3
In questo clima, si inserisce l’approvazione del d. lgs. n.61, che il
28/01/2000 ha abrogato la precedente disciplina sancita dall’art. 5 del
d. l. n. 726/1984, successivamente convertito nella l. 863/84,
riformando la disciplina del lavoro a tempo parziale.
Il decreto in oggetto è frutto di un iter piuttosto lungo nato con
l’Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno
1997 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale:
-UNICE (unione delle confederazioni dell’industria e dei
datori di lavoro dell’Europa)
-CES (confederazione europea dei sindacati)
-CEEP(centro europeo delle imprese a partecipazione
statale).
Con il citato documento, le parti sociali europee hanno inteso
imprimere una accelerazione allo sviluppo economico ed alla lotta alla
disoccupazione, la cui probabile soluzione pare sempre più legata ad
una concezione flessibile del lavoro.
Si è quindi investita la pratica lavorativa del part-time di un
importante ruolo politico e sociale, demandandole il compito di
favorire l’entrata nel mondo del lavoro, di intere categorie sociali (le
mamme o comunque gli individui impossibilitati ad utilizzare l’intera
giornata nello svolgimento di una prestazione lavorativa), e di venire
incontro al crescente bisogno di flessibilità delle imprese.
4
Quest’ultima necessità, probabilmente legata alla stessa attitudine
delle imprese a sopravvivere in un mercato sempre più competitivo,
può portare alla considerazione che lo sviluppo del lavoro a tempo
parziale attenga ad una realtà decisamente più auspicata dalle imprese
che dalla totalità dei lavoratori.
In tale situazione, le parti firmatarie dell’accordo quadro, si sono
preoccupate di effettuare dei forti richiami ad alcune forme di garanzia
ritenute prioritarie per questi ultimi, quali il principio di non
discriminazione e la tutela della volontà del lavoratore stesso, concetti
ricorrenti nell’intero impianto legislativo dell’intervento di riforma del
part-time.
A seguito di detto accordo, il consiglio dei ministri europei ha
emanato in data 15 dicembre, la direttiva 97/81, con la finalità di
uniformare le realtà lavorative e le opportunità per i lavoratori degli
stati membri.
Il governo italiano, ottenuta delega dal Parlamento, ha recepito la
direttiva il 28 gennaio 2000, approvando il d.lgs. n. 61.
Proprio nel tentativo di assimilare i canoni del documento frutto
delle valutazioni europee, si capisce come il legislatore italiano abbia
dovuto innanzitutto fare i conti con i problemi di adattabilità della
direttiva con la legislazione vigente nel nostro paese, soprattutto alla
5
luce delle conclusioni definite nella Carta comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori.
Si intuisce infatti che, se l’obiettivo è posto nei termini che “la
realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità
europea” e che “tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di
tali condizioni, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro
diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo
parziale, il lavoro a tempo determinato, il lavoro temporaneo e il lavoro
stagionale”, il ruolo attribuito alla riforma è investito di un peso del
tutto considerevole.
E’ infatti semplice comprendere come effettivamente esso si sia
anche fatto sentire nell’esperienza del legislatore italiano, il quale, in
linea con quanto si è detto all’inizio, ha necessariamente dovuto tener
conto delle attese tanto dei lavoratori che delle imprese, entrambi
chiamati a tributare il successo o la bocciatura di una nuova
regolamentazione del lavoro a tempo parziale.
Nel prosieguo, si tenta di fare una valutazione della nuova
disciplina, cercando di coglierne gli aspetti salienti, quelli che
probabilmente si ritengono in grado di operare una riscoperta anche
concettuale del lavoro part-time.
6
Fermo restando che un serio rapporto sull’effettiva validità del
metodo legislativo potrà essere operata solo col senno di poi e in
altri scritti, l’obiettivo che ci si pone è quantomeno quello di
individuare le linee guida della riforma e le risposte che con esse si
ritiene dare al mercato del lavoro italiano, nella consapevolezza che,
ogni obiettivo sancito dal decreto, non può prescindere da un contesto
socio-economico caratterizzato da una spiccata interazione di tutte le
forze che lo compongono.
7
2. FORMA E CONTENUTO
INDEFETTIBILE DEL CONTRATTO: LA
COSTITUZIONE DEL RAPPORTO
I. Il requisito della forma scritta: trasformabilità del
rapporto
La riformulazione complessiva della disciplina del lavoro a tempo
parziale, ha chiaramente riguardato anche gli elementi del contratto (ed
in particolare la forma), attraverso i quali si sono apportate importanti
modifiche rispetto alla disciplina previgente.
In proposito è opportuno richiamare alcuni tratti dell’ormai
abrogato D.L. del 1984 n. 726
1
, il quale “da un lato sembrava imporre
la stipulazione per iscritto del part-time, […], dall’altro non prevedeva
esplicitamente che la scrittura fosse richiesta ai fini della validità del
negozio”
2
.
E’ dunque comprensibile che la messa in atto delle prescrizioni di
cui sopra abbia dato origine a diverse opinioni e contrastanti
orientamenti in merito soprattutto alle conseguenze derivanti da un
1
L’articolo 5 del decreto n.726 del 1984 successivamente convertito nella L:n. 863/84 disciplinava
il lavoro part-time prima del D.lgs. n. 61/2000
2
Roberto Voza, “Forma del contratto e trasformazione del rapporto nella disciplina del part-time”,
8
contratto a tempo parziale scaturito da accordo verbale, e ciò anche in
presenza di affermazioni correnti nella dottrina come quella secondo la
quale “oggi, negli ordinamenti moderni , la libertà delle forme
negoziali sia la regola, e le prescrizioni formali in funzione costitutiva
siano l’eccezione” (Ormanni, 1961, 565).
L’importanza delle conseguenze derivanti dal vizio di forma
assume una veste particolare laddove, in una tipologia contrattuale,
venga identificata una controparte più debole, i cui interessi devono
essere pertanto curati e difesi da possibili forzature dell’autonomia
contrattuale, proprio dalle prescrizioni del contratto.
Se dunque non v’è dubbio che, tradizionalmente, nei contratti di
lavoro la giurisprudenza ha sempre considerato il vincolo di forma
come tecnica di protezione sociale del lavoratore, (appunto la
controparte debole), è giusto considerare che, ritenere la forma scritta
un requisito essenziale del contratto e considerare pertanto annullabile
il contratto privo della stessa, equivarrebbe in maniera più che
probabile a sancire la ritorsione contro il lavoratore stesso di una norma
che ambiva a tutelarlo.
Proprio questo è l’impianto che si è inteso scongiurare con
l’entrata in vigore del D. lgs. n. 61 del 2000, con il quale, il legislatore
ha probabilmente inteso chiudere la questione relativa alla forma scritta
9
prevista dal contratto, attribuendole valenza ad probationem anziché ad
substantiam .
Prima di approfondire i metodi e le intenzioni del legislatore del
2000 vale ancora la pena di dire che, proprio la valenza ad substantiam
costituiva un elemento inteso a tutelare il lavoratore nelle ipotesi
contrattuali differenti dal normale contratto di lavoro subordinato
3
,
sembra facile ipotizzare come, “in mancanza di qualunque indicazione
legislativa in ordine alle sanzioni collegabili al difetto di scrittura, un
cospicuo orientamento giurisprudenziale era giunto a sostenere - in
vigenza dell’articolo 5 della L. 19 dicembre 1984 n. 863 – la nullità del
contratto a tempo parziale privo della forma scritta”
4
.
Giova a tal punto ricordare che, in tema di forma del contratto, la
stessa Corte di Cassazione aveva interpretato il disposto dell’art.5 D.L.
n.726/84 (“il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per
iscritto”), nel senso che, la forma scritta era prevista ad substantiam,
per cui la sua mancanza generava la nullità dell’atto.
Stante quanto detto, paiono lampanti i dubbi circa l’idoneità
dell’annullamento del contratto di lavoro stipulato su accordo orale a
garantire il lavoratore, al quale, sempre in base al legislatore dell’84,
era riconosciuto esclusivamente il diritto alla retribuzione per le
prestazioni già eseguite.
3
s.v. GHERA, 2002, 129
4
VOZA, 2002
10
Sotto questo punto di vista, il d. lgs. n. 61, interviene in maniera
netta
5
, sancendo la necessità della scrittura a fini probatori, ed è
significativo che la specificazione sia contenuta nell’articolo 8,
intitolato “sanzioni”, a testimonianza del fatto che si è inteso colmare,
anche in tal senso, una lacuna originaria di vari intendimenti.
Ne scaturisce che la scrittura, assume rilevanza come “forma della
prova e non forma dell’atto” , pertanto, la sua mancanza, “non
determina la nullità dell’atto con le connesse conseguenze negative per
il lavoratore, ma la sua valorizzazione e cioè la sua attitudine a porsi
come momento genetico di una fattispecie contrattuale con contenuti
più ampi e più idonei a consentire al lavoratore il conseguimento di un
reddito esaustivamente conforme al principio costituzionale di
sufficienza”
6
.
Questo tipo di tutela, che peraltro è flessibile, poiché legata alla
volontà del lavoratore, consente cioè allo stesso di agire per far
dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno,
ovvero, di continuare a svolgere un’attività a tempo parziale, in linea
con il principio della volontarietà sancito dalla Direttiva comunitaria,
quello comunque che viene inopinatamente salvaguardato rispetto alla
5
nel testo del decreto leggiamo testualmente:”il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in
forma scritta ai fini e per gli effetti di cui all’art.8, comma 1” [art. 2, comma 1], quindi: “nel
contratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta è richiesta a fini di prova […]”, [art. 8, comma
1].
6
CENTOFANTI, “Il nuovo contratto di lavoro a tempo parziale: tipo generale e tipo a collocazione
temporale elastica”, all. a Il lavoro nella giurisprudenza”, n.6/2000
11
disciplina previgente è il fondamentale diritto alla prosecuzione del
rapporto.
In virtù dello stesso, è opportuno considerare la trasformazione del
rapporto, qualora appunto, il part-timer decida di agire per vedersi
attribuito, il diritto a divenire invece full-timer
7
, fatto nuovo e
sicuramente più idoneo nell’ottica sanzionatoria che è chiamato a
rivestire, significativo inoltre che non vengano apposti limiti di tempo,
ne si evincono termini di prescrizioni, per cui il lavoratore potrà far
valere in ogni momento tale suo diritto
8
.
7
s. v. cap. 4
8
s. v. CENTOFANTI, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 6/2000
12
II. Accertamento giudiziale e risarcimento del danno
La definizione del problema legato alla forma dell’atto, ha
chiaramente un importante riflesso anche sul suo contenuto
minimo, che il legislatore, ha previsto con evidenti finalità
9
.
Risulta evidente come, un contratto, pur privo di forma
scritta, ma non recante le suddette indicazioni, si presterebbe
difficilmente (anche in virtù delle diverse tipologie di part-time
previste dal decreto
10
) all’accertamento di pratiche relative all’uso
di clausole elastiche e lavoro supplementare
11
, rendendo quindi
poco affidabile anche l’impianto sanzionatorio.
Ne discende che, la funzione principale della forma, va vista
proprio in tale ottica, ovvero come deterrente verso i
comportamenti in un certo senso lesivi del regime di tutele
predisposto dal legislatore a garanzia dei lavoratori e dell’integra
formazione della loro volontà.
Per tali ragioni, come si è detto nel paragrafo precedente, in
una situazione prevaricativa o comunque che renda incerta la reale
9
“nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della
prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario di lavoro con riferimento al giorno,
alla settimana, al mese e all’anno.” Art.2, comma 2, d. lgs. N. 61/2000
10
tipo orizzontale, tipo verticale, tipo misto; art. 1, comma 2, d. lgs. n. 61/2000, risp. Lett. c; d; d-
bis; quest’ultima introdotta col decreto n. 100/2001, recante modifiche ed integrazioni del
precedente
11
le due aperture di maggior rilievo dal punto di vista della flessibilità, in proposito, s. v. capp. 6 e 7
13
portata degli accordi tra le parti, “la riforma prevede alla
possibilità che si pervenga alla dichiarazione dell’esistenza di un
contratto di lavoro a tempo pieno, su richiesta del lavoratore, il
quale – in quanto soggetto protetto dalla previsione dell’onere di
forma – viene eletto ‘arbitro’ della scelta se promuovere o meno
tale azione”
12
Sebbene risulti palese la maggior adeguatezza dell’attuale
mezzo, rispetto alla precedente forma di “tutela” costituita
dall’annullamento dell’atto, anche in virtù del fatto che in effetti si
tratta di una libera scelta (unicamente) del lavoratore, l’apparato
sanzionatorio, non può permettersi di considerare la malafede del
datore di lavoro come la regola o comunque una costante, non ci
si può in sostanza limitare al caso dell’atteggiamento premeditato
ai danni del lavoratore, quindi probabilmente una tutela del
lavoratore, con il miglior accertamento possibile delle intenzioni
negoziali, sarebbe la situazione ideale da ricercare.
A tal proposito, a titolo esemplificativo, ci si potrebbe
benissimo trovare in situazioni in cui, effettivamente sia stata
smarrita la prova documentale, ovvero anche situazioni in cui pur
essendo stato accreditato di una retribuzione inferiore, il
12
Voza, 2002
14
lavoratore abbia di fatto concordato col datore una prestazione a
tempo parziale.
Accanto al caso (probabilmente assunto come ipotesi
principale dal legislatore) in cui, sia stato pattuita una prestazione
full-time, poi nei fatti retribuita e considerata alla stregua di un
part-time dal datore
13
, occorre valutare se anche nelle due altre
ipotesi paventate, o situazioni analoghe, sia giusto mettere in atto
il principio stabilito dal decreto, ovvero quali metodi sono a
disposizione delle parti per meglio rispettare gli accordi iniziali.
A tal proposito, la normativa ha cura di precisare che la
sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno potrà essere
dichiarata (sia nell’ipotesi di mancata prova di un atto scritto, che
in presenza di atto scritto privo dell’indicazione della durata della
prestazione lavorativa) dalla data del relativo accertamento
giudiziale, previsione che lascia trasparire la necessità dell’esatta
determinazione del momento dal quale il contratto a tempo pieno
prende avvio, ovvero quello in cui un contratto preesistente inizia
a produrre effetti.
In ogni caso, al datore di lavoro, anche in caso di difetto
documentale, è concesso l’utilizzo della “prova per testimoni”,
onde dimostrare che il contratto pattuito aveva comunque una
13
per una trattazione analitica delle tre fattispecie citate si v. Voza, 2002
15
modalità a tempo parziale, tuttavia, anche nel caso non riesca a
fornire alcuna prova dell’esistenza di un part-time, lo stesso potrà
comunque dimostrare che fino a quel momento, il lavoratore ha di
fatto prestato la sua attività a tempo parziale: “in questo caso la
prova non verte più sul contenuto dell’accordo, ma sulle modalità
di svolgimento del rapporto (quindi è possibile utilizzare ogni
mezzo probatorio)”
14
.
L’ovvia finalità del provvedimento è quella di evitare
qualsiasi rivendicazione economica per il periodo pregresso, da
parte del lavoratore, per prestazioni magari non effettuate; in tal
caso, è sufficiente richiamare i “principi di effettività e
corrispettività”
15
per escludere che quest’ultimo abbia titolo ad
avanzare richieste per prestazioni lavorative che non ha eseguito.
Pertanto, sebbene il legislatore voglia sanzionare l’incertezza
generata dall’assenza della forma scritta, è bene dire che lo stesso
non intende affatto attribuire al lavoratore i benefici di un full-
time non svolto fino ad allora, a quest’ultimo spetteranno, in base
al criterio usato dell’effettivo svolgimento, le retribuzioni relative
al lavoro svolto anche in modalità full-time se il datore non
riuscirà a dimostrare il contrario, altrimenti, come detto, pur
evincendosi la possibilità di un full-time futuro, le prestazioni e la
14
Voza 2002
15
Russo in Biagi, 2000
16
regolazione del rapporto dovrà seguire la modalità part-time fino
al momento dell’accertamento.
Questo dato pare tra l’altro avvalorato, anche dal testo, “…a
partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia
giudizialmente accertata…”
16
, data che deve intendersi riferita al
primo grado di giudizio, anche se poi la sua effettività deve farsi
coincidere con il deposito dell’intero provvedimento
17
.
La prassi individuata dal legislatore, rende quindi
verosimilmente lunghi i tempi dell’accertamento, esponendo il
decreto a pesanti critiche, fondate sul presunto contrasto con “il
fondamentale principio secondo cui la durata del processo non
può andare a danno dell’attore che ha ragione” ed anche con il
principio di eguaglianza (tanto richiamato dal legislatore europeo)
per l’ingiustificata “disparità di trattamento tra lavoratori” che si
viene a determinare grazie “alla accidentale circostanza della
differenza dei tempi processuali nei diversi uffici giudiziari”
18
.
16
art. 8, comma 1
17
dello stesso avviso, Centofanti, secondo il quale, “…per esplicita volontà normativa, deve
ritenersi che gli equilibri di regolamentazione siano stati nel senso di compensare la novità e lo
spessore dell’innovazione con la remora della sua operatività solo a seguito di un accertamento
giudiziale definitivo del grado di giudizio, coincidente peraltro con il deposito dell’intera sentenza”
18
cfr. Bolego in Brollo 2001