intergovernativi risultano tali proprio perché gli Stati si sono mostrati restii a cedere
sovranità in questi settori considerati strategici. Ciononostante essi hanno intrapreso l’opera
di gestione comune di tali ambiti e se ciò è avvenuto lo si può imputare essenzialmente a
due principali ordini di ragioni più o meno ineludibili: il mercato unico europeo ed il mutato
panorama geo-politico del dopo Guerra Fredda. In entrambi i casi la sicurezza, quale
concetto esteso e multidimensionale, risulta essere l’elemento permeante.
Nel primo caso, bisogna ricordare che l’esigenza di realizzare il mercato unico come
programmato dall’AUE significava in primis la libera circolazione delle persone accanto a
quella di merci, servizi e capitali. Di conseguenza, la libera circolazione delle persone
all’interno della Comunità europea implicava che si instaurasse un controllo rafforzato alle
frontiere esterne della stessa: per poter conciliare i vantaggi di un libero mercato interno con
la prevenzione di una eccessiva permeabilità dall’esterno, vista l’abolizione dei controlli di
frontiera tra Stati membri. Bisognava dunque adottare delle norme comuni sia sulle
politiche inerenti la circolazione delle persone provenienti da paesi terzi (visto, asilo,
immigrazione) sia riguardo alle esigenze di sicurezza interna dell’Unione, esigenze tese ad
esempio a prevenire e combattere il traffico di droga e i vari tipi di criminalità organizzata
internazionale tramite una cooperazione delle autorità giudiziarie e di polizia. Le istanze di
sicurezza interna venivano dunque riunite nel terzo Pilastro UE, la GAI, dopo che alcuni
Stati avevano già concluso un accordo internazionale in materia, l’Accordo di Schengen,
che è a tutt’oggi in corso di integrazione nel sistema giuridico della Comunità e dell’Unione
(Capitolo III).
La definizione del regime giuridico dell’Unione è risultata importante per capire come essa
si ponga rispetto al diritto internazionale nel suo complesso e per rimarcare appunto che
l’Unione europea è tuttora sprovvista di personalità giuridica internazionale (Capitolo II).
Questo fatto influisce inoltre su quella che è l’identità dell’Unione sullo scenario mondiale,
dal momento che gli Stati europei prendono posizione individualmente e non collegialmente
nei più importanti fori politici mondiali come, ad esempio, il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU. L’identità internazionale dell’Unione è data sia dallo status giuridico di cui essa
gode (o non gode) e sia dalle effettive capacità e coesione che riesce ad esprimere nella
pratica della sua azione esterna. Quest’ultima è a sua volta un fattore complesso poiché
costituita da un’insieme di politiche comuni (commerciale, dello sviluppo, umanitaria, di
salvaguardia dei diritti umani, estera e di sicurezza) che definiscono come l’Unione si pone
verso il resto del mondo ed in particolare verso altri blocchi di integrazione regionale, di cui
gli Stati Uniti d’America costituiscono il massimo esempio e termine di paragone. Fra tali
componenti dell’azione esterna, la PESC come introdotta dal Trattato di Maastricht
potrebbe essere quella maggiormente determinante nella definizione dell’identità
internazionale dell’Unione europea ma non lo è sia a causa di disaccordi politici su alcune
questioni specifiche sia perché mancano le capacità militari da mettere in campo. Come in
un gioco di scatole cinesi, all’interno della PESC si è considerata la politica di difesa
(PESD) come ‘hard core ’ della sicurezza esterna dell’Unione, non a caso la più
intergovernativa delle politiche comuni. L’inclusione della politica di sicurezza e di difesa
in un Trattato costitutivo della Comunità-Unione ha rappresentato comunque una novità
rilevante nel processo di integrazione, dopo lo smacco subito dalla Comunità Europea di
Difesa (CED) nel lontano 1954. La riattivazione delle istanze di difesa europea e
dell’Organizzazione internazionale a questo preposta (l’UEO) non fu ovviamente un fatto
casuale ma una delle conseguenze recate dagli sconvolgimenti politici a cavallo tra gli anni
’80 e ’90, in primis la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la riunificazione della Germania.
Bisogna però guardare agli ultimissimi anni di integrazione europea, quelli che vanno
dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam fino ai giorni nostri, per scorgere una prima
organizzazione normativa ed operativa della dimensione di difesa (Capitolo IV), che
peraltro risulta ancora essere assolutamente impreparata e non disposta ad agire in modo
autonomo rispetto alla NATO e alla dominante politica estera americana. Tale fatto è
risultato evidente sia nel conflitto del Kosovo del 1999 che negli ultimissimi sviluppi nella
lotta al terrorismo internazionale, dove la NATO più che l’Unione sembra possedere le
capacità per condurre azioni di Reazione Rapida, e pur sottolineando l’ampio limite che
l’impiego della sola forza militare incontra nella lotta al terrorismo.
In definitiva, sicurezza interna ed esterna risultano essere i tratti maggiormente
caratterizzanti dell’Unione politica, vale a dire quella istanza di Unione che è stata finora
solamente configurata e che aspetta ben altri sviluppi per trovare realizzazione pratica. Tali
sviluppi sono inerenti al come e al quanto si vuole ancora approfondire ed allargare
l’Unione, dando invece per assodato la volontà politica e la desiderabilità di farlo. Il come
passerà presumibilmente per l’approfondimento dei settori già intrapresi, magari tramite una
Cooperazione rafforzata tra alcuni Stati membri ed in base ad una loro intesa politica di
fondo qual è stata, ed è, ad esempio l’asse franco-tedesco. Il quanto ha invece il suo naturale
sbocco nella nuova, massiccia, tornata di allargamento dell’Unione ai paesi dell’est europeo
e del Mediterraneo. Ciò richiede già ora un riordino dei meccanismi istituzionali ed una
cornice giuridica comprensiva di modello costituzionale, il tutto per migliorare l’efficienza e
la democraticità dell’Unione nel suo complesso. Vedremo se questo sarà il caso e se si
giungerà, infine, ad una effettiva Unione politica europea.
Capitolo I
IDEAZIONE E SVILUPPO DELL’UNIONE POLITICA TRA STATI
EUROPEI
1. Idea e nozione di Unione Politica
In quel che segue si mostrerà come l’idea di Unione politica sottenda a tutta la
costruzione europea anche se, nella pratica, si è esplicata in un’integrazione economica
che ha finora stentato ad approfondire gli aspetti prettamente politici. Questi ultimi
possono essere ricondotti al progetto di una federazione-confederazione di stati europei
che, essendo realizzata, avrebbe dato vita agli Stati Uniti d’Europa
1
, così come
immaginato dai padri fondatori europei: Jean Monnet, Schuman, Adenauer, De Gasperi e
Spaak fra i più importanti. In senso ampio, Unione politica significava dunque, e
significa tuttora, creare un impianto istituzionale unico nel quale gli Stati nazionali
europei, pur mantenendo le loro specificità e competenze applicative, instaurassero una
cooperazione e armonizzazione generale in ambiti quali la difesa, la politica estera,
l’economia, la giustizia, la politica sociale ecc. Si trattava inoltre, cosa ancora più
impegnativa, di creare un senso d’identità comune tra le nazioni e dunque i cittadini
europei. Andava naturalmente preso atto che un simile progetto richiedeva dei tempi
lunghi, visti sia i precedenti storici degli Stati europei che l’enorme difficoltà intrinseca
di trovare un equilibrio tra integrazione e autonomia dei singoli Stati negli ambiti di cui
sopra. In tale ultimo senso fa naturalmente scuola la teoria e la pratica generale
dell’Unione politica tra Stati, che esamina le diverse gradazioni in cui gli Stati sovrani si
legano tra loro in un progetto, appunto, politico. Si parte infatti dal concetto di Stati
sovrani in competizione reciproca fino ad arrivare alla teoria e alla pratica dello Stato
1
Nell’immediato post 1945 esisteva un vivo dibattito su come arrivare a una entità sovranazionale. Ci sono inizialmente
2 correnti principali: i federalisti, guidati da Altiero Spinelli, sostenenti un integrazione generale e diretta (appunto
federale) e gli Unionisti che invece sostenevano una forma di cooperazione più graduale tra stati sovrani. Alla fine si
affermò una terza corrente, quella funzionalista, la quale puntava per una conciliazione tra le prime 2 posizioni e
sosteneva una integrazione evolutiva per settori per giungere infine alla federazione. Sono funzionalisti i grandi statisti
succitati. Sull’argomento vedere G. MAMMARELLA e P. CACACE, Storia e politica dell’Unione Europea (1926-
1997), Roma-Bari, 1998, p. 37 ss.
federale in cui i diversi Stati nazionali sono uniti da una comunanza di intenti e di
governo. Lo Stato federale maggiormente studiato e oggi più noto sono senz’altro gli
Stati Uniti d’America e perciò un parallelo con la loro genesi
2
ci aiuterà ad inquadrare
brevemente le tre forme principali di Unione politica tra Stati: confederazione,
federazione ed unione sovranazionale. Nella confederazione una pluralità di Stati
conferisce ad una autorità politica centrale una serie limitata di poteri che storicamente
riguardano la difesa e la politica estera ma che possono anche essere di altra natura. Le
decisioni di tale autorità centrale vincolano gli Stati nelle materie interessate ma non ne
vincolano direttamente gli individui. Tale era il caso della confederazione delle prime
tredici colonie americane, il cui problema di fondo era appunto costituito dalla non
subordinazione dei singoli Stati all’Unione da essi creata e anzi dalla dipendenza degli
organi centrali dal potere dei primi, come si rivelò soprattutto in seguito alla Guerra
d’Indipendenza
3
. Nella confederazione gli Stati sovrani sono i veri arbitri della
situazione e una soluzione di questo tipo fu sostenuta anche nell’Europa comunitaria da
de Gaulle con la sua Europa degli Stati
4
. Ben diverso è invece l’assetto della
Federazione di Stati
5
. Lo Stato federale detiene infatti in se i tre fondamentali poteri:
legislativo, esecutivo e giudiziario
6
ma lascia agli Stati nazionali un insieme di
competenze al loro interno. In questo modo la federazione è sia una forma di Stato che
una forma di organizzazione internazionale
7
. In particolare essa avoca a se il monopolio
della forza militare, eliminando le frontiere militari tra i membri
8
e rendendoli più forti
poiché uniti, e la generale gestione economica e monetaria, che moltiplica le piccole
2
In specie sulla base degli scritti di A. HAMILTON, coautore insieme a MADISON e JAY di ‘The Federalist’,
(tradotto in italiano con ‘Il Federalista’, Pisa, 1955), in cui si analizzano appunto i problemi costituzionali che
l’America dovette risolvere nel 1787-1788
3
Vedi A. HAMILTON, Lo Stato Federale (raccolta di scritti), Bologna, 1987, p. 61 ss.
4
“ L’ ho già detto e lo ripeto che al momento attuale non vi può essere altra Europa che quella degli Stati, al di fuori
naturalmente dei miti, delle finzioni, delle parate. Ciò che succede per la Comunità economica europea conferma questa
verità ogni giorno, perché sono gli Stati e gli Stati soltanto che hanno creato questa Comunità economica, che l’ hanno
fornita di crediti, che l’ hanno dotata di funzionari. E sono gli Stati che le danno una realtà, ed una efficienza, tanto più
che non si può adottare alcuna misura economica importante senza compiere un atto politico” C. DE GAULLE,
Conferenza stampa del 15.5.1962, in M. BASTIANETTO e R. ZAMPILLONI, La società europea, Milano, 1966,
volume V, p. 319
5
Per una cui analisi dettagliata ed in chiave evolutiva si veda M. ALBERTINI, Il federalismo e lo Stato federale-
Antologia e definizione, Milano, 1963, pp. 22.205
6
Che nel sistema americano si identificano rispettivamente con la Camera dei rappresentanti e del Senato, col
Presidente dell’Unione, con la Corte Suprema.
7
Come sottolineato da L. LEVI, nella sua introduzione ad HAMILTON, Lo Stato Federale, cit., p. 10 ss.
8
Poiché sottrae loro il potere di fare la guerra e trasforma i rapporti di forza in rapporti giuridici, in LEVI, ivi, p. 15
dimensioni economiche degli Stati. Cosa altrettanto importante, viene conciliata la
libertà politica tipica delle piccole entità statali, che permettono un controllo più diretto
da parte del popolo, con la suesposta forza complessiva del sistema. Nel caso americano
si è poi verificato, a partire dalle due guerre mondiali, un processo di accentramento del
potere che ha spostato l’ago della bilancia a favore del governo federale, forse in riposta
all’evoluzione della c.d. società federale
9
. Gli Stati Uniti d’America sono serviti e
servono come modello federale l’Europa
10
, che comunque è ancora lontana dall’essere
una federazione. Semmai essa può essere inquadrata nell’ultimo tipo di unione politica
che intendiamo esaminare, vale a dire l’Organizzazione sovranazionale di Stati
11
.
Quest’ultima si accosta in qualche modo alla confederazione, nel senso della messa in
comune di determinate materie e per la ritenzione di una rilevante quota di sovranità da
parte degli Stati. Rispetto alla confederazione essa differisce però per il tipo di materie
comuni, che sono di solito quelle economico-sociali e non quelle difensive, e soprattutto
per la presenza di un apparato istituzionale e normativo più elaborato che ha come ultimi
destinatari i cittadini degli stessi Stati. L’organizzazione sovranazionale o Unione
sovranazionale di Stati, che si colloca a metà strada tra Confederazione e Federazione, ha
come suo esempio più eminente proprio la CEE di cui si parlerà nel seguito. Le ragioni
per cui si sviluppa una unione sovranazionale sono le stesse per le quali nasce una
federazione: la necessità di sfruttare le grandi dimensioni per vantaggi economici e
politici per tutti gli Stati membri. In effetti oggi gli Stati continentali sono più adatti ad
affrontare le sfide globali di natura economica, politica, ambientale, demografica ecc.
che non i piccoli Stati nazionali
12
. Sul perché l’Europa non sia a tutt’oggi diventata una
federazione come gli Stati Uniti gravano naturalmente importantissime ragioni storiche
ma non è detto che ciò non accada e, anzi, i progressi raggiunti dopo quasi cinquanta
9
M. ALBERTINI, Il federalismo. Antologia e definizione, Bologna, 1979, pp. 62-70
10
Si veda a questo riguardo il contributo di A. SPINELLI, Il progetto europeo, Bologna, 1985, pp. 151-262. Gli Stati
Uniti non sono naturalmente l’unico esempio di Stato federale ma costituiscono il primo precedente storico insieme alla
Svizzera (che continua però a denominarsi Confederazione) e a cui poi seguirono, fra gli altri, Australia, Canada,
Germania, Russia (e prima ancora Unione Sovietica), India ecc.
11
Distinta dalle classica organizzazione internazionale. Per un compendio sull’organizzazione sovranazionale di Stati
in relazione alla CEE si veda ad es. G. BOGNETTI, Federalismo, Torino, 2001, pp. 68 ss.
12
Esigenza che veniva avvertita in modo sempre più pressante anche nell’Europa comunitaria. Si veda ad esempio M.
BASTIANETTO, Gli Stati Uniti d’Europa – soluzione federale e vecchi Stati sovrani-, Firenze, 1973, p. 7 ss. L’autore
sottolinea anche come l’unione tra Stati non porti e non debba portare ad una unificazione delle culture, che hanno
invece origini più antiche degli stessi Stati nazionali.
anni dalla nascita della CEE conducono nella direzione federale
13
. D'altronde ben prima
della nascita delle Comunità, tra le due guerre mondiali, vi erano state in Europa delle
proposte che si ispiravano direttamente al federalismo americano, svizzero e tedesco,
basti citare la proposta di costituzione dell’Unione paneuropea o la proposta (più
misurata) di costituire un’Unione europea nell’ambito della Società delle Nazioni
14
. Nel
secondo dopoguerra la proposta degli Stati Uniti d’Europa venne avanzata dallo stesso
Churchill
15
ma ciò che si realizzò concretamente fu una serie di organizzazioni
internazionali aventi come membri gli Stati europei e, in molti casi, gli Stati Uniti. Tali
organizzazioni si possono dividere in tre tipi
16
:
-Organizzazioni Europeo-Atlantiche, tra di esse figurano l’OECE (avente il compito
primario di coordinare il Piano Marshall), la NATO, l’UEO:
-Organizzazioni a vocazione generale, e per questo tipicamente intergovernative, come il
Consiglio d’Europa, che comunque ha assunto un ruolo importante nella promozione
dell’identità culturale e giuridica europea;
-Organizzazioni economiche sovranazionali, a cui appartengono la CECA, la CEE e
l’EURATOM, e aventi come caratteristica portante quella di essere più indipendenti
dagli Stati in rapporto ai primi due tipi di organizzazioni e di influire direttamente sui
cittadini di questi.
In quest’ultima prospettiva s’inserisce appunto la prima iniziativa fondamentale per una
futura Unione politica europea: è la nascita della CECA avvenuta nel 1951 a dare un
avvio pragmatico ad un piano di più ampio respiro accennato da Schuman nella sua
dichiarazione del 9 maggio 1950.
13
Come verrà esposto lungo tutto il corso del presente testo. Per una recente disamina in chiave federale della
costruzione europea si veda M. BURGESS, Federalism and European Union: The building of Europe, 1950-2000,
London, 2000
14
Rispettivamente, ad opera del conte austriaco Coudenhove Kalergi nel 1923 e del ministro degli esteri francese
Aristide Briand , col sostegno dell’omologo tedesco Streseman, il 5 settembre 1929 alla sede della SDN a Ginevra.
Sono molti gli autori che si rifanno a tali primi accenni di Unione europea, fra essi si veda ad esempio M.J. DEDMAN,
The origins and development of the European Union 1945-95, London, 1996, p. 18, pur precisando come l’autore non
valuti l’Europa Comunitaria come accostabile ad un progetto federativo, p. 131
15
Non nei termini immediatamente federali di cui si diceva prima ma in modo graduale, a partire dal Consiglio
d’Europa, ed avente come fulcro Francia e Germania, come poi fu per la CECA. Discorso tenuto a Zurigo nel
19.9.1946, in A. ALBONETTI, Preistoria degli Stati Uniti d’Europa, Milano, 1964, p. 61
16
Si veda al riguardo S. TESCAROLI, Diritto delle Comunità e dell’Unione europea, Padova, 2000, p. 178 ss.
1.1 La Dichiarazione Schuman quale ‘embrione’ di un’Europa
federale
Rileggendo la dichiarazione Schuman si capisce subito che il piano in essa contenuto fu
innanzitutto una reazione politica all’esigenza di ricostruzione post-bellica e a
scongiurare qualsiasi tipo di futuro conflitto tra gli Stati europei. Per capire la forte
valenza di questa iniziativa bisogna brevemente esaminare come essa si innestò nella
situazione geopolitica generale del dopoguerra.
Negli anni immediatamente successivi alla fine delle ostilità inizio ad inasprirsi il
rapporto tra le due nuove potenze mondiali, Stati Uniti e Unione Sovietica, e il nodo
della discordia era proprio costituito dall’assetto da dare alla Germania quale potenza
sconfitta e, più in generale, quale influenza relativa dovesse avere ogni superpotenza in
Europa
17
. Nel 1947 il fallimento della conferenza di Mosca proprio sulla questione
tedesca e la creazione nello stesso anno del Kominform quale coalizione mondiale dei
partiti comunisti cominciarono a creare quella divisione politica e ideologica est-ovest
18
perdurata fino all’inizio degli anni ‘90. Il restante susseguirsi degli eventi rafforzò questa
tendenza: il colpo di stato di Praga del 1948 assicurò il dominio comunista in
Cecoslovacchia e, sempre nel ’48, il blocco di Berlino divise di fatto la Germania in due
stati distinti; il 1949 registrò la firma del Patto Atlantico tra Stati Uniti e gli Stati
dell’Europa occidentale che ponevano in questo modo le basi della loro sicurezza
collettiva nei confronti di un’URSS confermatasi potenza nucleare al pari
dell’America
19
. La politica della guerra fredda era a tutti gli effetti cominciata.
Lo stesso clima di incertezza caratterizzava il dibattito sugli equilibri intra-europei: la
questione principale era se permettere una ricostruzione industriale della Germania, ora
Repubblica Federale Tedesca, riconoscendo nuovamente a quest’ultima la proprietà della
Saar e della Ruhr e dunque un potenziale recupero militare, vista l’importanza
metallurgica di questi due distretti. Da una parte stava la Francia che era piuttosto restia
alla ricostituzione di un forte stato tedesco per motivi di leadership economica e militare
17
Per maggiori riferimenti alla questione tedesca nel gioco di interrelazione tra le due superpotenze in Europa si veda
ad esempio E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, 1994
18
Si temeva addirittura una “bolscevizzazione” della Germania e dell’Europa da parte sovietica. In H. BRUGMANS,
Vingt ans d’Europe. Témoignages 1946-1966, Bruges 1996, p.17
19
Risale al settembre 1949 l’esplosione della prima atomica sovietica
e per la diffidenza diffusa nell’opinione pubblica dopo le recenti ferite della guerra;
dall’altra abbiamo gli Stati Uniti e, in parte, il Regno Unito i cui ambienti diplomatici
ritenevano per la maggiore necessario la reintegrazione della Germania nel suo ruolo di
motore economico del continente. Fu in questo contesto che fu chiesto al ministro degli
esteri francese Robert Schuman di elaborare una proposta per riportare la Repubblica
Federale Tedesca nell’alveo delle relazioni diplomatiche ed economiche europee. Nel
fare ciò Schuman fu supportato da una personalità che viene oggi unanimamente
considerata geniale: Jean Monnet.
Jean Monnet era un ‘tecnico’ che aveva acquisito una notevole esperienza internazionale
lavorando, fra l’altro, alla Società delle Nazioni e in campo bancario negli Stati Uniti, in
Cina e come responsabile del Piano di Modernizzazione francese sotto la presidenza De
Gaulle. Egli capì, come altri, che una Europa politicamente ed economicamente divisa
alimentava la competizione tra le Superpotenze ed era per questo necessario lanciare una
integrazione europea che fungesse da stabilizzatore per la pace del continente e, in ultima
istanza, mondiale. Già erano in corso dei tentativi di integrazione europea sia in campo
economico, vedi l’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (OECE)
fondata nel ‘48, che in un ambito più generale come il Consiglio d’Europa (1949) nel
suo ruolo di tutore dei valori e principi comuni europei. Entrambe queste organizzazioni,
pur nella grande portata dei loro intenti (si ricordi, a titolo di esempio, la Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo elaborata dal Consiglio d’Europa nel 1950), erano nella
pratica subordinate alle iniziative nazionali e presentavano dei meccanismi decisionali
esposti al veto di ogni singolo Stato. Tutto ciò scaturiva dalla scarsa fiducia reciproca
degli Stati europei e, d’altronde, le brutalità della guerra erano ancora ben presenti nella
memoria collettiva. A questo punto la grande intuizione di Jean Monnet fu quella di
capire che, se volevano essere raggiunti dei risultati concreti, bisognava iniziare
l’integrazione da un settore specifico a cui sarebbero dovuti essere aggiunti
successivamente altri settori o, se dir si voglia, quote di sovranità nazionali
20
. Era infatti
troppo presto per tentare una integrazione politica generale degli stati europei visti i forti
sentimenti nazionalisti. La chiave di volta sarebbe stata rappresentata dall’istituzione di
20
Secondo un metodo ‘funzionale’ per cui prima si crea una solidarietà in settori specifici e poi la si estende ad altri
settori. In questo senso: G. STROZZI, Diritto istituzionale dell’Unione Europea Dal trattato di Roma al trattato di
Amsterdam, Torino, 1998, p. 4
un meccanismo graduale e pragmatico
21
consistente nella messa in comune della
produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto la direzione di un’Alta Autorità
indipendente a questo preposta. Fu questo il contenuto sostanziale della Dichiarazione
Schuman pronunciata il 9 maggio 1950 al Quai d’Orsay previo assenso del cancelliere
tedesco Adenauer da Bonn.
Prima di analizzare le conseguenze più immediate scaturenti dal Piano Schuman, è
necessario ai fini di questo studio fare alcune considerazioni sulla portata politica della
Dichiarazione. All’inizio della stessa
22
vi è la constatazione primaria di come una Europa
unita sia fondamentale per lo sviluppo di relazioni pacifiche tra le nazioni e che
l’eliminazione della competizione storica tra Francia e Germania rappresenti un
presupposto primario per l’edificazione di una Unione europea; è da questo spirito
costruttivo che si evince come, concettualmente, un piano politico per l’Europa voleva
essere nuovo: non solo una salvaguardia dell’equilibrio degli interessi delle nazioni
europee ma la fusione di questi interessi per uno scopo più alto, appunto il bene
collettivo, “Cooperation between nations, while essential, cannot alone meet our
problem. What must be sought is a fusion of the interests of the European peoples and
not merely another effort to maintain the equilibrium of those interests …’
23
. Dunque il
punto di partenza per la costruzione dell’Europa fu il riconoscimento dell’uguaglianza
tra le nazioni europee. La Dichiarazione fissa poi altri principi fondamentali:
1. Non sarà un unico piano a guidare l’edificazione europea ma si avanzerà per
conseguimenti concreti in modo da creare una solidarietà di fatto tra le nazioni;
2. Il piano è innanzitutto diretto a stabilire un intesa tra Francia e Germania ma è
assolutamente aperto all’adesione di altri Stati europei;
3. Si agirà su un settore limitato ma decisivo: la produzione franco-tedesca di carbone
e acciaio sarà messa sotto la guida di un’Alta Autorità composta da personalità
indipendenti e le cui decisioni saranno vincolanti e applicabili sugli Stati Membri;
4. Tutto ciò contribuirà a migliorare la qualità della vita e a stabilire una Comunità
Europea.
21
Nell’originale inglese della Dichiarazione Schuman: “Europe will not be made all at once, or according to a single
plan. It will be built through concrete achievements which first create a de facto soli-darity.” Dichiarazione in P.
FONTAINE, A new idea for Europe, The Schuman declaration 1950-2000, Bruxelles, 2000, p. 36-37
22
Secondo capoverso
23
J. MONNET, Memoirs, London, 1976, citato da FONTAINE, ivi, p. 17
Estremamente importante ai nostri fini appare la precisazione che una unione economica
è il primo passo verso una federazione europea
24
.
1.2 La nascita della CECA e le sue implicazioni
Sulla base della suesposta Dichiarazione Schuman, che conteneva nel suo breve seguito
le direttive fondamentali per l’attuazione delle produzioni comuni e le rispettive garanzie
per il buon funzionamento delle stesse, fu convocata per il 20 giugno 1950 una
Conferenza Intergovernativa (presieduta dallo stesso Jean Monnet) a cui presero parte,
oltre a Francia e Germania, anche i paesi del Benelux e l’Italia.
Il mandato politico per i negoziati era chiaro: costituire una organizzazione
internazionale nuova che superasse gli usuali procedimenti intergovernativi, una struttura
quindi che non richiedesse l’unanimità nelle decisioni, specialmente in quelle di natura
finanziaria, e il cui esecutivo non fosse composto da rappresentanti degli Stati Membri.
Queste caratteristiche peculiari furono di comune accordo attribuite all’Alta Autorità,
appunto l’esecutivo della Comunità Europea del carbone e dell’acciaio (CECA), la prima
delle Comunità Europee, il cui trattato fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951. Altri organi
della CECA erano il Consiglio dei Ministri, i cui rappresentanti degli Stati Membri
dovevano dare il loro assenso in certi casi, l’Assemblea parlamentare e la Corte di
Giustizia. Appare evidente che la suddetta struttura istituzionale è praticamente la stessa
dell’attuale Comunità Europea con la denominazione di Commissione Europea in luogo
di Alta Autorità.
La CECA assume rilevanza in questa dissertazione sull’Unione politica proprio come
prima organizzazione costituita dagli elementi di sovranazionalità e dalle istituzioni della
successiva Europa comunitaria. Essa condensa una visione politica che era quella dei
padri fondatori e che assume preminente rilevanza tutt’oggi nel dibattito sull’ulteriore
sviluppo dell’Unione Europea; nel preambolo del Trattato di Parigi si legge: “.. to create,
by establishing an economic community, the basis for a broader and deeper community
24
“By pooling basic production and by instituting a new High Authority, whose decisions will bind France, Germany
and other member countries, this proposal will lead to the realisation of the first concrete foundation of a European
federation indispensable to the preservation of peace”. Dichiarazione Schuman in FONTAINE, A new idea, cit., p. 36
among peoples long divided by bloody conflicts; and to lay the foundations for
institutions which will give direction to a destiny henceforward shared”.
Mentre il mercato europeo del carbone e dell’acciaio ha oggi minore rilevanza rispetto
agli anni 50, i principi istituzionali sanciti dal piano Schuman e applicati nella CECA
appaiono di grande attualità e iniziarono un nuovo corso nelle relazioni internazionali,
almeno in ambito intraeuropeo. Questi principi si sintetizzavano:
- nell’applicazione dell’equità, dell’arbitrato e della conciliazione tra Stati europei;
- nell’indipendenza delle Istituzioni comunitarie;
- nel particolare meccanismo di decision making
25
.
Basti ricordare, per quanto attiene al secondo principio, che su quella base funziona
oggi la Commissione Europea, dal momento che i componenti di quest’ultima non
sono rappresentanti delegati degli Stati ma organo collegiale indipendente; Ancora,
è fondamentale il sistema della risorse proprie della Comunità, anche questo
ereditato dalla CECA, che consente una certa indipendenza finanziaria
dell’organizzazione.
Nel meccanismo decisionale era, ed è tuttora, centrale la cooperazione tra le
Istituzioni. L’impianto decisionale della CECA aveva un funzionamento che si può
definire pre-federale:
- l’Alta Autorità, come la Commissione, deteneva il monopolio dell’iniziativa
legislativa e questo assicurava il mantenimento degli interessi comunitari, vista la
collegialità delle sue proposte;
- La creazione del Consiglio dei Ministri fu resa necessaria dall’esigenza di non
limitare il campo d’azione della prima Comunità, appunto la CECA, a obiettivi
troppo tecnici: essa avrebbe dovuto intraprendere piani d’azione inerenti anche la
politica macroeconomica e, essendo quest’ultima di competenza nazionale,
necessitava un organo che esprimesse gli interessi degli Stati. Questi ultimi,
comunque, non prevaricavano gli interessi generali della Comunità in quanto
l’assenso del Consiglio era previsto solo in casi specifici e le sue decisioni erano
prese a maggioranza, per cui nessuna unanimità e nessun veto erano possibili;
25
Cfr. FONTAINE, A new idea, cit., p. 18 ss.
- A completare infine il bilanciamento istituzionale c’era la previsione della
responsabilità dell’Alta Autorità di fronte all’assemblea legislativa, la quale poteva
emettere una mozione di censura a maggioranza qualificata nei confronti della
prima.
Tutti i suddetti paralleli tra il funzionamento della CECA e l’attuale sistema
istituzionale della Comunità Europea stanno a sottolineare quanto quella struttura
pre-federale abbia permeato il successivo sviluppo comunitario, di cui in
precedenza si sono rimarcate le portanti implicazioni politiche soprattutto come
primo passo verso una generale Unione europea.
2. Progetti di cooperazione politica in Europa
Se la CECA fu indubbiamente un grande successo, ad essa seguirono molto presto altri
progetti miranti ad una crescente coesione politica-economica-sociale in Europa. Alcuni
di questi progetti ebbero come base e ispirazione la CECA stessa e, come vedremo tra
breve, portarono alla formazione di altre 2 Comunità Europee, mentre non mancavano
iniziative in cui l’impostazione politica era di gran lunga preminente rispetto a quella
economica.
2.1 Definizione degli elementi distintivi della cooperazione ed Unione
Politica
A questo punto la domanda che possiamo porci è: cosa si intende veramente per
impostazione politica? Rispondiamo dicendo che essa è, essenzialmente, guidare lo
sviluppo convergente degli Stati europei sulla base di progetti e piani predefiniti, per
esempio instaurare una integrazione sempre più stretta, che siano comprensivi di larghi
ambiti di sovranità statale e ancorare questo sviluppo a elementi fortemente
caratterizzanti l’identità degli Stati, i quali intendono dunque mettere in comune questa
identità. Passando all’identificazione di tali elementi caratterizzanti, si può affermare che
essi sono innanzitutto:
-politica estera e di sicurezza (esterna), intendendo con ‘politica estera’ tutte le
relazioni esterne di natura non strettamente commerciale riflettenti gli interessi
strategici dello Stato o dell’Unione di Stati e, con ‘sicurezza’, la capacità di difesa
fisica ed esterna nei confronti di outsiders, quasi come elemento legato alla stessa
sopravvivenza dell’entità statale o federale. Si può capire che i due concetti di
‘politica estera’ e di ‘sicurezza’ sono fortemente interrelati e complementari fra di
loro;