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anticorpo al virus CCHF fu individuato nel siero di 22 struzzi provenienti da fattorie del distretto di Oudtshoorn,
compresi sei soggetti che provenivano dalla fattoria dove lavorava il paziente (73).
Recentemente si sono verificati diciassette casi (di cui uno fatale) di Crimean Congo Haemorrhagic
Fever nelle maestranze che operano in un macello per struzzi di Oudtshoorn in Sud Africa.
L’episodio appena accennato ha determinato l’emanazione di alcuni provvedimenti da parte
dell’autorità sanitaria dello Stato sudafricano che ha disposto la chiusura dello stabilimento di macellazione e
l’applicazione di misure sanitarie per l’allevamento dello struzzo. Si è disposto altresì, per migliorare le
conoscenze sulla patogenesi della CCHF nello struzzo, di attuare un programma di studio mediante prove di
laboratorio virologiche, sierologiche ed istologiche.
L’Unione Europea che importa carni di struzzo dal Sud Africa, ha disposto il blocco delle importazioni
di dette carni ed ha inviato in Sud Africa un delegato per accertare gli eventuali rischi legati alla presenza di
questa grave zoonosi e per valutare la sperimentazione in corso sugli struzzi (18).
Oggetto della presente tesi è lo studio delle possibili implicazioni derivanti dalla presenza di questa
malattia nell’allevamento dello struzzo e, di riflesso, la valutazione dei possibili rischi inerenti la macellazione
dei ratiti e la commercializzazione delle relative carni.
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FEBBRI EMORRAGICHE
Le infezioni sostenute da virus emorragici febbrili costituiscono un importante settore delle malattie
virali che colpiscono l’uomo e gli animali e rappresentano un problema di salute pubblica mondiale.
Attualmente si conoscono 12 differenti virus che sono considerati virus febbrili emorragici; questi virus
appartengono a quattro distinte famiglie virali: Arena, Bunyavi, Filo e Flavi. Il fatto che i virus febbrili
emorragici non condividano uno stato tassonomico comune, lascia pensare che questi virus abbiano evoluto uno
stato comune di produzione della malattia, ma che non abbiano uguale origine. All’interno di ogni famiglia di
virus ci sono caratteristiche epidemiologiche comuni (51).
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I virus emorragici febbrili, la loro distribuzione e le principali modalità di trasmissione
Famiglia di virus Malattia Distribuzione Modalità di trasmissione
Arenaviridae
Lassa
Junin
Machupo
febbre Lassa
HF Argentina
HF Boliviana
Africa
Argentina
Bolivia
Roditori
Roditori
Roditori
Bunyaviridae
Virus febbrile della Valle
del Rift
Crimean-Congo HF
Hantan
febbre della Valle del Rift
Crimean-Congo HF
HF con sindrome renale
Afrroca
Africa, Asia, URSS
Africa, Asia, URSS,
Europa
Zanzare
Zecche
Roditori
Filoviridae
Marburg
Ebola
Marburg HF
Ebola HF
Africa
Africa
Non conosciuto
Non conosciuto
Flaviviridae
Febbre gialla
Dengue
Kyasanur Forest disease
Omsk
Febbre gialla
Dengue fever, Dengue
HF, sindrome da shok
dengue
Kyasanur Forest disease
Omsk HF
America, Africa
Asia , Africa, Pacifico,
America
India
URSS
Zanzare
Zanzare
Zecche
Zecche
Da: James W. Le Duc (1989)
Forme virali Arena
Febbre Lassa
La malattia è causata da un RNA virus appartenente al gruppo degli Arenavirus, famiglia degli
Arenaviridae .
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La febbre Lassa è una malattia diagnosticata per la prima volta alla fine degli anni sessanta, dopo
un’epidemia verificatasi in un ospedale di una missione a Jos in Nigeria; durante questa epidemia molte persone
hanno contratto la malattia in ospedale e sono decedute. All’inizio si pensava che la malattia fosse fortemente
virulenta e di tale gravità da causare spesso la morte dei soggetti colpiti. Studi successivi, condotti
principalmente da gruppi che lavoravano in Sierra Leone e in Liberia, hanno dimostrato che la mortalità era più
bassa di quanto si sospettasse in precedenza e che l’infezione era molto più comune di quanto si credesse (51).
L’ospite naturale del virus Lassa è un roditore: Mastomys natalensis che è molto diffuso in molte parti
dell’Africa; questo roditore è in grado di trasmettere il virus all’uomo per aerosol (1, 51).
La febbre Lassa è una malattia presente nei Paesi dell’ovest dell’Africa e ha andamento stagionale, con
punte più alte durante la stagione secca, anche se nelle zone endemiche si verificano casi di malattia durante
tutto l’arco dell’anno.
La malattia nell’uomo ha un periodo di incubazione che dura all’incirca sette giorni, ma può
prolungarsi in alcun casi sino a tre settimane. La sintomatologia è caratterizzata da ipertermia, astenia, dolori
muscolari, cefalea, enterite con diarrea e dolori addominali, dolori toracici; nell’80% dei casi è presente una
faringite ulcerativa. Nelle forme più gravi, sono presenti edemi della faccia e del collo, emorragie capillari,
complicazioni a livello del SNC e insufficienza respiratoria; il tasso di mortalità dei pazienti ospedalizzati varia
dal 30 al 50%; si stima che ci siano da 10 a 20 casi di infezione nella popolazione per ogni malato ospedalizzato
e pertanto la percentuale dei decessi, in rapporto al numero delle persone infettate, sarebbe quindi dell’1-2% (1).
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Febbre emorragica argentina (Malattia di Junin)
Una seconda malattia da arenavirus è la febbre emorragica argentina, causata dal virus Junin, un RNA
virus del gruppo degli Arenavirus, famiglia degli Arenaviridae, isolato per la prima volta nel 1958. Questa
malattia è localizzata in un’area relativamente ben definita dell’Argentina, dove causa epidemie annuali da
gennaio ad agosto circa ogni anno. La zona endemica si estende nella zona Nord Ovest della provincia di
Buenos Aires e a sud - sud-est della provincia di Cordoba e Santa Fè e ad est della provincia della Pampa; studi
recenti hanno dimostrato che il virus sarebbe attivo anche al di fuori delle aree endemiche conosciute (1).
Le persone più esposte al contagio sono gli agricoltori e altre persone che vivono in zone rurali. Il
periodo di incubazione della malattia dura da 10 a 16 giorni; la malattia si manifesta inizialmente con ipertermia,
cefalea, vertigini e congiuntivite; possono inoltre essere presenti vomito e diarrea e linfoadenopatie ascellari e
inguinali, associate a petecchie cutanee e del palato; leucopenia, trombocitopenia, albuminuria e cilindruria sono
costanti. La febbre regredisce generalmente dopo circa otto giorni e successivamente compaiono i seguenti
sintomi: epistassi, emorragie gengivali, prostrazione, perdita di equilibrio e ipotensione che si accompagnano
frequentemente a ematemesi e melena.
Gli ospiti naturali del virus Junin sono i roditori Calomys laucha e Calomys musculinus che possono
trasmettere la malattia all’uomo per aerosol, per contatto diretto o attraverso le loro escrezioni. Il virus può
penetrare nell’organismo attraverso escoriazioni cutanee o per via orale.
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La diagnosi sierologica della malattia viene eseguita mediante i tests di immunofluorescenza indiretta,
fissazione del complemento e neutralizzazione (1).
Febbre emorragica della Bolivia
Il virus Machupo è l’ultimo arenavirus noto che causi febbre emorragica. La malattia causata da questo
RNA virus è chiamata febbre emorragica boliviana.
Il virus machupo, come gli altri arenavirus, si mantiene in natura attraverso l’infezione cronica di un
ospite roditore che in questo caso è il Calomys callosus. Come per il virus della febbre Lassa e il virus Junin,
anche il virus Machupo viene probabilmente trasmesso attraverso escrementi di roditori infetti e aerosolizzati,
anche se la trasmissione del virus da persona a persona è già stata segnalata (51).
Il periodo di incubazione della malattia dura all’incirca 2 settimane; la sintomatologia è simile a quella
della febbre emorragica d’Argentina (1). La diagnosi mediante test sierologici eseguiti sul siero di pazienti
infetti può essere eseguita con le stesse tecniche utilizzate per la malattia emorragica d’Argentina.
Forme virali Bunya
Febbre della Valle del Rift ( Epatite enzootica )
La malattia è causata da un RNA virus del gruppo Phlebovirus, famiglia dei Bunyaviride che è
presente in gran parte del continente africano.
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La malattia nell’uomo ha un periodo di incubazione di circa una settimana ed è generalmente benigna
con una sintomatologia caratterizzata da ipertermia, cefalea, mialgie e atralgie e fotofobia; nei casi più gravi si
può avere una sindrome emorragica con meningoencefalite e lesioni alla retina.
Gli animali frequentemente colpiti dal virus della Febbre della Valle del Rift sono i bovini, gli
ovicaprini e i bufali; negli ovini può determinare aborto così come nei bovini dove si può inoltre constatare la
presenza di altri sintomi come ipertermia, anoressia, ptialismo intenso e diarrea.
Il virus viene trasmesso all’uomo e agli animali dalle zanzare (Aedes caballus, Aedes lineatopennis e
Culex theileri).
La diagnosi può essere eseguita mediante test sierologici come la sieroneutralizzazione, la fissazione
del complemento, l’inibizione dell’emoagglutinazione, l’immunofluorescenza indiretta e l’ELISA.
Febbre emorragica di Crimea-Congo (Febbre emorragica dell’Asia centrale, febbre del Congo)
La febbre emorragica Crimea-Congo è causata da un virus del genere virus Nairo che appartiene alla
famiglia dei Bunyaviridae, isolato in diverse parti del mondo. Il virus è trasmesso all’uomo principalmente da
zecche del genere Hyalomma , Boophilus microplus e Amblyomma variegatum (12, 15, 17, 18, 19, 29, 40, 41,
44, 46, 52, 57); le persone più a rischio di infezione sono i mandriani, i pastori, i veterinari e altre persone che
comunque vengano a contatto con gli animali, nonchè il personale operante nelle strutture ospedaliere che può
contrarre la malattia dai pazienti infetti.
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La malattia nell’uomo ha un periodo di incubazione che varia da tre a sette giorni. La comparsa della
malattia è violenta con ipertermia, brividi, vertigini e una mialgia diffusa; la febbre dura all’incirca sette giorni e
dal quarto giorno dall’inizio della malattia cominciano le prime manifestazioni emorragiche come l’epistassi, le
emorragie gengivali, l’ematuria e le emorragie gastriche; in alcuni pazienti si può avere epato-splenomegalia.
Negli animali la malattia decorre in forma asintomatica, anche se è stata dimostrata in diverse specie
animali una fase di viremia iniziale (1).
Febbre emorragica con sindrome renale
I virus che causano la febbre emorragica coreana, la febbre emorragica in Cina e la febbre emorragica
con sindrome renale dell’Unione Sovietica sono tutti strettamente correlati fra loro e assieme costituiscono un
nuovo genere, il genere virus Hantaan della famiglia dei Bunyaviridae. Uno di questi virus è stato isolato per la
prima volta da H.W. Lee e coll. in Corea nel 1976; negli anni successivi sono stati isolati quattro virus del
genere Hantaan.
I virus Hanta sono mantenuti in natura attraverso l’infezione cronica di alcuni roditori e di altri piccoli
mammiferi e la trasmissione del virus agli esseri umani avviene principalmente attraverso le feci infette per
aerosol; in particolare la trasmissione della malattia nei centri urbani sembra legata alla presenza dei ratti che
fungono da ospite vettore (51). Le popolazioni rurali sono quelle a più alto rischio di infezione.
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La malattia è stata accertata nella penisola Scandinava, in Francia, in Yugoslavia e in Giappone. La
ricerca di anticorpi del virus Hantaan nei topi catturati in alcune città degli Stati Uniti ha dato esito positivo, così
come negli abitanti e nei topi di alcune città della regione amazzonica del Brasile (1).
Nell’anno 1990 anche in Italia Centrale (Roma e Isola Pontina) e Settentrionale (Cadore) sono stati
messi in evidenza in sieri di individui, ratti e topi, anticorpi del virus Hanta, senza che sia stato riscontrato alcun
caso di malattia.
La malattia insorge con ipertermia, cefalea, bradicardia e congestione della congiuntiva;
successivamente compaiono dolori muscolari, vomito, nausea, emorragie e manifestazioni renali con ematuria,
oliguria, proteinuria e acidosi.
I casi di malattia riscontrati in Scandinavia e in altri Paesi europei hanno avuto un decorso meno grave
rispetto ai casi riscontrati in Corea e in Cina, dove la malattia si è caratterizzata per le gravi emorragie e per il
maggior numero di casi letali (1).
La diagnosi della malattia viene eseguita con esami sul siero mediante i test di immunofluorescenza ed
ELISA.
Forme virali Filo
I filovirus sono gli agenti causali della febbre emorragica Marburgo, comparsa in Europa nel 1967, e
della febbre emorragica Ebola, comparsa in Africa nel 1976 (34 bis).
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Malattia di Marburg (Febbre emorragica africana, malattia della scimmia verde)
Il virus Marburg è stato isolato per la prima volta nel 1967, durante un episodio di malattia emorragica
conseguente all’importazione di scimmie (Cercopithicus aethiops) provenienti dall’Africa e destinate a un
laboratorio situato a Marburgo nella Repubblica Federale tedesca; tre tecnici del laboratorio si ammalarono di
una malattia emorragica dopo aver manipolato organi delle scimmie e l’infezione si diffuse poi ad altri operatori,
causando il ricovero di 17 persone. Sei altri casi si verificarono a Francoforte e nel settembre dello stesso anno si
verificarono nuovi casi a Belgrado (41bis, 50).
Il virus Marburgo rimase un’oscura curiosità medica fino al 1975, quando vennero osservati tre casi di
febbre emorragica Marburgo, di cui uno mortale, a Johannesburg in Sud Africa. Altri episodi sono stati
riscontrati in Kenia nel 1980 (due casi, di cui uno mortale) e nel 1987.
La regione del Kenia dove si verificarono questi casi non era lontana dall’area di cattura delle scimmie
che erano state all’origine dei casi europei del 1967 (34 bis).
La malattia nell’uomo ha un periodo di incubazione che varia dai 4 ai 9 giorni; successivamente
compaiono i seguenti sintomi: ipertermia, cefalea, prostrazione, atralgie, mialgie, vomito, diarrea;
successivamente si possono avere eruzioni cutanee maculopapulose, emorragie gastrointestinali, epistassi,
adenopatie ed epatite. In alcuni casi si possono osservare lesioni del SNC, miocardite e altre complicazioni.
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La diagnosi della malattia si basa sull’isolamento del virus nella coltura cellulare, l’inoculazione nella
cavia o nella scimmia, la microscopia elettronica e i metodi sierologici con antigeni ottenuti su colture cellulari.
Malattia di Ebola
Il virus Ebola è stato isolato durante le epidemie che si sono verificate in Zaire e in Sudan nel 1976.
Il filovirus isolato, che prese il nome da un piccolo fiume del nord-ovest dello Zaire, appariva simile al
virus Marburgo, dal quale, però, differiva morfologicamente (34 bis).
Nelle due epidemie da virus Ebola verificatesi in Sudan e in Zaire, la mortalità risultò particolarmente
elevata; l’origine dei focolai di malattia sembra potersi identificare nella scarsa applicazione dei principi basilari
di igiene pubblica e in particolare negli ospedali dei Paesi coinvolti.
Nello stesso anno, un caso di febbre emorragica Ebola si verificò anche in Gran Bretagna in un
laboratorista che si era punto con l’ago di una siringa con cui stava inoculando alcune cavie con virus Ebola.
Negli anni 1977-79, la malattia riapparve più volte in Sudan e Zaire con alta morbilità, ma con una
mortalità inferiore alle epidemie del 1976 (50).
Studi condotti da N.K. Blackburn e Coll. (1982) in quattro province dello Zimbabwe (Omay,
Ndowoyo, Maranke e Chiweshe) hanno potuto dimostrare la presenza dell’anticorpo del virus Ebola in campioni
di sangue prelevato a dei bambini di circa dieci anni di età che vivevano in queste province (6).
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Ricerche condotte da C. Mathiot e Coll. (1989), hanno potuto accertare la presenza di anticorpi del
virus EBO Z (ceppo Zaire) nel 13,3% dei soggetti esaminati nella provincia di Antanarivo del Madagascar; un
anno prima lo stesso Autore aveva condotto ricerche su alcune popolazioni di zecche del Madagascar, finalizzate
ad evidenziare l’eventuale presenza di virus CCHF in questi ospiti vettori, riuscendo ad isolare il virus da zecche
del genere Boophilus microplus e Amblyomma variegatum (57).
Nel 1989, negli USA, si è registrato un caso di febbre emorragica in scimmie cynomolgus (Macaca
fascicularis) importate dalle Filippine e ricoverate presso la stazione quarantenale per primati di importazione
di Reston. Venne isolato un RNA virus strettamente correlato al virus Ebola, che venne denominato Ebola
Reston e che risultò patogeno per le scimmie all’inoculazione sperimentale. Alcuni addetti al governo degli
animali della stazione quarantenale, si sono ammalati con una forma più lieve rispetto a quella sostenuta dai
virus Ebola africani (34 bis).
Un episodio simile, su scimmie importate dalle Filippine, si registrò anche in Italia nel 1992, senza che
siano state coinvolte persone. Nello stesso anno e nel 1994, si ebbero casi di malattia in gruppi di scimpanzè
della Costa d’Avorio; una persona che aveva partecipato all’autopsia di uno degli scimpanzè colpiti, contrasse la
malattia; il virus isolato era antigenicamente e geneticamente diverso dai ceppi Ebola isolati in precedenza.
Recentemente la malattia ha fatto ancora la sua comparsa nel territorio dello Zaire, con 315 persone
colpite e 244 morti (77%); buona parte dei soggetti colpiti dalla malattia erano persone addette alla cura dei
malati negli ospedali, il 26% di questi apparteneva al personale medico (34bis).
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Studi sieroepidemiologici condotti da E.D. Jonson e Coll. (1993) finalizzati a determinare la frequenza
e la distribuzione dei virus emorragici febbrili nella popolazione della Repubblica Centroafricana, hanno potuto
accertare una netta prevalenza dell’anticorpo dei filovirus, rispetto agli anticorpi di altri virus emorragici.
Gli stessi Autori hanno altresì evidenziato che il sesso e l’età delle persone sottoposte ai test sierologici,
costituivano importanti fattori in grado di influenzare la prevalenza di anticorpo filovirale, in particolare per il
virus Ebola; la prevalenza di anticorpo al virus Ebola aumentava con l’età, le donne e gli uomini avevano
prevalenze di anticorpo al virus Ebola più alte rispetto ai soggetti più giovani dello stesso sesso. Le giovani
donne avevano una prevalenza più alta dell’anticorpo al virus Ebola, rispetto ai giovani maschi; nel gruppo di
età compresa fra i 21 e i 40 anni, le prevalenze femminili e maschili diventavano equivalenti (50).
Almeno l’11,2% della popolazione femminile e il 6,8% di quella maschile, abitante nella Repubblica
Centroafricana, risultano esposti all’azione dei virus filo; sembra che le infezioni si verifichino senza
un’apparente malattia, il chè lascia pensare ad una scarsa patogenicità dei filovirus africani (50).
La malattia nell’uomo può presentarsi con una forma benigna che può aggravarsi rapidamente e
divenire fatale. Il periodo di incubazione della malattia dura all’incirca una settimana; i primi sintomi sono
l’ipertermia e la cefalea e successivamente compaiono dolori toracici, vomito, diarrea, angina, eruzioni
maculopapulose e desquamazioni della pelle. Nel 90% dei pazienti deceduti e nel 48% di quelli guariti sono
state osservate delle emorragie diffuse con melena, ematemesi ed epistassi.
Il serbatoio del virus Ebola in natura è sconosciuto (1).
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La diagnosi della malattia può essere eseguita mediante l’isolamento del virus che deve avvenire in
laboratori particolarmente attrezzati e dotati di un sistema di massima sicurezza (livello di biosicurezza - P4); il
test sierologico di immunofluorescenza indiretta può essere utilizzato efficacemente per evidenziare la presenza
di anticorpi nel sangue di pazienti infetti.
Forme virali Flavi
La Febbre Gialla, una delle più importanti malattie causate da flavivirus, è caratterizzata da due cicli di
trasmissione; un ciclo silente della giungla e un ciclo potenzialmente devastante urbano. In entrambi i cicli le
zanzare sono gli ospiti vettori (51).
In Africa le zanzare del genere Aedes rappresentano l’ospite vettore del virus della febbre gialla, mentre
in Sud America l’ospite vettore è rappresentato dalle zanzare del genere Haemogogus; le scimmie rappresentano
il serbatoio di infezione nella giungla. L’uomo che contrae l’infezione nella giungla, quando si trasferisce
nell’ambiente urbano diventa fonte di infezione attraverso le zanzare della specie Aedes aegypty (51, 59). In
Senegal il virus della febbre gialla non è mai stato isolato dalle zanzare della specie Aedes aegypty (59).
Il virus Dengue, del quale si conoscono quattro sierotipi, provoca una malattia febbrile emorragica che
ha come ospite vettore le zanzare del genere Aedes aegypty. E’ una malattia endemica nel continente asiatico che
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colpisce prevalentemente i bambini con alta morbilità e mortalità; alla fine degli anni ottanta si sono verificate
gravi epidemie anche in Sud America e i particolare in Brasile (51).
Il primo isolamento documentato del virus di Dengue in Africa è avvenuto tra il 1964 e il 1968 in
Nigeria e poi, tra il 1972 e il 1975, i virus del Dengue 1 (DEN 1) e del Dengue 2 (DEN 2) sono stati
frequentemente isolati in esseri umani. Dei 32 ceppi di virus Dengue isolati in Nigeria, 18 sono stati identificati
come DEN 1 e 14 come DEN 2.
Nell’Alto Volta, sei ceppi di virus di DEN2 sono stati isolati su 80 pazienti nel 1982 e il 30% di questi
pazienti aveva anticorpi IgM al virus DEN 2. In Kenia, 7 ceppi di virus DEN 2 vennero isolati nel 1982 ed un
ceppo simile è stato isolato in un turista canadese.
A Port Sudan, 17 ceppi di virus DEN 2 vennero isolati nel 1984, così come un ceppo di DEN 1. Nel
1983 tre espatriati in Somalia manifestarono reazione sierologica positiva alla ricerca di anticorpi dei flavivirus,
con un aumento del titolo anticorpale per il virus DEN 2.
Nel 1985 un’epidemia simile alla malaria si è verificata presso il Campo Dam, un campo per rifugiati
vicino ad Hargeysa in Somalia, che ha colpito migliaia di residenti senza provocare decessi. Nel 1986, si sono
verificati ancora molti casi della malattia presso lo stesso campo; questa malattia era caratterizzata da ipertermia,
brividi, sudori, mal di testa, mal di schiena e dolori articolari e venne identificata dagli abitanti del posto come
“la malattia che rompe le ossa”.