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ripiegamento su se stessi attraverso due modalità il diario
e l’autobiografia.
La narrazione è inoltre desiderio in quanto ognuno di noi
si sa narrabile e desiderare il racconto sotto forma di
storia conferisce identità: conoscere la propria storia
sentendola raccontare da un altro corrisponde al desiderio
che si cela nella domanda “e, dunque chi sono?”
Infine l’esperienza del raccontare intesa non come attività
meccanica riferita all’atto del raccontare, ma coincidente
con il raccontarsi agendo sul proprio vissuto.
Conseguentemente raccontarsi diviene modalità che
favorisce la propria crescita.
Il racconto diventa momento di superamento e liberazione
da un passato rispetto al quale il soggetto ormai procede
oltre.
Tuttavia l’approccio biografico, sia nel suo sviluppo sia
nella specificità del metodo (capitolo due) pone il
problema dell’interazione tra intervistato e intervistatore.
Ecco così che il racconto biografico si trasforma da
resoconto di cronaca in azione sociale.
La produzione di materiale biografico presuppone uno
scambio dialogico, tra ricercatore e soggetto che ha
vissuto l’esperienza, che può essere definito intervista
narrativa.
Questo tipo di intervista punta sia alla raccolta di
informazioni sia alla ricerca di un significato.
Mantenendo, infatti, la presentazione della vicenda
autobiografica nelle parole del narratore, l’intervistatore
3
lo aiuta a identificare e a trasmettere il significato della
sua esistenza attraverso il racconto del suo percorso di
vita. Sia l’intervistato che l’intervistatore sono coinvolti
quindi in una ricerca di significato che trasforma
l’intervista in un processo attivo e collaborativo.
Come già premesso la narrazione si inserisce nel tessuto
della vita quotidiana e conseguentemente si impone una
riflessione sul significato di quotidiano (capitolo tre).
Il termine è da riferirsi all’insieme delle attività che
svolgiamo ogni giorno: attività di routine, banalità che
svolgiamo senza pensarci.
Dare per scontate le situazioni più ricorrenti corrisponde
a interpretarle facendo ricorso al senso comune.
Il senso comune è un insieme di regole, abitudini,
conoscenze che formano il substrato della nostra
esistenza. E’ ciò che sappiamo in relazione alle faccende
che sbrighiamo e ai ruoli che ricopriamo nella nostra
società.
Tuttavia il sapere di senso comune non è tutto il sapere
che gli uomini mettono in gioco nel corso della loro vita,
nemmeno nella dimensione quotidiana più ripetitiva.
Quello che si sa proviene in parte dalla cultura condivisa
e in parte è relativo alla singolarità della nostra biografia.
Nello scarto tra soggettività e ciò che appare ovvio si
situa l’esperienza.
Il sapere dell’esperienza non si esprime in formule ma in
figure, in racconti e in indicazioni che sottendono la
diffidenza nei confronti di ogni sapere consolidato.
4
Certamente ogni racconto biografico è singolare e
trascende la quotidianità, ma vi sono dei racconti che non
mirano a costruire l’impressione di padroneggiare la
realtà senza sforzo.
Se anche la narrazione comporta una sequenza di eventi
ed è dalla sequenza che dipende il significato, vi sono
tuttavia racconti che inizialmente sembrano solo intriganti
ma che alla fine risolvono in maniera imprevedibile,
rimandando a qualcosa che non può essere dato per
scontato.
E’ alla scoperta di tali racconti che ho dedicato la mia
ricerca (capitolo quarto). Gli eventi cercati non sono da
riferirsi ad accadimenti sconvolgenti come lutti o gravi
malattie ma fatti semplici che pur non rientrando in un
genere mystery restano inspiegabili.
La ricerca è partita con l’intervista alle persone che
frequento abitualmente e, in seguito, a persone incontrate
casualmente durante le vacanze estive, la pausa pranzo o
tramite passaparola per un totale di venti interviste
raccolte direttamente. Successivamente ho iscritto il mio
indirizzo di posta elettronica in mailing list di siti
internet appositamente dedicati alla raccolta di storie.
Tramite internet ho contattato trenta persone.
Fra tutte le persone intervistate (in maggioranza donne)
solo sette hanno voluto tradurre la mia richiesta di un
racconto di fatti circoscritti inspiegabili, il restante
numero pur avendo ben capito il genere di storia cercata
ha voluto comunque raccontare episodi legati a
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premonizioni o percorsi spirituali e nella maggioranza dei
casi ha fatto proprie leggende metropolitane.
I racconti selezionati (capitolo cinque) sono quelli che
rispecchiano la richiesta iniziale.
La narrazione e la scrittura dell’evento hanno permesso
grazie all’interazione in atto una sorta di funzione
“terapeutica”.
Se da un lato il vissuto, mediato culturalmente, piega il
racconto alla logica della quotidianità tentando di
ridurre la storia ad “un solo punto di vista”; dall’altro
proprio attraverso il racconto si mostra come oggetto di
scoperta, contribuendo così all’elaborazione
dell’esperienza.
La narrazione mostra due facce: nella singolarità di una
storia vediamo la nostra parzialità, nella moltiplicazione
delle storie possibili vediamo i nessi e i simboli in cui
siamo immersi.
Come ultimo dato ho lasciato spazio anche al “mio
racconto” frutto della relazione con gli intervistati.
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Cap. 1
La narrazione
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1.1 Narrazioni e pensiero narrativo
L’interesse per la narrazione può considerarsi legato alle
trasformazioni che a diversi livelli hanno riguardato la
nostra civiltà. Trasformazioni avvenute non solo in ambito
scientifico ma anche all’interno della nostra stessa
cultura.
L’interesse per la narrazione è stato anche favorito dallo
sviluppo degli studi sulle storie.
Non è facile dire in che cosa una storia consista e anche
in campo linguistico non si è ancora pervenuti ad una
definizione univoca.
Maria Chiara Levorato ha osservato che “come per la
definizione di ogni concetto aumentando i criteri
definienti diminuisce l’estensione della classe, anche in
questo campo le soluzioni avanzate oscillano tra due
estremi: dalla individuazione di poche regole molto
generali, alla individuazione di numerose regole
restrittive. Nel primo caso si corre il rischio di
precludersi la possibilità di distinguere tra narrative e
altri tipi di testo e nel secondo caso si corre il rischio
opposto e cioè di escludere dalla categoria delle narrative
certi testi che, pur non possedendo tutti i criteri previsti,
sarebbero invece riconosciuti da chiunque come delle vere
storie”.
(M.C. Levorato, 1988, p.43).
Forse la difficoltà risiede nel fatto che il concetto di
narrazione solleva problemi assai vasti: supera i confini
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del pensiero e del linguaggio per sovrapporsi alla vita
stessa.
La durata di una storia non consiste in una semplice
successione di fatti ma in un legame tra i fatti che hanno
tra loro somiglianze e differenze.
La narrazione, infatti, non è un semplice contenitore di
eventi ma ha una sua organizzazione interna – i legami tra
i fatti raccontati – La sequenza di eventi inoltre è tale in
quanto viene percepita e questo dipende dal punto di
vista di chi costruisce la storia o di chi la ascolta.
La narrazione si colloca a mezza strada tra forme orali
(conversazione, dialogo, comunicazione faccia a faccia) e
scritte (saggio scientifico, letterario, filosofico, storico).
Come rilevato da Andrea Smorti questi due aspetti sono
stati diversamente definiti : fabula o storia /sjuzhet o
discorso. Il primo di questi termini si riferisce alla
descrizione essenziale degli eventi della storia nel loro
naturale ordine di avvenimento, alla caratterizzazione di
base dei personaggi e dei loro ruoli. Il secondo denota
tutte quelle tecniche che l’autore usa per presentare la
storia e tutti gli artefici retorici da lui impiegati per
realizzare i propri scopi narrativi. L’intreccio tra questi
due aspetti della narrazione è stato particolarmente
studiato negli anni 70 da Labov nelle sue ricerche sulle
narrative orali della cultura nera di New York.
Le storie che le persone raccontano ad amici e conoscenti
hanno spesso inizio con una sorta di abstract nel quale il
parlante anticipa, in sintesi, cosa tratterà. Egli però non
lo anticipa mai del tutto, ma si limita soltanto ad
9
accennare i contenuti. L’abstract serve anche ad
interrompere lo scambio interattivo tra gli interlocutori, a
segnalare che il narratore intende iniziare a raccontare in
forma di monologo e che ciò di cui si parlerà può avere un
certo interesse per l’ascoltatore. A questa fase segue
l’orientamento. In essa vengono forniti elementi di base
per orientarsi nel racconto: chi è il protagonista della
storia, quando essa accade e dove. L’importanza
dell’orientamento consiste oltre che nel fornire i
parametri indispensabili alla comprensione, nell’uso
strategico di queste informazioni. Alcune di esse
potrebbero essere fornite solo alla fine per creare
sorpresa. Il narratore vuole cercare di riprodurre nei suoi
ascoltatori lo stesso effetto che l’evento ha prodotto su di
lui e pertanto può manipolare ad arte la sequenza
narrativa in modo da adattarla all’esperienza reale
vissuta. Fino a quel momento il racconto non ha portato
nessun contenuto di vero interesse in sé e per sé, a meno
che il narratore non abbia saputo creare uno stato di
suspense e di attesa. Ma ecco che egli introduce il “nucleo
necessario” come lo ha chiamato Labov, la fase della
complicazione. “E allora cosa è accaduto?” sembrano
chiedersi gli ascoltatori. Qual è l’evento che meritava di
essere raccontato?. La complicazione è ciò che viene a
creare disordine e squilibrio nella situazione iniziale. E’
il problema che deve essere risolto e che muove all’azione
il protagonista del racconto.
Alla complicazione segue poi la risoluzione del problema
ed eventualmente una “coda” a chiudere la storia che
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riporta il narratore e l’ascoltatore nel presente, nella
stessa situazione nella quale erano all’inizio.
Tuttavia la raccontabilità di una storia non consiste
semplicemente nel dire che cosa è accaduto ma nel
dimostrare che meritava di essere raccontata. La
complicazione, l’orientamento, l’introduzione il finale
devono essere presentati in modo da suscitare l’effetto
desiderato. È infatti qui che entra in gioco il fattore
valutazione: tutti quei mezzi che il narratore usa per
indicare il punto della narrazione: perché la storia è stata
raccontata e cosa il narratore si prefigge di realizzare.
(Labov in Andra Smorti, 1994).
Bisogna aggiungere che la storia non è sempre e solo un
testo monologato spesso assume un aspetto più dialogato.
In questi casi essa diviene il frutto di un processo
collaborativo.
In un gruppo di amici infatti le storie possono intrecciarsi
fra loro in modo che la “coda” di una serva come spunto
perché un altro dia inizio all’abstract di una storia
analoga. Lo stesso episodio cominciato a raccontare dal
narratore può diventare ben presto una “storia diffusa”
nella quale la narrazione viene ciclicamente interrotta
dagli ascoltatori che commentano, aggiungono particolari,
rielaborando e ampliando così il racconto. In questo modo
prende vita un processo ricco di aspetti cooperativi ma
anche competitivi. Questi consistono nel voler introdurre
nel flusso comunicativo il proprio contributo o nell’essere
in disaccordo circa il significato da assegnare ad un
episodio importante.
11
L’iniziale contenuto del racconto conseguentemente può
perdere di interesse e la narrazione si trasforma in una
sorta di discussione generale.
Come sottolinea Smorti è evidente quindi che la
narrazione presenta due livelli tra loro articolati: uno
rappresentato dal testo narrativo nei suoi aspetti più
propriamente strutturali che assolve ad una funzione di
ricapitolazione dell’esperienza, ed uno più chiaramente
relazionale e legato al contesto. Secondo il primo livello
la storia appare come un processo trasformativo dotato di
una sua organizzazione ma non assomiglia ad un “lungo
fiume tranquillo” che scorre placidamente, gli eventi non
si susseguono in modo regolare e costante e la storia pare
una continua alternanza di fasi di relativo equilibrio, in
cui le cose vanno regolarmente, e di altre di squilibrio e
di rottura improvvisa di una sequenza all’apparenza
consolidata.
Con il secondo livello la narrazione, quella orale in
particolare, tende ad attivare nell’uditorio una
determinata reazione. Qui il problema principale sembra
consistere nella raccontabilità della storia. E’ proprio
perché la narrazione è un processo fortemente radicato
nella relazionalità che la decisione di raccontare una
storia dipende da molti fattori: la somiglianza tra
narratore ed ascoltatore, la presenza di amici tra gli
ascoltatori, la vicinanza temporale degli eventi….
Il narrante deve valutare la possibilità di articolare il
punto centrale della storia e persuadere l’audience della
raccontabilità di essa.
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In questo secondo livello la narrazione assomiglia molto
ad una rappresentazione teatrale, che si decide di mettere
in scena, ma che è necessario preparare adeguatamente
tenendo conto del tipo di spettatori, degli attori e del
copione. (Andrea Smorti,1994)
Nelle storie convergono processi psicologici diversi. Con
la storia emergono sentimenti di empatia per i personaggi
del racconto e questo processo di identificazione con le
vicende narrate chiama in gioco il mondo emotivo della
persona. Inoltre come prodotto di una cultura essa
costituisce fonte di conoscenza, di trasmissione educativa
e di valori. I testi narrativi sono tra le esperienze più
precoci e frequenti nella vita di una persona ed entrano
nel quotidiano come discorsi, aneddoti, autobiografie.
Bruner ritiene che noi organizziamo la nostra esperienza e
il nostro ricordo degli avvenimenti umani principalmente
sotto forma di racconti – storie, giustificazioni, miti,
ragioni per fare o non fare ecc. Il racconto è una forma
convenzionale trasmessa culturalmente e legata al livello
di padronanza di ciascun individuo e al repertorio di
informazioni nonché alla rete di amici, colleghi e mentori
su cui fa affidamento per aiuto e consiglio.
Diversamente dalle costruzioni generate da procedure
scientifiche che possono essere eliminate per
falsificazione, le costruzioni narrative possono
raggiungere solo la “verosimiglianza”. I racconti secondo
l’autore sono dunque una versione della realtà la cui
accettabilità è governata dalla convenzione e dalla
“necessità narrativa” anziché da una verifica empirica e
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dalla correttezza logica e ciò anche se noi non ci facciamo
scrupolo di qualificare i racconti come veri o falsi.
Bruner ha recentemente cercato di elaborare una sintesi
delle proprietà principali delle narrazioni:
- Sequenzialità: nella narrazione gli eventi sono disposti
in un processo temporale ed hanno una durata.
Naturalmente questa durata non è solo anticipativa ma
anche retroattiva. Il movimento temporale può
comportare soste, salti improvvisi avanti e indietro ma
ciò implica comunque una durata temporale.
- Particolarità e concretezza: la narrazione tratta
essenzialmente di avvenimenti e di questioni specifiche
riguardanti le persone. Ciò non significa che in una
narrazione non si affrontino tematiche generali, non
vengano descritte abitudini e costumi di intere
categorie di individui ma sono le persone a fungere da
soggetti della trama narrativa.
- Intenzionalità: questa caratteristica è connessa alla
precedente si riferisce al fatto che la narrazione
riguarda eventi umani. I soggetti principali compiono
delle azioni, sono mossi da scopi ed ideali, posseggono
delle opinioni, provano stati d’animo.
- Componibilità ermeneutica: gli eventi che compongono
una storia possono essere compresi unicamente in
rapporto al più generale contesto che li contiene.
L’interdipendenza parte-tutto determina una circolarità
che rende inadeguato qualsiasi strumento di analisi
unicamente basato sulla logica. Questa circolarità non
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attiene solo al testo della storia ma anche al suo
contesto. La narrazione infatti è sempre prodotta a
partire da un punto di vista del narrante ma è recepita
in base al punto di vista dell’ascoltatore. Il significato
quindi non dipende solo dai segni e dalla loro
organizzazione ma anche dalla rappresentazione che gli
interlocutori hanno del mondo che media la relazione
segno-referente. Questa rappresentazione è legata al
linguaggio e al sistema simbolico-culturale nel quale
una persona vive.
- Canonicità e violazione: nella narrazione vi è una fase
nella quale le cose si svolgono secondo le attese
(dimensione canonica della narrazione). Ad un certo
punto compare una rottura di questa normalità, avviene
un imprevisto che crea una situazione di squilibrio
facendo così deviare il corso delle azioni. La
narrazione affronta quindi contemporaneamente la
canonicità e l’eccezionalità.
- Referenzialità: l’accettabilità di un testo non può
dipendere dal fatto che esso riproduca fedelmente la
realtà e quindi nella narrativa il realismo è da
considerarsi convenzione più che referenza. Il valore
della realtà esterna è sospeso. Ciò rende la storia
suscettibile di interpretazione sia nella sua costruzione
che nella sua comprensione. La rappresentazione ha
valore non in quanto si riferisce ad un evento o ad un
oggetto definito e concretamente esistente, ma in
quanto rappresentazione. Anche se la narrazione parla
di persone individuali e specifiche non è tanto in
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questione il problema della loro esistenza, quanto
quello del loro essere “personaggi” ed esse devono
essere lette in quanto tali. Pertanto in una narrazione
non si può parlare di verità o falsità, di realismo o di
immaginario, ma solo di verosimiglianza e questa è
determinata dalla coerenza del racconto. Ciò non
significa che lo spettatore di una rappresentazione o il
lettore di un romanzo sia neutrale di fronte alla
narrazione in quanto essa non ha valore di realtà. Si
conosce infatti bene come l’arte sia in grado di
produrre profondi cambiamenti nei sentimenti e nei
pensieri delle persone proprio perché sono portate a
“credere” nella realtà che viene rappresentata.
- Appartenenza a un genere: se anche particolare e
concreta la narrazione può essere inserita in un suo
genere o tipo. Come in campo letterario ci sono diversi
tipi di racconto tragedie, farse commedie è possibile
pensare a generi analoghi per le narrazioni che
costruiamo nella vita quotidiana. Il genere è riferito
alle due dimensioni fabula e sjuzhet / situazione e
modo di raccontare. Uno stesso intreccio può essere
narrato in modi diversi, utilizzando ad esempio la
modalità dell’azione o quella più intima del romanzo
interiore.
- Normatività: una narrazione ben formata è composta
da: attore azione, scopo, scena, strumento. Fino a che
questi elementi sono in equilibrio tra loro, la
narrazione procede in modo canonico.