Attraverso autori quali Gian Paolo Ceserani, Vanni Codeluppi,
Giampaolo Fabbris, Fernando Dogana si è voluto, nella prima parte,
descrivere l’importanza di tutti i tipi di linguaggi esistenti nella pubblicità
e dell’effetto che produce nei consumatori. Nel primo capitolo, si è
analizzata la caratteristica principale del linguaggio verbale, utilizzato per
creare testi, claims, headlines e marchi pubblicitari: la capacità di evocare
ricordo ed emozioni. Si sono descritti segni verbali di tipo “iconico”,
ossia segni che esprimono un significato puramente imitativo: la parola
imita un aspetto, una situazione, non ha nessun significato particolare. E’
lo specchio di un’immagine che colpisce e suscita interesse. Esempi sono
i “segni verbo-visivi”, unione tra codice linguistico e figurativo.
Il secondo capitolo, invece, si sofferma sui diversi tipi di linguaggi
esistenti (verbale, musicale, figurativo, gestuale) in relazione all’utilizzo
in ambito di comunicazione pubblicitaria. Si fa riferimento, in particolare,
alle diverse figure retoriche utilizzate negli spot (dalla metafora,
all’anafora, al climax, alla similitudine) che tendono a rendere i concetti
maggiormente recepibili. Il terzo capitolo è dedicato alla scienza dei
segni: la semiotica, con riferimento ai suoi maggiori esponenti come
Barthes, Greimas, Peninou, Umberto Eco. Ci si sofferma, in particolare,
sullo studio condotto da Greimas sulla “Semiotica Generativa”, la cui tesi
centrale afferma che tutti i segni appartengono al livello della
manifestazione del senso, cioè ad un livello puramente momentaneo e
superficiale del processo di significazione. Per cui, affinché il senso si
manifesti, ha bisogno di affrontare un percorso (percorso generativo della
significazione): parte dal livello più superficiale del testo fino ad
esprimersi nel suo vero e profondo significato. Greimas ha, inoltre, messo
a punto uno schema interpretativo applicabile a tutte le forme di
narrazione (quindi applicabili anche agli “spot televisivi”) e denominato
modello attanziale. E’ uno schema in cui si valuta i tipi di rapporto
esistenti tra i vari protagonisti della narrazione (di solito un Destinante,
un Soggetto con relativo Aiutante, un’Opponente e un Destinatario
dell’ “Oggetto del desiderio”) e lo sviluppo delle tematiche affrontate e
dei valori espressi. E’ uno schema, che è stato utilizzato anche per
descrivere alcuni spot della Barilla, forse i più rappresentativi del periodo
che va dal 1985 al 1990 (cosiddetta ERA DEI SENTIMENTI), e che
sono: TRENO, FUSILLO, GATTINO e MOSCA (capitolo
quattordicesimo).
Nel quarto capitolo, è stata effettuata una panoramica della pubblicità in
Italia agli inizi del secolo, ponendo l’accento su quelle che erano le
problematiche e le informazioni trasmesse attraverso i mezzi pubblicitari
a disposizione in quel periodo. Con questo capitolo termina la prima parte
e si passa alla descrizione della pubblicità Barilla. E’ un quadro completo
di tutta la storica strategia pubblicitaria della Barilla dal 1910 al 2001. Si
parte con l’analisi dell’evoluzione del marchio (capitolo quinto), marchio
famoso in tutto il mondo e che ha sempre rispecchiato la semplicità,
caratteristica essenziale nella realizzazione del prodotto “pasta”. In
seguito, ci si sofferma sulla straordinaria capacità della Barilla di
comunicare (capitolo sesto); attraverso la realizzazione di molteplici
formati delle confezioni Barilla, rafforza l’immagine aziendale e lega due
aspetti importanti: successo e quindi sviluppo dell’azienda che significa
variegare, cambiare, creando di più e sempre meglio. Con il capitolo
settimo, invece, si parte con la descrizione delle realizzazioni
pubblicitarie della Barilla. In questo capitolo si considera il periodo che
va dal 1910 al 1940: dalla creazione del primo marchio aziendale (il
ragazzo biondo che versa il tuorlo d’uovo nella madia di farina), al nuovo
marchio Barilla utilizzato nel 1926 (il cuoco volante) ai primi calendari
realizzati da Erberto Carboni, il più brillante grafico che abbia lavorato
per la Barilla, nel 1939. Nell’ottavo capitolo, si analizza la rinascita
dell’impresa Barilla e di tutte le più importanti imprese italiane: dal 1945
in poi, si cerca di dimenticare il nulla caratterizzato dalla guerra mondiale
e si uniscono le forze per ricominciare e riassestare l’economia italiana.
Barilla tra il 1945 e il 1951, realizza un nuovo calendario realizzato da
Giuseppe Venturini. Nel 1952 comincia lo sviluppo dell’azienda
emiliana; nel nono capitolo, si descrivono le svariate campagne
pubblicitarie su carta stampata realizzate da Carboni in cui si nota
l’obiettivo primario della Barilla: investire nell’immagine, far salire il
prestigio aziendale. La concorrenza si comincia a far sentire ed è in
questo contesto che si crea il nuovo “concetto” di pubblicità, strumento
che non deve servire a vendere ma a creare consensi positivi duraturi. Il
decimo capitolo è dedicato alla fantastica personalità di Erberto Carboni,
artefice dell’ascesa sul mercato nazionale della Barilla; tale personalità è
descritta attraverso le sue opere, in cui si denotano la creatività,
l’innovazione e l’utilizzo di metafore visivo-verbali che riescono a
comunicare il messaggio al pubblico, in maniera forte. Questo fino alla
fine degli anni cinquanta, cioè fino alla nascita del cinema e della TV.
Nell’undicesimo capitolo, infatti, si analizzano le prime pubblicità
cinematografiche firmate da autori quali Paul Bianchi e Giulio Graniti.
Quest’ultimo, in collaborazione con Emanuele Luzzati, ha realizzato il
primo spot animato dell’era Barilla: la “Tarantella di Pulcinella”, un
cartoon dalle immagini al quanto grossolane ma che esprimono il
messaggio in maniera chiara e semplice. Si arriva così alla TV: 3 febbraio
1957 è la data della sua nascita. Barilla sfrutta in pieno il mezzo: prima
con il Carosello, poi con l’utilizzo per la prima volta dei testimonial (da
Albertazzi a Dario Fo a Mina), Barilla conosce uno dei periodi di
massimo splendore. Anche se poi, la troppa popolarità della cantante
Mina, rischiava di distogliere i consumatori dal prodotto (cosiddetta
IMMAGINE VAMPIRA) i quali rimanevano affascinati solo dalle sue
performance (capitolo dodicesimo). Nel tredicesimo capitolo, si analizza
il periodo che va dal 1979 al 1985: dopo la breve parentesi americana
(l’azienda emiliana era, infatti, stata ceduta alla multinazionale Grace nel
1970), Pietro Barilla nel 1979 torna alla guida dell’azienda. Questo è il
periodo della nascita delle tv private (Canale 5, Italia 1, Rete 4) ed è il
boom dell’investimento pubblicitario. Barilla si affida alle campagne
“teaser”: frasi ad effetto senza l’inserimento del marchio. L’intento è
conquistarsi un posto nella mente del consumatore, ora che fa la spesa
trovandosi solo davanti allo scaffale del supermercato, attraverso frasi
ridondanti e modi di dire particolari (esempio: Quante ragazze al dente ci
sono in giro! Oppure Cercasi giovane fattorino purché al dente.). Siamo
nel 1984 e, dopo la piccola parentesi dello spot girato da Federico Fellini
e dal titolo “Rigatoni” (non ebbe molto riscontro da parte del pubblico),
un anno più tardi comincia la famosa “Era dei sentimenti”: nel
quattordicesimo capitolo, viene analizzato il periodo più importante della
Barilla, che va dal 1985 al 1990. Periodo in cui Barilla, attraverso i suoi
spot (da TRENO a GATTINO a MOSCA) esalta valori che rimarranno
vivi fino ad oggi: amore per la tradizione, la genuinità dei prodotti e
l’istituzione della famiglia attraverso lo storico headline “Dove c’è Barilla
c’è casa” e le travolgenti note di Hymn di Vangelis. Barilla, dato il suo
successo, decide di entrare nel mercato europeo: nel quindicesimo
capitolo, sono state analizzati alcuni spot mandati in onda solo in Francia
e Germania, con testimonial d’eccezione come l’attore francese Gerard
Depardieu e la tennista tedesca Steffi Graff. Nel sedicesimo capitolo,
invece, si sono analizzati gli spot realizzati dal 1994 al 1998, periodo in
cui si verifica un cambio di direzione: il claim “Dove c’è Barilla c’è casa”
scompare e si spalanca un enorme orizzonte BLU. Ci si concentra sulla
tematica cromatica, derivante dal colore della confezione, utilizzando
testimonial (Alberto Tomba dello spot “Blu Boy”) o descrivendo azioni
spinte “dall’amore per la pasta Barilla” (la donna che finge di essere
incinta per mangiare un piatto di pasta Barilla sull’aereo, dello spot
“Blu”). Nel 1999 si cambia ancora: la Young & Rubicam, ripropone lo
storico headline “Dove c’è Barilla c’è casa”, con un motivo diverso da
quello di Vangelis, ma lo stesso molto intenso ed emozionante. Nel
diciassettesimo capitolo, vengono analizzati tre spot realizzati tra il 1999
e il 2000, in cui i valori descritti e l’headline “rispolverato” parlano
chiaro: il potere evocativo della frase e la condivisione di un piatto di
pasta fatto secondo la tradizione e le regole di una volta, catturano,
emozionano, fanno sussultare il cuore dei consumatori. La visione e la
relativa analisi dei vari spot citati, è stata resa possibile grazie ad una
videocassetta facente parte dell’ARCHIVIO STORICO BARILLA, in cui
sono stati tracciati i momenti più importanti della comunicazione
televisiva Barilla. L’ultimo capitolo è un po’, il gran finale: la massima
descrizione di un lavoro, quello della realizzazione della pasta, che va
avanti da 125 anni ed ha ancora un grande futuro innanzi a sé. Nel
diciottesimo capitolo, è stato analizzato lo spot della Barilla, realizzato, in
occasione dei suoi 125 anni, dal duo BARICCO - WENDERS.
Attraverso il sito internet, www.barilla125anni.it, è stato possibile
visionare il duro ma estremamente emozionante lavoro che sta alle spalle
di tale film pubblicitario: immagini leggendarie, passione per un lavoro
che si compie con sapienza da oltre un secolo, valori d’un tempo che si
mantengono integri.
Il tutto realizzato attraverso la genialità di Baricco, famoso scrittore, e
l’estro di Wenders, regista d’avanguardia e più volte premiato dalla critica
per le sue opere. Forse proprio guardando quest’ultimo capolavoro
firmato “Barilla”, si può realmente credere alle parole del Ceserani,
quando dice << La pubblicità è stata la voce “artistica” del gran
movimento consumistico. La popolazione italiana ha intuito la sua forte
capacità di riflettere il vissuto sociale, di interpretarlo e restituirlo in
chiave simbolica. Un livello artistico della pubblicità che è stato esaltato,
paradossalmente, proprio negli anni ottanta ed oltre, era della grande
razionalizzazione della pubblicità >>.
2
2
CESERANI Gian Paolo, Storia della pubblicità in Italia, Bari, Laterza, 1988
PARTE I:
LA PUBBLICITA’
E
IL SUO LINGUAGGIO
CAPITOLO 1
IL LINGUAGGIO DELLA PUBBLICITA’:
L’ARTE DEL COMUNICARE
Il linguaggio ha un ruolo primariamente funzionalistico, che è quello di
trasmettere gli elementi del contenuto.
In altri contesti alla parola si chiede qualcosa di diverso, tipo di essere
superiore rispetto alla semplice specificazione di un significato: di
essere “bella”, “efficace”, di assumere un significato che deve essere
percepito attraverso i propri sensi oltre che dall’intelletto. Ed è proprio
in questa ottica, s’introduce il linguaggio pubblicitario, per le sue
finalità persuasorie e laudative, per la necessità di far sì che il
messaggio colpisca l’attenzione dell’ascoltatore, si faccia percepire,
risulti allettante ed “impattante”.
Il linguaggio pubblicitario, avendo la caratteristica principale di
esprimere in pochi secondi emozioni, ricordi, evocare situazioni
mitiche, fa ampio ricorso a segni verbali di tipo “iconico” o
“analogico”, cioè segni verbali che imitano e riproducono nel mezzo
linguistico alcuni tratti pertinenti ai significati o contenuti.
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Ciò significa che anche la parola può esprimere un significato
puramente imitativo: la parola imita un aspetto, una situazione, non ha
nessun significato particolare.
E’ lo specchio di un’immagine particolare, che comunque è in grado di
colpire e suscitare emozioni. Un primo e semplice espediente per
costruire segni verbali imitativi, è quello che ricorre all’unione tra
codice linguistico e quello figurativo. Il risultato consiste nell’avere i
cosiddetti “segni verbo-visivi”.
Sono segni che uniscono la componente verbale a quella figurativa
contemporaneamente, in modo da permettere all’ascoltatore di poter
soffermarsi, essendo stato colpito, su particolari frasi, nomi, magari
3
GRANDI Roberto, Come parla la pubblicità: modelli comunicativi degli spot pubblicitari, Milano, Sole 24 Ore,
1987.
attratto da quel qualcosa che gli evoca situazioni particolari e riflettere,
ricordare, evocare, rimanere stupefatto.
L’ampio ricorso della pubblicità ai segni verbo-visivi, si spiega con
l’originalità che li caratterizza e quindi con la loro capacità d’imporsi
nella percezione e nella memorizzazione.
Analizziamo le varie tipologie di verbo-visità pubblicitaria:
1. Ad un primo livello, consideriamo essenzialmente la punteggiatura e gli
spazi vuoti tra o intorno alle lettere:
- il puntino sulla I di DIANEX, marchio di prodotti che rendono la
casa brillante è disegnato a forma di stella, così da visualizzare il
concetto di lucentezza, come mostrato in Fig. 1
Fig.1
2. Ad un livello ulteriore, abbiamo il coinvolgimento dell’intera parola;
vediamo qualche esempio:
- il marchio TEGOSTIL di un produttore di tetti per la casa, è scritto
in modo da rendere l’impressione di essere coperto da tegole (Fig. 2);
Fig. 2
- la sigla CLP, in Fig. 3, ricorda visivamente le venature del legno;
Fig. 3