Considereremo innanzitutto la sua condizione particolare di
“giornale di partito”, in un contesto in cui l’editoria legata a
formazioni politiche e le associazioni partitiche stesse sembrano
avviarsi sul viale del tramonto.
Quindi valuteremo le responsabilità, le leggerezze e l’incuria del
vecchio partito-editore e dei nuovi gestori.
Non potremo inoltre trascurare il ruolo svolto dalla concorrenza. In
particolare focalizzeremo la nostra attenzione su “la Repubblica”,
un giornale che in pochi anni ha saputo affermarsi in una fetta di
mercato chiaramente delimitata, la stessa a cui si rivolge “l’Unità”:
quella composta dai lettori dell’area politica di sinistra.
Al termine di questa trattazione potremo tirare le somme,
individuando le cause e gli artefici di quella che è stata una delle
peggiori pagine nere nella storia del giornalismo italiano. La
creazione di un vuoto, in seguito fortunatamente colmato, che ha
costituito un grave colpo per il dibattito politico, sociale e culturale
che dà vita alla democrazia ed al pluralismo del nostro Paese.
Completa il lavoro un’intervista a Giuseppe Caldarola, direttore
dell’ “Unità” dal ’96 al ’98 e successivamente dal ’99 al momento
della chiusura. I suoi ricordi e le sue riflessioni, oltre ad avvalorare
le considerazioni svolte in quest’opera, costituiscono un’importante
testimonianza del passato recente della testata, offerta da un uomo
che ha vissuto da protagonista gli anni più tormentati della storia
del giornale fondato da Gramsci.
Capitolo 1
“L’Unità” dalle origini al 1990
1.1. La nascita dell’ “Unità”
Il primo numero dell’ “Unità” uscì a Milano il 12 febbraio 1924. Fu
il Komintern, con una lettera datata 5 settembre 1923, inviata al
Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia, a decidere la
pubblicazione del nuovo quotidiano che doveva assumere il
carattere di un organo comune per i comunisti e per la frazione
terzinternazionalista del Psi (i cosiddetti “terzini”) in vista di una
loro fusione, essendo oramai sfumata definitivamente quella con
l’intero partito socialista.
Il titolo, voluto da Gramsci assieme al sottotitolo “Quotidiano degli
operai e dei contadini”, manifestava proprio l’intenzione di rendere
il quotidiano strumento di questa unione, nonché di quella tra operai
e contadini e tra nord e sud del Paese.
In un’altra lettera, che lo stesso Gramsci inviò da Mosca al
Comitato esecutivo del Pci il 12 settembre 1923, si rivela
l’intenzione di dare al quotidiano un carattere non di partito, sia per
dargli una più solida esistenza legale, sia per riflettere le posizioni
di “ tutta la sinistra operaia rimasta fedele alla tattica della lotta di
classe”
1
.
Nonostante questo carattere non di partito del quotidiano, il
controllo dei comunisti nella direzione del giornale è pressoché
totale: questo fatto susciterà vive proteste da parte dei “terzini”.
1
La lettera è riportata in P. Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, Torino, Einaudi,
vol. I, 1967, p. 337.
Capitolo 2
Il decennio 1990 - 2000
2.1. Gli ultimi mesi di D’Alema
La prima pagina del primo numero dell’ “Unità” del 1990, quello
del 2 gennaio, rende perfettamente l’idea dell’atteggiamento del
giornale nei confronti degli accadimenti dell’89 (vedi Figura 1). Il
titolo di apertura evidenzia una frase pronunciata dall’allora
Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, nel tradizionale
messaggio di fine anno: “Il vento dell’Est deve scuotere anche
noi”
2
.
Va notato che gli altri quotidiani - con l’esclusione del
“Messaggero”, che comunque ne mette in risalto altri temi - danno
scarso rilievo al discorso presidenziale. Nell’editoriale firmato da
Nicola Tranfaglia, dal titolo “Dieci anni al 2000”, si afferma inoltre
che: “l’89 ha chiarito fino in fondo, anche a chi non voleva vedere,
che il modello di Stato e società nato in Russia dalla Rivoluzione
d’Ottobre non ha retto alla sfida dei tempi e alle esigenze delle
masse” e che “la trasformazione, …, delle democrazie popolari
dell’Europa orientale in regimi pluripartito è una lezione che
bisogna sottolineare ancora una volta e che suona come una
condanna senza appello del partito unico e della commistione tra
istituzioni di governo e partito”. E ancora, sempre in prima, due
articoli nei quali emerge la volontà di Gorbaciov di costruire una
nuova società insieme socialista e democratica e l’intenzione di
Kim Il Sung, presidente della Corea del Nord, di abbattere il muro
2
L’Unità, 2 gennaio 1990.
tra le due coree. La seconda pagina, offre un’intervista a Silos
Labini. Questo il titolo: “Il socialismo liberale? Un investimento
sicuro”.
La presa di posizione a favore della “svolta” appare netta e decisa e
la redazione ritiene addirittura di poter giocare d’anticipo rispetto al
pachiderma-partito, il Pci-Pds che tarda ad adattarsi al mutato
contesto internazionale. In realtà D’Alema deve affrontare una
divisione lacerante in redazione prima di poter schierare la testata
sulla posizione della maggioranza.
Le divisioni persistono anche con il partito. Nell’estate dell’ 88 un
commento contro il togliattismo scritto da Biagio De Giovanni
aveva provocato reazioni accese a via delle Botteghe Oscure. Ma
anche dopo la svolta il braccio di ferro non accenna ad
interrompersi: dopo aver sostenuto un giornale più informativo che
formativo e un rapporto di dialettica e non di pedissequa
trasmissione della linea politica (al fine di separare l’immagine del
giornale da quella della proprietà) riemergeva sui temi e nei
momenti più delicati la pretesa di una posizione gerarchicamente e
funzionalmente prioritaria. Più in là, ad esempio, durante la
direzione di Foa, un sondaggio tra i lettori che premia Forlani e
condanna Craxi in un momento in cui si tenta il riavvicinamento tra
socialisti e post-comunisti farà infuriare Occhetto e la direzione del
Pds.
D’Alema si preoccupò di dare slancio alle iniziative editoriali
complementari, con una particolare attenzione alle strategie di
marketing dei quotidiani italiani. Secondo la visione politica di
D’Alema, “l’Unità” era in grado di rendere al partito solo debiti e
un’immagine negativa; pur mantenendo inalterato il rispetto nei
confronti della proprietà e della sua funzione, il giornale doveva,
Capitolo 3
La crisi dell’ “Unità” inserita nel contesto
del crollo delle ideologie e del declino
dei giornali di partito.
Negli ultimi anni le formazioni partitiche italiane sono state
soggette ad una progressiva perdita di peso ed alla cessazione del
loro antico ruolo di agenzia di socializzazione politica. Il crollo
delle ideologie (in particolare quella comunista), l’attaccamento
sempre minore a culture fondanti (come potrebbe essere quella
legata alla confessione cattolica) ed il ciclone Tangentopoli hanno
sconvolto il vecchio sistema partitico. Se gli episodi di corruzione
hanno contribuito a rafforzare la crisi di fiducia dei cittadini verso i
partiti, uno degli effetti fondamentali dei processi succitati è
indubbiamente la perdita del rapporto di fedeltà che legava
l’elettore ai vari partiti politici. L’elettorato è sempre più “volatile”,
il voto si sposta facilmente da uno schieramento all’altro o da un
partito all’altro anche nei casi in cui l’intervallo tra le varie
chiamate alle urne sia breve.
E’ inevitabile che in un contesto del genere anche la fedeltà nei
confronti dei giornali di partito venga a scemare.
Ed infatti, la realtà dei quotidiani di partito, quasi completamente
assenti negli altri Paesi occidentali, pare ormai in via d’estinzione.
Giovanni Bechelloni, al proposito, parla di “anomalia italiana” e
“residuo sette-ottocentesco” e ponendoli sotto una luce
Capitolo 4
L’incapacità del partito-editore e
dei nuovi gestori nel far quadrare i conti.
Passiamo ora a considerare le responsabilità dell’editore nella
gestione della crisi dell’ “Unità”. Innanzi tutto dobbiamo premettere
una considerazione. E cioè che chi amministra il giornale si trova a
fronteggiare un dissesto economico che affonda le sue radici in anni
precedenti al ‘90. E’ ovvio che questo renda più complicato il suo
compito. Diamo quindi un rapido sguardo alle origini di questa crisi
finanziaria prima di analizzare gli errori e le manchevolezze
dell’editore-partito e di quello privato.
L’indebitamento progressivo che ha portato “l’Unità” sull’orlo del
fallimento già nei primi anni ’80 ha origine in una serie di cause
concomitanti. Va ricordato che per “l’Unità” è stato sempre difficile
far quadrare i conti, sia per le contraddizioni non sempre
conciliabili esistenti tra gli obiettivi di un giornale di partito (un
grande partito di opposizione che usava il suo organo come
strumento decisivo di mobilitazione e di lotta) e quelli di
un’impresa editoriale che doveva fare i conti col mercato, sia per
discriminazioni di natura anche politica, come per esempio
avveniva nella raccolta pubblicitaria.
A questo si aggiunga una mentalità non proprio imprenditoriale dei
gestori del giornale. Amerigo Terenzi, amministratore dell’ “Unità”
dal primo dopoguerra al ’69 considerava fisiologico il
finanziamento in deficit della stampa di partito: la sua filosofia
consisteva nel ritenere il giornale un prodotto non comparabile, ad
esempio, con un detersivo; mentre il primo investiva in pubblicità,
il secondo doveva puntare solo sulla qualità.
Nel ’76 anno di massima espansione delle vendite e della
diffusione
3
il bilancio del giornale era già appesantito da un passivo
di circa cinque miliardi. Nel 1977, anche in conseguenza delle
difficoltà incontrate dallo sviluppo della politica di “solidarietà
nazionale” da parte del Pci e della nascita di “Repubblica”,
“l’Unità” registra un forte e repentino crollo nelle vendite, che
calano a meno di 80 milioni di copie, innescando una tendenza
negativa proseguita fino al 1982 (poco più di 60 milioni di copie).
Dal ‘79 si sommano altri due forti elementi di appesantimento della
già preoccupante situazione finanziaria: l’avviamento di un
programma di investimenti per introdurre le nuove tecnologie
elettroniche e le concomitanti difficoltà finanziarie del partito che
riducono anno dopo anno i contributi del Pci previsti per la
copertura dei disavanzi. Ciò determina il progressivo ricorso
all’indebitamento bancario e una situazione di squilibrio e di
ingovernabilità economica.
Come se non bastasse tra il ‘75 ed il ‘79 avviene il difficile
sganciamento del Pci dalle fonti finanziarie del Pcus. I contributi
sovietici erano destinati in buona parte all’editoria giornalistica.
“L’Unità” accumula un deficit (calcolato a valori costanti del 1980)
di 9,7 miliardi nel 1980, 12, 9 miliardi nell’81, 16,6 nell’82.Il trend
delle vendite è negativo. L’indebitamento raggiunge e supera i 71
miliardi nell’84
4
.
3
Il giornale sfiorò in quell’anno i cento milioni di copie vendute.
4
A. Leiss, “La difficile scommessa dell’Unità”, in Problemi dell’informazione, n.1 del 1986,
pp. 25-46
Capitolo 5
La concorrenza dei giornali
che si rivolgono allo stesso target di lettori:
il caso de “la Repubblica”
Fino alla seconda metà degli anni ‘70 “l’Unità” deteneva il
monopolio del giornalismo di opposizione e di denuncia. L’organo
del Pci reggeva in solitudine la bandiera di tante battaglie “laiche” e
si rapportava in maniera quasi esclusiva con il movimento sindacale
e le varie realtà del mondo del lavoro, per lo più ignorate dalla
grande stampa nazionale.
Questa posizione isolata venne insidiata dall’insorgere di un’area di
estrema sinistra, agguerrita ed ostile al Pci, sintomo di un
mutamento sociale e culturale esploso nelle coscienze con il ‘68,
certo duramente combattuto nei suoi esiti estremistici e violenti, ma
mai ben compreso e metabolizzato dal partito e dal suo organo.
Il quotidiano più rappresentativo di questa area politica comunista
radicale ed intransigente sarà “il Manifesto”, nelle edicole dal
1971
5
. Il giornale era espressione di un gruppo di dirigenti ed
intellettuali espulsi dal Pci nel 1969 per le loro posizioni contrarie
all’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Tra questi, oltre ad
Aldo Natoli, Lucio Magri e Luciana Castellina, spiccano i nomi di
Rossana Rossanda e Luigi Pintor. Il nuovo giornale comunista era
5
E’ opportuno precisare che “il Manifesto” nasce come rivista mensile il 24 giugno 1969. Si
trasformerà in quotidiano nell’aprile del 1971.
riflessivo, ma anche duramente critico, in specie verso il
filosovietismo del Pci, in nome della rivoluzione culturale cinese.
Va anche detto che in quegli anni molte altre testate, sull’onda delle
battaglie per il divorzio e l’aborto, e dei successi elettorali del Pci
nel ‘75 e nel ‘76, si avvicinano alle posizioni dell’ “Unità”, anche
per il peso del movimento dei giornalisti democratici.
Effettivamente, però, è con la nascita ed il successo de “la
Repubblica” di Scalfari, e il parallelo infiacchirsi della politica di
solidarietà nazionale, che il mercato dell’ “Unità” si restringe.
“La Repubblica” è un giornale schierato, ed il fondatore Eugenio
Scalfari lo rende chiaro sin dal primo numero, quello del 14 gennaio
1976, in cui scrive: “Questo giornale è un poco diverso dagli altri: è
un giornale d’informazione il quale, anziché ostentare una illusoria
neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di
campo. E’ fatto da uomini che appartengono al vasto arco della
sinistra italiana”
6
.
La formula scelta è quella del tradizionale giornale di informazione
cioè un giornale liberal, che riporti oggettivamente i fatti ovunque
si producano. Ma mentre gli altri giornali di informazione non
rendono esplicita una scelta di campo, “la Repubblica” dichiara da
subito di essere un giornale della sinistra italiana. Un quotidiano,
vale la pena di sottolinearlo, non legato a gruppi e partiti che si
impegna a giudicare “i fatti, positivi e negativi, anche se si
producono in quell’area di sinistra in cui si è scelto di militare”
7
.
Il mercato a cui si fa riferimento è comunque un’area di sinistra
ormai molto più ampliata e variegata di un tempo e non più soltanto
6
E. Scalfari, “Un giornale indipendente ma non neutrale”, la Repubblica, 14 gennaio 1976,
nota a p. 6.
7
G. Pansa, Comprati e venduti, Milano, Bompiani, 1977, citato in P. Murialdi, “Contributo
alla storia di Repubblica. Il quotidiano diverso”, Problemi dell’informazione, n. 4 del 1983, p.
606.
Conclusioni
In questo lavoro abbiamo ripercorso dieci anni di storia, dal 1990 al
2000, di uno dei più importanti quotidiani italiani: “l’Unità”. Per
meglio comprendere le vicende e le problematiche legate al
giornale, abbiamo anche ricostruito la storia precedente del
quotidiano di Gramsci, dalle origini fino al 1990. Ci siamo quindi
proposti di svolgere un’indagine sulle cause che hanno portato alla
crisi e successivamente, nel luglio del 2000, alla chiusura del
giornale di partito. Utilizzando come punto di riferimento la
ricostruzione storica effettuata, abbiamo individuato tre cause
fondamentali del declino del giornale: il fatto di essere quotidiano
di partito; la concorrenza dei giornali che facevano riferimento allo
stesso target di lettori ed in particolare di “Repubblica”; infine le
responsabilità dell’editore-partito prima e di quello privato poi.
Per quanto riguarda la prima causa, abbiamo dimostrato come la
condizione di giornale di partito comporti degli svantaggi di gran
lunga superiori ai benefici derivanti dagli ingenti finanziamenti
statali. Ne sono prova i bassi livelli di vendita di tutti i giornali di
partito in vendita nel nostro Paese. In un contesto in cui gli elettori
sono disposti a cambiare scelte politiche con grande frequenza e la
fedeltà e l’attaccamento ai partiti è in continuo calo, è difficile che
un quotidiano che si dichiari espressione di una determinata
formazione politica possa riscuotere successo.
Per cui, se da un lato chi vedeva nell’ “Unità” un giornale troppo
legato al Pds-Ds se ne allontanava, lo zoccolo duro dei militanti
finiva col sentirsi disorientato dai continui cambiamenti di linea
editoriale, tesi a disegnare un giornale che facesse riferimento
sempre più ad un area politica piuttosto che ad un partito, con la
conseguente sensazione di perdita di identità e di riconoscibilità.
Inoltre nel riferirsi ad un target molto più esteso di quello di
partenza, “l’Unità” si metteva in diretta concorrenza con “la
Repubblica”, un giornale che possedeva ben altri mezzi e risorse
per affrontare il mercato editoriale e da cui “l’Unità” non poteva
che risultare schiacciata.
Infine, abbiamo fatto riferimento alle responsabilità dell’editore-
partito e di quello privato. Se le accuse scagliate contro i Ds, di
volersi liberare di una testata segnata da un passato pesante dal
quale cercavano di distaccarsi e da una capacità di generare costi e
debiti insostenibile per il partito (in un contesto in cui altri canali di
comunicazione garantivano meglio la visibilità), non sono
dimostrabili, diverso è il discorso riguardante la capacità di tenere
sotto controllo i costi, sia quelli relativi alle promozioni editoriali,
sia quelli legati agli organici. Abbiamo fornito, infatti, vari dati
che dimostrano come le sole spese per poligrafici e giornalisti
giungevano quasi ad eguagliare gli incassi provenienti dalle
vendite. D’altronde non era certo facile per un giornale legato al
mondo dei lavoratori come “l’Unità”, far quadrare i conti attraverso
dei tagli di organico. Per quanto riguarda i soci privati, essi si sono
dimostrati poco inclini ad investire per un rilancio del quotidiano e
a mettere mano alle proprie risorse. Hanno inoltre favorito delle
scelte aziendali dissennate come le retribuzioni o le liquidazioni
elevate concesse a chi nel giornale ha lavorato per periodi molto
brevi.
E’ evidente come oltre a queste tre cause principali se ne possano
affiancare altre, comunque riconducibili ad esse. Ad esempio se è
vero che in molti hanno abbandonato il giornale perché delusi dai
Ds al governo, lo hanno fatto proprio perché “l’Unità” era legata a
quel partito.
Teniamo poi a sottolineare che quella da noi proposta è una
schematizzazione delle ragioni che hanno portato alla scomparsa
dalle edicole del giornale di Gramsci. Altre di diversa natura erano
possibili, ferme restando le conclusioni cui siamo giunti. Avremmo
potuto dire, come ha fatto Michele Serra, che il vero killer
dell’ “Unità” è stato il suo pubblico
8
. Ma se il pubblico ha
abbandonato il giornale ciò è avvenuto per i motivi trattati in
precedenza come l’inattualità della formula del giornale di partito.
O avremmo potuto scaricare parte delle responsabilità sui direttori,
dicendo ad esempio che cercare di imitare il modello di
“Repubblica”, non avendone le risorse, era un’idea destinata ad
ottenere ulteriori cali di vendita (cosa che in effetti è avvenuta). Ma
come si vede saremmo di nuovo tornati su un argomento già
analizzato senza modificare il risultato della nostra ricerca.
L’intervista a Giuseppe Caldarola che presentiamo in questo lavoro
conferma nella sostanza i ragionamenti sin qui portati avanti.
Oggi “l’Unità” è di nuovo nelle edicole. E’ un quotidiano diverso,
nella linea editoriale, nella grafica, nell’assetto proprietario. Un
giornale più battagliero, che ha trovato finalmente una sua
collocazione nel mercato editoriale, dopo anni di incertezze e
ripensamenti. Il suo successo è notevole, si è tornati ai livelli di
vendita di dieci anni fa.
“L’Unità” è tornata a far sentire la sua voce nel coro dei giornali
italiani. Un coro che quanto più è stonato e caratterizzato da voci
diverse tanto più è garanzia di vero pluralismo nell’informazione.
8
M. Serra, “L’Unità, delitto perfetto”, la Repubblica, 28 luglio 2000.
Appendice 1:
Intervista a Giuseppe Caldarola
Giuseppe Caldarola è stato per due volte direttore dell’ “Unità” dal
maggio ‘96 al febbraio ‘98 e dall’agosto del ‘99 alla chiusura del
giornale nel luglio del 2000. Ha lavorato all’ “Unità” dal ‘78 con
una breve diversione a “Rinascita” e a “Italia Radio” che proprio lui
ha fondato e diretto. E’ stato caposervizio del sindacale, vice capo
redattore, vice direttore con Renzo Foa, poi vicario e condirettore
con Walter Veltroni direttore. Prima dell’esperienza al giornale è
stato per cinque anni redattore di Laterza. E’ stato eletto deputato
nelle ultime elezioni politiche. Lo abbiamo incontrato a Palazzo
Marini, sede delle segreterie della Camera dei Deputati, dove
abbiamo avuto modo di ripercorrere la sua avventura nel giornale e
di approfondire alcuni aspetti di particolare interesse legati alla sua
esperienza di direzione ed alla crisi dell’ “Unità”. L’intervista che
riportiamo è stata registrata l’8 febbraio 2002.
Onorevole Caldarola, Lei ha tante volte protestato contro lo
scarso impegno dei Democratici di Sinistra per salvare il
giornale ed ha insistito molto sulla necessità del giornale per i
Ds. Crede che l’atteggiamento pilatesco dei vertici derivasse
dalla convinzione che i Ds potevano operare benissimo senza
l’appoggio dell’ “l’Unità”?
Appendice 2: Rassegna di immagini
Figura 1
“L’Unità” del 2 gennaio 1990.
Il primo numero dell’ “Unità” del 1990 con D’Alema direttore, dà
una chiara idea dell’atteggiamento del giornale verso “la svolta”.