preciso mestiere sia de-specializzato, è stata a lungo considerata
tradizionale, se non arretrata. Il profilo del lavoratore autonomo
rispondeva a tratti ascrittivi e, infatti, spesso il figlio seguiva lo
stesso destino lavorativo del padre. Inoltre, il lavoro autonomo
mostrava un carattere fortemente ‘familistico’ e conservativo, in
quanto veniva svolto nell’ambito della famiglia, o, al massimo,
del gruppo parentale, legati a un’economia di sussistenza. Alla
marginalità economica, si aggiungeva, poi, quella spaziale e,
infatti, i self-employed erano, per lo più, delocalizzati, ovvero
situati nelle campagne e nei piccoli centri urbani e perciò tagliati
fuori dai flussi produttivi delle grandi città.
La grande impresa fordista e la figura del moderno operaio
industriale hanno condotto a un vero e proprio «oscuramento
ideologico» nei confronti delle forme di lavoro non salariato, che
sono state disabilitate, in quanto appartenenti a un passato
preindustriale ormai superato (Mingione 1998). Durante l’apice
dell’espansione industriale, il self-employment veniva
considerato come attività lavorativa residuale o, al massimo,
come ‘ausiliaria’ dello sviluppo del settore secondario, con la
funzione di trattenere capacità lavorative non immediatamente
utilizzabili nei grandi complessi produttivi. Al contempo, il
lavoro salariato assumeva, invece, un carattere di modernità, di
progresso e veniva vissuto come forma di emancipazione dal
vincolante contesto familiare. Si affermava, così, un regime
lavorativo dualistico, con una netta separazione tra lavoro
dipendente e quello indipendente, tra progresso e conservazione.
Le recenti trasformazioni socio-economiche e produttive
modificano il consolidato regime di lavoro salariato,
introducendo al suo interno tratti non convenzionali e
conducendo alla riscoperta dei vantaggi e dei punti di forza del
lavoro autonomo. Il lavoro dipendente, infatti, viene reso più
flessibile, inserendo, nel suo ambito, elementi propri del lavoro
indipendente. Quest’ultimo, tuttavia, non gode di una propria
autonoma rilevanza, ma ‘vive di luce riflessa’, valorizzato
soltanto in quanto inglobato nelle logiche di atipicità lavorativa.
Quest’ultimo, dunque, sebbene non abbia inizio dopo l’età di
massima espansione industriale e si configuri come un’area
oscurata ritornata alla luce, tende a essere letto assumendo come
criterio di riferimento i caratteri tipici del lavoro fordista. Il self-
employment, infatti, assume come tratti peculiari proprio quelli
non rappresentati dal lavoro dipendente. Viene interpretato,
dunque, alla luce delle categorie odierne del rischio e della
precarizzazione. Inoltre, è considerato anche in chiave
‘espressiva’, in quanto lo si ritiene più idoneo, rispetto al lavoro
salariato etero-diretto, a offrire all’individuo una realizzazione
personale sul lavoro.
Alla luce di questo evolversi del contesto lavorativo, in cui i
confini tra lavoro dipendente e self-employment diventano
sempre più sfumati, all’interno di questa tesi si è maturata la
decisione di approfondire i tratti distintivi di quest’ultimo, allo
scopo di non considerarlo soltanto come un ‘sotto-prodotto’
dell’esaurirsi della vitalità del regime salariale e conferirgli,
invece, un’autentica dignità.
Il presente lavoro è articolato in cinque capitoli, strettamente
connessi, sebbene ognuno di essi costituisca corpo a sé stante e
possa essere letto singolarmente, senza presupporre
necessariamente la lettura dei capitoli che lo precedono. Al
tempo stesso, la successione sequenziale dei vari capitoli si
svolge in maniera logica e coerente, e ognuno di essi rappresenta
una tappa fondamentale nell’articolarsi della riflessione sul self-
employment. Inoltre, la tesi si sviluppa secondo un percorso
circolare, in quanto il quinto capitolo presuppone le tematiche
affrontate nel corso del primo e a questo si ricollega
strettamente.
In particolare, nei primi due capitoli si delinea la cornice
teorica di riferimento, mentre i successivi tre capitoli affrontano i
diversi aspetti che connotano il lavoro autonomo.
Il self-employment è, oggi, coinvolto nei processi di sviluppo
del settore dei servizi e conosce nuove possibilità di espansione
all’interno della nascente società della conoscenza post-
industriale, tecnologicamente avanzata, di cui sono presentati i
confini nel primo capitolo.
Il lavoro autonomo, come già accennato, è caricato degli
orientamenti valoriali che emergono nei confronti del lavoro e si
presenta, perciò, connesso a concetti quali autonomia,
autorealizzazione e imprenditorialità. Il secondo capitolo verte
proprio sulla dimensione ‘realizzativa’ del lavoro e sulla
domanda individuale di espressione della soggettività attraverso
l’attività lavorativa, che contribuisce, insieme alle altre, a
delineare molteplici biografie personali. A titolo esemplificativo,
si è descritta la condizione del «lavoro individuale»,
rappresentativa dell’assottigliarsi dei confini tra lavoro
dipendente e indipendente.
Nel terzo capitolo si sono analizzati i tratti peculiari del self-
employment, ne sono state individuate le diverse tipologie e
offerta una lettura in termini di stratificazione sociale,
distinguendo tra professionisti ‘forti’ e quelli ‘perdenti’. Viene
approfondito il ruolo svolto da variabili strutturali, quali l’età e il
genere e, accanto a una lettura qualitativa del fenomeno, ne è
presentata anche una quantitativa, a livello nazionale ed europeo.
Nel capitolo successivo sono state evidenziate le principali
risorse utilizzate dal lavoratore autonomo in termini di ‘capitale’
e, in particolare, vengono delineate le funzioni svolte dai capitali
sociale, umano ed economico, che, a una prima lettura, possono
essere fatti corrispondere rispettivamente alla rete di relazioni
sociali, al livello formale di istruzione e informale di
preparazione ‘acquisita sul campo’, alla disponibilità finanziaria.
Infine, nel quinto capitolo è presentata una lettura del self-
employment come imprenditorialità emergente e come vettore di
sviluppo socio-economico. Sono state analizzate le
specializzazioni professionali e individuate quelle aree del
terziario avanzato, afferenti, in buona misura, agli emergenti
settori della new economy e della net economy, che offrono ai
lavoratori autonomi concrete possibilità di valorizzazione. A
questo scopo, sono stati delineati i delineati i percorsi formativi
di interesse cruciale per i lavoratori autonomi, anche alla luce
delle più recenti trasformazioni che coinvolgono il sistema
d’istruzione formale.
Conclusioni
Nel corso di questo lavoro si è cercato di delineare il profilo
distintivo del self-employment e il ruolo da questi ricoperto
all’interno del contesto sociale e lavorativo attuale.
Il lavoro autonomo, infatti, muta profondamente la sua
fisionomia, in quanto è coinvolto dalle trasformazioni che
attraversano la ‘società del lavoro’. Questa, a sua volta, modifica
le sue caratteristiche fondamentali al mutare dei paradigmi
interpretativi della società nel suo complesso.
Per questi motivi, si è ritenuto necessario contribuire a
rompere l’isolamento in cui il lavoro autonomo è stato a lungo
relegato, considerato come una dimensione lavorativa a sé stante,
e cogliere le reciproche interdipendenze sussistenti tra self-
employment e le più ampie dinamiche sociali, economiche,
produttive e lavorative.
I paesi occidentali altamente ‘terziarizzati’ poggiano le loro
economie sull’elaborazione e sulla circolazione di informazioni e
conoscenze, finanziando la progettazione e la realizzazione di
moderne tecnologie, che sfruttano le logiche della
miniaturizzazione e le potenzialita di chip, semiconduttori e fibre
ottiche, per rendere i mercati finanziario e del lavoro sempre più
interconnessi in tempo reale.
Il concetto di dematerializzazione si pone come chiave
interpretativa per cogliere l’emergere di una ‘societa dei servizi’,
in cui non è più cruciale produrre beni concreti, in assenza di
ogni contatto tra produttore e consumatore, bensì veicolare e
mediare saperi e know-how nel rapporto diretto con il cliente-
consumatore.
All’interno di questa società del lavoro knowledge based e
labour intensive, diventano sempre meno necessari i supporti
materiali e i lavoratori sviluppano capacità cognitive e
relazionali, ‘maneggiano’ e producono informazioni, dati,
conoscenze, risultati di ricerche.
Queste dinamiche spiegano in buona misura la crescente
rilevanza conosciuta dal lavoro autonomo, anche in assenza di
significativi aumenti quantitativi della sua portata.
Tra tutti i paesi occidentali economicamente avanzati, l’Italia
è quello che presenta la percentuale più elevata di self-employed,
a fronte di una quota molto alta di disoccupati. Tassi consistenti
di forza-lavoro inattiva sono caratteristici dell’area europea e i
loro aumenti sono dovuti alle recenti ristrutturazioni produttive
dei complessi industriali di grandi dimensioni. Il lavoro
autonomo viene, allora, considerato come incentivo all’aumento
della popolazione attiva, ma, al tempo stesso, si presenta come
humus su cui innestare logiche di vera e propria
imprenditorialità.
Le economie europee assicurano il soddisfacimento dei
bisogni di sussistenza e consentono, perciò, l’emergere di
orientamenti antropologici che vertono sulla piena realizzazione
della propria soggettività. La cultura europea di matrice
individualistica conferisce grande rilevanza alle esigenze di
autorealizzazione. Il self personale si libera da valori assoluti e
da rigide obbligazioni morali per realizzarsi pienamente, in
risposta all’emergere di valori espressivi, quali l’affermazione di
sé, l’autorealizzazione, l’autonomia, l’autostima.
Queste esigenze di natura ‘realizzativa’ investono non
soltanto la sfera privata, ma anche quella pubblica e il lavoro
viene percepito come strumento di ‘costruzione di sé’ e di
sviluppo personale. In particolare, nel contesto lavorativo
italiano si afferma la figura del «lavoratore individuale», che
domanda autonomia e responsabilità nella gestione della propria
attività lavorativa e che ‘personalizza’ quest’ultima al punto tale
che essa diventa elemento indispensabile di definizione della
propria identità.
L’individuo ‘imprenditore di se stesso’ è in grado di articolare
l'attività lavorativa a livelli sempre più ridotti e micro-
imprenditoriali, offrendo se stesso e le sue competenze, il suo
expertise e il suo know how sul mercato.
Simili tendenze sono individuate da programmi europei di
rilevazione sociale, ripetuti a intervalli di tempo regolari, e tutti
riscontrano una netta preferenza da parte dei lavoratori ad auto-
intraprendersi.
L’assetto familiare svolge, in tutti i paesi europei, un ruolo
cruciale nell’incoraggiare le tendenze degli individui a optare per
il self-employment. A questo scopo è rilevante, soprattutto, la
figura paterna, che si rivolge prevalentemente ai figli maschi.
Tratto comune a livello internazionale è, dunque, una netta
prevalenza di self-employed uomini.
La categoria del lavoro autonomo è molto variegata al suo
interno, per cui è possibile distinguere tra self-employed a
elevata qualificazione e quelli in condizioni di debolezza. Tra
questi ultimi, spicca la figura lavorativa del sub-contractor. Di
derivazione anglosassone, sta conoscendo una rapida diffusione
a livello europeo e, soprattutto, in Italia, dove risponde alle
logiche di esternalizzazione attuate, oggi, da molte imprese, allo
scopo di ridurre i costi di gestione della forza-lavoro. Italiana è,
invece, la «collaborazione coordinata e continuativa», che non
trova corrispondenze in nessuna categoria lavorativa a livello
internazionale. Si tratta, in entrambi i casi, di figure lavorative
che possono essere definite «parasubordinate», in quanto
rappresentano un ibrido tra lavoro autonomo e dipendente, con
una netta prevalenza dei tratti distintivi di quest’ultimo.
Più convenzionali e diffuse in tutti i paesi dell’Unione
Europea sono, invece, le figure dei lavoratori in proprio e dei
liberi professionisti. I primi sono presenti nei settori del
commercio al dettaglio, della ristorazione e dei trasporti, mentre
i secondi svolgono le tradizionali professioni liberali.
Variabili significativamente correlate al self-employment
sono l’età, il genere e l’appartenenza etnica. I lavoratori
autonomi si concentrano nella classe d’età compresa tra i trenta e
i quarant’anni e difficilmente un individuo molto giovane
diventa self-employed. A questo scopo sono necessari, infatti,
requisiti quali una buona rete di relazioni sociali e una discreta
esperienza ‘sul campo’, che maturano soltanto aver svolto
attività lavorativa (probabilmente subordinata o, comunque, in
ambito diverso da questo) per un certo periodo di tempo. In
particolare, i lavoratori autonomi provengono, per lo più, dallo
stesso comparto economico in cui hanno prestato attività
lavorativa come dipendenti.
Crescente è la caratterizzazione femminile del self-
employment, sebbene le donne siano rappresentative, soprattutto,
delle categorie deboli di lavoro autonomo e siano concentrate nei
settori economici tradizionali, quali la vendita al dettaglio e i
servizi alla persona.
Inoltre, nelle società più chiuse, il lavoro autonomo si
presenta come modalità intrapresa dagli immigrati e da
appartenenti a gruppi etnici minoritari, i quali hanno più
difficilmente accesso al mercato del lavoro del paese ospitante.
La maggiore facilità di accesso ai titoli d’istruzione formali
elevati contribuisce a innalzare i livelli d’istruzione anche dei
lavoratori autonomi, i quali hanno crescenti possibilità di
accedere alle attività lavorative del terziario avanzato, legate,
soprattutto, all’ambiente, all’informatica, all’ingegneria.
La natura del self-employment è, dunque, cambiata ed è
possibile individuare fattori che ne incoraggiano la diffusione,
accanto ad altri che, invece, la ostacolano.
Tra i primi, vi è la crescente insicurezza del lavoro
dipendente. Un numero sempre minore di persone svolge la sua
intera carriera lavorativa entro la medesima impresa ed è sempre
più frequente che queste si espongano all’insicurezza e ai rischi
tipici di un’attività lavorativa autonoma. Il secondo fattore è
rappresentato dalla disoccupazione, soprattutto giovanile e
femminile, conseguente alla maggiore difficoltà di trovare una
stabile occupazione dipendente. In terzo luogo, la crescente
‘flessibilizzazione’ delle organizzazioni lavorative, che si
ristrutturano, espellendo forza-lavoro stabile e convertendola in
collaborazione e consulenza, o, nel peggiore dei casi, rendendola
pseudo-autonoma.
Tra i fattori ostacolanti, rientrano la scarsa cultura
imprenditoriale, riconducibile al tipo d’istruzione che viene
impartita nelle scuole, poco propensa a sviluppare capacità quali
l’autonomia, l’attitudine al rischio, la presa d’iniziativa.
Comune a tutti i paesi europei è, invece, la tendenza a
intervenire giuridicamente e finanziariamente sul self-
employment, promuovendo, ad esempio, programmi di
imprenditorialità per giovani disoccupati di lunga durata, o
semplificando il regime di tassazione. Prevale, dunque, un
approccio puramente quantitativo al fenomeno, che conduce a
trascurare le implicazioni di natura qualitativa, relative, ad
esempio, alla delineazione delle professionalità autonome
vincenti sul mercato del lavoro e della relativa domanda di
formazione.
Il lavoro autonomo si pone come realtà consolidata nelle sue
componenti più tradizionali, ma, al tempo stesso, fortemente
innovativa. Eterogeneo al suo interno, il self-employment taglia
trasversalmente le varie classi della stratificazione sociale,
comprendendo al suo interno sia i lavoratori altamente qualificati
sia quelli privi di una solida specializzazione professionale.
Le componenti più elevate del self-employment modificano i
loro contenuti professionali per inserirsi nei settori del terziario
avanzato. Ad esempio, il giurista esperto in copyright e diritti
d’autore delle pubblicazione divulgate su Internet o l’esperto di
diritto internazionale.
Destano maggiore attenzione le componenti del lavoro
autonomo a maggiore rischio di precarizzazione, quali i sub-
contractor e i collaboratori coordinati e continuativi. Se tra
questi ultimi vi sono anche coloro che svolgono professioni di
tipo intellettuale, legate alla ricerca e all’insegnamento, i primi,
invece, sono prevalentemente lavoratori dequalificati.
Riprendendo la classificazione di Goldthorpe ed Erikson, gli
esponenti del self-employment nei confronti dei quali gli studiosi
concentrano la loro attenzione si collocano, soprattutto, nella
«classe di servizio» e nella «classe operaia».
In particolare, entro quest’ultima rientrano quei lavoratori
autonomi a bassa qualificazione che sono, in molti casi, il
risultato di logiche di ristrutturazione attuate dalle grandi
imprese e che possono considerarsi gli eredi dell’operaio di
massa della società di piena industrializzazione.