Una definizione d’enunciato
L’utilizzo del canale vocale come mezzo di comunicazione è il risultato di una lunga
selezione filogenetica della specie umana. Non è tuttavia l’unico canale che l’uomo
ha a disposizione, basti pensare al linguaggio scritto o a quello gestuale; tuttavia
rimane il più importante e maggiormente utilizzato, soprattutto perché
particolarmente funzionale ed economico.
La comunicazione comunque è un fenomeno molto complesso e non è corretto
considerare il linguaggio parlato né semplicemente come il prodotto di una stringa
di suoni, né discuterne separandolo dagli altri canali che abbiamo a disposizione per
comunicare. Infatti la trasmissione di un messaggio orale è sempre supportata e
completata dall’uso, più o meno consapevole, di altre modalità comunicative, come
l’intonazione, il contesto e la gestualità, che oltre ad arricchire il significato della
frase prodotta, influiscono sulla qualità della relazione tra gli interlocutori, poiché
veicolano le loro motivazioni, le loro emozioni e caratteristiche.
Le diverse definizioni
L’enunciato rappresenta un punto di riferimento fondamentale della comunicazione
orale, la quale fa uso, oltre al linguaggio parlato, di elementi linguistici e
paralinguistici, come il tono di voce e la gestualità (Ricci Bitti e Zani, 1983).
Il linguaggio parlato è una modalità comunicativa che ha bisogno di essere
concepita all’interno del concetto di enunciazione; non è cioè possibile parlare di
produzione linguistica al di fuori della sua esecuzione, che avviene all’interno di un
determinato contesto, di una certa situazione e secondo le motivazioni degli
interlocutori.
L’enunciato è considerato da alcuni Autori l’elemento di base della comunicazione
orale, quindi si rende necessario darne una definizione, anche se le nozioni
elaborate sinora per la descrizione dei fenomeni empirici si adattano solo
parzialmente alla realtà del parlato, tant’è vero che la definizione di questo concetto
non è affatto univoca (Sornicola, 1981).
Secondo tali Autori, l’enunciato non sarebbe altro che il corrispondente empirico del
costrutto teorico "frase", denoterebbe cioè un’entità osservabile e concreta, la cui
rappresentazione astratta è appunto la frase (Sornicola, 1981). Mentre, per
Sornicola (1981), la corrispondenza tra enunciato e frase è univoca, ossia a un
particolare enunciato corrisponde una sola frase, secondo la definizione data da
Harris (1951) la relazione tra enunciato e frase non è univoca. Poiché egli sostiene
che l’enunciato è "any strecht of talk, by one person, before and after which there
is silence on the part of that person" (pag. 14), deve poi concludere che l’enunciato
non s’identifica con la frase.
Lyons (1968), tuttavia, osserva che questa definizione, benchè si configuri come
altamente operativa (sarebbe meglio dire apparentemente operativa), dato che
sembra offrire un criterio di immediato utilizzo applicativo, ha un valore
prescientifico poiché non chiarisce la sostanza stessa del concetto.
Lo stesso Autore identifica l’enunciato con il segmento di discorso che deriva dalle
frasi generate dalla grammatica, mettendo a fuoco il rapporto tra l’enunciato stesso
e il sistema di regole della lingua, cioè rappresenta la realizzazione concreta del
sistema astratto delle regole che descrivono le frasi della langue.
Beccaria (1994) dà una definizione di enunciato più esaustiva: "sequenza che forma
un segmento reale di discorso (orale o scritto), prodotta in una determinata
situazione comunicativa e delimitata da due interpunzioni forti o da due pause
importanti: può essere più o meno lunga, sintatticamente incompleta e anche
costituita da una sola parola; (…) è l’unità minima di analisi del testo o del discorso"
(pagg. 268-269).
Una definizione più specifica è quella riportata da Simone (1990), il quale,
nell’ambito della linguistica classica, intende per enunciato qualsivoglia risultato
dell’utilizzazione del codice, quale che sia l’unità o le unità di cui esso è composto
(parole, frasi o altro). Per Simone (1990), codice è un sistema di corrispondenze tra
l’ordine dell’espressione e l’ordine del contenuto, destinato alla trasmissione
d’informazioni tra un emittente e un ricevente, attraverso la produzione e la
diffusione di messaggi. L’enunciato quindi si riferisce a tutta la classe dei prodotti
dell’impiego dei codici.
L’enunciazione invece designa il complesso della situazione (linguistica ed
extralinguistica) nella quale l’enunciato viene prodotto, così come i fattori che
intervengono nella produzione e nell’interpretazione dello stesso.
Infine, dal punto di vista della pragmatica, pronunciare l’enunciato equivale a
compiere l’azione stessa che si enuncia (Renzi, 1995). A questo proposito Austin
(1962) sostiene che esistono degli enunciati performativi, pronunciando i quali non
ci si limita a descrivere qualcosa che si è fatto o che si sta facendo, ma si fa la cosa
stessa. Questa definizione è però restrittiva, poiché in pratica è difficile distinguere
un enunciato performativo da uno descrittivo. Pronunciando una qualunque frase, in
realtà "si fa" una serie di cose, ovvero si compie una serie di azioni. La frase ha un
significato o un certo contenuto referenziale (atto locutorio), viene utilizzata con un
certo fine (atto illocutorio) e produce determinate conseguenze (atto perlocutorio).
A questo punto non sussiste più la distinzione tra enunciato descrittivo ed enunciato
performativo, ma soltanto una teoria degli "speech acts" o atti linguistici.
Rapporto tra enunciato ed enunciazione
L’enunciato è una delle possibili realizzazioni del parlante (Beccaria, 1994), è un
atto di parole che si concretizza in un preciso momento e in un preciso contesto: è
il risultato di un’enunciazione, intesa come atto individuale di produzione di
enunciati orali, in una situazione comunicativa. In senso largo, l’enunciazione può
essere considerata come atto di produzione della parola e può essere di pertinenza
della psicolinguistica o della sociolinguistica; in senso stretto l’enunciazione viene
considerata nel quadro formale della sua realizzazione ed è oggetto della linguistica.
Si parla di enunciazione quando uno o più indicatori (di persona, di modalizzazione
e spazio-temporali) sono presenti sul piano grammaticale, lessicale, sintattico o
semantico dell’enunciato e questi aspetti hanno la proprietà di instaurare
determinate relazioni fra gli interlocutori.
Benveniste (1974) distingue tra due aspetti fondamentali del linguaggio: quello in
cui il linguaggio appare come un insieme di enunciati e quello della produzione di
enunciati attraverso l’atto di enunciazione che ogni locutore compie nel momento in
cui parla. L’Autrice evidenzia tre caratteri formali dell’enunciazione.
™ Ogni enunciazione deve essere concepita come un atto individuale di
appropriazione della lingua. In effetti la lingua si presenta come un sistema
di elementi linguistici e di regole che impongono la propria struttura, ma
questo sistema resta virtuale fintantochè un locutore non l’ha mobilitato per
proprio conto in un atto individuale d’enunciazione, definito da Benveniste
"la conversione individuale della lingua in discorso" (pag. 98). Al cuore di
questa conversione si trova la situazione, ogni volta unica, nella quale è
situato il locutore, il suo hic et nunc specifico, punto di riferimento da cui il
suo discorso deriva il suo senso e che lo rende intelleggibile all’altro.
™ L’enunciazione implica sempre la presenza di un ascoltatore, vale a dire di
un altro. Ogni enunciazione si basa necessariamente sulla struttura del
dialogo; ciò significa che, da una parte, nel discorso "due figure in posizione
di partner sono alternativamente protagoniste dell’enunciazione" (pag. 102),
dall’altra, che ogni enunciazione si iscrive per definizione nel quadro della
relazione con l’altro.
™ Ogni enunciazione si riferisce alla realtà, interna o esterna che sia, e questo
"nel consenso pragmatico che fa di ciascun locutore un co-locutore" (pag.
99), (Stéphane, 1998-99).
Il contesto
Perché l’enunciato abbia un senso, deve essere considerato all’interno del contesto
in cui ha luogo e deve conformarsi alla situazione comunicativa contingente, quindi
dev’essere collocato all’interno della dimensione comunicativa, tanto che coincide
con un’intenzione comunicativa (Beccaria, 1994). Di conseguenza, l’enunciato porta
uno solo dei possibili significati della frase che lo descrive, ma porta anche qualcosa
di più del singolo significato letterale e cioè il senso corrispondente al significato
collegato al contesto di realizzazione afferma che (Levinson, 1983).
La conversazione è organizzata sul piano sociale non solo in termini di chi parla, a
chi e in che lingua, ma come un piccolo sistema d’azione faccia a faccia, accettato
da tutti coloro che vi partecipano e retto da un proprio rituale, cioè un incontro
sociale. L’atto comunicativo pertanto deve tenere conto sia degli individui che
partecipano all’interazione, sia del contesto sociale e naturale in cui la
comunicazione ha luogo (cfr. Goffman, 1964).
L’importanza del contesto è fondamentale in quanto determina la competenza
comunicativa, ossia l’insieme di precondizioni, conoscenze e regole che rendono
possibile e attuabile per ogni individuo il significare e il comunicare (Zuanelli e
Sonino, 1981) e anche la capacità di produrre e capire messaggi, che pongono
l’individuo in interazione comunicativa con altri parlanti. Questa capacità comprende
non solo l’abilità linguistica e grammaticale (di produrre e interpretare frasi ben
formate), ma anche una serie di abilità extralinguistiche correlate, che sono sociali,
cioè saper adeguare il messaggio alla situazione specifica, oppure semiotiche, cioè
saper utilizzare altri codici, oltre a quello linguistico, come per esempio quello
cinesico, le espressioni facciali, il movimento delle mani (Ricci Bitti e Zani, 1983).
Un’interessante definizione di contesto, nell’ambito della psicolinguistica, è quella
della Ochs (1979). L’Autrice per contesto intende:
a) l’ambiente fisico immediato nel quale la comunicazione ha avuto luogo:
parlante, ascoltatore, altri presenti, locazione nel tempo e nello spazio,
attività;
b) l’ambiente linguistico nel quale la comunicazione ha avuto luogo: discorso
precedente e seguente; non esiste dunque una linea di demarcazione tra
linguaggio e contesto, dato che il linguaggio stesso può essere contesto;
c) l’ambiente psicologico e sociale nel quale i parlanti operano; tale ambiente
porta con sé aspettative e valori culturali, oltre a processi interazionali e
cognitivi, che hanno un effetto sui parlanti attraverso cultura e lingue.
Ogni dimensione linguistica viene influenzata dal contesto. Si potrebbe dire che un
aspetto universale del linguaggio è che esso è sensibile al contesto.
La gestualità
Nel parlato, il contesto d’enunciazione è comune, nel senso che parlante ed
interlocutore/i si trovano nello stesso posto e nello stesso tempo. In questa
situazione si ricorre frequentemente a mezzi non linguistici, quali movimento degli
occhi, cenni del capo, espressioni del volto, gesti, posizione del corpo, sorriso e
all’uso dei deittici, che rinviano al contesto extralinguistico in cui avviene
l’enunciazione (Bazzanella, 1994).
La comunicazione non è fatta solo di parole e di enunciati, ma anche di tutta una
serie di comportamenti, che vanno a costituire la comunicazione non verbale.
Quella umana, nonostante sia stata oggetto di studio da parte di numerose
discipline, anche molto diverse tra loro, si basa su un’unica convinzione generale,
cioè sembra risultare dall’interdipendenza di diversi sistemi comunicativi. Fra i vari
sistemi, quello cinesico - che riguarda le espressioni mimiche del volto, il
comportamento visivo, gli atteggiamenti del corpo nello spazio, i gesti - ha ricevuto
negli ultimi tempi una particolare attenzione.
Kendon (1981) considera gesto qualsiasi azione corporea, che dagli interlocutori è
considerata come direttamente coinvolta nel processo di espressione intenzionale;
in tal modo si considerano solo quelle azioni visibili che hanno primariamente una
funzione intenzionalmente comunicativa. McNeill (1992) invece considera gesti i
movimenti delle mani e delle braccia, che vediamo quando le persone parlano. Tali
movimenti sono simbolici e rappresentano il pensiero in azione. In particolare
l’Autore si riferisce ai gesti che accompagnano un’espressione linguistica, più che
alle pantomime o agli emblemi.
La comunicazione non verbale svolge diverse funzioni (Ricci Bitti e Zani, 1983): può
essere considerata un linguaggio di relazione interpersonale, oppure un mezzo per
esprimere e comunicare le emozioni; ha uno speciale valore simbolico che esprime,
in un elementare linguaggio del corpo, atteggiamenti circa l’immagine di sé e del
proprio corpo, e partecipa alla presentazione di sé agli altri; sostiene e completa la
comunicazione verbale e svolge una funzione meta-comunicativa; funge da canale
di dispersione, in quanto lascia filtrare più facilmente contenuti profondi
dell’esperienza dell’individuo; svolge una funzione di regolazione dell’interazione;
assume infine funzione di sostituzione della comunicazione verbale, in situazioni che
non consentono l’uso del linguaggio.
Secondo gli stessi Autori, i sistemi di comunicazione non verbale sono tre:
intonazionale, paralinguistico e cinesico. Quest’ultimo comprende:
a) il comportamento spaziale, rappresentato dal contatto corporeo, dalla
distanza interpersonale, dall’orientazione e dalla postura;
b) il comportamento motorio-gestuale, che comprende i cenni del capo e i
movimenti delle mani;
c) il comportamento mimico del volto;
d) il comportamento visivo e lo sguardo.
Nell’ambito del comportamento non verbale si possono distinguere due gruppi di
segnali, alcuni statici ed altri dinamici, sulla base del fatto che i primi, a differenza
dei secondi, non mutano durante il corso dell’interazione. Vi appartengono il volto e
la conformazione fisica, l’abbigliamento, il trucco, l’acconciatura dei capelli, lo stato
della pelle, che nel loro complesso costituiscono l’aspetto esteriore.
Tra i suddetti elementi espressivi, quello più importante è il viso, che è specializzato
nella comunicazione delle emozioni.
Il contorno intonativo
John-Lewis (1986) definisce l’intonazione di un enunciato il prodotto di un
complicato intreccio di fenomeni melodici, accentuali e ritmici. Anche per Voghera
(1992), l’intonazione viene grosso modo a comprendere l’insieme delle
caratteristiche prosodiche, che svolgono, a livello di enunciato, un ruolo funzionale
all’interno del sistema linguistico. La voce è lo strumento usato per convogliare le
comunicazioni orali tra le persone, è cioè il mezzo che consente di trasmettere il
linguaggio parlato.
Il senso di un enunciato è veicolato non solo dal significato delle parole e della frase
in sé, ma anche e soprattutto dalle modulazioni del tono a essa soggiacenti, che
caratterizzano espressioni interrogative, affermative o esclamative. Ancor di più, la
forma della curva intonativa consente di evidenziare singole parti della frase,
piuttosto che altre, enfatizzando gli elementi su cui s’intende richiamare l’attenzione
e fornendo all’interlocutore preziose indicazioni, che si riferiscono alle intenzioni del
parlante, alle sue caratteristiche personali e alla colorazione emotiva del rapporto
instaurato. A ciò si aggiungono esitazioni, pause, vocalizzazioni e modificazione
della qualità della voce (Voghera, 1992).
Secondo Attili e Ricci Bitti (1983), sono i sistemi paralinguistico e cinestesico, quelli
che meglio assolvono la funzione di realizzazione degli aspetti relazionali, nei
rapporti comunicativi tra persone. Il linguaggio parlato è forse la modalità
comunicativa che più di ogni altra richiede di essere concepita all’interno del
concetto di enunciazione, ovvero all’interno dell’intera situazione in cui si realizza
l’enunciato. In particolare esso risulta fortemente collegato con la dimensione
pragmatica dell’enunciazione e tale legame si concretizza nella massiccia presenza
di segni non-verbali, realizzati dai gesti e dalla voce (Voghera, 1992).
Canepari (1983) distingue nella lingua italiana tre diversi movimenti tonali:
discendente, ascendente e sospensivo; Lepschy (1978) invece ne individua cinque:
discendente, ascendente, costante, discendente/ascendente, e
ascendente/discendente. Si tratta in ogni caso di curve melodiche che ricoprono
interamente l’enunciato e che hanno valore distintivo, sul piano linguistico, a diversi
livelli.
L’intonazione è uno dei sistemi utili a segnalare quale sia l’elemento della frase a
occupare il posto di tema. La distinzione tra topic e comment (alcuni preferiscono
tema e rema) corrisponde all’individuazione dell’oggetto su cui l’enunciato
s’incentra (topic), rispetto a ciò che su tale oggetto si dice (comment); corrisponde
cioè all’individuazione dell’obiettivo della comunicazione, secondo le intenzioni
dell’emittente (Simone, 1990). Secondo Moneglia e Cresti (1993), la strutturazione
in topic e comment rappresenta nell’evoluzione genetica, un momento chiave dello
sviluppo fondamentale per le successive capacità di strutturazione grammaticale.
Nel bambino è proprio con l’intonazione che topic e comment trovano un
corrispettivo stabile, indispensabile alla loro successiva definizione attraverso gli
strumenti della grammatica.
La voce, attraverso la regolazione del flusso vocale, permette di veicolare
informazioni che riguardano da un lato le caratteristiche personali del soggetto,
dall’altro il rapporto che l’emittente detiene col contesto. È infatti esperienza
comune dedurre dalla voce il sesso e la probabile età dell’emittente, così pure è
possibile inferire la sua possibile provenienza geografica. Talvolta siamo in grado di
ipotizzare l’appartenenza del parlante a un certo status socio-culturale, sulla base
delle sue modalità di controllo del modo di offrire la voce e di articolare e, ancor di
più, è del tutto comune riconoscere le persone dalla loro voce (Pandini, Frasson e
Pinton, 1998).
Soprattutto però la voce informa in merito a quale relazione il parlante intrattiene
nei confronti dell’argomento trattato, se ad esempio d’imbarazzo, d’inquietudine o
di divertimento, e nei confronti del destinatario, se di empatia, di ostilità o altro.
D’altra parte la comunicazione vocale non ha motivo di essere, se non in funzione di
qualcuno che l’ascolti, e ciò significa che la voce ha senso se pensata all’interno di
un’interazione, di un incontro interpersonale.
Da questa breve trattazione si può facilmente intuire quanto il linguaggio parlato
non sia un semplice meccanismo automatico in dotazione all’uomo, quanto
piuttosto il risultato dell’interazione di numerose componenti.
Spesso si dà per scontato il fatto di riuscire a parlare e comunicare spontaneamente
con gli altri, ma solo in condizioni in cui manca qualche componente (come nella
comunicazione attraverso computer, molto in voga negli ultimi tempi) ci si rende
conto di quanto povere siano le altre modalità di relazione e ci si rende conto di
quanto siano importanti, oltre al contenuto, i gesti, l’intonazione, il contesto e tutto
quello che costituisce il corollario del linguaggio.