2
utilizzate a tal fine: il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e i lavori
socialmente utili. Queste forme contrattuali sono state esaminate con
particolare riguardo alle disposizioni che hanno effetti nei confronti dei giovani
tralasciando gli altri aspetti e gli istituti assoggettati alla disciplina del lavoro
subordinato.
3
Capitolo Primo
IL LAVORO GIOVANILE
1.1. Evoluzione
Il problema del lavoro giovanile nasce nell’epoca moderna, non perché prima i
giovani non lavorassero ma perché il loro lavoro era soggetto a regole e
principi diversi. È nell’ordinamento corporativo della società medioevale che
l’attività del giovane assume rilevanza giuridica autonoma rispetto a quella
degli adulti. Nelle corporazioni il ruolo del giovane è tipicamente quello
dell’apprendista, infatti proprio in tale contesto è nato il contratto di
apprendistato. Gli apprendisti potevano svolgere l’attività lavorativa al
compimento del decimo anno di età fino al quattordicesimo, si dedicavano ad
imparare l’arte o il mestiere, vivevano nella bottega del maestro e vi
rimanevano fino al momento in cui non erano in grado di dimostrare di aver
appreso l’arte o il mestiere. La corporazione regolava minuziosamente il
periodo di tirocinio, attraverso gli statuti, disponendo sul limite di età, sul
numero degli apprendisti e sui metodi di insegnamento. L’oggetto del rapporto
che si instaurava tra il giovane e il maestro non consisteva nello svolgimento
dell’attività lavorativa ma nell’apprendimento. Tale sistema, però, risultò non
essere idoneo a fornire manodopera qualificata alle imprese medio grandi che
la richiedevano. Ciò fu il primo passo della decadenza del sistema corporativo
1
.
In seguito, le idee illuministiche, il liberalismo economico sociale non
lasciarono più posto alle istituzioni corporative che scomparvero
definitivamente con la rivoluzione industriale. Fu proprio con essa che nasce il
problema dell’impiego della manodopera giovanile e del necessario intervento
dello Stato a protezione dei lavoratori più deboli. Con il passaggio
dall’economia artigiana e contadina a quella capitalistica i giovani non
1
Sin dal XVI secolo l’accento si era spostato dall’insegnamento all’attività lavorativa. Si veda
Del Pane, Il tramonto delle corporazioni in Italia, Milano, 1940, pp. 22 ss., e Storia del lavoro
in Italia dagli inizi del secolo XVIII al 1815, Milano, 1940, pp.253 ss.;
4
vengono più formati ma si trovano a svolgere diverse attività senza alcun
addestramento e in luoghi molto diversi da quelli della bottega artigiana. In tale
periodo l’elemento fondamentale del rapporto di lavoro era l’attività lavorativa
e non l’istruzione e la formazione, tipica del periodo delle corporazioni. Il
lavoratore veniva impiegato in occupazioni massacranti, antigeniche,
pericolose e in situazioni che determinavano l’abbrutimento e l’immoralità
della persona. Per eliminare tale situazione nel 1802, in Inghilterra, ebbe inizio
la legislazione sociale con il primo provvedimento legislativo sul lavoro dei
fanciulli nelle fabbriche. Tale intervento vietava il lavoro notturno e la
promiscuità, fissava l’orario di lavoro in dodici ore settimanali e obbligava a
fornire una certa istruzione. La legge, però, fu scarsamente applicata e limitata
al settore della lana e del cotone. In seguito furono emanati ulteriori
provvedimenti
2
, che tendevano a limitare l’età di ammissione al lavoro,
controllavano l’orario di lavoro, il lavoro notturno e prevedevano un controllo
medico sanitario.
La stessa situazione, che caratterizzava l’Inghilterra, si verificò in tutti gli altri
stati dell’Europa ove vennero emanati vari provvedimenti
3
.
Anche in Italia, benché in ritardo rispetto agli altri Stati, si sentì l’esigenza di
un intervento legislativo a favore dei minori. Già prima dell’unità, nel Regno di
Sardegna, fu emanata la legge 20 novembre 1859, contenente le prime norme
di tutela del lavoro minorile, dopo l’unità venne emanata nel 1873 una
“leggina” che escludeva i minori di anni diciotto dai mestieri girovaghi. Nel
1886 venne emanata la legge n. 2652, che stabilì a nove anni il limite minimo
di età di ammissione al lavoro, stabilì l’orario delle donne negli opifici e tentò
di operare un collegamento fra i problemi del lavoro e le esigenze scolastiche.
2
Il Cotton Mill Act del 1819; il Lord Althrop Act del 1833, che stabilì la distinzione tra i
fanciulli (dai nove ai tredici anni) e gli adolescenti (dai tredici ai diciotto) e impose l’obbligo
scolastico; il Coal Mining Act nel 1842; il Prink Work Act del 1845 e quindi le leggi 1867,
1871, 1878;
3
In Francia la prima legge fu introdotta nel 1841 e stabiliva il limite assoluto per lo
svolgimento dell’attività lavorativa non prima di nove anni, in Prussia e in Austria il primo
intervento risale al 1839, in Baviera e in Lussemburgo nel 1840, nei Paesi Bassi nel 1874 e in
Belgio nel 1889. La genesi comune di tutti questi provvedimenti è lo stato di profonda miseria
ed ingiustizia in cui versano le classi più povere costrette a vivere con il lavoro delle industrie;
5
La legislazione sociale incontrò, negli anni successivi gravi resistenze e fu solo
nel 1902 che venne emanato un nuovo provvedimento
4
, racchiuso in un testo
unico emanato con RD 10 novembre 1907, n. 816. Con tale provvedimento si
diede inizio ad una tutela unica per le donne e i fanciulli, venne stabilito il
divieto assoluto di lavoro notturno per le donne e per i minori di anni quindici.
Il problema del lavoro giovanile non rimase un fatto interno ma fu oggetto di
diverse convenzioni internazionali
5
. Il legislatore italiano per adeguare il
sistema formativo interno alle disposizioni dell’OIL, emanò la legge 653/1934
che fu la prima, e per lungo tempo anche l’unica, regolamentazione organica
della materia. Tale legge fu modificata dalla legge 1325/1961, soprattutto con
riguardo al limite minimo di età che veniva portato da quattordici a quindici
anni e veniva prevista l’istruzione per i fanciulli. In seguito all’emanazione
della Carta Costituzionale, che nell’articolo 35 stabiliva che una dei compiti
fondamentali dello Stato, in ordine ai problemi di lavoro, consisteva
nell’esigenza di fornire ai giovani una preparazione teorica e pratica adeguata
alle esigenze della struttura economica e sociale, vennero emanate ulteriori
norme: la legge 977/1967
6
che ebbe come obiettivo l’eliminazione delle
carenze nascenti dalla continua evoluzione del sistema economico e prevedeva
una preparazione professionale dei minori. Dal 1970, in ottemperanza
dell’articolo 117 della Costituzione, alle Regioni fu affidato il compito di
intervenire in materia di istruzione e di addestramento professionale. Fu, poi
emanata la legge 285/1977 che come strumento per combattere la
disoccupazione giovanile prevedeva diversi mezzi: il contratto di formazione e
lavoro, il collocamento speciale, gli incentivi alle imprese, la cooperazione e
l’assunzione pubbliche per servizi socialmente utili. I risultati ottenuti con tale
4
Su un progetto presentato da Filippo Turati e Anna Kuliscioff che conteneva una prima forma
di assicurazione obbligatoria per la maternità;
5
Convenzione internazionale di Washington dopo il trattato di Versailles, quelle di Genova
1920, di Ginevra 1921, 1932,1937 che si occuparono di stabilire il limite di ammissione al
lavoro e di formulare regole particolari per i vari settori. La Conferenza di Montreal nel 1946 e
a San Francisco nel 1948 sul lavoro notturno;
6
Su tale legge si veda Mazzarino, La tutela del lavoro minorile, in Rivista Giuridica del
Lavoro, 1968, I, p. 190; Olivelli P., La tutela del lavoro minorile nella nuova legge 17 ottobre
1967 n. 977, in Lavoro e Sicurezza Sociale,1967, pp.183 ss.; De Paola, Tutela del lavoro dei
fanciulli e degli adolescenti, in Lavoro e Sicurezza Sociale, 1973, p. 223;
6
legge sono stati fallimentari
7
per quel che concerne l’esigenza di reperire nuovi
posti di lavoro per i giovani inoccupati. Sul finire dell’anno 1979 si registra un
nuovo interesse per l’avviamento dei giovani al lavoro, e tra i vari interventi
assume una particolare importanza la legge 33/1980. Caratteristica peculiare di
tale legge è la sollecita attenzione del legislatore per una applicazione dei
provvedimenti in tema di occupazione giovanile al settore del pubblico
impiego. Tale legge viene ad assumere il ruolo di una legge quadro delegando
le parti sociali a stabilire volta per volta le soluzioni più idonee. In tali anni
anche le Regioni assumono un ruolo fondamentale circa l’attuazione dei
programmi che hanno come fine quello di favorire l’occupazione giovanile.
Esse sono intervenute in tempi e modalità differenti, interpretando
diversamente, a volte in chiave assistenziale, a volte nell’intento di mettere
appunto una politica attiva per la manodopera e la predisposizione di
programmi di formazione professionale. Il tema su cui si è accentrato
maggiormente l’intervento delle Regioni concerne la formazione, posta
l’esigenza di predisporre programmi annuali circa le attività di formazione
professionale rivolte ad orientare i giovani verso le attività che presentano
concrete prospettive occupazionali e rispondono alle esigenze dei piani di
sviluppo. Un approccio alle problematiche occupazionali, che solo
marginalmente coinvolge la formazione, viene dalla legge 444/1988,
modificata dalla legge 275/1991, tesa a favorire lo sviluppo dell’imprenditoria
giovanile soprattutto nel Mezzogiorno
8
. Negli anni ‘90 il legislatore ha posto in
7
La legge non è riuscita, nemmeno, a provocare un’occupazione di tipo sostitutivo in relazione
al normale tour-over, cioè a ristabilire una sostanziale parità in favore dei soggetti più
svantaggiati nel meccanismo del mercato del lavoro. Infatti la legge si è mostrata carente anche
nei settori in cui si presumeva che potesse avere una maggiore incidenza, come l’agricoltura e
la piccola e media impresa. Per tale motivo alla legge sono state apportate successive
modifiche con il D.L. 706/1977 convertito in legge 864/1977 e con il D.L. 351/1978 convertito
in legge 479/1978;
8
Tale legge prevede particolari agevolazioni a favore di cooperative di produzione e lavoro,
ovvero di società costituite da giovani (fra diciotto e ventinove anni elevati a trentacinque per il
Mezzogiorno), che si propongono di realizzare progetti di fornitura e di qualificazione
professionale o per la produzione di beni. Come elemento prioritario per ottenere le
agevolazioni è previsto lo svolgimento di attività formativa e di qualificazione professionale,
funzionale alla realizzazione del progetto. La formazione è l’elemento essenziale di quei
progetti cui la legge da priorità, ossia quelli connessi all’introduzione di nuove tecnologie o di
nuove tecniche di gestione;
7
atto una serie di interventi diretti ad accrescere il livello di protezione dei
prestatori di lavoro espulsi dal processo produttivo, estendendo l’area
soggettiva di fruibilità degli ammortizzatori sociali e prolungandone la durata,
ad attenuare la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, a flessibilizzare il
collocamento attraverso il superamento della chiamata numerica a favore della
chiamata nominativa e ad attenuare il fenomeno del lavoro abusivo prestato da
soggetti in Cassa Integrazione Guadagni o iscritti alla lista di mobilità. Questo
complesso di interventi legislativi non ha prodotto effettivi benefici dal punto
di vista della promozione dell’occupazione, ed anzi ha provocato un effetto di
sperequazione tra coloro che hanno un lavoro regolare e coloro che ne sono
privi. Il 24 settembre 1996 venne siglato tra Governo e parti sociali, il Patto per
il Lavoro
9
che aveva come obiettivo di dare sistematicità al quadro eterogeneo
e confuso delle politiche del lavoro e di ridurre il tasso di disoccupazione. Il
Patto prevedeva interventi volti a generare lo sviluppo e la modernizzazione
del sistema produttivo, a sostenere una nuova imprenditorialità, a ridurre i costi
indiretti del lavoro. Lo stesso disegno di riforma strutturale del mercato del
lavoro, di promozione dell’occupazione e di lotta al sommerso è stato
perseguito dalla legge 24 giugno 1997 n. 196. Con tale legge il legislatore al
fine di combattere la disoccupazione giovanile, ha introdotto nuove tipologie
contrattuali di lavoro - non - lavoro, essenzialmente destinate ad integrare il
sistema della formazione, quindi volte alla promozione dell’occupazione. La
legge, oltre a facilitare l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro, detta
specifiche norme in materia di accordi di gradualità, cooperative di lavoro,
mutui per la realizzazione di politiche del lavoro ed incentivi per i giovani
inoccupati e per i giovani del Mezzogiorno. Oltre agli strumenti previsti dalla
legge per combattere la disoccupazione il legislatore ha previsto ulteriori
istituti che hanno come unico oggetto l’insegnamento, mentre la prestazione di
9
Il patto prosegue la strada tracciata dall’Accordo del 23 luglio 1993, individua accanto a
politiche dal lavoro, della ricerca e della formazione, politiche dell’infrastrutture, nell’ambito
di un complessivo disegno di riforme di tipo strutturale e di interventi di flessibilità controllata
volti a rimuovere gli ostacoli che hanno frenato, sul versante normativo, la promozione di
occasioni di impiego;
8
attività fisica ed intellettuale, da parte del soggetto coinvolto, resta estranea al
sinallagma contrattuale e non è quindi assimilabile alla prestazione del
lavoratore subordinato, in quanto richiesta solo per far acquisire le nozioni
pratiche necessarie alla formazione ed è indispensabile per l’attuazione dello
scopo cui è preordinato il contratto. Tra tali istituti una posizione particolare
spetta alle borse lavoro
10
, che possono essere attivate presso la maggior parte
delle imprese con esclusione delle attività a carattere stagionale o riferite ad
intensificazioni produttive o di servizio, in determinati o limitati periodi
dell’anno. Il legislatore ha anche previsto i piani di inserimento professionale
11
che hanno sviluppato i corsi di formazione e perfezionamento
12
; i tirocini
formativi
13
, destinati a realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro
nell’ambito dei processi formativi e pertanto ad integrare, attraverso
l’effettuazione di esperienze pratiche, le conoscenze acquisite frequentando i
corsi scolastici, professionali, universitari e post universitari; i tirocini di
orientamento
14
diretti ad agevolare le future scelte lavorative dei giovani
mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro e così favorendo
l’inserimento consapevole dell’individuo e la scelta dell’attività.
La legge 196/1997 ha ridisciplinato il contratto di apprendistato e il contratto di
formazione e lavoro intensificandone il carattere formativo e creando maggiori
momenti di raccordo tra tali strumenti e il mondo del lavoro. Attualmente il
10
Le borse lavoro, strutturalmente, hanno la natura di contratto a termine, poiché hanno una
durata di dodici mesi, e a part-time, non potendo superare un impiego di venti ore settimanali e
non più di otto ore giornaliere, con l’esclusione dello straordinario e del lavoro notturno con
l’eccezione dei lavoratori impiegati nel settore del commercio e del turismo. Al borsista spetta
un sussidio incompatibile con qualsiasi reddito derivante da attività di lavoro dipendente o
autonomo, mentre è compatibile con l’assegno o la pensione di invalidità civile. Le borse
lavoro sono state istituite con l’articolo 5 del D.Lgs 280/1997;
11
Ex articolo 15, comma 1°, lettera b, D.L. 299/1994, convertito in legge 451/1994, come
modificato dall’articolo 9-octies del D.L. 510/1996 convertito in legge 608/1996;
12
Si veda Circolare Ministero del Lavoro 120/1998, in Giurisprudenza del Lavoro, 1998, p. 17;
Silvestri V.E., Il Ministro fa luce sui piani di inserimento professionale, in Giurisprudenza del
Lavoro, 1998, p. 15;
13
Ex articolo 1, comma 1°, D.M. 142/1998, attuativo dell’articolo 17 della legge 196/1997;
14
Articolo 1, comma 1°, D.M. 142/1998, attuativo dell’articolo 18 della legge 196/1997. Sugli
stages vedasi Maresca A.- Ciuccivino S., Regolamentati i tirocini formativi e di orientamento,
in Diritto e Pratica del Lavoro, 1998 p. 1571; Facchini F., La disciplina dello stage, in Diritto e
Pratica del Lavoro, 1998, p. 2554; Santarelli R., Le finalità dei tirocini formativi, in
Giurisprudenza del Lavoro, 1998, p. 21;
9
ricorso ai contratti di formazione e lavoro si è ridotto a causa della convinzione
sull’idoneità, del solo contratto di apprendistato, a risolvere il problema
dell’avvio dei giovani professionalmente inesperti, o non qualificati
15
. Sono
stati previsti altri strumenti come i lavori di pubblica utilità
16
, promossi presso
Agenzie individuate dal Ministero del Lavoro nei settori della cura della
persona, dell’ambiente, del territorio, dello sviluppo rurale e montano e della
riqualificazione dei beni culturali, e i lavori socialmente utili
17
per la
realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva da parte dei
soggetti appartenenti a categorie particolari, alle condizioni economiche
stabilite dalla legge, nel rispetto dell’equilibrio del mercato locale del lavoro.
La legge 196/1997 ha anche istituito il lavoro interinale
18
come strumento di
politica attiva dando rilevanza alla sua funzione promozionale
dell’occupazione. Un altro istituto volto ad incentivare l’occupazione giovanile
è il lavoro a tempo parziale il quale è stato oggetto di varie modifiche
19
. Tale
tipologia contrattuale è molto utilizzata tra gli studenti e ciò ha consentito di
recuperare chances di occupazione nei periodi in cui gli impegni di studio
subiscono un rallentamento. Sono diversi, quindi, gli strumenti previsti nel
corso degli anni dal legislatore al fine di combattere la disoccupazione. Il
processo evolutivo non si arresta, infatti il Governo è sempre pronto ad
15
La Corte di Cassazione con la sentenza 1907/2001 ha affermato che la funzione precipua del
contratto di formazione e lavoro rimane quella di aiutare il giovane, privo di esperienza
lavorativa, a superare il divario che lo separa dal mondo del lavoro, inteso come insieme di
esperienze professionali ed umane, nel momento in cui cessa l’esperienza meramente didattica,
caratterizzata dall’assoluta separazione con il mondo lavorativo;
16
Articolo 2 del D.Lgs 468/1997;
17
Originariamente istituiti dall’articolo 1 della legge 668/1996, che ha recepito l’Accordo per
il Lavoro del 24 settembre 1996 e successivamente regolati, a seguito della delega ex articolo
22 della legge 196/1997, dal D.Lgs 468/1997;
18
Vedasi: Galantino L. (a cura di), Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione
dell’occupazione, Milano, 1997; Nicolini G., Il lavoro temporaneo, Padova, 1998; Miscione
M., Il lavoro interinale fra contratto di lavoro e contratto di fornitura, in Diritto e Pratica del
Lavoro, 1997, p. 2071; Tiraboschi M., La legalizzazione del lavoro interinale tramite Agenzia
nell’ordinamento giuridico italiano. Prime riflessioni sulla legge 196/1997, in Diritto delle
Relazioni Industriali, 1997, p. 41; Ghera E., Promozione dell’occupazione, flessibilità, rapporti
atipici (note sulla legge 196/1997), in Massimario di Giurisprudenza de Lavoro, 1998, p. 939;
19
Il primo riconoscimento del lavoro a tempo parziale si ha, per il settore del lavoro giovanile,
con l’articolo 6 bis della legge 285/1977, ma la fonte generalizzata del riconoscimento
normativo dell’istituto risiede nel D.Lgs 726/1984 convertito in legge 863/1984 e recentemente
modificata dal D.Lgs 61/2000;
10
emanare nuove leggi e a creare nuovi strumenti al fine di combattere
definitivamente la “piaga” della disoccupazione, in particolar modo di quella
giovanile.
1.2. I soggetti
Fino a qualche anno fa quando si parlava di lavoro giovanile si faceva
riferimento al lavoro minorile intendendosi quello svolto da soggetti aventi
un’età inferiore a diciotto anni. Attualmente, invece, per lavoro minorile si
intende essenzialmente quello svolto dai fanciulli e dagli adolescenti, nei
confronti dei quali vengono applicate particolari disposizioni normative.
I diversi strumenti di politica attiva riguardano soggetti in età giovanile, cioè
tutte quelle persone aventi un’età compresa tra i sedici e i trentadue anni. Ogni
istituto di promozione dell’occupazione è indirizzato a diverse fasce d’età in
modo tale di permettere a qualsiasi giovane di entrare nel mondo del lavoro,
infatti con il contratto di apprendistato vengono assunti giovani aventi un’età
compresa tra i sedici e i ventiquattro anni
20
; il contratto di formazione e lavoro
è rivolto a giovani che abbiano tra i sedici ed i trentadue anni; i tirocini
formativi e di orientamento possono essere svolti da tutti quei soggetti che
abbiano assolto l’obbligo scolastico senza alcun limite d’età; le borse lavoro
sono rivolte a giovani in cerca di prima occupazione che abbiano compiuto i
ventuno anni e non abbiano superato i trentadue; i piani di inserimento
professionale sono indirizzati ai giovani aventi un’età compresa tra i
diciannove e i trentadue anni; i lavori di pubblica utilità ai giovani tra i ventuno
e i trentadue anni.
20
Tali limiti, minimi e massimi, possono subire delle variazioni in diversi casi: quando
vengono assunti giovani del sud il limite massimo è innalzato a ventisei anni, quando a
stipulare il contratto di apprendistato è un’impresa artigiana il limite minimo è di quindici anni
quello massimo può raggiungere i ventinove, se l’apprendista è portatore di handicap i limiti
massimi sono elevati di due anni;
11
1.3. La formazione professionale
Nell’ambito delle politiche attive del lavoro improntate all’incremento dei
livelli occupazionali ed al recupero della produttività, la formazione
professionale
21
ha assunto una crescente rilevanza. Essa ha, secondo una
autorevole dottrina
22
, come missione strategica l’integrazione sociale e lo
sviluppo della persona, cioè finalità che non possono essere perseguite se non
realizzando con creatività investimenti di capitale umano. La formazione è il
presupposto per assicurare un alto livello occupazionale a vantaggio sia dei
singoli lavoratori che delle imprese. Essa riveste un’importanza fondamentale
non solo negli interventi congiunturali, i quali comportano una formazione
professionale mirata alle specifiche professionalità che occorrono al momento,
ma anche negli interventi strutturali, rispetto ai quali la formazione si pone
quale costante che alimenta la competitività dell’impresa e quindi del sistema
produttivo. La formazione fu vista in passato come misura intesa a risolvere il
problema della disoccupazione nell’immediato dopoguerra ed era destinata agli
adulti anziché ai giovani in cerca di primo impiego che solo nel 1951 hanno
usufruito dei corsi di addestramento professionale previsti dalla legge
264/1949. Tale legge aveva concepito la formazione professionale come
strumento di intervento attivo dei pubblici poteri nel mercato del lavoro in
funzione della lotta alla disoccupazione. Il sistema di formazione professionale,
previsto dalla legge 456/1951 e dalla legge 25/1955 e da una serie di Circolari
e Regolamenti amministrativi, prevedeva, da una parte, l’istruzione tecnica e
professionale nella scuola secondaria, rivolta agli studenti, dava luogo ad una
preparazione non adeguata agli sbocchi professionali e aveva un carattere
intellettualistico e teorico e, dall’altra, un’istruzione professionale diretta
all’apprendimento di un mestiere o all’acquisizione di capacità eminentemente
21
Treu T., Formazione priorità assoluta, in Il Sole24Ore, 25 luglio 1997; Biagi M.,
Formazione: verso la riforma, in Diritto e Pratica del Lavoro, 1993, p. 2363; Bettini M.V.,
Ruolo e sviluppo della formazione professionale nella realtà italiana e nella politica
comunitaria, in Il Diritto del Lavoro, 1995, I, p. 238;
22
Biagi M., Formazione e qualità: note per una strategia comunitaria dell’occupazione, in
Diritto delle Relazioni Industriali, 1996, p. 75;
12
pratiche limitandosi agli aspetti pratici e tecnici in senso stretto. Con tale
distinzione era aumentato il divario tra formazione generale e professionale,
soprattutto per il fatto che l’una veniva impartita nella scuola e l’altra era
considerata necessaria solo per chi avrebbe dovuto svolgere certe attività
lavorative. Fu solo verso la metà degli anni ’70 che venne introdotta una
specifica disciplina. Nel 1973 con il DPR 478 venne istituito l’ISFOL
23
, ente di
diritto pubblico con compiti di studio, di progettazione, di coordinamento e di
assistenza all’attività formativa nel suo complesso sulla base delle direttive del
Ministero del Lavoro, fu poi emanata la legge quadro 845/1978
24
che
individuava gli scopi, il contenuto, i soggetti gestori e destinatari del sistema
formativo. Solo in questo periodo le parti sociali iniziarono a sensibilizzarsi
alle problematiche formative e le Regioni cominciarono a regolare la
formazione professionale anche se con interventi disomogenei e carenti per
l’assenza di strumenti conoscitivi. Negli anni ‘80 si registrò un notevole
aumento della disoccupazione a seguito di rilevanti processi di ristrutturazione
tesi al recupero delle competitività sui mercati.
Le imprese organizzavano il ciclo economico attraverso l’utilizzo di forme
temporali o parziali di lavoro o attraverso contratti atipici o misti con scopo
formativi. Le tipologie contrattuali variavano in conseguenza delle variazioni
23
L’Istituto per lo Sviluppo e la Formazione Professionale dei Lavoratori ha diverse funzioni
che si dividono in quattro grandi gruppi:
1) Studi e Ricerche sui diversi aspetti della formazione professionale, con particolare
riguardo ai fabbisogni formativi ed ai mutamenti della struttura professionale;
2) Attività propositiva per la predisposizione e l’assistenza tecnica ai corsi di
qualificazione e riqualificazione professionali, nell’ipotesi di ristrutturazione,
costituzione e cessazione di azienda, nonché per attività altamente specializzate o
artistiche;
3) Assistenza tecnica alle regioni nell’espletamento dei loro compiti formativi;
4) Svolgimento di corsi per formatori o iniziative pilota, preposte dal Ministero del
Lavoro o da queste autorizzate su proposta dell’ISFOL stesso;
24
Ai sensi della legge, conformemente alla Corte Costituzionale, la formazione professionale è
tesa ha rendere effettivo il diritto al lavoro e ha favorire la crescita della personalità dei
lavoratori, è peraltro volta a garantire la diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche
necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo inserimento, alla qualificazione,
alla riqualificazione, alla specializzazione, all’orientamento ed al perfezionamento dei
lavoratori. Si pone quale strumento di politica attiva del lavoro, si realizza nell’ambito degli
obiettivi di programmazione economica e tende a favorire l’occupazione, la produzione e
l’elevazione dell’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e
tecnologico;
13
della professionalità richieste dal mercato. Con gli anni ‘90, sopraggiunge la
piena consapevolezza che i livelli occupazionali si difendono, soprattutto, con
il possesso di competenze professionali adeguate e costantemente aggiornate. È
in tali anni che la formazione viene a rivestire un ruolo fondamentale.
Le parti sociali promuovono la stipulazione di accordi sindacali di notevole
rilevanza, istituiscono e rafforzano gli organi per la programmazione e lo
sviluppo per la formazione. Con l’Accordo interconfederale del gennaio 1993
emerge l’esigenza di riorganizzare e di riformare il sistema formativo. La
novità più importante, in seguito, a tale Accordo fu l’introduzione di organismi
paritetici
25
, il cui compito principale è la ricerca di soluzioni comuni alle parti,
da confrontare con le istituzioni pubbliche. La formazione, e soprattutto il suo
riordino, hanno avuto un ruolo essenziale nell’Accordo sul lavoro del 24
settembre 1996
26
. Le parti sociali e il Governo hanno rilevato la necessità di un
intervento strutturale sul sistema scolastico e formativo, volto non solo ad
innalzare qualitativamente e quantitativamente il livello di scolarità, ma anche
ad assicurare la continuità dell’accesso alla formazione per tutto l’arco della
vita. È venuta meno la dicotomia scuola-lavoro perché vi è stata l’intenzione di
interconnettere i due sistemi, funzionalizzando l’istruzione alla formazione.
Anche la legge 196/1997 si occupa della formazione e in particolare,
nell’articolo 17, che individua le linee guida
27
per il riordino della formazione
25
I compiti degli organismi bilaterali sono definiti come compiti di conoscenza, valutazione e
indirizzo. Gli organi si impegnano a rilevare i fabbisogni formativi, e sulla base di un adeguato
quadro conoscitivo delle tendenze del mercato del lavoro, sono tenute ad offrire il loro
contributo all’attività di programmazione svolta dalle Regioni;
26
In tale accordo è stata prevista la riforma del sistema scolastico in funzione della formazione,
attraverso il prolungamento dell’obbligo scolastico. Si è valorizzata l’attività di ricerca,
favorendo il collegamento sia tra ricerca e sistema produttivo, che tra ricerca e formazione, e si
è cercato di recuperare il divario formativo tra varie aree del paese, con particolare attenzione
di quelle di maggior disagio sociale e al Mezzogiorno. Per poter raggiungere tali obiettivi, le
parti sociali e il Governo, concordano sulla necessità di realizzare l’autonomia dell’istituzione
scolastiche e di promuovere la trasformazione dei centri di formazione in Agenzie formative.
Deve diffondersi l’esperienza degli stage, con la previsione di incentivazioni per le imprese che
si rendono disponibili, realizzando un più ampio sistema orientativo dei giovani;
27
Le linee guida si specificano in una serie di interventi strutturali, avente come elemento
comune l’incremento del livello occupazionale. La prima linea guida consiste nella
valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualità
dell’offerta di lavoro, elevare le capacità competitive del sistema produttivo ed incrementare
l’occupazione. La seconda prevede l’attuazione di interventi formativi attraverso il ricorso
14
professionale. L’obiettivo del legislatore è di garantire ai lavoratori adeguate
opportunità formative ed elevazione professionale, con un più razionale
utilizzo delle risorse urgenti destinate alla formazione. È prevista l’attuazione
di moduli formativi flessibili, adeguati alle diverse realtà produttive locali, per
consentire la personalizzazione dei percorsi formativi, sia dei lavoratori che dei
datori di lavoro. I commi 3° e 6 dell’articolo 17 prevedono l’istituzione di un
Fondo di Rotazione con amministrazione e gestione autonoma, presso il
Ministero del Tesoro – Ragioneria Generale dello Stato – e l’Ispettorato
Generale per l’amministrazione del fondo di rotazione per l’attuazione delle
politiche comunitarie (IGFOR), a garanzia delle somme erogate a titolo di
anticipo o di acconto a valore sulle risorse sociale del Fondo Sociale Europeo e
dei relativi sconfinamenti nazionali. Il Fondo di Rotazione utilizzerà i
contributi a carico dei soggetti privati attuativi degli interventi finanziati.
Anche l’Europa si è occupata della formazione, anzi le politiche portate avanti
dalla CEE hanno preceduto le politiche interne le quali rappresentano un
riflesso di quanto intervenuto a livello europeo. Tra gli strumenti di sostegno
della formazione a livello europeo rientra l’istituzione del Fondo Sociale
Europeo
28
che ha l’obiettivo di promuovere, all’interno della Comunità, le
generalizzato agli stages. L’esperienza degli stages ha una duplice valenza, da un lato consente
di raccordare formazione e lavoro, e dall’altro valorizza pienamente il momento di
orientamento, favorendo il contatto tra giovani ed imprese. Con la terza si assiste ad una più
decisiva apertura del sistema formativo verso il privato, prevedendo l’affidamento a soggetti
privati delle attività formative. Con la quarta il legislatore ha stabilito che le risorse, derivanti
dalle maggiori entrate, costituite dall’aumento contributivo che dovrebbero affluire nel Fondo
di Rotazione e per l’accesso al Fondo Sociale Europeo, sono destinate all’attività formativa. La
quinta linea guida attribuisce al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale funzioni
propositive ai fini della definizione dei criteri e delle modalità di certificazione delle
competenze acquisite con la formazione professionale, infatti l’attestazione dei percorsi
formativi svolti è il modo più semplice ed immediato per offrire al datore di lavoro una
professionalità garantita. La sesta linea prevede la formazione dei formatori e l’adozione di
misure idonee a favorire la formazione e la mobilità interna ed esterna, al settore degli addetti
alla formazione professionale. La formazione dei formatori può svolgere un ruolo decisivo nel
facilitare la progressiva integrazione dei sistemi scolastici e formativi, nonché il miglioramento
dell’offerta formativa ed il recupero delle situazioni di svantaggio;
28
Disciplinato dalla norma del Capo II, Titolo VIII del Trattato di Roma, così come sostituito
dall’articolo G 32 del trattato di Maastricht. Il Fondo opera attraverso due tipi di interventi:
quelli diretti volti alla realizzazione, senza mediazione degli obiettivi, di un capo applicativo
più ampio. Si tratta di interventi a sostegno di determinate categorie di lavoratori, quali
disoccupati di lunga durata e gli inoccupati. E quelli indiretti, ossia a sostegno del Fondo
15
possibilità d’occupazione e la mobilità geografica e professionale dei
lavoratori, nonché facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai
cambiamenti dei sistemi di produzione, attraverso la formazione e la
riconversione professionale. Poi sono state emanate due Direttive
29
che hanno
previsto un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione
superiore o di corsi di formazione professionale per superare l’assurdo della
coesistenza, da un lato, di un alto tasso di disoccupazione e, dall’altro, della
carenza di manodopera qualificata soprattutto in determinate aree dell’Unione,
attraverso l’agevolazione della mobilità dei lavoratori da un paese all’altro. È
stata istituita la Fondazione Europea per la Formazione Professionale
30
con
l’intento di realizzare a livello europeo l’istruzione e la formazione.
La formazione deve accompagnare il lavoratore per tutto l’arco della sua vita
lavorativa, ecco perché il legislatore ha previsto diverse tipologie di
formazione: quella iniziale, che precede l’instaurazione del rapporto e consiste
nel dare una sorta di preparazione al lavoratore, quella continua che consiste in
un aggiornamento effettuato sul luogo di lavoro e ha come fine la
riqualificazione dei lavoratori nelle eventuali riconversioni produttive e quella
di riconversione che interviene successivamente alla conclusione del rapporto
di lavoro, ossia quando è necessario ricostruire e ammodernare la
professionalità del singolo. Affinché le finalità formative possano essere
soddisfatte deve superarsi la distanza, attualmente esistente, fra il mondo della
scuola e il mondo del lavoro, quindi l’istruzione e la formazione debbono
essere collegate da programmi economici di investimento e di produzione,
poiché interventi formativi isolati sarebbero infruttuosi. Attualmente la
formazione non dipende dall’evoluzione delle tecnologie ma è uno strumento
dinamico di anticipazione dei problemi occupazionali, essa non deve più
Europeo di sviluppo regionale per il sostegno delle zone sottosviluppate o in declino industriale
e quello a favore del Fondo Europeo agricolo per l’adeguamento delle strutture agricole;
29
La Direttiva 89/48/CEE del 21 dicembre 1988, in Gazzetta Ufficiale della Comunità
Europea, n. 19, del 24 gennaio 1989; Direttiva 92/48/CEE del 18 giugno 1989, in Gazzetta
Ufficiale della Comunità Europea, n. 209, del 24 luglio, 1989;
30
Istituita con Regolamento CEE n. 1360/1990 del Consiglio del 7 maggio 1990, in Gazzetta
Ufficial della Comunità Europea del 23 maggio 1990;
16
arginare la disoccupazione ma creare nuovi posti di lavoro, attraverso la
previsione dei nuovi fabbisogni occupazionali. La formazione, quindi si
distingue dall’addestramento poiché essa si concreta in una attività volta a
promuovere modifiche significative degli atteggiamenti e dei comportamenti
dei lavoratori all’interno dell’organizzazione lavorativa, mentre
l’addestramento consiste in una attività che ha come fine di ampliare le
competenze tecnico professionali dei lavoratori. In seguito a questa nuova
funzione la formazione riveste un ruolo determinante sia nell’economia della
gestione aziendale che nella prospettiva del singolo lavoratore.
L’attività imprenditoriale, per essere più competitiva deve essere improntata
sulla qualità totale
31
il cui valore fondamentale è la formazione. Formare, in tal
caso, significa far conoscere sia le regole generali da applicare e rispettare in
azienda, che gli obiettivi da raggiungere, per realizzare il coinvolgimento del
lavoratore nel miglioramento e nell’incremento della produttività aziendale.
Nell’attuale mercato del lavoro, in cui è venuta meno la sicurezza del posto di
lavoro, garantito fino a qualche tempo fa dalla dimensione dell’impresa o dalla
forza sindacale, la migliore difesa dell’occupazione è rappresentata dalla
formazione, quindi il lavoratore deve essere in grado di ampliare e modificare,
durante il corso della sua vita, la sua professionalità: maggiore sarà la sua
versatilità, maggiori saranno le occasioni di lavoro. La formazione primaria
dovrebbe, pertanto, avere ad oggetto non solo la creazione di una nuova
professionalità, ma anche gli strumenti conoscitivi che preparano i lavoratori
ad una attività formativa continua. Il lavoratore è avvantaggiato, sul mercato
del lavoro, in misura direttamente proporzionata alla sua professionalità: la
formazione diviene quindi strumento essenziale per assicurarsi una posizione
sicura di lavoro e comporta un accrescimento costante della professionalità.
31
Sul tema della qualità totale, correlato alla formazione si veda: Galantino L., (a cura di),
Qualità e rapporto di lavoro, Milano, 1995; Spagnolo Vigorita L., (a cura di), Qualità totale e
diritto del lavoro, Milano, 1997; Ziliotti, Qualità e formazione, in Qualità e Rapporto di
Lavoro, (a cura di) Galantino L., 1995, p. 85;