prospettiva
3
. Per ricordare il caso più emblematico, basti pensare all'evoluzione 
che ha portato Putnam dal realismo metafisico a una forma radicalmente nuova 
di realismo, il cosiddetto realismo interno, o come preferisce chiamarlo egli 
stesso in questi ultimi anni, realismo pragmatico
4
. Tutto questo, fra l'altro, ha 
fatto di Putnam uno degli esponenti più importanti del dibattito contemporaneo 
tra realismo e anti-realismo. Iniziato con Meaning and the Moral Sciences
5
 e 
culminato con Reason, Truth and History
6
, questo mutamento ha evidenziato 
un sempre crescente interesse verso autori come I. Kant, L. Wittgenstein, oltre 
a W. James e C.S. Peirce, nell'ottica di un recupero delle fondamentali istanze 
del pragmatismo americano e di un loro innesto sulla filosofia analitica. E' in 
questi termini che Putnam ha contribuito, negli anni '80, a gettare le basi per 
una vera e propria ‘filosofia postanalitica’
7
. La novità di questi riferimenti ha 
portato Putnam a interessarsi di tematiche che esulano dall'ambito tipico della 
filosofia analitica e della filosofia della scienza, per andare a toccare fino l'etica 
e l'estetica. 
  La nostra tesi si concentra sulla filosofia della scienza di Putnam, e dovrà 
quindi tralasciare numerosi aspetti del suo pensiero. Muovendo dall'empirismo 
‘senza dogmi’ inaugurato da Quine, inquadreremo la personale visione olistica 
di Putnam, non senza legarla però alla fondamentale componente pragmatista. 
Esemplificheremo poi alcuni tipici aspetti epistemologici e metodologici in 
relazione a un ambito particolare, ovverosia la filosofia della matematica e 
della logica. Sulla base di queste analisi, esporremo infine la nostra personale 
                                                 
3
I suoi colleghi americani hanno scherzosamente proposto di indicare le diverse ‘fasi’ del 
pensiero di Putnam sulla base di una particolare unità di misura, le hilaries. 
4
Per un resoconto molto dettagliato della filosofia di Putnam lungo la direzione che lo ha 
portato da una forma di realismo all'altra, si veda Dell'Utri (1992b).  
5
Putnam (1978a) 
6
Putnam (1981a) 
7
A tal proposito si veda la raccolta Rajchman e West (1985). 
interpretazione della proposta epistemologica putmaniana, cercando di 
chiarirne soprattutto il ruolo di originale alternativa rispetto al dilemma tra 
razionalismo popperiano e irrazionalismo kuhniano. Pur tenendo conto della 
specificità dell'argomento trattato, non dimenticheremo di mostrare la 
relazione, a nostro avviso fondamentale, tra le singole tesi a proposito della 
conoscenza scientifica e la più generale visione filosofica dell'autore. 
 1. La componente olistica 
  W.V.O. Quine costituisce senza dubbio un punto di riferimento irrinunciabile 
lungo tutto l'arco della riflessione filosofica di Putnam, sia come fonte 
inesauribile di spunti che come occasione di confronto e talvolta anche di 
polemica. All'inizio degli anni '50, in un celeberrimo articolo
1
 in cui si 
procedeva ad una profonda riforma del neopositivismo logico, in primo luogo 
attraverso una sferzante critica ai ‘dogmi dell'empirismo’, Quine prefigurava 
come principali conseguenze del loro sistematico abbandono "[...]un offuscarsi 
della distinzione tra metafisica e scienza naturale"
2
, in direzione quindi di una 
‘epistemologia naturalizzata’, e, aspetto non meno importante, "[...]un 
accostarsi al pragmatismo"
3
. Sottoscritta in pieno la dottrina olistica, Putnam 
seguirà Quine soprattutto su questo secondo punto, dando un'impronta 
marcatamente pragmatista alla sua epistemologia, mentre rifiuterà con 
decisione il primo. In questo capitolo vedremo prima di tutto in cosa consista il 
‘dogmatismo’ che Quine intendeva smantellare, per poi considerare il modo in 
cui Putnam si ponga nei confronti dell'olismo quineano e soprattutto in che 
modo affronti l'aspetto più ‘scandaloso’ dell'articolo di Quine, ovvero il 
radicale rifiuto di una delle distinzioni più affermate in ambito filosofico, 
quella tra analitico e sintetico, questione a cui Putnam ha dedicato nel corso 
degli anni numerose pagine
4
. Non mancheremo pertanto di mettere nella giusta 
evidenza la notevole rilevanza di questo aspetto nell'epistemologia di Putnam. 
                                                 
1
Quine (1951) 
2
Op. cit., p.20. D'ora in avanti, i numeri di pagina e i passi citati si riferiranno sempre alla 
traduzione italiana. Quando questa non sia disponibile, la traduzione è nostra. In questo caso, 
riporteremo in nota il testo originale. 
3
Ibid. 
4
Ci riferiremo  soprattutto a "L'analitico e il sintetico" [Putnam (1975b), pp.54-90], articolo già 
pubblicato nel 1962 [cfr. Feigl, Scriven e Maxwell (a cura di) (1962)] e poi inserito nel 
secondo volume dei Philosophical Papers. Terremo conto anche de "L'olismo del significato" 
  1.1. L'olismo di Quine. I ‘due dogmi dell'empirismo’ 
 I dogmi da cui Quine intende liberare l'empirismo sono: a) la possibilità di 
tracciare una netta demarcazione tra proposizioni analitiche e sintetiche e b) il 
riduzionismo. La prima cosa da fare è mostrare l'inconsistenza della nozione di 
analiticità e far vedere come il tracciare una netta distinzione tra proposizioni 
analitiche e sintetiche sia un "[...]non empirico dogma degli empiristi, un 
metafisico articolo di fede."
5
 Le proposizioni che usualmente si definiscono 
come analitiche sono riconducibili a due classi: verità logiche, e verità logiche 
per sinonimia. Mentre le prime non danno problemi
6
, essendo banalmente 
analitiche, cioè vere per qualunque interpretazione dei loro termini che non 
siano particelle logiche, le seconde
7
 richiedono che si chiarisca almeno la 
nozione di sinonimia, essendo traducibili in verità logiche tramite la 
sostituzione di uno dei loro termini con un suo sinonimo.  
Non approdiamo a molto se poi ci appoggiamo alla nozione di definizione: 
tranne che nel caso della definizione per convenzione, dove la sinonimia tra il 
definiendum e il definiens è posta arbitrariamente, in tutti gli altri casi
8
 la 
definizione presuppone la sinonimia stessa, essendone una mera registrazione 
lessicografica, tratta dall'uso corrente o da quello scientifico.  
Se mettiamo da parte la definizione, non andremo molto lontano neanche 
riferendoci solo alla sinonimia. Due termini come ‘scapolo’ e ‘uomo non 
                                                                                                                                 
[Putnam (1986c), tr.it. in Putnam (1990a), pp.459-504] e di "‘Two dogmas’ revisited", [Putnam 
(1983a), pp.87-97]. 
5
Quine (1951), p.35 
6
L'esempio di Quine è "Nessun uomo non sposato è sposato" [op. cit., p.22]. 
7
Ad esempio, "Nessuno scapolo è sposato" [ibid.]. 
8
Fra cui Quine cita: la definizione lessicografica del filologo; la definizione come 
chiarificazione di un termine da parte di filosofi e scienziati; la spiegazione, nel senso 
filosofico datole da Carnap, come raffinamento o integrazione, e non come semplice parafrasi, 
del significato del definiendum. 
 sposato’ sono sinonimi in senso conoscitivo, dice Quine, se la proposizione 
"Tutti e soltanto gli scapoli sono uomini non sposati" è analitica.  
La sostituibilità reciproca, a cui si riduce la sinonimia, non riesce a garantire la 
sinonimia conoscitiva di termini come ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’, né 
tantomeno l'analiticità di una proposizione come quella poco sopra riportata, 
limitandosi a farcene conoscere soltanto la verità.  
In altre parole, dire che quella proposizione è analitica grazie alla sostituibilità 
reciproca di ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’ equivarrebbe a dire allora che la 
proposizione "Necessariamente tutti e solo gli scapoli sono uomini non 
sposati", ottenuta per sostituzione dalla precedente, è vera. Ma ammettere che 
una lingua contenga un avverbio come ‘necessariamente’ significa "[...]aver già 
dato un senso soddisfacente a ‘analitico’"
9
. Non solo, ma se ‘scapolo’ e ‘uomo 
non sposato’ sono sostituibili avranno la stessa estensione, ma "niente ci 
garantisce che il fatto che ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’  abbiano uguale 
estensione poggi sul significato dei termini piuttosto che su soli dati di fatto 
contingenti"
10
.  
Se infine facciamo ricorso a delle ‘regole semantiche’ che determinino le 
condizioni per l'analiticità in una qualche lingua artificiale, queste stesse regole 
sarebbero di qualche interesse solo se avessimo già chiarito la nozione stessa di 
analiticità.  
  Ma le conclusioni più interessanti sono quelle tratteggiate da Quine nella 
seconda parte dell'articolo. Oggetto della questione diventano la teoria della 
verificazione e il riduzionismo.  
                                                 
9
Op. cit., p.29 
10
Op. cit., p.30 
 La prima, come teoria del significato, afferma, da Peirce in poi, ma soprattutto 
con il neoempirismo logico
11
, che "[...]il significato di una proposizione è il 
metodo con cui empiricamente la confermiamo o la infirmiamo"
12
. Il nesso con 
l'analiticità è dato dal fatto che "la proposizione analitica rappresenta il caso 
limite di quella proposizione che è confermata quali che siano i dati fatto"
13
, 
mentre "[...]due proposizioni sono sinonime se e solo se il metodo per 
confermarle o infirmarle empiricamente è lo stesso per entrambe"
14
. Se la teoria 
della verificazione fosse adeguata e fosse in grado quindi di rendere conto della 
nozione di sinonimia, si potrebbe fondare su di questa l'analiticità. I problemi 
sorgono quando ci si chiede quali siano i metodi con cui si determina il 
significato delle proposizioni, in altre parole quando ci si chiede "qual'è [...]la 
natura del rapporto fra una proposizione e le esperienze che sono a favore o 
contro la sua conferma"
15
. Una risposta è stata data dal riduzionismo: 
nell'empirismo tradizionale, quello di Locke, Hume, Mill, l'unità dotata di 
significato era il singolo termine; da Frege in poi, diventa la proposizione. Il 
riduzionismo radicale degli empiristi del nostro secolo, primo fra tutti Carnap, 
ricercava la possibilità di costruire una lingua dei dati sensoriali in cui tradurre 
                                                 
11
La proposta filosofica di Putnam ha sempre assunto tra i suoi scopi fondamentali quello di 
mostrare l'implausibilità del verificazionismo. Entrambe i primi due volumi dei Philosophical 
Papers di Putnam sono percorsi da questo filo conduttore: come si legge nell'introduzione di 
Mind, Language and Reality [Putnam (1975b)], "i saggi contenuti in questo volume [...]si 
occupano in larga misura dello sviluppo di [...]una teoria del significato non verificazionistica, 
nonché della critica alla filosofia della mente verificazionistica"             [op. cit., p.12], così 
come Mathematics, Matter and Method [Putnam (1975a)] affrontava problemi di filosofia della 
scienza da un'ottica non positivistica e non verificazionistica. Va detto però che, negli ultimi 
anni, in conseguenza del suo più recente avvicinamento ai pragmatisti americani, Putnam si è 
preoccupato di distinguere accuratamente il verificazionismo pragmatista da quello 
neoempirista, offrendo una valutazione positiva del primo e ribadendo al tempo stesso 
l'inaccettabilità del secondo. A tal proposito si veda  Putnam (1995d).  
12
Op. cit., p.36 
13
Ibid. 
14
Ibid. 
15
Op. cit., pp.36-37 
 ogni discorso significante, proposizione per proposizione. Non solo il progetto 
di Carnap rimase largamente incompleto, ma era anche irrealizzabile in linea di 
principio, come nota Quine. Carnap intendeva infatti indicare ogni punto 
spazio-temporale con un insieme di quattro numeri reali, a cui assegnare delle 
qualità sensoriali secondo certe regole. Ma sembra del tutto impossibile 
tradurre una proposizione della forma "La qualità q è a x,y,z,t" nel linguaggio 
dei dati sensoriali e della logica di Carnap, il quale, probabilmente accortosi di 
ciò, abbandonò il programma riduzionista. Ma il dogma del riduzionismo 
sopravvive tenacemente, secondo Quine, nell'idea che a ciascuna proposizione 
presa isolatamente sia possibile associare un gruppo definito di esperienze 
sensoriali in grado di confermarla o di refutarla. Quine pensa invece che "[...]le 
nostre proposizioni sul mondo esterno si sottopongono al tribunale 
dell'esperienza sensibile non individualmente ma solo come un insieme 
solidale."
16
 Il nesso tra i due dogmi dell'empirismo risiede nel fatto che, come 
abbiamo già accennato, se è possibile parlare di proposizioni suscettibili di 
conferma o di refutazione sulla base dell'esperienza, esisterà un "[...]un tipo 
limite di proposizione confermata in modo vuoto, ipso facto, quali che siano i 
dati di fatto; e questa sarebbe una proposizione analitica."
17
 Tutto ciò si basa 
sull'altra idea per cui in una proposizione si possano distinguere una 
componente fattuale e una linguistica: se il significato di una proposizione si 
riduce alla sola componente linguistica e non è in nulla determinato da quella 
fattuale, la proposizione stessa sarà analitica. Ma per Quine né la distinzione 
fattuale-linguistico (o osservativo-teorico) né quella tra analitico e sintetico 
hanno senso, così come l'idea che si possa confrontare una singola proposizione 
                                                 
16
Op. cit., p.39 
17
Ibid. 
 della scienza con l'esperienza. Si deve concludere allora che "presa nel suo 
insieme, la scienza dipende dalla lingua e dalla esperienza ad un tempo"
18
 e che 
l'unità di significanza empirica non è né il singolo termine, come pensavano 
Hume e Locke, né la singola proposizione, come pensavano Frege e i 
neopositivisti, ma "[...]tutta la scienza nella sua globalità."
19
  
  Con la distinzione analitico-sintetico, cade anche la possibilità che vi siano 
proposizioni immuni da revisione, proposizioni privilegiate, come le leggi 
logiche, perché molto lontane dalla "periferia" del sistema scientifico e quindi 
irraggiungibili dagli effetti falsificanti dell'esperienza. Un'esperienza negativa 
alla periferia non investe una singola proposizione, ma si ripercuote in ogni 
parte del sistema scientifico. D'altro canto, abbiamo una grande libertà nello 
scegliere quali parti del complesso rettificare per rispondere ad una esperienza 
contraria, e qui entra in gioco una forte componente pragmatica: per Quine, tra 
questioni teoriche e questioni di fatto c'è soltanto una differenza di grado, ed è 
una questione pragmatica la scelta di modificare una parte dell'edificio 
scientifico piuttosto che un'altra. La componente pragmatica insita nell'anti-
atomismo e nell'empirismo non-dogmatico, appena accennata da Quine in 
questo pionieristico articolo, diventerà un aspetto molto rilevante nell'olismo di 
Putnam, con una certa accentuazione soprattutto tra gli anni '80 e '90, periodo 
in cui la sua attenzione si sposta proprio sui grandi pensatori del pragmatismo 
americano, con particolare riguardo a James e a Peirce
20
.  
                                                 
18
Op. cit., p.40 
19
Ibid. 
20
Sulla lettura del pragmatismo da parte di Putnam si vedano soprattutto i saggi contenuti in 
Putnam (1990a), Putnam (1990b), Putnam (1990c), Putnam (1991g), Putnam (1992a), Putnam 
(1995b), Putnam (1995d). A proposito della ‘svolta pragmatica’ intrapresa dall'autore negli 
ultimi anni, si veda il cap.2 di questa tesi. 
   1.2. Analitico e sintetico 
  L'articolo di Quine suscitò una grande discussione nella comunità filosofica, 
ma, come Putnam nota, quell'articolo "[...]provocò un gran numero di risposte 
che però in massima parte non potevano competere, per originalità o 
importanza filosofica, con lo scritto che le aveva provocate."
21
 La tendenza fu 
in generale quella di confutare, o tentare di confutare, le provocatorie tesi di 
Quine, soprattutto con l'ausilio di alcuni esempi classici. L'obbiettivo di 
Putnam, invece, è stato quello di trovare una posizione che fosse alternativa sia 
a Quine sia ai difensori di quelle tesi filosofiche tradizionali che Quine stesso 
intendeva demolire. In altre parole, se da un lato Putnam non intende seguire 
Quine nel negare completamente l'esistenza della distinzione analitico-
sintetico, dall'altro deplora "[...]l'eccessivo ricorso"
22
 alla medesima distinzione 
da parte dei filosofi, indicando questo fatto come la "[...]fonte dei maggiori 
travisamenti rintracciabili negli scritti dei filosofi della scienza tradizionali."
23
 
L'autore cerca così di "[...]‘difendere’ la distinzione, e contemporaneamente ne 
attacca l'abuso da parte dei filosofi"
24
: la difficoltà sempre crescente di 
difenderla dipenderebbe infatti da quello stesso abuso, dal fatto cioè "[...]che la 
si è gonfiata in modo davvero spropositato".
25
 Sull'altro fronte, Quine avrebbe 
invece commesso proprio l'errore opposto, quello cioè di negarne 
completamente la legittimità, anche se, come Putnam stesso riconosce, è un 
errore filosofico meno grave, soprattutto dal punto di vista dello scienziato o 
del filosofo della scienza.  
                                                 
21
Putnam (1975b), p.55 
22
Op. cit., p.54 
23
Ibid. 
24
Op. cit., p.55 
25
Ibid. 
   1.2.1. Osservazioni di Putnam a proposito di Two Dogmas of Empiricism 
  Come accennavamo poco fa, le critiche che vennero rivolte all'articolo di 
Quine non si rivelarono assolutamente all'altezza del loro scopo
26
. La tecnica 
argomentativa più usata fu quella di fornire un certo numero di esempi classici, 
particolarmente facili da trovare nel caso di una distinzione tanto affermata 
come quella tra analitico e sintetico. Ma la portata delle tesi filosofiche di 
Quine, così devastanti anche al di là dei confini stessi dell'empirismo, malgrado 
il titolo dell'articolo, era tale da non poter essere respinta o drasticamente 
ridimensionata né rifacendosi semplicemente a degli esempi, né ribadendo, con 
una ‘scrollatina di spalle’ l'implausibilità della non esistenza della distinzione. 
Putnam si schiera comunque con questi critici nel sostenere sia l'esistenza di 
una distinzione analitico-sintetico sia l'implausibilità della tesi radicale di 
Quine, ma ritiene insufficiente dire semplicemente che quest'ultimo è in errore 
facendo appello solo alla propria ‘intuizione’ o ‘fede’: bisogna specificare sotto 
quale aspetto della questione Quine è in errore, portando argomenti teorici 
validi che vadano al di là della semplice convinzione che Quine abbia torto. A 
detta di Putnam, l'unico articolo che sfugge a queste insufficienze è quello di 
Grice e Strawson
27
, che più tardi incontreremo come ulteriore bersaglio critico 
di Putnam. Nonostante le riserve di Putnam, questo articolo sarebbe l'unico a 
portare ragioni teoriche e non meramente psicologiche o soggettive contro il 
caustico criticismo di Quine.  
                                                 
26
Dai primi anni '50 ad oggi si contano almeno una cinquantina di libri o articoli da tutto il 
mondo dedicati in modo più o meno specifico al celebre articolo di Quine. Indicazioni 
bibliografiche assai esaurienti si possono trovare in Bruschi (1985). 
27
Grice e Strawson (1956). L'argomento secondo cui "[...]là dove si è d'accordo sull'uso delle 
espressioni implicate rispetto a una classe aperta, deve essere necessariamente presente una 
qualche sorta di distinzione" [Putnam (1975b), p.56] è condiviso dallo stesso Putnam, il quale 
però ne ravvisa l'insufficienza rispetto al punto fondamentale della questione, cioè il 
chiarimento della natura della distinzione. Si veda anche più avanti il §1.3. di questa tesi. 
   Quando verso la metà degli anni '70 tornerà sulla questione
28
, Putnam avrà 
modo di specificare meglio la sua personale valutazione dell'articolo di Quine, 
approfondendo le posizioni già espresse in The Analytic and the Synthetic. 
Quando Quine attacca la distinzione analitico-sintetico, in realtà attacca due 
distinte nozioni, e con argomenti diversi. Da un lato, la critica è rivolta ad una 
nozione di analiticità che possiamo far risalire alla formulazione kantiana, una 
nozione cioè linguistica, secondo la quale è analitico il giudizio la cui 
negazione è contraddittoria, nozione che a sua volta Quine riformula in termini 
di sinonimia; dall'altro, abbiamo la nozione metodologica, per cui un'asserzione 
è analitica se è confermata in ogni caso, o ‘qualunque cosa accada’, e questa 
secondo Putnam non è altro che una delle nozioni tradizionali di apriori
29
. 
Quine avrebbe quindi confuso le due nozioni di analiticità e apriorità, che per 
Putnam hanno un significato ben diverso. Questa confusione andrebbe fatta 
risalire ai neopositivisti del Circolo di Vienna, di cui Quine critica la nozione di 
analiticità nel paragrafo ‘La teoria della verificazione e il riduzionismo’
30
. 
Secondo gli esponenti del Circolo, il significato di un'asserzione scientifica 
dovrebbe essere riducibile ad asserzioni sui dati sensoriali. A quest'idea si 
                                                 
28
Ci riferiamo all'articolo "Two Dogmas Revisited" [Putnam (1976)] scritto da Putnam a metà 
degli anni '70 e poi inserito nel terzo volume dei suoi Philosophical Papers, Realism and 
Reason [Putnam (1983a), pp.87-97]. 
29
"Una delle molte nozioni di analiticità che Quine attaccava in ‘Due dogmi dell'empirismo’ 
era vicina al resoconto  dell'analiticità di Kant [...]o, piuttosto, a una versione ‘linguistica’ del 
resoconto kantiano: un'asserzione è analitica se è ottenuta da una verità logica sostituendone i 
termini con dei sinonimi. [...]Ma Quine considera anche una nozione molto diversa: la nozione 
di una verità analitica come una verità che è confermata qualunque cosa accada. Sosterrò che 
questa è la tradizionale nozione di apriorità, o piuttosto, una delle tradizionali nozioni di 
apriorità." ["One of the several notions of analyticity that Quine attacked in ‘Two Dogmas of 
Empiricism’ was close to one of Kant's accounts of analyticity [...], or, rather, to a ‘linguistic’ 
version of Kant's account: a sentence is analytic if it can be obtained from a truth of logic by 
putting synonyms for synonyms. [...]But Quine also considers a very different notion: the 
notion of an analytic truth as one that is confirmed no matter what. I shall contend that this is 
the traditional notion of apriority, or rather, one of the traditional notion of apriority." 
[Putnam (1983a), p.87] 
30
Quine (1951), pp. 35-40 
 collega quella secondo cui ciascuna asserzione dotata di significato disporrebbe 
di un insieme ben definito di esperienze, o situazioni sperimentali, alcune delle 
quali in grado di confermare l'asserzione, altre in grado di confutarla. Ogni 
proposizione dovrebbe quindi in linea di principio poter essere espressa in un 
linguaggio dei dati sensoriali e controllata sulla base di determinate prove 
sperimentali. A tutto questo va aggiunta una componente stipulativa che 
determinerebbe la significanza empirica delle asserzioni. Quindi, per i 
positivisti una proposizione è a priori se è vera solo sulla base del significato, 
o, in altre parole, confermata da qualunque riscontro sperimentale (no matter 
what), ma dal momento che una proposizione è analitica proprio se è vera solo 
sulla base del significato dei termini, è evidente come per i positivisti l'apriorità 
venga a coincidere con l'analiticità
31
. E' allora sulla base della dottrina 
neopositivista del significato, al tempo stesso riduzionista e convenzionalista, 
che avviene questa identificazione. "Abbastanza curiosamente, quindi", dice 
Putnam, "Quine ha confuso analiticità e apriorità a causa delle assunzioni 
neopositiviste (assunzioni che lui stesso stava attaccando)! Ma, fortunatamente, 
questa confusione non invalida il suo argomento contro l'apriorità"
32
. Putnam 
sottoscrive infatti le argomentazioni di Quine contro l'esistenza di asserzioni 
genuinamente a priori, cioè assolutamente a priori e assolutamente immuni da 
                                                 
31
"[...]i positivisti sostenevano che asserzioni  a priori (asserzioni con una gamma universale di 
esperienze confermanti) sono vere solo sulla base del significato. E dal momento che la verità 
solo in virtù del significato è l'analiticità, seguiva (per i positivisti) che l'apriorità è 
l'analiticità."; ["[...]the positivists held that a priori statements (statements with the universal 
reange of confirming experiences) are true by meaning alone. And since truth by virtue of 
meaning is analyticity, it followed (for the positivists) that the aprioricity is analyticity." 
[Putnam (1983a), p.92] 
32
["Curiosly enough, then, Quine confused analyticity and apriority because of positivists 
assumptions (assumptions he was attacking)! But, fortunately, this confusion does not 
invalidate his argument against apriority."]; Ibid.. Infatti, questa confusione non deve essere 
comunque un peccato troppo grave, visto che lo stesso Putnam parla talvolta di analiticità 
anche a proposito di asserzioni irrivedibili. In ogni caso, è chiaro come Putnam voglia 
sottolineare la natura linguistica e stipulativa della nozione di analiticità per distinguerla da 
quella più metodologica propria della nozione di apriorità. 
 revisione. Dalle conclusioni di Quine è possibile trarre una nozione alternativa 
di a priori, ovvero quella di contestualmente a priori (contextually a priori), 
che riguarderebbe ad esempio le leggi della logica, a priori e 
metodologicamente immuni da revisione (metodologically immune from 
revision) ma solo relativamente al contesto teorico precedente alla nascita della 
meccanica quantistica e dell'approccio logico-quantistico. Putnam si chiede 
allora se sia possibile al tempo stesso: a) negare l'esistenza di verità 
assolutamente a priori, seguendo in questo Quine, e b) affermare l'esistenza di 
asserzioni analitiche (in senso pur sempre ‘linguistico’). Se analitico non 
significa a priori, allora sembrerebbe possibile farlo. La risposta di Putnam è, 
come prevedibile, affermativa. Vediamo allora in che modo questi difenda la 
nozione di analiticità, distinguendosi da Quine ma assumendone la 
fondamentale opzione olistica. 
 
  1.2.2. Un punto di vista sull'analiticità 
  La situazione da cui muovere è, secondo Putnam, così riassumibile: 
"[...]sappiamo che esiste una distinzione analitico-sintetico, ma non possiamo 
mettere perfettamente in chiaro la sua esatta natura"
33
, non riusciamo cioè ad 
andare al di là di meri esempi che si limitano a rafforzare la nostra convinzione 
senza peraltro riuscire a spiegarla. Non possiamo neppure affidarci a 
spiegazioni meramente linguistiche, o riferirci alle disposizioni all'uso, da parte 
dei parlanti, di espressioni che sembrano analitiche e di altre che sembrano 
sintetiche. Abbiamo bisogno di qualcosa di più: dobbiamo "[...]poter 
individuare la natura e le ragioni della distinzione analitico-sintetico"
34
, o 
                                                 
33
Putnam (1975b), p.56 
34
Ibid.; corsivo nostro. 
 ancora, "il vero problema non è di descrivere il gioco linguistico che giochiamo 
con parole come ‘significato’ e ‘comprensione’, ma di rispondere 
all'interrogativo più profondo: ‘Qual è lo scopo del gioco?’"
35
.  
  Finora abbiamo messo in luce solamente il dissenso di Putnam nei confronti 
di Quine. Abbiamo visto infatti come Putnam non accetti una negazione totale 
della distinzione analitico-sintetico, anche se la giudica un errore filosofico non 
troppo grave se messo a confronto con l'abuso che altri filosofi  hanno fatto di 
quella stessa distinzione. Putnam arriva ad esprimersi in modo anche molto 
forte rispetto a ciò: "[...]ignorate la distinzione analitico-sintetico, e non 
sbaglierete a proposito di qualsiasi problema filosofico che non abbia a che fare 
specificamente con quella distinzione; provate a usarla come arma nella 
discussione filosofica, e vi ritroverete sempre in errore"
36
. Il dissenso di 
Putnam verso Quine si ferma però ad un livello superficiale: se Quine ha torto 
nel negare qualcosa che per Putnam esiste di fatto, lo stesso Quine ha ragione 
"[...]in un senso più profondo"
37
. Per Putnam non ha senso negare l'esistenza 
della distinzione analitico-sintetico di fronte a proposizioni palesemente 
analitiche come "Tutti gli scapoli sono non sposati" e a proposizioni 
palesemente sintetiche come "Il libro è sul tavolo", negandone l'evidente 
differenza. Potremmo anche etichettarle in modo diverso, ma ci riferiremmo 
sempre alla medesima realtà. 
                                                 
35
Ibid. 
36
Op. cit., p.56 
37
Ibid.