INTRODUZIONE
evidenziato differenze nei parametri cinematici degli arti inferiori tra corsa su terreno e
su tappeto.
Un altro studio (Lafortune et al., 1994) confrontando due tapis roulant ha trovato
differenze nel contenuto in frequenza della forza massima e media per l’accelerazione
della gamba e nella velocità angolare di pronazione. Questo fattore è stato considerato
una spiegazione delle discordanze rilevate nei vari studi.
Nelson et al. (Nelson et al.1972) in particolare hanno rilevato variazioni più
contenute della velocità del centro di massa correndo su tapis roulant e periodi di
contatto maggiori e una diminuzione della velocità verticale del centro di massa .
Sykes ha evidenziato una maggiore estensione degli angoli articolari di ginocchio ed
anca al distacco del piede, e un aumento dell’intervallo dell’angolo della caviglia nella
corsa su tapis roulant (Sykes 1975).
Un aspetto sottolineato in letteratura (Schache et al. 2001) è che i soggetti dei test
devono essere il più possibile liberi nei movimenti, e questo riguarda sia i vestiti che gli
strumenti di misura previsti dal protocollo. L’applicazione di marker o di fasce elastiche
può introdurre stimoli esterni che alterano la spontaneità dei movimenti.
Non utilizzando piattaforme di forza su tapis roulant o in assenza di sincronismo tra
esse ed il sistema stereofotogrammetrico, un metodo suggerito per identificare l’istante
di contatto piede-suolo consiste nel prendere il frame successivo a quello in cui la
coordinata del cluster associato al piede raggiunge il minimo (Benedetti et. al. 1998).
Un primo confronto tra una corsa su tappeto e su terreno evidenzia come la seconda
sia caratterizzata da un aumento della durata di un passo completo (ovvero di una
diminuzione della frequenza dei passi), un aumento della lunghezza del passo, una
diminuzione della fase di appoggio, un aumento della fase di oscillazione rispetto alla
corsa su tappeto (Schache et al. 2001).
A riguardo dell’effetto della rigidezza della superficie di cammino sulla cinematica
del soggetto in corsa è presente uno studio (Ferris et al. 1999) che analizza
l’aggiustamento che un soggetto in corsa opera passando da superficie ad un’altra di
diversa cedevolezza. Lo studio si basa su dati acquisiti in una pista coperta da
mattonelle di gomma di diversa complianza, disposte in diverse configurazioni. La pista
è attrezzata con due pedane di forza, posizionate immediatamente prima ed
immediatamente dopo il punto in cui cambia il tipo di mattonelle. Viene adottato un
modello del soggetto in corsa come una singola molla Hookeana ed un punto di massa
pari al peso corporeo. Per integrare i dati acquisiti vengono simulate al calcolatore le
INTRODUZIONE
condizioni di passaggio da un tipo di superficie all’altra senza aggiustamento della
rigidità della gamba. Tali simulazioni rivelano che la cinematica sarebbe
sostanzialmente alterata se il corridore non aggiustasse la rigidezza della gamba, con un
conseguente spostamento del centro di massa e dispersione di energia, convertita da
gravitazionale a cinetica per un abbassamento e viceversa per un innalzamento.
L’aggiustamento effettuato dal corridore permette di assorbire il mancato
abbassamento della superficie passando da una morbida ad una dura, e di compensare il
mancato innalzamento passando da una superficie dura ad una morbida. L’obbiettivo di
questo aggiustamento è di mantenere il centro di massa ad una stessa quota.
È stato attribuito al sistema propriocettivo il compito di riconoscere la cedevolezza
del terreno per permettere di operare un irrigidimento delle gambe, ed è stato dimostrato
(Ferris et al. 1998) che un soggetto solitamente aggiusta la rigidezza delle gambe già al
primo passo sulla nuove superficie, anche se in realtà una certa esperienza dovuta ad
esempio alla pratica sportiva permette ad un corridore di anticipare il cambiamento della
rigidezza della superficie.
È stato provato (Ferris et al. 1998) che la velocità non influenza la rigidezza degli arti
inferiori, a velocità maggiori sia uomini che animali non aumentano la rigidezza come
sembrava in precedenza, ma aumentano l’angolo spazzato dall’arto in fase di appoggio
(Farley et al. 1993). Ciò comporta un abbassamento verticale del centro di massa ed una
diminuzione del tempo in cui il piede rimane a contatto col suolo.
Come appare negli studi di Schache (Schache et al. 2001) e anche in quelli di Ferris
(Ferris et al. 1998) la differente cedevolezza della superficie su cui avviene l’atto
motorio comporta differenze nei pattern cinematici.
INTRODUZIONE
SCOPO E STRUTTURA DEL LAVORO
In questo studio si analizzerà l’atto motorio di corsa a diverse velocità per diversi
soggetti su due distinti tapis roulant prodotti da Tecnogym: RUNRACE e FORMA.
I due modelli differiscono, oltre che per la potenza del motore, per la cedevolezza del
sistema ammortizzante posto immediatamente sotto al nastro scorrevole. RUNRACE è
il più rigido, FORMA il più cedevole.
L’obiettivo di questa tesi è di valutare se esistano ed in tal caso quali siano le
differenze nel pattern cinematico adottato dal soggetto mentre corre sui due diversi
tappeti. Dalla letteratura è risultato che esistono differenze tra la corsa su terreno e su
tapis roulant, e la natura di queste differenze è stata legata anche alla cedevolezza delle
superfici.
Dall’osservazione che la rigidezza della superficie su cui avviene il movimento
influenza i pattern cinematici del soggetto in movimento nasce l’obbiettivo di questo
lavoro: ci si aspetta di trovare differenze nei pattern cinematici relativi ai due tappeti in
esame.
MATERIALI E METODI
1 MATERIALI E METODI
1.1 STRUMENTAZIONE
1.1.1 SISTEMI OPTOELETTRONICI PER L’ACQUISIZIONE DI GRANDEZZE
CINEMATICHE
La finalità dell’analisi del movimento è di quantificare le grandezze cinematiche e
temporali che descrivono nello spazio il movimento dei vari segmenti corporei. Per
individuare i segmenti corporei possono essere utilizzati dei punti di riferimento, detti
marker, posizionati su dei punti di repere anatomico che permettano una ricostruzione
della cinematica dei segmenti in esame.
L’analisi del movimento nasce nei primi anni ’60, ed inizialmente i dati erano
acquisiti da immagini fotografiche o cinematografiche, il procedimento era manuale. In
seguito, verso gli anni ’70 le immagini fotografiche o cinematografiche venivano
digitalizzate prima di essere elaborate. La conversione manuale dei dati cinematografici
in forma quantitativa era un processo molto laborioso, soprattutto se si ricercavano
informazioni tridimensionali utilizzando più di una telecamera.
Col progredire delle tecnologie informatiche sono stati sviluppati prima sistemi
optoelettronici, che effettuano automaticamente la conversione digitale dei segnali video
acquisiti dai sensori CCD delle telecamere, e successivamente sistemi in grado anche di
elaborare i segnali video e ricostruire la posizione dei punti di riferimento
nell’immagine acquisita.
Da nozioni di meccanica classica è noto che per ottenere le coordinate
tridimensionali di un punto nello spazio si devono avere almeno due punti di vista
distinti (Figura 1.1). Il calcolo delle coordinate 3D di un punto richiede diverse
operazioni matematiche, e con i moderni calcolatori si è resa possibile una integrazione
del sistema che non richieda una pre-elaborazione hardware. Un esempio di questa
evoluzione sono i sistemi Elite (Bts, Milano) e Smart (Emotion, Padova), il primo
richiedeva una unità esterna adibita al calcolo delle coordinate 2D dei markers nella
visione di ogni telecamera, mentre il secondo sistema richiede come hardware esterno
degli hub il cui compito è solo quello di gestire la comunicazione ed il sincronismo tra
le telecamere ed il calcolatore, le coordinate 2D dei markers visti dalle telecamere
vengono calcolate via software.
MATERIALI E METODI
Figura 1.1 Ricostruzione coordinate 3D.
I sistemi optoelettronici possono essere distinti nelle seguenti categorie:
• Sistemi a marker attivi;
• Sistemi a marker passivi con riconoscimento a soglia;
• Sistemi a marker passivi con riconoscimento di forma.
La prima categoria vede sistemi caratterizzati da una serie di emettitori (solitamente
diodi fotoemettitori) che possono essere fissati sui punti di repere dei quali si vuole
conoscere la traiettoria. I diodi vengono accesi simultaneamente o in sequenza (caso,
questo, che permette una migliore identificazione dei diversi punti di riferimento).
Le restanti categorie adottano sistemi che si basano su marker di materiale riflettente,
ed una illuminazione coassiale con le telecamere. Un sistema con riconoscimento a
soglia si limita a restituire le coordinate dei punti dove il segnale supera un certo valore
di soglia, il che può portare a problemi qual’ora vi siano sorgenti luminose oltre ai
marker. Un sistema con riconoscimento di forma, invece, opera una elaborazione del
segnale, riconoscendo oggetti di forma predeterminata.
Oltre ai sistemi optoelettronici esistono altri sistemi per acquisire grandezze
cinematiche che si basano su altri metodi di trasduzione.
Una categoria è quella dei sistemi a trasduzione meccano elettrica, cui appartengono
gli accelerometri e gli elettrogoniometri. Questa categoria di sistemi presenta problemi
relativi alla criticità di ancoraggio ed all’elaborazione del segnale, oltre il fatto che un
attacco efficace può essere in conflitto con la naturalezza dei movimenti del paziente
(Pedotti et al. 1997).
MATERIALI E METODI
Altre categorie di sistemi sono quelli che si basano su riprese radiografiche o ad
ultrasuoni.
STEREOFOTOGRAMMETRIA
‘fotogrammetria’: arte di ottenere informazioni su determinati oggetti fisici e
sull’ambiente tramite la registrazione e l’analisi di immagini fotografiche, video, pattern
di radiazioni elettromagnetiche o altro.
‘stereo’: indica che l’acquisizione avviene da due o più punti di vista.
Disponendo dell’immagine video bidimensionale di un marker da almeno due punti
di vista è possibile ricostruire la sua posizione istante per istante nello spazio del
laboratorio. Per fare ciò è necessario che il sistema abbia informazioni sulla posizione
delle telecamere nel laboratorio, informazioni che si ottengono mediante la calibrazione
del sistema. La calibrazione viene effettuata mediante elementi di geometria nota, grazie
ai quali il sistema calcola i parametri del modello di rappresentazione geometrica dello
spazio e delle distorsioni introdotte dall’ottica delle telecamere, acquisendo
informazioni sulla posizione delle telecamere. La linearizzazione delle telecamere può
essere effettuata in diversi metodi, dipende da come è stato predisposto il sistema, Elite
(BTS, Milano) ad esempio richiede una griglia di markers di geometria nota.
Esistono diversi metodi di calibrazione, quale venga adottato dipende dal modello
matematico che gestisce l’acquisizione del sistema.
Durante l’operazione di acquisizione il sistema stereofotogrammetrico fornisce i dati
relativi alla posizione in due dimensioni dei marker presenti nel campo visivo di
ciascuna telecamera, successivamente queste coordinate bidimensionali vengono
utilizzate nella fase di tracciatura (tracking) per ricostruire le coordinate tridimensionali
dei marker.
Un requisito fondamentale di un sistema stereofotogrammetrico è l’accuratezza delle
misure effettuate, sia di tipo statico che dinamico. Oltre all’accuratezza un sistema
stereofotogrammetrico deve soddisfare anche requisiti di precisione, gli errori a cui il
sistema è soggetto possono essere di due tipi: casuali o sistematici. Gli errori sistematici
solitamente dipendono dalla posizione del marker nel campo di misura, mentre quelli
casuali sono associati alla quantizzazione operata sul segnale per ottenere
dall’immagine le coordinate puntiformi dei marker. In letteratura esistono diverse
proposte riguardo a test di accuratezza per sistemi stereofotogrammetrici, nel tentativo
MATERIALI E METODI
di giungere ad una standardizzazione delle procedure di verifica di accuratezza. Ogni
test è volto ad analizzare un certo aspetto piuttosto che altri, e la scelta di quale
effettuare dipende da quali sono i parametri di maggior interesse.
Tutti i test per verificare l’accuratezza di un sistema stereofotogrammetrico si basano
su elementi di geometria nota in movimento, dall’acquisizione effettuata dal sistema si
ricostruisce questa geometria, e l’errore che ne risulta fornisce il grado di accuratezza.
Vediamo alcuni test :
• TEST DEL PENDOLO: è uno dei test proposti all’interno del progetto
CAMARC (Cappozzo et al. 1993, Benedetti et al. 1994, Cappozzo et al.
1994) promosso dalla Comunità Europea.
Un pendolo rigido, composto da una barra di 0.5m cui sono applicati due
marker sferici alla distanza di 0.2m e 0.4m dall’asse di rotazione, viene fatto
oscillare nei piani XZ o YZ. Dai dati acquisiti viene calcolata la distanza tra i
due marker, e la varianza che questo valore assume. Il confronto tra la
distanza nota e quella stimata fornisce informazioni sull’accuratezza delle
misure effettuate dal sistema e permette di stimare la componente casuale di
errore associata al processo di misura.
• FULL VOLUME TEST: appartiene sempre ai test sviluppati all’interno del
progetto CAMARC (Cappozzo et al. 1993, Benedetti et al. 1994, Cappozzo et
al. 1994) Una barra rigida con due marker alle sue estremità viene mossa
parallelamente alla direzione dei tre assi del laboratorio spaziando tutto il
volume di misura. Il calcolo della distanza tra i due punti utilizzando i dati
acquisiti anche in questo caso fornisce informazioni sull’accuratezza delle
misure effettuate dal sistema.
• TEST DI GRAVITÀ: anche questo test fa parte di quelli prodotti dal
progetto CAMARC (Cappozzo et al. 1993, Benedetti et al. 1994, Cappozzo
et al. 1994). Un corpo con un marker viene fatto cadere da un’altezza nota.
Questo test serve per verificare l’accuratezza dell’accelerazione misurata,
come campione si usa la forza di gravità.
• “Japanese” performance test: una barra di alluminio di lunghezza nota con
due marker alle sue estremità, viene tenuta in mano in direzione verticale
mentre la persona cammina seguendo un percorso predefinito.