso allargato, come risposta a
una violenza solo temuta o minacciata, cioè come guerra preventiva. In
entrambi i casi, applicando la strategia nucleare, si verrebbe a creare una
situazione in cui la risposta della parte offesa provocherebbe al limite la
distruzione totale dell’umanità: questo significa anche che, se un tempo era
stata considerata un mezzo per attuare il diritto in una situazione di
prevaricazione, ora la guerra ritorna ad essere posta al di fuori del diritto,
legibus soluta
3
. Essa si pone dunque al di fuori di ogni possibile criterio di
legittimazione e legalità, è incontrollata e incontrollabile dal diritto, è
“assoluta nello stesso senso in cui si parla di un sovrano assoluto in
contrapposizione a un sovrano costituzionale”
4
.
È questa la strada che conduce a quello che Norberto Bobbio chiama
“pacifismo attivo”
5
, il quale passa attraverso la critica delle giustificazioni
della guerra, che non solo non è necessaria, ma non è neppure buona ed è
quindi un evento che dobbiamo impedire. Esso ha come presupposto quella
che è stata chiamata la “coscienza atomica”
6
, cioè la consapevolezza che
l’equilibrio del terrore, secondo cui la guerra non può più accadere, non può
più essere accettato, ma che invece la pace è una conquista raggiungibile
attraverso un impegno attivo, che non si arresti di fronte al “Fa quel che devi e
avvenga quel che può”, ma che si estenda al “Fa in modo che la tua azione non
sia soltanto buona in sé, ma abbia anche conseguenze buone”.
Eventualmente recuperando anche l’autentico messaggio di Gesù, non mediato
da alcuna interpretazione dottrinale, teologica, canonistica: offrire l’altra
3
N. Bobbio. Il problema della guerra e le vie della pace. Bologna: Il Mulino,1997, p.65
4
Bobbio, p.65
5
Bobbio, p.56
guancia, amare il prossimo come se stessi, anche se il prossimo è il nemico
peggiore.
Non è più possibile distinguere guerre ingiuste da guerre giuste. Tutte le
guerre sono ingiuste.
6
Bobbio, p. 55
II.
Bellum nell’Antico e Nuovo Testamento
Il tema della guerra rimane senza dubbio la fonte di maggiori perplessità per il
moderno lettore della Sacra Scrittura: la verità narrata nell’Antico Testamento
nella maggior parte dei casi si risolve nella narrazione di imprese belliche e
spedizioni militari simili a quelle di ogni altra epopea eroica.
Tradizionalmente per il popolo ebreo, infatti, la guerra aveva un carattere
sacro ed era guidata dalla mano di Dio, che “era un dio di guerra che aveva in
comune con gli altri dèi guerrieri semiti la qualità dello scatenare, insieme ad
altre armi divine, venti e tempeste, tuoni e fulmini, in aiuto alle genti poste
sotto la sua protezione”
1
. Al pari degli altri dèi aveva la facoltà di dirigere il
corso degli eventi, come nella guerra tra Giosuè e Amalech: se Mosè teneva in
alto le mani, gesto dell’invocazione per la protezione divina, Giosuè vinceva;
in caso contrario vinceva Amalech
2
. “Il SIGNORE è un guerriero, il suo
nome è il SIGNORE.”
3
: questo grido di Mosè in saluto a Dio dopo essere
scampati dagli inseguitori egiziani, inghiottiti nel Mar Rosso, riassume bene il
carattere guerriero di Yahweh, in questo non diverso dalle divinità
mesopotamiche o assire.
Dio è quindi sempre al fianco degli uomini che combattono in suo nome
1
Partner, p. XIII
2
cumque levaret Moses manus vincebat Israhel sin autem paululum remisisset superabat Amalech
(Esodo 17,11). Per i rimandi alla Sacra Bibbia ho utilizzato Biblia Sacra Iuxta Vulgatam Versionem.
Stuttgart: Deutsche Bibelgesellaschaft, 1969; per la traduzione La Sacra Bibbia nella versione
riveduta sui testi originali. Ginevra-Genova: Casa della Bibbia, 1961
3
Dominus quasi vir pugnator Omnipotens nomen eius (Esodo 15,3)
(“Quando nel vostro paese andrete alla guerra contro il nemico che vi
attaccherà, sonerete a lunghi e forti squilli con le trombe, e sarete ricordati
dinanzi all’Eterno, al vostro Dio, e sarete liberati dai vostri nemici”
4
; “Quando
andrai alla guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli, carri e gente più
numerosa di te, non li temere, perché il SIGNORE, il tuo Dio, che ti fece salire
dal paese d' Egitto, è con te.”
5
) e lo invocano in caso di difficoltà, come nel
sopra citato caso di Giosuè, durante le guerre fra le tribù narrate nelle
Cronache
6
in cui chi gridò invocando o pregando Dio fu da questi ascoltato ed
esaudito. L’aspetto essenziale della guerra santa, anche se nell’Antico
Testamento si fa menzione solo di “guerre di Yahweh”, è proprio quello della
presenza di Dio di fianco ai combattenti di Israele vittorioso, presenza che si
traduce in regole e rituali bellici
7
; uno di questi rituali, secondo quanto
4
si exieritis ad bellum de terra vestra contra hostes qui dimicant adversum vos clangetis ululantibus
tubis et erit recordatio vestri coram Domino Deo vestro ut eruamini de manibus inimicorum vestrorum
(Numeri 10,9)
5
si exieris ad bellum contra hostes tuos et videris equitatum et currus et maiorem quam tu habes
adversarii exercitus multitudinem non timebis eos quia Dominus Deus tuus tecum est qui eduxit te de
terra Aegypti (Deuteronomio 10,1)
6
filii Ruben et Gad et dimidiae tribus Manasse viri bellatores scuta portantes et gladios et tendentes
arcum eruditique ad proelia quadraginta quattuor milia et septingenti sexaginta procedentes ad
pugnam dimicaverunt contra Agarenos vero et Naphei et Nodab praebuerunt eis auxilium traditique
sunt in manus eorum amareni et universi qui fuerant cum eis quia Deum invocaverunt cum
proeliarentur et exaudivit eos eo quod credidissent in eum ceperunque omnia quae possiderant
camelorum quinquaginta milia et ovium ducenta quinquaginta milia asinos duo milia et animas
hominum centum milia vulnerati autem multi corruerunt fuit enim bellum Domini habitaveruntque
pro eis usque ad transmigrationem (Cronache I 5, 18-22) I figli di Ruben, i Gaditi e la mezza tribù di
Manasse, avevano uomini coraggiosi che portavano scudo e spada, tiravano d’arco ed erano addestrati
alla guerra, in numero di quaranta-quattro-mila-sette-cento-sessanta, capaci di combattere. Essi
mossero guerra agli Agareni, a Ietur, a Nafis e a Nodab. Furono soccorsi combattendo contro di loro, e
gli Agareni e tutti quelli che erano con essi furono dati loro nelle mani, perché durante il
combattimento essi gridarono a Dio, che li esaudì, perché avevano confidato in lui. Essi presero il
bestiame dei vinti: cinquantamila cammelli, duecentocinquantamila pecore, duemila asini, e centomila
persone; molti ne caddero uccisi, perché quella guerra proveniva da Dio. E si stabilirono nel luogo di
quelli, fino alla deportazione.
si egressus fuerit populus tuus ad bellum contra adversarios suos per viam in qua miseris eos
adorabunt te contra viam in qua civitas haec est quam elegisti et domus quam aedificavi nomini tuo ut
exaudias de caelo preces eorum et obsecrationem et ulciscaris (Cronache II 6, 34) Quando il tuo
popolo partirà per far guerra al suo nemico, seguendo la via per la quale tu l' avrai mandato, se t'
innalza preghiere rivolto a questa città, che tu hai scelta, e alla casa che io ho costruita al tuo nome,
esaudisci dal cielo le sue preghiere e le sue suppliche, e fagli ottenere giustizia.
7
P. Crépon. Le religioni e la guerra. Genova: Il melangolo, 1992, p. 27
ricordato da Crépon
8
, “consisteva nel lanciare l’interdetto su alcuni nemici e
fare voto di distruggerli completamente in caso di vittoria”. Esso può essere
spiegato richiamandosi a quanto detto poco sopra: essendo Dio direttamente
partecipe alle battaglie ha diritto a una parte di bottino, quella che appunto i
suoi guerrieri hanno fatto voto di distruggere.
Il “libro delle guerre di Jahvè”
9
, probabilmente un’antica raccolta di canti
popolari epici giudei, è un’ulteriore conferma di come le guerre, per gli ebrei
dell’AT, fossero combattute con l’aiuto di Dio, contro i suoi nemici e da eroi
ispirati dal suo spirito. Non a caso incontriamo proprio nell’ Antico
Testamento i modelli dell’eroe che conduce un guerra religiosa nel nome di
Dio: Giosuè, la cui conquista del paese di Canaan fu opera divina e non
umana, e il cui segreto delle vittorie era la divina assistenza, palese a tutti,
Gedeone, le cui imprese sono narrate nel libro dei Giudici, Davide, Giuda
Maccabeo, il primo organizzatore dei una rivolta nazionale e di una lotta
contro i gentili, che rappresentano la cultura ellenistica in generale, contro cui
il popolo ebraico si confrontò alla metà del II secolo a.C.
Il cenno alle battaglie divine condotte per mezzo di Giosuè introduce a un
altro aspetto importante del ruolo divino nelle operazioni belliche: talvolta
infatti l’eroe è solo un tramite del volere di Dio, che dirige la mano dell’uomo
al combattimento e alla vittoria (“Tu mi hai cinto di forza per la guerra; tu hai
fatto piegare sotto di me i miei avversari”
10
; “Benedetto sia l’eterno, la mia
rocca, che ammaestra le mie mani alla pugna e le mie dita alla battaglia”
11
;
8
ibid., p. 29
9
unde dicitur in libro bellorum Domini… (Numeri 21, 14)
10
persequar inimicos meos et conprehendam illos et non convertar donec deficiant confringam illos
nec potuerunt stare cadent subtus pedes meos et praecinxisti me virtute ad bellum subplanasti
insurgentes in me subdutus me et inimicos meos dedisti mihi dorsum et odientes me disperdisti (Salmi
17, 38-41)
11
Benedictus Dominus fortis meus qui docet manus meas ad proelium digitos meos ad bellum (Salmi
143,1)
“Il cavallo è pronto per il dì della battaglia, ma la vittoria appartiene
all’Eterno”
12
), pone la fine alle guerre (“Egli fa cessare le guerre fino
all’estremità della guerra; rompe gli archi e spezza le lance, arde i carri nel
fuoco”
13
); è la “forza di quelli che respingono il nemico alle porte”
14
.
Tuttavia la presenza di Dio si può manifestare anche nella sua collera contro il
popolo infedele che capitola di fronte al nemico, divenuto quindi strumento
privilegiato dell’ira divina.
Dio, nella sua onnipotenza e severità, ha colpito persino il suo popolo e ha
“abbandonato Giacobbe al saccheggio e Israele in balia dei predoni”
15
perché
il popolo ha peccato uscendo dalle vie del Signore: “Perciò egli ha riversato su
Israele l’ardore della sua ira e la violenza della guerra”
16
.
Una particolare attenzione richiede la profezia contenuta in Zaccaria 9,9-10, in
cui viene annunciato l’avvento di un Messia, poi identificato da Matteo in
Gesù
17
: egli sarà “giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un
12
equus paratur ad diem belli Dominus autem salutem tribuet (Proverbi 21,31)
13
auferens bella usque ad finem terrae arcum conteret et confringet arma et scuta conburet in igne
(Salmi 45,9)
14
in die illa erit Dominus exercituum corona gloriae et sertum exultationis residuo populi sui et
spiritus iudicii sedenti super iudicium et fortitudo revertentibus de bello ad portam (Isaia 28,5-6)
15
quis dedit in direptionem Iacob et Israhel vastantibus nonne Dominus ipse cui peccavimus et
noluerunt in viis eius ambulare et non audierunt legem eius (Isaia 42,24)
16
et effudit super eum indignationem furoris sui et forte bellum et conbusit eum in circuitu et non
cognovit et succendit eum et non intellexit (Isaia 42,25)
17
et cum adpropinquassent Hierosolymis et venissent Bethfage ad montem Oliveti tunc Iesus misit
duos discipulos dicens eis ite in castellum quod contra vos est et statim invenietis asinam alligatam et
pullum cum ea solvite et adducite mihi et si quis vobis aliquid dixerit dicite quia Dominus his opus
habet et confestim dimittet eos Hoc autem factum est ut impleretur quod dictum est per prophetam
dicentem dicite filiae Sion ecce rex tuus venit tibi mansuetus et sedens super asinam et pullum filium
subiugalis (Matteo 21,1-5) Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte
degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: “Andate nella borgata che è di fronte a voi;
troverete un' asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. Se qualcuno vi dice
qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà”. Questo avvenne affinché si
adempisse la parola del profeta: “Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato
sopra un' asina, e un asinello, puledro d' asina”.
puledro, il piccolo dell’asina”
18
. Il fatto che colpisce di più è che il Messia ha
caratteristiche pacifiche, presentandosi in opposizione al guerriero che cavalca
un focoso destriero, e mostra questo carattere nella sua attività: egli distrugge i
carri, i cavalli e, come si intende dall’universalità della pace che detterà alle
genti, fa distruggere le armi da guerra e nella pace governa tutto il mondo.
Questo passo può essere considerato i punto di maggior contatto tra la
concezione veterotestamentaria della guerra in un certo senso giustificata da
Dio, perché da lui guidata e ispirata, e il messaggio pacifico contenuto nel
Nuovo Testamento, compendiato dalle parole di Gesù “Vi lascio la mia pace,
vi do la mia pace”
19
e da quelle pronunciate nel Discorso della Montagna
(Matteo, 5) “Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra”
20
e “Beati i
misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta”
21
. Proprio a causa della
centralità dell’invito alla mitezza e alla non violenza gli accenni al tema della
guerra nel Vangelo sono assai infrequenti, ad eccezione forse della Lettera di
Giacomo
22
, in cui l’Apostolo analizza le cause delle guerre e delle contese, le
cui radici profonde vanno ricercate nelle passioni disordinate che hanno sede
nell’uomo stesso che prova concupiscenza e invidia verso il suo prossimo.
18
exulta satis filia Sion iubila filia Hierusalem ecce rex tuus veniet tibi iustus et salvator ipse pauper et
ascendens super asinum et super pullum filium asinae et disperdam quadrigam ex Ephraim et equum
de Hierusalem et dissipabitur arcus belli et loquetur pacem gentibus et potestas eius a mari usque ad
mare et a fluminibus usque ad fines terrae (Zaccaria 9,9-10) Esulta grandemente, o figlia di Sion,
manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso,
umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell’asina. Io farò sparire i carri da Efraim, i
cavalli da Gerusalemme e gli archi di guerra saranno distrutti. Egli parlerà di pace alle nazioni, il suo
dominio si estenderà da un mare all' altro, e dal fiume sino alle estremità della terra.
19
pacem relinquo vobis pacem meam do vobis non quomodo mundus dat ego do vobis non turbetur
cor vestrum neque formidet (Giovanni 14,27)
20
beati mites quoniam ipsi possidebunt terram (Matteo 5,4)
21
beati misericordes quia ipsi misericordiam consequentur (Matteo 5,7)
22
unde bella et lites in vobis nonne hinc ex concupiscentiis vestris quae militant in membris vestris
concupiscitis et non habetis occiditis et zelatis et non potestis adipisci litigatis et belligeratis non
habetis propter quod non postulatis petitis et non accipitis eo quod male petatis ut in concupiscentiis
vestris insumatis (Giacomo 4,1-3)
Il significato di un’indagine all’interno del Nuovo Testamento non può dunque
che essere il tentativo di costruire il pensiero cristiano originario e dei primi
secoli sul tema della guerra attraverso la mancanza di riferimenti diretti ad
essa, ma considerando invece i numerosi riferimenti al suo contrario, cioè la
pace.
La pace non è in primo luogo un modo diverso di vivere, ma si identifica con
una persona: Gesù Cristo. Come dice Paolo, “Lui, infatti, è la nostra pace; lui
che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione
abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di
comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo
uomo nuovo facendo la pace; e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo
unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia
23
”,
riprendendo il filone profetico rappresentato da Isaia, che annuncia che “un
bambino ci è nato […] sarà chiamato Principe della pace […]”
24
, e da Michea:
“Sarà lui che porterà la pace”
25
.
La morale evangelica risulta, anche a questa prima superficiale analisi, assai
lontana dalla legge del taglione contenuta nell’Antico Testamento, sebbene
Gesù stesso tenda a presentarla più come la continuazione che non la
sostituzione dell’antica morale: “Non pensate che io sia venuto per abolire la
legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a
23
ipse est enim pax nostra qui fecit utraque unum et medium parietem maceriae solvens inimicitiam in
carne sua legem mandatorum decretis evacuans ut duos condat in semet ipsum in unum novum
hominem faciens pacem et reconciliet ambos in uno corpore Deo per crucem interficiens inimicitiam
in semet ipso (Epistola agli Efesini 2,14-16).
24
parvulus enim natus est nobis filius datus est nobis et factus est principatus super umerum eius et
vocabitur nomen eius Admirabilis consiliarius Deus fortis Pater futuri saeculi Princeps pacis (Isaia
9,6) Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà
chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace,
25
et erit iste pax Assyrius cum venerit in terram nostram et quando calcaverit in domibus nostris et
suscitabimus super eum septem pastores et octo primates homines (Michea 5,4)) Sarà lui che porterà
la pace. Quando l’Assiro verrà nel nostro paese e metterà piede nei nostri palazzi, noi gli opporremo
sette pastori e otto prìncipi del popolo.
compimento.”
26
. Il discorso della Montagna, che riassume nel modo più
completo la morale evangelica, riprende appunto i precetti veterotestamentari,
conferendo loro nuova forza, eventualmente modificando anche le norme
incompatibili con l’insegnamento di amore di Gesù: “Voi avete udito che fu
detto agli antichi: “Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al
tribunale”; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto
al tribunale;…”
27
; “Voi avete udito che fu detto: “Occhio per occhio e dente
per dente”. Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote
sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; a chi vuol litigare con te e prenderti
la tunica, lasciagli anche il mantello.”
28
; e ancora: “Voi avete udito che fu
detto: Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri
nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi
odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano”
29
.
Tutte queste parole di Gesù, che sono a fondamento della pratica cristiana,
celebrano “un insegnamento che esalta l’umiltà, la dolcezza, la bontà, la pace,
ed esclude […] qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra”
30
.
Sembrerebbero quasi in contraddizione con queste parole alcune affermazioni
di Gesù, quali per esempio “Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla
terra; non sono venuto a metter pace, ma spada.”
31
, oppure “Ma ora, chi ha una
26
nolite putare quoniam veni solvere legem aut prophetas non veni solvere sed adimplere (Matteo
5,17)
27
Audistis quia dictum est antiquis non occides qui autem occiderit reus erit iudicio ego autem dico
vobis quia omnis qui irascitur fratri suo reus erit iudicio qui autem dixerit fratri suo racha reus erit
concilio qui autem dixerit fatue reus erit gehennae ignis (Matteo 5,21-22)
28
audistis quia dictum est oculum pro oculo et dentem pro dente ego autem dico vobis non resistere
malo sed si quis te percusserit in dextera maxilla tua praebe illi et alteram et ei qui vult tecum iudicio
contendere et tunicam tuam tollere remitte ei et pallium (Matteo 5,38-40)
29
audistis quia dictum est diliges proximum tuum et odio habebis inimicum tuum ego autem dico
vobis diligite inimicos vestros benefacite his qui oderunt vos et orate pro persequentibus et
calumniantibus vos (Matteo 5,43-44)
30
Crépon, p. 66
31
nolite arbitrari quia venerim mittere pacem in terram non veni pacem mittere sed gladium (Matteo
10,34)
borsa, la prenda; così pure una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e
ne compri una.”
32
. Sarà poi molto interessante e fruttuoso condurre un’analisi
del commento che Tommaso diede di alcuni passi del Vangelo qui riportati,
perchè talvolta Tommaso non esita a parlare della guerra trattando del suo
contrario, cioè della pace.
A ben guardare, però, il significato di queste espressioni si intende pienamente
considerando il contesto in cui vengono dette: nel primo caso Gesù sta
spiegando ai dodici apostoli la loro missione spirituale, l’annuncio della
Buona Novella, eversiva nei suoi contenuti e per questo potratrice di
trasformazioni radicali e, perché no, anche di dissensi e conflitti; nel secondo
caso, invece, Gesù, al momento di essere arrestato, annuncia ai suoi discepoli
che il momento della prova è arrivato; ma quando essi tirano fuori le armi,
“Signore, ecco qui due spade! Ma egli disse loro: Basta!”
33
. Quando infine
viene catturato dalle guardie nel Getzemani, e Pietro colpisce uno dei soldati
con la spada, Gesù, non lasciando più possibilità a dubbi, si interpone dicendo:
“Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada,
periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi
manderebbe in questo istante più di dodici legioni d' angeli?”
34
Un suggerimento per completare la comprensione dell’ampiezza e della
frequenza degli inviti alla pace, nonché per comprendere meglio il significato
della venuta di Cristo nel superamento della concezione veterotestamentaria,
può essere dato da un’opera di Marsilio da Padova; egli, pur essendo un
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dixit ergo eis sed nunc qui habet sacculum tollat similiter et peram et qui non habet vendat tunicam
suam et emat gladium (Luca 22,36)
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at illi dixerunt Domine ecce gladii duo hic at ille dixit eis satis est(Luca 22,38)
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“Conuerte gladium tuum in uaginam; an putas, quia non possum rogare patrem meum, et exhibebit
michi plus quam duodecim milia legiones angelorum?” tunc ait illi Iesus converte gladium tuum in
locum suum omnes enim qui acceperint gladium gladio peribunt an putas quia non possum rogare
Patrem meum et exhibebit mihi modo plus quam duodecim legiones angelorum (Matteo 26,51-52)
pensatore del Basso Medioevo, e quindi da prendere con le dovute cautele,
dedicò il primo capitolo del suo Defensor pacis
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all’esposizione del
messaggio lasciato da Cristo, riportando i passi vangelici contenenti inviti alla
pace, benché egli la intendesse in un senso radicalmente diverso dalla
prospettiva religiosa con cui l’Alto Medioevo, a partire da Agostino, aveva
concepito la pax.
“Per questo motivo Cristo, Figlio di Dio, ha stabilito che la pace sarebbe stata
segno e messaggera della sua nuova nascita, quando ha voluto che gli angeli
cantassero ‘Gloria a Dio nei cieli e pace in terra agli uomini di buona
volontà’
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. Per questo motivo molto spesso ha augurato la pace ai suoi
discepoli. Infatti Giovanni scrive: ‘Gesù venne, si sedette in mezzo ai
discepoli e disse: Pace a voi’
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. Per esortarli alla pace reciproca ha detto, come
si legge nel Vangelo secondo Marco: ‘State in pace tra voi’
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. Non solo
insegnava loro a vivere in pace tra loro, ma anche ad augurarla agli altri.
Infatti leggiamo in Matteo: ‘Entrando in una casa salutatela dicendo: Pace a
questa casa’
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. D’altra parte questa è stata l’eredità che egli ha lasciato ai
discepoli durante la sua passione e morte quando ha detto, come leggiamo nel
capitolo 14 di Giovanni: ‘Vi lascio la pace, vi dono la mia pace’
40
.”.
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Marsilio da Padova. Il difensore della pace, introduzione di M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri,
traduzione e note di M. Conetti, C. Fiocchi, S. Radice, S. Simonetta. Milano: B.U.R., 2001
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Gloria in altissimis Deo et in terra pax in hominibus bonae voluntatis (Luca 2,14)
37
Pax vobis (Giovanni 20,19)
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Pacem abete inter vos (Marco 9,48)
39
Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui (Matteo 10,12)
40
Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis (Giovanni 14,27)