La Theory of Macroeconomic Policy, all’interno della quale i problemi di coerenza
dinamica sopra accennati hanno trovato una prima ed esplicita analisi, è la tradizione
più recente.
Essa può essere fatta risalire alla metà degli anni ’70 con la famosa “critica di Lucas”
che, in un certo senso, ha rappresentato il punto di rottura con la visione precedente
della politica economica. Lucas per primo, ha infatti insegnato a studiare le conseguenze
di regole di politiche economiche: solo quando una policy è formulata come una regola,
è possibile dare un preciso contenuto alle aspettative private, attraverso l’ipotesi di
aspettative razionali. Come in seguito suggerito dai lavori di Kydland e Prescott (1977)
e Calvo (1978), non tutte le regole di policy sono però ugualmente plausibili: solo
quelle regole che l’operatore pubblico non ha incentivo ad abbandonare diventano
credibili, o temporalmente coerenti.
Quest’idea ha permesso di dare alle aspettative razionali un fondamento teorico
mediante la teoria dei giochi strategici: individui razionali agiscono in modo strategico e
basano le loro aspettative sulla percezione degli incentivi del policymaker.
Dall’intuizione che una teoria completa dovesse perciò includere ipotesi specifiche sul
come controllare e gestire questi incentivi, il passo ad un approccio politico alla policy
macroeconomica è stato breve. In particolare dalla metà degli anni ’80, da quando cioè
questo passo è stato fatto, una letteratura sviluppatasi rapidamente ha tentato di costruire
ulteriori e più solide fondamenta per le ipotesi relative agli incentivi dei policymakers.
Dato il punto di partenza, le ricerche in questa tradizione hanno sempre sostenuto
l’ipotesi di razionalità individuale e, salvo poche eccezioni, i modelli sviluppati da
questa scuola hanno avuto specifiche microfondazioni. I ricercatori hanno inoltre
prestato particolare attenzione alle scelte di policy intertemporali e alle dinamiche
economiche. Allo stesso tempo tuttavia, questo filone di ricerca ha spesso fatto
affidamento su ipotesi superficiali riguardo le istituzioni politiche e i conflitti politici e
tentato di aggirare l’analisi empirica applicata
1
.
Una seconda tradizione, più vecchia e più saldamente fondata nell’analisi positiva della
politica economica, è la Public Choice.
1
I primi contributi di questa tradizione sono esposti in Persson e Tabellini (1990).
Le origini di tale filone di studi possono essere individuate nei classici contributi di
Buchanan e Tullock (1962) e Olson (1965). All’interno di questa linea di ricerca,
tradizionalmente focalizzata nei campi della finanza pubblica, delle politiche di
commercio e delle politiche di regolamentazione, l’analisi dei problemi di agenzia tra
governo e cittadini ha sempre occupato un ruolo di primo piano.
Numerose sono state nel tempo le idee sviluppate e formalizzate dalla scuola della
Public Choice e molte di esse esercitano ancora oggi una influenza non trascurabile
nelle ricerche di economic policymaking. Questi studi hanno, ad esempio, evidenziato
l’importanza dei gruppi di interesse, nel senso della loro capacità di influenzare il
processo politico attraverso un’attività di lobbying organizzata e una diffusa attività di
rent-seeking. Altro importante contributo è stata l’intuizione che molti problemi di
agenzia nella politica, cioè i conflitti tra le azioni dei politici svolte nel proprio interesse
in contrasto con quello dei votanti, trovino origine nel fatto che il pubblico non sia
perfettamente informato circa i dettagli degli specifici programmi di policy. All’interno
di questa linea di ricerca ha anche avuto notevole sviluppo l’analisi dei conflitti tra
autorità di politica economica nazionali ed autorità sovranazionali
2
.
La scuola della Public Choice ha inoltre sottolineato l’importanza della costituzione e
dei vincoli che essa impone: le questioni costituzionali giocano un ruolo importante in
tutti i lavori di questa tradizione. I ricercatori di questa scuola sono stati comunque
tradizionalmente riluttanti ad usare gli strumenti formali della teoria dei giochi o ad
imporre teorie forti sulla razionalità individuale
3
. Come risultato il lavoro iniziale ha
poggiato su deboli fondazioni teoriche o microeconomiche.
Una terza e fondamentale tradizione di ricerca nella politica economica è l’analisi
formale della Political Science. Questo filone di studi, la cui origine può essere fatta
risalire al lavoro di Riker (1962), è comunemente chiamato Rational Choice.
I risultati della Spatial Theory of Voting e della Axiomatic Social Choice Theory,
seguenti la pubblicazione del teorema di impossibilità di Arrow (1951), hanno disilluso
molti ricercatori di questa scuola circa la prospettiva di un teoria generale di scelta
collettiva basata sulle sole preferenze individuali. Tuttavia, dai primi anni ’80, la
Political Science ha cambiato il suo orientamento tradizionale, volgendo la propria
2
Esempi di campi di applicazione sono le teorie delle unioni economiche, monetarie e del coordinamento
delle politiche fiscali.
3
Frey (1983) e Mueller (1989) presentano la letteratura relativa alla prima Public Choice.
attenzione allo studio delle scelte collettive all’interno di specifiche istituzioni
politiche.
Questo approccio ha permesso di modellare i dettagli istituzionali, utilizzando gli
strumenti propri della teoria dei giochi non cooperativi. In tal senso ad esempio, sistemi
politici alternativi differenti nelle procedure di elezione degli esponenti politici, o nelle
modalità con cui i poteri di stabilire gli “ordini del giorno” vengono allocati, oppure
nella specifica struttura del processo legislativo stesso, possono essere formalmente
rappresentati attraverso alternativi giochi in forma estesa.
In sostanza, i ricercatori della scuola della Rational Choice si sono principalmente
focalizzati sulle istituzioni in quanto tali, modellando le specifiche caratteristiche
istituzionali come ben definiti giochi di delegazione strategica e prestando nel contempo
poca attenzione alle specifiche questioni di policy economiche
4
.
Come precedentemente accennato, questi tre filoni di studio, pur essendosi
originariamente sviluppati in parallelo e senza particolari punti di contatto, presentano
oggi un’integrazione sempre maggiore.
La tendenza attuale dei ricercatori è infatti di cercare di sviluppare modelli che
combinino il meglio delle tre tradizioni. In una forma estremamente semplificata, è
possibile affermare come tali lavori utilizzino nell’analisi di alcuni dei problemi classici
della Public Choice, gli strumenti caratteristici della scuola della Rational Choice ,
all’interno di un approccio di equilibrio generale proprio della Theory of
Macroeconomic Policy.
4
Ordeshook (1986) e Inman (1987) presentano la letteratura relativa alla prima Rational Choice; Mueller
(1997) ne illustra i contributi più recenti.
Ciò premesso è utile fornire una sintetica presentazione della struttura del lavoro che
segue.
Questo è articolato in due parti.
Nella Parte Prima, seguendo per quanto possibile la sequenza temporale degli sviluppi
teorici, si cercherà di fornire una visione d’insieme del problema della credibilità.
Nello specifico il capitolo Primo sarà dedicato ad una sintetica presentazione
dell’apparato teorico proprio della tradizione “classica” della teoria della politica
economica.
Si schematizzeranno perciò le peculiari caratteristiche dei modelli statici e dinamici, in
riferimento sia agli obbiettivi fissi che a quelli flessibili, cercando di dare particolare
risalto alle modalità di impostazione dei problemi di politica economica nonché alle
specifiche ipotesi sottostanti. L’obbiettivo di questa presentazione sarà infatti di
evidenziare la caratteristica visione del sistema economico e degli agenti che lo
popolano propri della teoria classica per permettere una migliore comprensione delle
differenze tra questa tradizione e gli approcci più moderni.
Sulla base della constatazione che le soluzioni dei problemi dinamici ad obbiettivi fissi
risultano essere solo soddisfacenti piuttosto che ottime, si accennerà anche alla “teoria
del controllo ottimo” che individuando, nel caso di controllabilità puntuale la migliore
tra le traiettorie esistenti e nel caso di non point o path controllabilità l’insieme degli
strumenti che portano l’economia il “più vicino possibile” alla posizione o al sentiero
desiderati, permette di superare il suddetto inconveniente.
A chiusura del capitolo si introdurrà la cosiddetta “critica di Lucas” (1976) che, come
precedentemente detto, ha rappresentato un punto di svolta tra la visione classica della
politica economica e le concezioni più recenti. In particolare dalla discussione emergerà
come l’introduzione nei modelli classici delle aspettative di tipo forward looking abbia
permesso di mettere in discussione il contesto di applicazione delle procedure di
controllo ottimo, imponendo così alla teoria un profondo ripensamento metodologico.
Nel capitolo Secondo, attraverso la presentazione di alcuni pionieristici, ma
fondamentali modelli, si introdurrà il tema della credibilità vero e proprio, cercando nel
contempo di offrirne un inquadramento generale all’interno del nuovo apparato teorico
di cui si tratta.
Si partirà illustrando i celebri lavori di Kydland e Prescott (1977) e di Calvo (1978),
che, avendo aperto la strada all’analisi macroeconomica degli incentivi, rappresentano il
riferimento concettuale nelle analisi dei problemi di credibilità. In particolare, si
definirà il concetto di “incoerenza temporale” e si mostrerà come essa comporti la non
credibilità degli annunci di policy: un piano di politica economica temporalmente
incoerente risulti essere anche non credibile in quanto, in tal caso, il policymaker ha
incentivo a deviare dalle strategie annunciate. Sarà quindi possibile comprendere come
la scoperta di tale categoria abbia permesso di mettere in discussione l’utilizzo delle
procedere di ottimizzazione della tradizione classica, nonché di spiegare
comportamenti che la teoria economica, nella sua impostazione tinbergeniana, non era
in grado di prevedere.
Successivamente, la presentazione dei cosiddetti “vincoli politici” e “vincoli di
credibilità”, permetterà di focalizzare esplicitamente l’attenzione sui giochi di politica
economica. Descrivendo sinteticamente i meccanismi di interazione tra policymakers e
pubblico in termini di teoria dei giochi, sarà possibile introdurre i concetti di “equilibrio
con commitment” e “equilibrio discrezionale”. In tale contesto si illustrerà il famoso
modello di Barro e Gordon (1983), che rappresenta forse l’esempio più illustre di
impostazione di un problema di politica economica in cui vengono evidenziati ed
analizzati i comportamenti strategici tra policymakers e agenti privati. Si darà evidenza
infatti sia alle situazioni in cui l’operatore pubblico è tentato di sorprendere il settore
privato deviando dalle scelte di politica economica annunciate, sia agli equilibri a cui si
perviene in base alle azioni e reazioni dei giocatori.
In chiusura di questo capitolo verrà infine fatto un breve cenno alla struttura generale di
quei modelli, sia statici che dinamici, in cui i comportamenti ed i vincoli operanti sui
policymakers trovano un’esplicita analisi.
Nel capitolo Terzo, ultimo di questa Parte Prima, verrà presentata una struttura,
sviluppata da Cooper (1999), sulla base del lavoro di Chari, Kehoe e Prescott (1989),
che costituisce un riferimento generale per i problemi di commitment. In essa verranno
ripresi e riorganizzati alcuni dei temi introdotti nei capitoli precedenti, ponendo in
particolare l’accento sull’interazione strategica tra i giocatori. Nello specifico verranno
evidenziati i due elementi chiave all’origine dei time consistency problems: la presenza
di esternalità non “interiorizzate” dagli agenti privati; la presenza di conflitti di interesse
tra responsabili della politica economica e pubblico.
Prima di illustrare tale struttura si accennerà però ad alcuni temi, che pur essendo propri
della letteratura che si occupa dello studio del potere di coordinamento del governo,
presentano importanti connessioni con i problemi di coerenza temporale. In particolare
sarà possibile vedere come, all’interno di contesti caratterizzati da interazione strategica,
l’operatore pubblico possa agire come “costruttore di fiducia” solo quando abbia la
capacità di creare un commitment credibile e non vi siano conflitti di interessi con il
pubblico. In mancanza di tali condizioni il policymaker non solo non può avere nessun
ruolo di coordinamento, ma diventa esso stesso fonte di incertezza strategica.
A chiusura del capitolo, verranno presentati due celebri esempi di problemi di
credibilità: una teoria positiva per l’inflazione, sviluppata nello spirito dei lavori di
Kydland e Prescott (1977) e di Barro e Gordon (1983); un modello di determinazione
della tassazione ottimale di Fischer (1980). In entrambi i lavori, ponendo l’accento
ancora una volta sui comportamenti strategici dei giocatori e sull’ordine delle mosse del
gioco, verranno illustrati gli effetti dei time consistency problems. In generale sarà
possibile vedere come l’incapacità del responsabile della politica economica ad
impegnarsi per una determinata regola conduca a situazioni che, dal punto di vista del
benessere sociale, risultano essere nettamente peggiori rispetto a quelle in cui è presente
un commitment credibile. In particolare regimi discrezionali presenteranno: nell’ambito
della politica monetaria una eccessiva inflazione di equilibrio
5
; nell’ambito della
politica fiscale un eccessivo livello di tassazione sul capitale.
La Parte Seconda sarà dedicata ad una presentazione del problema della credibilità
all’interno dell’ambito specifico della politica monetaria.
Nel capitolo Quarto, verrà in primo luogo illustrato un modello, sviluppato da Persson e
Tabellini (1990), (2000), che rappresenterà una struttura di riferimento per le analisi
sviluppate nel capitolo. Per necessità e semplicità espositiva, la descrizione sarà parziale
nel senso che non verranno considerate le implicazioni delle questioni politiche e i
relativi vincoli; si astrarrà da distinzioni tra governo e banca centrale (in altre parole è
5
Tale risultato, indicato in letteratura come Inflation Bias, verrà ripreso nel capitolo Quinto.
possibile interpretare l’analisi di questo capitolo come sviluppata in ipotesi di una banca
centrale sotto il pieno controllo del governo – tali importanti questioni di delega
verranno illustrate nel capitolo Quinto) e non verranno considerati gli aspetti
internazionali del policymaking.
In tale contesto, ipotizzando differenti sequenze temporali nel processo di policymaking
si individueranno i risultati di equilibrio statici (in termini di occupazione e inflazione)
in riferimento ad un regime con regole (commitment) e ad un regime discrezionale. Dal
confronto di questi outcomes sarà possibile vedere come in assenza di commitment,
perdendo il policymaker il controllo delle aspettative del settore privato, nascano
problemi di incentivo (credibilità) che conducono ad una distorsione in termini di
un’eccessiva inflazione di equilibrio (inflation bias).
Estendendo il modello ad un contesto multiperiodale, sarà poi possibile evidenziare la
natura ripetuta del processo di policymaking e rilevare come il collegamento in termini
di aspettative tra policy corrente e policy futura possa essere soluzione parziale o totale
ai problemi di credibilità. Nello specifico si evidenzierà come in un contesto di
interazioni ripetute tra governo e pubblico, un policymaker che agisce con
discrezionalità si trovi tipicamente a fronteggiare un trade-off intertemporale tra costi
futuri collegati ad aspettative inflazionistiche più elevate generate da politiche
espansionistiche correnti e benefici derivanti da un più elevato livello occupazionale. In
tali situazioni, e quando i costi superano i benefici, un policymaker sufficientemente
attento al futuro può essere indotto a rinunciare a “sorprese” di politica economica. Si
riferirà poi delle debolezze di cui soffrono i modelli reputazionali soffermandosi in
particolare su un problema di equilibri multipli (comune a tutte le applicazioni della
teoria dei giochi ripetuti) che si contrappone con forza ad un plausibile modello positivo
per la politica monetaria.
Infine, in chiusura di capitolo si illustrerà un’estensione dinamica del modello in ipotesi
di output ed employment persistence. In riferimento a tale costruzione si individueranno,
in analogia con quanto precedentemente fatto, i risultati di equilibrio rispettivamente per
il regime con commitment e per quello discrezionale. Dal confronto di tali outcomes
con quelli del modello statico sarà possibile evidenziare come: in presenza di impegno il
modello statico ed il modello dinamico producano gli stessi risultati; in regime
discrezionale il modello dinamico sia caratterizzato da una maggiore distorsione
inflazionistica sistematica e da una distorsione in termini di eccessiva stabilizzazione
dell’occupazione.
Nel capitolo Quinto si passeranno in rassegna alcuni dei principali risultati individuati
da quel ramo della letteratura teorica che si occupa dello studio e dell’analisi degli
incentivi. Come sarà più specificatamente illustrato, il tema principale riguarderà il se e
il come istituzioni monetarie appropriate possano rimediare ai problemi di incentivo
illustrati nel capitolo Quarto.
Nello specifico si discuterà in primo luogo di regole semplici (non condizionate)
contrapposte a regole con clausole di fuga che permettono al policymaker di rinunciare
alla regola in circostanze particolari (come ad esempio in caso di significativi shocks
avversi). Sulla base della valutazione delle differenze nei risultati dei due regimi, sarà
possibile mostrare come le clausole di fuga, combinando elementi di impegno e
discrezionalità, producano in generale risultati più favorevoli: la clausola di fuga,
permette alla società di raggiungere un basso livello medio di inflazione pur
conservando un certo margine di flessibilità per reagire a circostanze impreviste.
Successivamente la discussione circa l’indipendenza della banca centrale, basata sul
pionieristico lavoro di Rogoff (1985), permetterà di focalizzare l’attenzione sulla
questione della delegazione strategica nella politica monetaria. In particolare si
evidenzierà come la nomina di un banchiere centrale conservatore e indipendente,
permetta alla società di raggiungere, come in un regime con clausole di fuga , un più
favorevole compromesso tra credibilità e flessibilità.
In ultimo, a chiusura del capitolo e del lavoro, si accennerà ad una recente letteratura
che si occupa dello studio dei targeting scheme. Come sarà possibile vedere, tali
procedure di fissazione degli obbiettivi sono studiate dal punto di vista della teoria dei
contratti ottimali. Nello specifico ci si interrogherà su quale sia il contratto ottimale da
offrire ad un’agenzia indipendente incaricata della politica monetaria per rimediare ai
suoi problemi di incentivo: la società (o più in generale il principal della banca centrale)
punisce o ricompensa l’agente (la banca centrale) sulla base del suo rendimento.
Sarà possibile vedere come l’idea di base sia di legare la banca centrale ad un contratto
che attribuisce una penalità lineare per l’inflazione: un semplice contratto lineare nella
performance (la banca centrale deve perseguire un obbiettivo inflazionistico, ed è
penalizzata se manca l’obbiettivo assegnatole), che fornisce i giusti incentivi alla banca
centrale per attuare una politica ottimale ex-ante, permette infatti di avere un’inflazione
reale al livello di quella obbiettivo senza nessun costo in termini di volatilità dell’output
(in altre parole questo contratto, facendo percepire correttamente all’autorità monetaria
l’effetto delle sue scelte di policy sull’inflazione attesa, permette di eliminare i problemi
di incentivo).
Sulla base della constatazione che tale risultato contrasta con quello emerso in
occasione della discussione circa l’indipendenza della banca centrale, in cui la più bassa
inflazione era associata ad una distorta politica di stabilizzazione, si arriverà a parlare
degli inflation targets e di come essi possono essere modellati ai fini di eliminare la
distorsione inflazionistica senza dover rinunciare alle politiche di stabilizzazione.
In ultimo, in ipotesi che il contratto ottimale non possa essere reso state-contingent (non
può essere condizionato allo stato dell’economia), si accennerà alla determinazione del
contratto ottimale incompleto. Si mostrerà come, in tali situazioni, l’applicazione del
contratto induca la banca centrale ad operare per una bassa inflazione e ad avere come
obbiettivo esattamente il livello di inflazione desiderato dalla società.
Parte Prima
Il Problema della Credibilità delle Politiche
Pubbliche: Una visione d’insieme
Premessa
Un approccio particolarmente suggestivo al tema della credibilità delle politiche
pubbliche, è lo studio dell’evoluzione storica delle istituzioni di politica economica.
Un lavoro in tal senso particolarmente interessante risulta essere quello di North e
Weingast (1989): con riferimento all’Inghilterra del XVII secolo, i due autori
dimostrano come, il tentativo di risolvere i problemi di credibilità e di incentivo della
politica fiscale della Corona, sia stato un importante fattore alla base della Gloriosa
Rivoluzione del 1688.
La monarchia aveva infatti mantenuto fino ad allora importanti poteri di confisca che,
uniti agli incentivi a rinnegare il debito pubblico in circolazione, avevano reso assai
difficoltoso il finanziamento delle spese di guerra tramite l’indebitamento.
Per superare questa impasse furono introdotte fondamentali riforme politiche. Nello
specifico, fu creato un governo rappresentativo parlamentare a cui furono, tra l’altro,
delegate le decisioni di politica fiscale (e quindi anche quelle relative alla politica del
debito). In tal modo la discrezionalità di cui godeva la Corona prima delle riforme,
venne limitata dagli interessi economici dei membri del Parlamento.
In altre parole, usando una terminologia più appropriata, i due autori affermano che,
così operando, venivano allentati i vincoli di incentivo e contemporaneamente
aumentata la credibilità nel rimborso del debito sovrano. E in effetti i dati storici forniti
da North e Weingast supportano tale tesi: nel decennio seguente i menzionati
cambiamenti istituzionali, la Corona riuscì ad aumentare il debito da pochi punti
percentuali a più del 40% del PIL, in un periodo di tassi di interesse decrescenti.
Questi risultati, che risultano essere validi non solo per i regimi monarchici, ma anche
per quelli democratici
6
, sono però solo una parte di un problema più complesso e
articolato.
6
Partendo dalla constatazione che anche nei regimi democratici vi possono essere forti incentivi a
ripudiare il debito pubblico già emesso, Persson e Tabellini (1994) mostrano come, in una democrazia
rappresentativa, la delega dai cittadini alla legislatura possa contribuire ad aumentare la credibilità della
politica fiscale.
Il problema della credibilità delle politiche pubbliche, trova infatti la sua naturale
collocazione all’interno del tradizionale dibattito circa le opportunità e le modalità
dell’intervento pubblico nell’economia: se un mercato lasciato a se stesso producesse
un’allocazione Pareto-efficiente, sarebbe superfluo interrogarsi circa la credibilità o
meno di una certa politica, in quanto non vi sarebbe né spazio né necessità per azioni
dell’operatore pubblico.
In realtà, e sulla base degli studi degli ultimi decenni relativi alle ipotesi informative
implicite nella convinzione che i mercati siano efficienti, è stato dimostrato che le
inefficienze create dalla presenza degli effetti di esternalità (come la prospettiva di
equilibri multipli), l’incompletezza dei mercati o la imperfetta informazione,
impediscono di fatto al sistema economico di essere Pareto-efficiente.
In tali circostanze, il governo avrà l’opportunità (e la giustificazione) di intervenire per
risolvere o migliorare situazioni ritenute socialmente sub-ottimali (inefficienti).
Senza voler entrare nel merito della questione relativa ai fallimenti del mercato e del
non-mercato e prima di affrontare il tema vero e proprio della credibilità, è utile fornire,
ai fini di una migliore comprensione del contesto teorico di riferimento, una breve
panoramica dei cambiamenti che negli ultimi vent’anni hanno interessato il modo di
intendere (e quindi di fare) la politica economica.
Come precedentemente accennato, è da rilevare infatti che i problemi di credibilità si
evidenziano all’interno di una nuova concezione della teoria della politica economica: si
abbandona la visione classica propria della tradizione tinbergeniana a favore di una più
moderna, in cui categorie come credibilità, coerenza temporale, reputazione
presuppongono l’impostazione dei problemi di politica economica su basi radicalmente
diverse e innovative.
Questo nuovo approccio, molto deve all’avere posto al centro dell’attenzione i
meccanismi di formazione delle aspettative e la considerazione dei comportamenti in
un’ottica intertemporale, ma ancor di più rileva l’idea che i comportamenti dei
policymakers e del pubblico siano caratterizzati da interazione strategica.
In quest’ottica l’operatore pubblico viene considerato come un soggetto che reagisce ad
incentivi e non ad ordini e il cui comportamento, costituisce la soluzione di un problema
di ottimizzazione ben definito.
La presentazione che segue, parte da un’illustrazione generale e schematica
dell’apparato teorico proprio della tradizione classica della politica economica (capitolo
Primo).
Si farà riferimento a modelli statici e dinamici, ad obbiettivi fissi e flessibili e si
cercherà di dare evidenza alle particolari ipotesi e alle assunzioni poste alla base di
quella teoria, nonché dei principali risultati a cui essa è pervenuta.
Si accennerà brevemente anche alla “teoria del controllo ottimo”, evidenziando come
tale procedura sia stata elaborata al fine di superare gli inconvenienti derivanti dalla
constatazione che le soluzioni di un problema dinamico ad obbiettivi fissi risultano
essere solo soddisfacenti piuttosto che ottime.
Successivamente verrà introdotta la cosiddetta “critica di Lucas” (1976), fondamentale
punto di svolta tra la visione tradizionale della politica economica e le teorie più recenti,
e verranno illustrate le implicazioni dell’introduzione delle aspettative di tipo forward
looking nei modelli classici.
Chiusa la parte dedicata alla panoramica sulla politica “tradizionale” si passerà poi ad
una breve illustrazione delle teorie più moderne (capitolo Secondo).
In primo luogo, sulla base della presentazione dei lavori di Kydland-Prescott (1977) e
Calvo (1978), che hanno aperto la strada all’analisi macroeconomica degli incentivi dei
policymakers e che oggi rappresentano il riferimento concettuale delle analisi dei
problemi di credibilità, si parlerà della questione dell’incoerenza temporale di una
policy e di come la sua scoperta abbia portato alla confutazione del contesto stesso di
applicazione dei metodi di derivazione del controllo ottimo.
In seguito si evidenzierà l’importante contributo dato dalla teoria dei giochi allo studio
delle interazioni strategiche tra settore privato e responsabili della politica economica.
In quest’ambito si parlerà di operatori pubblici visti come soggetti egoistici e razionali
che agiscono come tutti gli altri operatori economici rispondendo ad incentivi e non ad
ordini. Verranno allora illustrati brevemente sia i “vincoli di credibilità” che i “vincoli
politici” che agiscono sul policymaker all’interno del suo processo decisionale.
Per una rappresentazione formale di un problema di politica economica in cui vengono
evidenziati e analizzati i comportamenti strategici tra policymakers e agenti privati,
verrà presentato il modello di Barro-Gordon (1983).
Infine, in chiusura di questa Parte Prima, verrà presentata una struttura generale per i
problemi di commitment sviluppata da Cooper (1999) nello spirito del lavoro di Chari,
Kehoe e Prescott (1989)(capitolo Terzo). Questa struttura permetterà di evidenziare:
come differenti sequenze temporali nei giochi di politica economica portino a differenti
risultati di equilibrio; come le cause dei time consistency problems siano da ricercare
nelle differenze tra gli obbiettivi dei giocatori nonché nella presenza di esternalità non
“interiorizzate” dagli agenti privati.