L’intervento mediatorio dell’Italia a Sharm El Sheikh (1982 - oggi)
a. il quadro per la conclusione di un trattato di pace tra Egitto e Israele
Allo scopo di raggiungere, dopo lungo tempo, una definitiva pace tra di essi, Israele ed
Egitto convennero di concludere, entro tre mesi dalla firma di questo accordo-quadro, un
trattato di pace. In tale quadro, comunque, il collegamento con le Nazioni Unite fu
sempre ribadito: sia dal punto di vista del sito dei negoziati, sotto bandiera delle Nazioni
Unite, in luoghi reciprocamente accettati; sia per ciò che concerne i principi della
Risoluzione 242 delle stesse Nazioni Unite: fu, infatti, prevista la loro diretta applicabilità
in questa soluzione della disputa tra Egitto e Israele. Queste due Nazioni si accordarono,
inoltre, su un particolare molto interessante ai fini della nostra ricerca: lo stazionamento
di forze militari all'interno del proprio territorio con modalità e sistemazioni che saranno
specificate di seguito.
b. lo stazionamento di forze armate
Nell'ambito del quadro per la conclusione di un trattato di pace fra di essi, Egitto e
Israele convennero che, in un'area di approssimativamente 50 chilometri ad est del Golfo
e del Canale di Suez, avrebbe stazionato non più di una Divisione (meccanizzata o di
fanteria) di Forze Armate egiziane; invece, unicamente Forze delle Nazioni Unite e polizia
civile equipaggiate con armi leggere avrebbero stazionato a ridosso del confine
internazionale, entro un'area ad ovest del Golfo di Aqaba.
Spostiamoci, a questo punto, in territorio israeliano dove, nell'area entro tre chilometri
ad est del confine internazionale sarebbero state sistemate Forze Armate israeliane
limitate a non oltre quattro battaglioni di fanteria, con la presenza ulteriore di Osservatori
delle Nazioni Unite. I negoziati di pace sarebbero serviti per decidere l'esatta
demarcazione delle Aree sopracitate. Abbiamo dunque visto quale era, in sede di
accordo-quadro, l'ubicazione decisa per gli Osservatori ONU: concentriamo, ora, la nostra
attenzione sulla sistemazione stabilita per le Forze delle Nazioni Unite: esse avrebbero
stazionato in parte dell'area del Sinai che si estende entro circa 20 chilometri dal Mar
Mediterraneo e adiacente al confine internazionale; inoltre, cosa che ci interessa
particolarmente, anche nell'area di Sharm El Sheikh, con il compito di assicurare libertà
di passaggio attraverso gli Stretti di Tiran. Fu, infine, previsto che queste Forze non
sarebbero state rimosse fino a che un trasferimento non fosse stato approvato dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con voto unanime dei cinque membri
permanenti.
L'impegno di mantenere nel proprio territorio Forze delle Nazioni Unite era, dunque,
deferito interamente al Consiglio di Sicurezza: quest'ultimo, unico giudice, poteva
stabilire, in assoluta indipendenza, se prolungare oppure no la presenza delle proprie
Forze nei territori in questione.
c. le reazioni agli accordi di Camp David
Gli accordi di Camp David risultarono graditi ai Governi occidentali e, in special modo,
ai Nove Stati Membri della Comunità Europea, i cui Ministri degli Esteri il 19 settembre
emisero una dichiarazione nella quale si congratulavano con i leader di Egitto, Israele e
Stati Uniti per il raggiungimento degli stessi accordi, avendo essi espresso la speranza
che “il risultato della Conferenza di Camp David sarà un ulteriore grande passo sul
sentiero di una giusta, comprensiva e durevole pace”
1
.
Ma, se la posizione dell'Occidente era in larga parte favorevole alle risultanze di Camp
David, la stessa cosa non può dirsi per l'URSS: infatti l'agenzia di stampa sovietica TASS,
il 19 settembre, denunciò gli accordi come un “tradimento della causa Araba” e accusò il
Presidente Sadat di “completa resa davanti alle ambizioni espansionistiche
dell'aggressore israeliano”
2
.
1
Keesing's Contemporary Archives (1979), p. 29658.
2
ibidem
L’intervento mediatorio dell’Italia a Sharm El Sheikh (1982 - oggi)
Come in Unione Sovietica, così nel mondo arabo le reazioni agli accordi di Camp David
mostrarono come tutti gli Stati arabi e l'OLP condannavano gli stessi accordi, tranne il
Sudan, il Marocco e l'Oman. Insomma, com’è evidente, tali intese erano rifiutate persino
dai regimi moderati di Giordania ed Arabia Saudita, nonostante le visite del Ministro degli
Esteri Vance ad Amman ed a Riyad tra il 20 e il 22 settembre avessero cercato di creare
ulteriore supporto agli Accordi.
Per quello che concerne, in particolare, le reazioni della Siria, il suo Presidente Assad
propose, il 20 settembre, la costituzione di un “fronte del rifiuto” a Damasco. Il 24
settembre, alla conclusione dell'incontro, fu emesso un comunicato che registrò una
durissima presa di posizione dei partecipanti: da quel momento in poi sarebbero stati
stabiliti una politica e un comando militare unificati al fine di resistere alla linea di
condotta del Presidente Sadat; in più, la ricerca di più vicine relazioni con l'Unione
Sovietica, allo scopo di contrastare l'influenza degli Stati Uniti nel Medio Oriente;
l'istituzione, infine, di un completo boicottaggio economico dell'Egitto, così come di ogni
altro legame politico e culturale.
Ma la necessità di stabilire un’intesa sempre più forte con l'URSS portò, il 5 e 6
ottobre, il Presidente Assad a visitare Mosca: all'ordine del giorno vi erano colloqui con il
Presidente Breznev ed altri leader sovietici. Alla conclusione di tali incontri fu emesso un
comunicato congiunto che rigettava gli accordi di Camp David e chiedeva la
riconvocazione della Conferenza di Pace di Ginevra sul Medio Oriente, oltre a registrare
che “rilevanti decisioni” erano state prese con l'intenzione di rafforzare “il potenziale
difensivo” della Siria. L'Unione Sovietica era, insomma, pronta ad appoggiare in
qualunque sede il cosiddetto “fronte del rifiuto”. Più avanti vedremo quale importanza
avrà avuto, in sede ONU, l'accordo dei Paesi arabi con l'URSS. Per il momento, tuttavia,
continuiamo ad esaminare altre reazioni ostili agli accordi-quadro di Camp David
manifestate da altri gruppi di Stati: a questo proposito, nel novembre 1978 - all'indomani
stesso degli accordi - gli Stati arabi, istigati dai tre principali Paesi che costituivano il
fronte del rifiuto (che erano, ricordiamolo, Ira, Siria e Libia) si riunirono a Baghdad nel
quadro della omonima conferenza ed adottarono un certo numero di sanzioni nei
confronti dell'Egitto, quali il richiamo degli ambasciatori, la soppressione dell'aiuto
economico, ecc.
Al gruppo degli Stati Arabi riuniti a Baghdad si unì persino l'Arabia Saudita, tuttavia
proprio la sua presenza favorì il linguaggio della moderazione e l'adozione di risoluzioni
meno radicali di quelle che si sarebbero potute attendere. Fin qui le reazioni
internazionali degli Stati. Occupiamoci, a questo punto, delle posizioni espresse dall'ONU
riguardo agli accordi di Camp David. Ebbene, si può distinguere tra le posizioni espresse
distintamente sia dal Consiglio di Sicurezza sia dall'Assemblea Generale. Queste ultime
sono assolutamente sprovviste d’ambiguità.
Durante la 33° sessione ordinaria che seguì gli Accordi di Camp David, l'Assemblea,
infatti, adottò il 7 dicembre 1978 (per 100 voti contro 4 e 33 astensioni) la risoluzione
33/29 a termini della quale stimò che “una sistemazione giusta e durevole del problema
del Medio Oriente deve essere fondata su una soluzione d'insieme, elaborata sotto gli
auspici delle Nazioni Unite”. Non solo: reclamava, inoltre, “la pronta convocazione della
Conferenza di Pace sul Medio Oriente, sotto gli auspici dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite e la copresidenza degli Stati Uniti e dell'URSS, con la partecipazione su un piede
d'uguaglianza di tutte le Parti interessate, ivi compresa l'Organizzazione della Liberazione
della Palestina”
3
.
Nella sessione seguente si notò un ulteriore irrigidimento della situazione, almeno
nella forma della condanna, la risoluzione che l'esprime essendo sostenuta, in questo
caso, da una maggioranza sensibilmente più limitata. Ci riferiamo, nella fattispecie, alla
risoluzione 34/65-B adottata il 29 novembre 1979 con 75 voti contro 33 e 37 astensioni:
con questo testo, l'Assemblea Generale condannava chiaramente gli accordi parziali e i
trattati separati, constatando con una palese inquietudine che gli accordi di Camp David
3
L. LUCCHINI, La force internationale du Sinai: le maintien de la paix sans l'O.n.u., in “Annuaire français de
droit international”, (1983), p. 125.
L’intervento mediatorio dell’Italia a Sharm El Sheikh (1982 - oggi)
erano stati conclusi fuori dal quadro delle Nazioni Unite e senza la partecipazione
dell'OLP. Di conseguenza, l'Assemblea non poteva che giudicare irricevibile la
sistemazione intervenuta tra Egitto e Israele, poiché‚ tale processo si situava, appunto,
fuori dal quadro delle Nazioni Unite, a causa del mancato invito dell'OLP e della non
globalità della pace conclusa. E sono proprio queste motivazioni, in special modo quella
relativa all’indivisibilità della Pace in Medio Oriente, che l'Assemblea riprenderà con
costanza nelle sue risoluzioni posteriori. Cosi la risoluzione 35/169-B del 15 dicembre
1980 che esprimeva l'opposizione dell'organo plenario a “ogni accordo bilaterale o trattati
firmati separatamente”. La risoluzione 36/226-A in data 17 dicembre 1981 affermava che
la pace “deve avere per base una soluzione globale, giusta e durevole sotto gli auspici
delle Nazioni Unite”. Allo stesso modo, ancora, la risoluzione 37/123-F “rigetta tutti gli
accordi parziali e i Trattati separati nella misura in cui violano i diritti riconosciuti del
popolo palestinese”
4
. Non bisogna, d'altronde, dimenticare che questo carattere globale
della pace (carattere che il Consiglio di Sicurezza, comunque, non menziona nella
risoluzione 242 del 1967, dove è fatto riferimento solamente ad “una pace giusta e
durevole”) costituiva, ugualmente, uno degli obiettivi essenziali degli accordi di Camp
David e del Trattato di Pace del 1979.
In questo si parla, infatti, della “ricerca di una pace integrale nella regione”, in quelli di
“un quadro suscettibile di costituire una base per la pace non solo tra Egitto e Israele, ma
anche tra Israele e tutti i suoi vicini pronti a negoziare su questa stessa base”. Risulta,
allora evidente, dopo questo breve sguardo alle maggiori risoluzioni sull'argomento, la
posizione di chiara condanna dell'Assemblea degli accordi israelo-egiziani.
Non è possibile dire la medesima cosa per ciò che concerne il Consiglio di Sicurezza: la
sua attitudine appare sicuramente meno chiara, non avendo noi potuto registrare alcuna
condanna formale e collettiva dei diversi strumenti giuridici intervenuti tra Israele ed
Egitto. Tuttavia, l’ostilità nei confronti di questi ultimi strumenti si espresse in modo
probabilmente obliquo, ma incontestabilmente decisivo. A seguito di consultazioni
condotte il 24 luglio 1979, senza che il loro svolgimento abbia dato luogo, peraltro, a
seduta ufficiale, il Consiglio decise di far cessare il giorno stesso il mandato della Forza
d'Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF II). Quest'ultima era stata creata con la ris.340
del 25 ottobre 1973 ed era inizialmente stata incaricata di separare, nel Sinai, le truppe
israeliane ed egiziane. Successivamente vide le sue funzioni sensibilmente allargate,
dovendo controllare le limitazioni di effettivi e di armamenti nelle zone determinate. Di
essa si sottolineò, inoltre, la riuscita nel compimento della propria missione. Il Segretario
Generale dell'ONU prese, dunque, nota della posizione del Consiglio mirante al non
rinnovo della Forza e indicò in una dichiarazione che il ritiro della UNEF II non avrebbe,
tuttavia, ostacolato la presenza di Osservatori dell'UNTSO (organismo delle Nazioni Unite
incaricato della sorveglianza della tregua in Palestina).
Insomma, il Consiglio non emetteva una risposta negativa all'invito che gli era fatto
dal Trattato di Pace del 1979 di costituire sotto la propria egida una forza di
mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Sinai. Ma il silenzio da esso stesso
mantenuto portò il rappresentante dell'Egitto alle Nazioni Unite a presentare una
domanda formale al fine di ottenere una risposta chiara. Il 18 maggio 1981, il Presidente
del Consiglio di Sicurezza doveva indicare che il Consiglio stesso non era in grado di
pervenire al “l'accordo necessario sulla proposta di stabilire le forze e osservatori delle
Nazioni Unite”
5
. Da allora, in mancanza della partecipazione del Consiglio di Sicurezza,
stava alle tre Parti in gioco (Stati Uniti, Israele ed Egitto) trovare una soluzione di
ripiego.
Affronteremo più estesamente quest'ultimo punto nel corso del prossimo capitolo.
4
L. LUCCHINI, La force internationale du Sinai, cit., p.126.
5
L. LUCCHINI, La force internationale du Sinai, cit., p.127.
L’intervento mediatorio dell’Italia a Sharm El Sheikh (1982 - oggi)
2. IL TRATTATO DI PACE TRA EGITTO E ISRAELE (1979) E LA RICHIESTA
ALL'ONU DI UNA FORZA MILITARE MULTINAZIONALE E DI OSSERVATORI
DI PACE
a. i negoziati sul trattato di pace israelo-egiziano
Il 12 ottobre 1978 si aprirono a Washington i negoziati sul testo di un formale trattato
di pace tra Israele ed Egitto. Le rispettive delegazioni erano guidate, in quel momento,
da Dayan e dal nuovo Ministro della Difesa egiziano Kamel Hassan Ali: insieme ad essi
era il Presidente Carter, che interveniva alla cerimonia di apertura. Benché fosse
annunciato che il 22 ottobre sarebbe stato raggiunto un accordo provvisorio sulla base
della prima stesura del testo sottoposto dal Governo degli Stati Uniti tuttavia,
successivamente, sorsero gravi difficoltà. Il risultato fu che la data obiettivo del 17
dicembre, fissata per la firma, non fu rispettata: tutto ciò, nonostante la cosiddetta
“diplomazia-navetta” che impegnò Vance tra Il Cairo e Gerusalemme, nel periodo tra il
10 e il 15 dicembre, alla ricerca di un accordo dell'ultimo minuto.
La ricerca di responsabilità per il blocco dei negoziati registrò il consueto gioco a
“scaricabarile” nel quale ogni parte incolpava l'altra e in particolare: gli egiziani
accusavano gli israeliani di mancanza di flessibilità e questi ultimi asserivano che i primi
avevano presentato nuove richieste non contemplate dagli accordi di Camp David.
Giova ricordare, a questo proposito, che il Parlamento israeliano, il 19 dicembre,
adottò con 66 voti, 6 contrari, 27 astenuti, una risoluzione proposta da Begin che
affermava che “l'atteggiamento degli Stati Uniti di addebitare ad Israele la responsabilità
dell'insuccesso della firma di un trattato di pace é unilaterale ed ingiusta e non
contribuisce al raggiungimento della pace”
6
. Precedentemente, il 15 dicembre, il Ministro
degli Esteri egiziano negò che l'Egitto aveva sottoposto nuove richieste ed asserì che il
suo atteggiamento era conforme “completamente nella lettera e nello spirito” agli
accordi-quadro di Camp David. La situazione era, dunque, di stallo completo e la
conseguenza più immediata fu che non si riuscì a rispettare la data del 17 dicembre,
scelta durante il vertice di Camp David, quale giorno limite per la firma del Trattato di
Pace.
Ma il dissidio, nonostante un ulteriore giro di diplomazia-navetta di Atherton jr.,
segretario di Stato assistente per gli affari del Medio Oriente e sud Asia, a fine gennaio,
non riuscì a comporsi, poiché‚ i Governi egiziano e israeliano rimanevano seriamente
divisi su certi importanti aspetti del Trattato.
Perché i negoziati diretti tra le due Parti potessero riprendere con un nuovo spirito, fu
necessario l'invito a Camp David del Segretario di Stato Usa Cyrus Vance per il 21
febbraio 1979; questa volta le delegazioni egiziana ed israeliana erano condotte
rispettivamente da Mustapha Khalil (Primo Ministro, nonché‚ Ministro degli Esteri) e da
Moshe Dayan (Ministro degli Esteri). Anche in questo caso si registrò un ennesimo
fallimento dei colloqui che terminarono il 25 febbraio con le posizioni delle Parti,
evidentemente, ancora molto distanti su svariati problemi. Giocata senza successo la
carta Vance, capo della Diplomazia americana, il Presidente Carter non aveva, a questo
punto, altra via d'uscita che proporre, questa volta in prima persona, la convocazione di
un’ulteriore conferenza a Camp David, con la speranza di poter riuscire laddove gli altri
avevano fallito. Due giorni più tardi, il 27 febbraio, fu annunciato che il solo Begin aveva
accettato un invito a tenere colloqui bilaterali con il Presidente Carter a Washington:
questi ebbero luogo tra il 2 e il 4 marzo con l'importante assenza dell'Egitto.
Ma, nonostante l'incontro fosse stato menomato dalla mancata presenza dei
rappresentanti di quest'ultimo Paese, esso non fu inutile, poiché il Presidente Carter
aveva ottenuto il risultato di far approvare, il 5 marzo, dalla Commissione Ministeriale per
6
Keesing's Contemporary Archives, cit., p.29660.
L’intervento mediatorio dell’Italia a Sharm El Sheikh (1982 - oggi)
gli affari della sicurezza israeliana, le proposte che egli aveva sottoposto a Begin. Oltre a
ciò, il Presidente Usa annunciò che avrebbe visitato Egitto e Israele entro la settimana,
nell'ambito di un personale tentativo volto a ricercare un accordo sui termini di un
trattato di pace.
Le prime due settimane di marzo del 1979 furono cruciali per Carter e Vance: ebbero,
infatti, due colloqui con Sadat al Cairo ed Alessandria e, di qui, volarono in Israele, dove,
ugualmente, ebbero luogo intense discussioni. Tuttavia, poiché‚ era stato largamente
riferito che il 12 marzo i colloqui statunitensi con i leader di Israele avevano fallito nel
risolvere i restanti punti morti, in una finale colazione di lavoro con Begin il 13 marzo,
Carter si assicurò un seppur provvisorio accordo israeliano alle proposte-compromesso
degli Stati Uniti, riguardo i problemi in sospeso: era l'unica via d'uscita per cercare di
sbloccare una situazione ormai divenuta insostenibile.
Dopo un ulteriore incontro con Sadat al Cairo il 13 marzo, Carter, con estrema
soddisfazione, annunciò che anche l'Egitto aveva accettato le proposte Usa e che aveva
informato Begin dell'accettazione egiziana. La situazione sembrava essersi, tutto d'un
colpo, risoltasi: è significativo, a tal proposito, registrare una dichiarazione che Carter
stesso rilasciò al ritorno negli Stati Uniti dal Cairo. Egli, infatti, affermò: “Sono convinto
che ora abbiamo definito tutti i maggiori ingredienti di un trattato di pace tra Egitto e
Israele (...) che rappresenterà la pietra angolare di una comprensiva sistemazione nel
Medio Oriente”
7
.
I problemi in sospeso di cui abbiamo parlato finora, risolti durante la visita in Medio
Oriente del Presidente Carter, concernevano non solo il trattato stesso, ma anche le
condizioni di accordo che avrebbero accompagnato l'intesa. La maggiore questione era,
per quanto ci riguarda, l'estensione dell'aggancio, il cosiddetto linkage, tra il trattato
israelo-egiziano e le clausole di Camp David concernenti la definitiva introduzione in esso
del problema della Cisgiordania e dei Palestinesi di Gaza. Su questo punto, tuttavia,
Israele oppose energica resistenza ai tentativi egiziani di far dipendere il definitivo
scambio di ambasciatori tra i due Paesi dai progressi dell'instaurazione di una “autorità di
autogoverno” palestinese; con Carter idealmente alle spalle di Israele su questo punto,
Sadat convenne definitivamente che lo scambio di ambasciatori avrebbe avuto luogo,
comunque, dieci mesi dopo la ratifica del trattato, senza riguardo allo stato dei negoziati
sul problema palestinese: in cambio, Israele accettò di affrettare la prima parte del suo
ritiro dal Sinai.
La bozza del trattato e i testi allegati furono approvati all’unanimità dal Consiglio dei
Ministri egiziano il 15 marzo. Quattro giorni più tardi gli stessi documenti furono
confermati dal Governo israeliano con 15 voti contro 2. Infine, dopo un dibattito di 30
ore, il Knesset approvò le prime stesure del trattato di pace il 22 marzo con 95 voti
contro 18 e 2 astensioni.
Dopo 5 mesi di febbrili trattative, dall'ottobre 1978 al marzo 1979, si giunse così alla
conclusione definitiva dei negoziati israelo-egiziani per la redazione di un trattato di pace
tra di essi. La tenacia del Presidente Carter nel voler riprendere in mano la situazione
quando questa pareva risolversi in un nulla di fatto, l'impegno costante di Egitto e Israele
nel voler ricercare, comunque, una qualche via che conducesse alla pace, consentirono,
pur tra mille difficoltà, di giungere alla fine di questo difficile tragitto e di porre le
premesse, questa volta definitive, per la firma dell'intesa di pace: l'ultratrentennale stato
di guerra tra i due Stati poteva dirsi, almeno sostanzialmente, concluso.
7
Keesing's Contemporary Archives, cit., p.29941.