prospettiva
3
. Per ricordare il caso più emblematico, basti pensare all'evoluzione
che ha portato Putnam dal realismo metafisico a una forma radicalmente nuova
di realismo, il cosiddetto realismo interno, o come preferisce chiamarlo egli
stesso in questi ultimi anni, realismo pragmatico
4
. Tutto questo, fra l'altro, ha
fatto di Putnam uno degli esponenti più importanti del dibattito contemporaneo
tra realismo e anti-realismo. Iniziato con Meaning and the Moral Sciences
5
e
culminato con Reason, Truth and History
6
, questo mutamento ha evidenziato
un sempre crescente interesse verso autori come I. Kant, L. Wittgenstein, oltre
a W. James e C.S. Peirce, nell'ottica di un recupero delle fondamentali istanze
del pragmatismo americano e di un loro innesto sulla filosofia analitica. E' in
questi termini che Putnam ha contribuito, negli anni '80, a gettare le basi per
una vera e propria ‘filosofia postanalitica’
7
. La novità di questi riferimenti ha
portato Putnam a interessarsi di tematiche che esulano dall'ambito tipico della
filosofia analitica e della filosofia della scienza, per andare a toccare fino l'etica
e l'estetica.
La nostra tesi si concentra sulla filosofia della scienza di Putnam, e dovrà
quindi tralasciare numerosi aspetti del suo pensiero. Muovendo dall'empirismo
‘senza dogmi’ inaugurato da Quine, inquadreremo la personale visione olistica
di Putnam, non senza legarla però alla fondamentale componente pragmatista.
Esemplificheremo poi alcuni tipici aspetti epistemologici e metodologici in
relazione a un ambito particolare, ovverosia la filosofia della matematica e
della logica. Sulla base di queste analisi, esporremo infine la nostra personale
3
I suoi colleghi americani hanno scherzosamente proposto di indicare le diverse ‘fasi’ del
pensiero di Putnam sulla base di una particolare unità di misura, le hilaries.
4
Per un resoconto molto dettagliato della filosofia di Putnam lungo la direzione che lo ha
portato da una forma di realismo all'altra, si veda Dell'Utri (1992b).
5
Putnam (1978a)
6
Putnam (1981a)
7
A tal proposito si veda la raccolta Rajchman e West (1985).
interpretazione della proposta epistemologica putmaniana, cercando di
chiarirne soprattutto il ruolo di originale alternativa rispetto al dilemma tra
razionalismo popperiano e irrazionalismo kuhniano. Pur tenendo conto della
specificità dell'argomento trattato, non dimenticheremo di mostrare la
relazione, a nostro avviso fondamentale, tra le singole tesi a proposito della
conoscenza scientifica e la più generale visione filosofica dell'autore.
1. La componente olistica
W.V.O. Quine costituisce senza dubbio un punto di riferimento irrinunciabile
lungo tutto l'arco della riflessione filosofica di Putnam, sia come fonte
inesauribile di spunti che come occasione di confronto e talvolta anche di
polemica. All'inizio degli anni '50, in un celeberrimo articolo
1
in cui si
procedeva ad una profonda riforma del neopositivismo logico, in primo luogo
attraverso una sferzante critica ai ‘dogmi dell'empirismo’, Quine prefigurava
come principali conseguenze del loro sistematico abbandono "[...]un offuscarsi
della distinzione tra metafisica e scienza naturale"
2
, in direzione quindi di una
‘epistemologia naturalizzata’, e, aspetto non meno importante, "[...]un
accostarsi al pragmatismo"
3
. Sottoscritta in pieno la dottrina olistica, Putnam
seguirà Quine soprattutto su questo secondo punto, dando un'impronta
marcatamente pragmatista alla sua epistemologia, mentre rifiuterà con
decisione il primo. In questo capitolo vedremo prima di tutto in cosa consista il
‘dogmatismo’ che Quine intendeva smantellare, per poi considerare il modo in
cui Putnam si ponga nei confronti dell'olismo quineano e soprattutto in che
modo affronti l'aspetto più ‘scandaloso’ dell'articolo di Quine, ovvero il
radicale rifiuto di una delle distinzioni più affermate in ambito filosofico,
quella tra analitico e sintetico, questione a cui Putnam ha dedicato nel corso
degli anni numerose pagine
4
. Non mancheremo pertanto di mettere nella giusta
evidenza la notevole rilevanza di questo aspetto nell'epistemologia di Putnam.
1
Quine (1951)
2
Op. cit., p.20. D'ora in avanti, i numeri di pagina e i passi citati si riferiranno sempre alla
traduzione italiana. Quando questa non sia disponibile, la traduzione è nostra. In questo caso,
riporteremo in nota il testo originale.
3
Ibid.
4
Ci riferiremo soprattutto a "L'analitico e il sintetico" [Putnam (1975b), pp.54-90], articolo già
pubblicato nel 1962 [cfr. Feigl, Scriven e Maxwell (a cura di) (1962)] e poi inserito nel
secondo volume dei Philosophical Papers. Terremo conto anche de "L'olismo del significato"
1.1. L'olismo di Quine. I ‘due dogmi dell'empirismo’
I dogmi da cui Quine intende liberare l'empirismo sono: a) la possibilità di
tracciare una netta demarcazione tra proposizioni analitiche e sintetiche e b) il
riduzionismo. La prima cosa da fare è mostrare l'inconsistenza della nozione di
analiticità e far vedere come il tracciare una netta distinzione tra proposizioni
analitiche e sintetiche sia un "[...]non empirico dogma degli empiristi, un
metafisico articolo di fede."
5
Le proposizioni che usualmente si definiscono
come analitiche sono riconducibili a due classi: verità logiche, e verità logiche
per sinonimia. Mentre le prime non danno problemi
6
, essendo banalmente
analitiche, cioè vere per qualunque interpretazione dei loro termini che non
siano particelle logiche, le seconde
7
richiedono che si chiarisca almeno la
nozione di sinonimia, essendo traducibili in verità logiche tramite la
sostituzione di uno dei loro termini con un suo sinonimo.
Non approdiamo a molto se poi ci appoggiamo alla nozione di definizione:
tranne che nel caso della definizione per convenzione, dove la sinonimia tra il
definiendum e il definiens è posta arbitrariamente, in tutti gli altri casi
8
la
definizione presuppone la sinonimia stessa, essendone una mera registrazione
lessicografica, tratta dall'uso corrente o da quello scientifico.
Se mettiamo da parte la definizione, non andremo molto lontano neanche
riferendoci solo alla sinonimia. Due termini come ‘scapolo’ e ‘uomo non
[Putnam (1986c), tr.it. in Putnam (1990a), pp.459-504] e di "‘Two dogmas’ revisited", [Putnam
(1983a), pp.87-97].
5
Quine (1951), p.35
6
L'esempio di Quine è "Nessun uomo non sposato è sposato" [op. cit., p.22].
7
Ad esempio, "Nessuno scapolo è sposato" [ibid.].
8
Fra cui Quine cita: la definizione lessicografica del filologo; la definizione come
chiarificazione di un termine da parte di filosofi e scienziati; la spiegazione, nel senso
filosofico datole da Carnap, come raffinamento o integrazione, e non come semplice parafrasi,
del significato del definiendum.
sposato’ sono sinonimi in senso conoscitivo, dice Quine, se la proposizione
"Tutti e soltanto gli scapoli sono uomini non sposati" è analitica.
La sostituibilità reciproca, a cui si riduce la sinonimia, non riesce a garantire la
sinonimia conoscitiva di termini come ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’, né
tantomeno l'analiticità di una proposizione come quella poco sopra riportata,
limitandosi a farcene conoscere soltanto la verità.
In altre parole, dire che quella proposizione è analitica grazie alla sostituibilità
reciproca di ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’ equivarrebbe a dire allora che la
proposizione "Necessariamente tutti e solo gli scapoli sono uomini non
sposati", ottenuta per sostituzione dalla precedente, è vera. Ma ammettere che
una lingua contenga un avverbio come ‘necessariamente’ significa "[...]aver già
dato un senso soddisfacente a ‘analitico’"
9
. Non solo, ma se ‘scapolo’ e ‘uomo
non sposato’ sono sostituibili avranno la stessa estensione, ma "niente ci
garantisce che il fatto che ‘scapolo’ e ‘uomo non sposato’ abbiano uguale
estensione poggi sul significato dei termini piuttosto che su soli dati di fatto
contingenti"
10
.
Se infine facciamo ricorso a delle ‘regole semantiche’ che determinino le
condizioni per l'analiticità in una qualche lingua artificiale, queste stesse regole
sarebbero di qualche interesse solo se avessimo già chiarito la nozione stessa di
analiticità.
Ma le conclusioni più interessanti sono quelle tratteggiate da Quine nella
seconda parte dell'articolo. Oggetto della questione diventano la teoria della
verificazione e il riduzionismo.
9
Op. cit., p.29
10
Op. cit., p.30
La prima, come teoria del significato, afferma, da Peirce in poi, ma soprattutto
con il neoempirismo logico
11
, che "[...]il significato di una proposizione è il
metodo con cui empiricamente la confermiamo o la infirmiamo"
12
. Il nesso con
l'analiticità è dato dal fatto che "la proposizione analitica rappresenta il caso
limite di quella proposizione che è confermata quali che siano i dati fatto"
13
,
mentre "[...]due proposizioni sono sinonime se e solo se il metodo per
confermarle o infirmarle empiricamente è lo stesso per entrambe"
14
. Se la teoria
della verificazione fosse adeguata e fosse in grado quindi di rendere conto della
nozione di sinonimia, si potrebbe fondare su di questa l'analiticità. I problemi
sorgono quando ci si chiede quali siano i metodi con cui si determina il
significato delle proposizioni, in altre parole quando ci si chiede "qual'è [...]la
natura del rapporto fra una proposizione e le esperienze che sono a favore o
contro la sua conferma"
15
. Una risposta è stata data dal riduzionismo:
nell'empirismo tradizionale, quello di Locke, Hume, Mill, l'unità dotata di
significato era il singolo termine; da Frege in poi, diventa la proposizione. Il
riduzionismo radicale degli empiristi del nostro secolo, primo fra tutti Carnap,
ricercava la possibilità di costruire una lingua dei dati sensoriali in cui tradurre
11
La proposta filosofica di Putnam ha sempre assunto tra i suoi scopi fondamentali quello di
mostrare l'implausibilità del verificazionismo. Entrambe i primi due volumi dei Philosophical
Papers di Putnam sono percorsi da questo filo conduttore: come si legge nell'introduzione di
Mind, Language and Reality [Putnam (1975b)], "i saggi contenuti in questo volume [...]si
occupano in larga misura dello sviluppo di [...]una teoria del significato non verificazionistica,
nonché della critica alla filosofia della mente verificazionistica" [op. cit., p.12], così
come Mathematics, Matter and Method [Putnam (1975a)] affrontava problemi di filosofia della
scienza da un'ottica non positivistica e non verificazionistica. Va detto però che, negli ultimi
anni, in conseguenza del suo più recente avvicinamento ai pragmatisti americani, Putnam si è
preoccupato di distinguere accuratamente il verificazionismo pragmatista da quello
neoempirista, offrendo una valutazione positiva del primo e ribadendo al tempo stesso
l'inaccettabilità del secondo. A tal proposito si veda Putnam (1995d).
12
Op. cit., p.36
13
Ibid.
14
Ibid.
15
Op. cit., pp.36-37
ogni discorso significante, proposizione per proposizione. Non solo il progetto
di Carnap rimase largamente incompleto, ma era anche irrealizzabile in linea di
principio, come nota Quine. Carnap intendeva infatti indicare ogni punto
spazio-temporale con un insieme di quattro numeri reali, a cui assegnare delle
qualità sensoriali secondo certe regole. Ma sembra del tutto impossibile
tradurre una proposizione della forma "La qualità q è a x,y,z,t" nel linguaggio
dei dati sensoriali e della logica di Carnap, il quale, probabilmente accortosi di
ciò, abbandonò il programma riduzionista. Ma il dogma del riduzionismo
sopravvive tenacemente, secondo Quine, nell'idea che a ciascuna proposizione
presa isolatamente sia possibile associare un gruppo definito di esperienze
sensoriali in grado di confermarla o di refutarla. Quine pensa invece che "[...]le
nostre proposizioni sul mondo esterno si sottopongono al tribunale
dell'esperienza sensibile non individualmente ma solo come un insieme
solidale."
16
Il nesso tra i due dogmi dell'empirismo risiede nel fatto che, come
abbiamo già accennato, se è possibile parlare di proposizioni suscettibili di
conferma o di refutazione sulla base dell'esperienza, esisterà un "[...]un tipo
limite di proposizione confermata in modo vuoto, ipso facto, quali che siano i
dati di fatto; e questa sarebbe una proposizione analitica."
17
Tutto ciò si basa
sull'altra idea per cui in una proposizione si possano distinguere una
componente fattuale e una linguistica: se il significato di una proposizione si
riduce alla sola componente linguistica e non è in nulla determinato da quella
fattuale, la proposizione stessa sarà analitica. Ma per Quine né la distinzione
fattuale-linguistico (o osservativo-teorico) né quella tra analitico e sintetico
hanno senso, così come l'idea che si possa confrontare una singola proposizione
16
Op. cit., p.39
17
Ibid.
della scienza con l'esperienza. Si deve concludere allora che "presa nel suo
insieme, la scienza dipende dalla lingua e dalla esperienza ad un tempo"
18
e che
l'unità di significanza empirica non è né il singolo termine, come pensavano
Hume e Locke, né la singola proposizione, come pensavano Frege e i
neopositivisti, ma "[...]tutta la scienza nella sua globalità."
19
Con la distinzione analitico-sintetico, cade anche la possibilità che vi siano
proposizioni immuni da revisione, proposizioni privilegiate, come le leggi
logiche, perché molto lontane dalla "periferia" del sistema scientifico e quindi
irraggiungibili dagli effetti falsificanti dell'esperienza. Un'esperienza negativa
alla periferia non investe una singola proposizione, ma si ripercuote in ogni
parte del sistema scientifico. D'altro canto, abbiamo una grande libertà nello
scegliere quali parti del complesso rettificare per rispondere ad una esperienza
contraria, e qui entra in gioco una forte componente pragmatica: per Quine, tra
questioni teoriche e questioni di fatto c'è soltanto una differenza di grado, ed è
una questione pragmatica la scelta di modificare una parte dell'edificio
scientifico piuttosto che un'altra. La componente pragmatica insita nell'anti-
atomismo e nell'empirismo non-dogmatico, appena accennata da Quine in
questo pionieristico articolo, diventerà un aspetto molto rilevante nell'olismo di
Putnam, con una certa accentuazione soprattutto tra gli anni '80 e '90, periodo
in cui la sua attenzione si sposta proprio sui grandi pensatori del pragmatismo
americano, con particolare riguardo a James e a Peirce
20
.
18
Op. cit., p.40
19
Ibid.
20
Sulla lettura del pragmatismo da parte di Putnam si vedano soprattutto i saggi contenuti in
Putnam (1990a), Putnam (1990b), Putnam (1990c), Putnam (1991g), Putnam (1992a), Putnam
(1995b), Putnam (1995d). A proposito della ‘svolta pragmatica’ intrapresa dall'autore negli
ultimi anni, si veda il cap.2 di questa tesi.
1.2. Analitico e sintetico
L'articolo di Quine suscitò una grande discussione nella comunità filosofica,
ma, come Putnam nota, quell'articolo "[...]provocò un gran numero di risposte
che però in massima parte non potevano competere, per originalità o
importanza filosofica, con lo scritto che le aveva provocate."
21
La tendenza fu
in generale quella di confutare, o tentare di confutare, le provocatorie tesi di
Quine, soprattutto con l'ausilio di alcuni esempi classici. L'obbiettivo di
Putnam, invece, è stato quello di trovare una posizione che fosse alternativa sia
a Quine sia ai difensori di quelle tesi filosofiche tradizionali che Quine stesso
intendeva demolire. In altre parole, se da un lato Putnam non intende seguire
Quine nel negare completamente l'esistenza della distinzione analitico-
sintetico, dall'altro deplora "[...]l'eccessivo ricorso"
22
alla medesima distinzione
da parte dei filosofi, indicando questo fatto come la "[...]fonte dei maggiori
travisamenti rintracciabili negli scritti dei filosofi della scienza tradizionali."
23
L'autore cerca così di "[...]‘difendere’ la distinzione, e contemporaneamente ne
attacca l'abuso da parte dei filosofi"
24
: la difficoltà sempre crescente di
difenderla dipenderebbe infatti da quello stesso abuso, dal fatto cioè "[...]che la
si è gonfiata in modo davvero spropositato".
25
Sull'altro fronte, Quine avrebbe
invece commesso proprio l'errore opposto, quello cioè di negarne
completamente la legittimità, anche se, come Putnam stesso riconosce, è un
errore filosofico meno grave, soprattutto dal punto di vista dello scienziato o
del filosofo della scienza.
21
Putnam (1975b), p.55
22
Op. cit., p.54
23
Ibid.
24
Op. cit., p.55
25
Ibid.
1.2.1. Osservazioni di Putnam a proposito di Two Dogmas of Empiricism
Come accennavamo poco fa, le critiche che vennero rivolte all'articolo di
Quine non si rivelarono assolutamente all'altezza del loro scopo
26
. La tecnica
argomentativa più usata fu quella di fornire un certo numero di esempi classici,
particolarmente facili da trovare nel caso di una distinzione tanto affermata
come quella tra analitico e sintetico. Ma la portata delle tesi filosofiche di
Quine, così devastanti anche al di là dei confini stessi dell'empirismo, malgrado
il titolo dell'articolo, era tale da non poter essere respinta o drasticamente
ridimensionata né rifacendosi semplicemente a degli esempi, né ribadendo, con
una ‘scrollatina di spalle’ l'implausibilità della non esistenza della distinzione.
Putnam si schiera comunque con questi critici nel sostenere sia l'esistenza di
una distinzione analitico-sintetico sia l'implausibilità della tesi radicale di
Quine, ma ritiene insufficiente dire semplicemente che quest'ultimo è in errore
facendo appello solo alla propria ‘intuizione’ o ‘fede’: bisogna specificare sotto
quale aspetto della questione Quine è in errore, portando argomenti teorici
validi che vadano al di là della semplice convinzione che Quine abbia torto. A
detta di Putnam, l'unico articolo che sfugge a queste insufficienze è quello di
Grice e Strawson
27
, che più tardi incontreremo come ulteriore bersaglio critico
di Putnam. Nonostante le riserve di Putnam, questo articolo sarebbe l'unico a
portare ragioni teoriche e non meramente psicologiche o soggettive contro il
caustico criticismo di Quine.
26
Dai primi anni '50 ad oggi si contano almeno una cinquantina di libri o articoli da tutto il
mondo dedicati in modo più o meno specifico al celebre articolo di Quine. Indicazioni
bibliografiche assai esaurienti si possono trovare in Bruschi (1985).
27
Grice e Strawson (1956). L'argomento secondo cui "[...]là dove si è d'accordo sull'uso delle
espressioni implicate rispetto a una classe aperta, deve essere necessariamente presente una
qualche sorta di distinzione" [Putnam (1975b), p.56] è condiviso dallo stesso Putnam, il quale
però ne ravvisa l'insufficienza rispetto al punto fondamentale della questione, cioè il
chiarimento della natura della distinzione. Si veda anche più avanti il §1.3. di questa tesi.
Quando verso la metà degli anni '70 tornerà sulla questione
28
, Putnam avrà
modo di specificare meglio la sua personale valutazione dell'articolo di Quine,
approfondendo le posizioni già espresse in The Analytic and the Synthetic.
Quando Quine attacca la distinzione analitico-sintetico, in realtà attacca due
distinte nozioni, e con argomenti diversi. Da un lato, la critica è rivolta ad una
nozione di analiticità che possiamo far risalire alla formulazione kantiana, una
nozione cioè linguistica, secondo la quale è analitico il giudizio la cui
negazione è contraddittoria, nozione che a sua volta Quine riformula in termini
di sinonimia; dall'altro, abbiamo la nozione metodologica, per cui un'asserzione
è analitica se è confermata in ogni caso, o ‘qualunque cosa accada’, e questa
secondo Putnam non è altro che una delle nozioni tradizionali di apriori
29
.
Quine avrebbe quindi confuso le due nozioni di analiticità e apriorità, che per
Putnam hanno un significato ben diverso. Questa confusione andrebbe fatta
risalire ai neopositivisti del Circolo di Vienna, di cui Quine critica la nozione di
analiticità nel paragrafo ‘La teoria della verificazione e il riduzionismo’
30
.
Secondo gli esponenti del Circolo, il significato di un'asserzione scientifica
dovrebbe essere riducibile ad asserzioni sui dati sensoriali. A quest'idea si
28
Ci riferiamo all'articolo "Two Dogmas Revisited" [Putnam (1976)] scritto da Putnam a metà
degli anni '70 e poi inserito nel terzo volume dei suoi Philosophical Papers, Realism and
Reason [Putnam (1983a), pp.87-97].
29
"Una delle molte nozioni di analiticità che Quine attaccava in ‘Due dogmi dell'empirismo’
era vicina al resoconto dell'analiticità di Kant [...]o, piuttosto, a una versione ‘linguistica’ del
resoconto kantiano: un'asserzione è analitica se è ottenuta da una verità logica sostituendone i
termini con dei sinonimi. [...]Ma Quine considera anche una nozione molto diversa: la nozione
di una verità analitica come una verità che è confermata qualunque cosa accada. Sosterrò che
questa è la tradizionale nozione di apriorità, o piuttosto, una delle tradizionali nozioni di
apriorità." ["One of the several notions of analyticity that Quine attacked in ‘Two Dogmas of
Empiricism’ was close to one of Kant's accounts of analyticity [...], or, rather, to a ‘linguistic’
version of Kant's account: a sentence is analytic if it can be obtained from a truth of logic by
putting synonyms for synonyms. [...]But Quine also considers a very different notion: the
notion of an analytic truth as one that is confirmed no matter what. I shall contend that this is
the traditional notion of apriority, or rather, one of the traditional notion of apriority."
[Putnam (1983a), p.87]
30
Quine (1951), pp. 35-40
collega quella secondo cui ciascuna asserzione dotata di significato disporrebbe
di un insieme ben definito di esperienze, o situazioni sperimentali, alcune delle
quali in grado di confermare l'asserzione, altre in grado di confutarla. Ogni
proposizione dovrebbe quindi in linea di principio poter essere espressa in un
linguaggio dei dati sensoriali e controllata sulla base di determinate prove
sperimentali. A tutto questo va aggiunta una componente stipulativa che
determinerebbe la significanza empirica delle asserzioni. Quindi, per i
positivisti una proposizione è a priori se è vera solo sulla base del significato,
o, in altre parole, confermata da qualunque riscontro sperimentale (no matter
what), ma dal momento che una proposizione è analitica proprio se è vera solo
sulla base del significato dei termini, è evidente come per i positivisti l'apriorità
venga a coincidere con l'analiticità
31
. E' allora sulla base della dottrina
neopositivista del significato, al tempo stesso riduzionista e convenzionalista,
che avviene questa identificazione. "Abbastanza curiosamente, quindi", dice
Putnam, "Quine ha confuso analiticità e apriorità a causa delle assunzioni
neopositiviste (assunzioni che lui stesso stava attaccando)! Ma, fortunatamente,
questa confusione non invalida il suo argomento contro l'apriorità"
32
. Putnam
sottoscrive infatti le argomentazioni di Quine contro l'esistenza di asserzioni
genuinamente a priori, cioè assolutamente a priori e assolutamente immuni da
31
"[...]i positivisti sostenevano che asserzioni a priori (asserzioni con una gamma universale di
esperienze confermanti) sono vere solo sulla base del significato. E dal momento che la verità
solo in virtù del significato è l'analiticità, seguiva (per i positivisti) che l'apriorità è
l'analiticità."; ["[...]the positivists held that a priori statements (statements with the universal
reange of confirming experiences) are true by meaning alone. And since truth by virtue of
meaning is analyticity, it followed (for the positivists) that the aprioricity is analyticity."
[Putnam (1983a), p.92]
32
["Curiosly enough, then, Quine confused analyticity and apriority because of positivists
assumptions (assumptions he was attacking)! But, fortunately, this confusion does not
invalidate his argument against apriority."]; Ibid.. Infatti, questa confusione non deve essere
comunque un peccato troppo grave, visto che lo stesso Putnam parla talvolta di analiticità
anche a proposito di asserzioni irrivedibili. In ogni caso, è chiaro come Putnam voglia
sottolineare la natura linguistica e stipulativa della nozione di analiticità per distinguerla da
quella più metodologica propria della nozione di apriorità.
revisione. Dalle conclusioni di Quine è possibile trarre una nozione alternativa
di a priori, ovvero quella di contestualmente a priori (contextually a priori),
che riguarderebbe ad esempio le leggi della logica, a priori e
metodologicamente immuni da revisione (metodologically immune from
revision) ma solo relativamente al contesto teorico precedente alla nascita della
meccanica quantistica e dell'approccio logico-quantistico. Putnam si chiede
allora se sia possibile al tempo stesso: a) negare l'esistenza di verità
assolutamente a priori, seguendo in questo Quine, e b) affermare l'esistenza di
asserzioni analitiche (in senso pur sempre ‘linguistico’). Se analitico non
significa a priori, allora sembrerebbe possibile farlo. La risposta di Putnam è,
come prevedibile, affermativa. Vediamo allora in che modo questi difenda la
nozione di analiticità, distinguendosi da Quine ma assumendone la
fondamentale opzione olistica.
1.2.2. Un punto di vista sull'analiticità
La situazione da cui muovere è, secondo Putnam, così riassumibile:
"[...]sappiamo che esiste una distinzione analitico-sintetico, ma non possiamo
mettere perfettamente in chiaro la sua esatta natura"
33
, non riusciamo cioè ad
andare al di là di meri esempi che si limitano a rafforzare la nostra convinzione
senza peraltro riuscire a spiegarla. Non possiamo neppure affidarci a
spiegazioni meramente linguistiche, o riferirci alle disposizioni all'uso, da parte
dei parlanti, di espressioni che sembrano analitiche e di altre che sembrano
sintetiche. Abbiamo bisogno di qualcosa di più: dobbiamo "[...]poter
individuare la natura e le ragioni della distinzione analitico-sintetico"
34
, o
33
Putnam (1975b), p.56
34
Ibid.; corsivo nostro.
ancora, "il vero problema non è di descrivere il gioco linguistico che giochiamo
con parole come ‘significato’ e ‘comprensione’, ma di rispondere
all'interrogativo più profondo: ‘Qual è lo scopo del gioco?’"
35
.
Finora abbiamo messo in luce solamente il dissenso di Putnam nei confronti
di Quine. Abbiamo visto infatti come Putnam non accetti una negazione totale
della distinzione analitico-sintetico, anche se la giudica un errore filosofico non
troppo grave se messo a confronto con l'abuso che altri filosofi hanno fatto di
quella stessa distinzione. Putnam arriva ad esprimersi in modo anche molto
forte rispetto a ciò: "[...]ignorate la distinzione analitico-sintetico, e non
sbaglierete a proposito di qualsiasi problema filosofico che non abbia a che fare
specificamente con quella distinzione; provate a usarla come arma nella
discussione filosofica, e vi ritroverete sempre in errore"
36
. Il dissenso di
Putnam verso Quine si ferma però ad un livello superficiale: se Quine ha torto
nel negare qualcosa che per Putnam esiste di fatto, lo stesso Quine ha ragione
"[...]in un senso più profondo"
37
. Per Putnam non ha senso negare l'esistenza
della distinzione analitico-sintetico di fronte a proposizioni palesemente
analitiche come "Tutti gli scapoli sono non sposati" e a proposizioni
palesemente sintetiche come "Il libro è sul tavolo", negandone l'evidente
differenza. Potremmo anche etichettarle in modo diverso, ma ci riferiremmo
sempre alla medesima realtà.
35
Ibid.
36
Op. cit., p.56
37
Ibid.