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svolgere, non soltanto per il fatto che ad esse verranno attribuite
competenze precedentemente affidate allo Stato, via via che
l’attuazione della legge Bassanini diventerà operativa, ma anche in
considerazione della maggiore responsabilizzazione cui le stesse
sono chiamate a far fronte per quanto concerne l’acquisizione e la
gestione delle proprie risorse finanziarie.
Quanto al primo aspetto, va segnalato che, sia pure con un
notevole ritardo, proprio negli ultimi mesi il processo di attuazione
delle disposizioni di cui all’art. 7 della l. n. 59/1997 ha registrato
una indiscutibile accelerazione in forza della predisposizione di
numerosi schemi di d.P.C.M. per l’individuazione delle risorse e
del personale da assegnare alle Regioni per lo svolgimento dei
compiti ad esse trasferiti. Per quanto concerne più specificatamente
i profili finanziari, è appena il caso di ricordare che proprio
recentemente, con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 506/1999 alla
disciplina istituita dell’Irap, di cui al d.lgs. n. 446/1997, si è
chiarito che le Regioni potranno modificare la misura dell’aliquota
Irap tanto verso l’alto che verso il basso. Tale previsione amplia in
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misura significativa l’ambito di discrezionalità riconosciuto alle
Regioni, tanto da costituire, almeno in linea di principio, un
significativo elemento di potenziale concorrenza fiscale tra le
diverse Regioni. Allo stesso tempo, non si può ignorare il fatto che,
per un verso, l’attuazione delle disposizioni di cui all’art. 7, l. n.
59/1997 è soltanto in una fase iniziale, e che sicuramente occorrerà
effettuare, nelle fasi successive, una puntuale verifica dei risultati
conseguiti anche al fine di valutare l’esigenza di successivi
aggiustamenti. Analogamente, per quanto concerne l’Irap, non si
può trascurare la perdurante incertezza per quanto concerne l’entità
del relativo gettito, anche alla luce delle correzioni apportate alla
relativa disciplina con vari provvedimenti correttivi. Alla luce di
questi elementi, non deve stupire che il decreto legislativo attui
soltanto parzialmente il dettato delle disposizioni di delega di cui
alla l. n. 133/1999. Ciò vale, soprattutto per quanto concerne la
previsione, di cui alla lettera b) del c. 1 dell’art. 10 della legge
delega, secondo la quale l’aumento dell’addizionale Irpef,
l’incremento dell’aliquota di compartecipazione all’accisa sulla
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benzina e l’istituzione della compartecipazione all’Iva dovrebbe
sostituire anche i trasferimenti relativi al conferimento di funzioni
alle Regioni ai sensi della l. n. 59/1997. Sotto questo profilo, il
decreto si limita, infatti, a prospettare una rideterminazione delle
aliquote successivamente all’avvenuto << completamento del
procedimento di identificazione delle risorse di cui all’art. 7 >>
della citata legge. Analogamente, per quanto concerne l’Irap, il
decreto si preoccupa in più parti, di garantire le Regioni a fronte del
rischio di un eventuale carenza del gettito, i cui oneri sarebbero
assunti a carico della finanza statale. In sostanza, il decreto
interviene in una fase caratterizzata da profonde trasformazioni
dell’assetto dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, fase che, tuttavia,
è ancora lontana dall’aver raggiunto risultati consolidati. Da
ultimo, non si può trascurare il fatto che per esplicita previsione
della legge delega ( c. 2 dell’art. 10 ), l’attuazione delle relative
disposizioni deve essere coordinata con il patto di stabilità interno
di cui alla l. n. 448/1998, che impone alcuni vincoli per quanto
concerne gli equilibri di bilancio. Ne consegue che lo stesso
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decreto prospetta un percorso caratterizzato da progressivi
aggiustamenti, in relazione ai quali già il testo individua alcune
scadenze, laddove prevede l’adozione di successive correzioni agli
importi delle risorse spettanti a ciascuna Regione.
Più in generale si deve rilevare che il processo di revisione in
atto sconta l’assenza di una << copertura costituzionale >>. In altri
termini, le modifiche, pur rilevanti, alla distribuzione delle
competenze e al riparto della potestà finanziaria tra lo Stato e le
Regioni, in corso di realizzazione, vengono delineate a
Costituzione invariata, essendo fallito il tentativo della
Commissione bicamerale di pervenire ad un riordino dell’assetto
della Repubblica in senso federale. Ciò vale sia per quanto
concerne i profili riguardanti specificamente l’autonomia
finanziaria della Regione e, più in generale, degli enti territoriali,
già oggetto delle disposizioni di cui all’art. 62 del testo definito
dalla Commissione bicamerale, sia per quanto riguarda la
previsione di meccanismi istituzionali volti a compensare le diverse
istanze, come avviene nella Repubblica federale tedesca attraverso
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il Bundesrat. In questo Paese, infatti, tanto la ripartizione tra Bund
e Lander del gettito dell’Iva, che l’assegnazione della quota
spettante a ciascun Land, oltre che le modalità di funzionamento
del meccanismo di perequazione, sono definite con legge federale
che richiede l’approvazione del Bundestrat. Al riguardo, merita
segnalare che nel decreto n. 56 all’assenza di una sede
costituzionalmente abilitata a conciliare le diverse esigenze dello
Stato e delle Regioni si è fatto fronte valorizzando il ruolo della
Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome, la intesa è esplicitamente prevista sia per quanto
riguarda la determinazione delle risorse spettanti a ciascuna
Regione, sia relativamente alle successive rideterminazioni delle
aliquote e delle compartecipazioni. Più in generale, l’art. 14 del
decreto prevede che i provvedimenti da adottare per l’attuazione
dello stesso debbano essere predisposti con il concorso della
Conferenza ai sensi dell’art. 7, c. 2, del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281.
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In altri termini, l’intesa con la Conferenza dovrebbe
costituire lo strumento procedurale attraverso il quale trovare un
punto di equilibrio fra le istanze delle varie Regioni e quelle, più
generali dello Stato. D’altra parte, la stessa predisposizione del
testo, per esplicita ammissione dei rappresentanti del Governo, è
stato il frutto di un costante coinvolgimento della Conferenza, al
punto tale che i medesimi rappresentanti hanno raccomandato al
Parlamento l’espressione di un orientamento che non mettesse in
discussione l’impianto complessivo del provvedimento, risultante
da un delicato lavoro di equilibrio tra le diverse esigenze, in
particolare delle Regioni ricche rispetto a quelle con minore
capacità fiscale. A fronte di questo coinvolgimento così intenso
della Conferenza si può segnalare che il processo di progressiva
attuazione delle disposizioni contenute nel decreto prevede un
ruolo assai limitato per il Parlamento. La misura delle risorse
assegnate a ciascuna Regione, così come la quota del concorso
delle stesse alla solidarietà interregionale, non sarebbe, infatti,
sottoposta all’esame parlamentare. Lo stesso varrebbe per la
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rideterminazione delle aliquote delle compartecipazioni, per le
quali si prevede una delegiferazione che, con la sola eccezione
della definitiva determinazione delle stesse, da realizzazione entro
il 30 settembre 2002, prescinderebbe dall’intervento del
Parlamento.
Un ulteriore elemento problematico che merita richiamare
attiene all’incompleta attuazione delle disposizioni di delega per
quanto concerne specificamente la revisione del sistema dei
trasferimenti erariali agli enti locali e la previsione di misure di
perequazione anche con riferimento a tali enti ( lett. e ) del c. 1
dell’art. 10 della legge delega ). La mancata attuazione di tali
disposizioni discende, evidentemente, dalla peculiare complessità
che una ricognizione delle risorse a disposizione di tutti gli enti
locali comporta, in primo luogo per il numero elevato degli stessi,
di gran lunga superiore a quello delle Regioni e dalla conseguente
difficoltà di pervenire a soluzioni equilibrate sulle quali si possa
registrare il gradimento dei medesimi enti locali. Né si possono
trascurare, in proposito, gli effetti derivanti dalla incompleta
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attuazione della l. n. 59/1997 per quanto concerne il trasferimento
di funzioni e risorse dalle Regioni agli enti locali.
Il decreto legislativo si limita a stabilire, all’art. 11, c. 1,
l’abolizione, dall’anno 2001, della compartecipazione dei Comuni
e delle Province al gettito dell’Irap, il cui corrispondente gettito
rimarrebbe attribuito alle Regioni e, conseguentemente, la
corresponsione alle Province e ai Comuni di trasferimenti erariali
di pari importo pari alla compartecipazione Irap per l’anno 1998,
incrementata del tasso programmato di inflazione per gli anni 1999,
2000. Si può notare che tale previsione contrasta con l’imposizione
generale del provvedimento, che mira a sostituire entrate trasferite
a carico del bilancio statale con risorse tributarie.
Inoltre, il d.lgs. n. 56/2000 sembra prefigurare un modello di
federalismo fiscale imperniato sulle Regioni che non sembra
interamente riconducibile alle scelte adottate dal legislatore in sede
di delega né alle indicazioni emerse a suo tempo presso la
Commissione bicamerale che si fondavano su un rapporto
sostanzialmente paritario fra Comuni, Province e Regioni.
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Un ulteriore elemento che merita segnalare concerne il
modello di federalismo cui sembra ispirarsi il d.lgs. n. 56/2000.
Come è noto, la dottrina tende a distinguere due modelli alternativi,
quello del federalismo competitivo e quello del federalismo
solidaristico. L’esperienza cui tradizionalmente si fa riferimento
quale caso tipico della seconda categoria è quella della Repubblica
federale tedesca che si caratterizza come un modello fortemente
cooperativo, nel quale particolare rilievo assumono i meccanismi di
perequazione. Se si assume questa distinzione come parametro di
valutazione, appare evidente che il decreto legislativo adotti uno
schema fortemente improntato ad una logica di tipo perequativo
che, per taluni aspetti, sembra assai più marcata rispetto alle
previsioni della legge delega. Ciò vale, in primo luogo per quanto
riguarda le modalità di determinazione delle risorse spettanti a
ciascuna Regione, oltre che per quanto concerne la durata del
periodo transitorio.
Da ultimo, si segnala che la revisione del regime finanziario
delle regioni a statuto ordinario, la quale con il decreto legislativo
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n. 56 segna un dubbio progresso, ripropone il problema di un
coordinamento con la disciplina applicabile alle regioni a statuto
speciale. La questione si pone, più che con riferimento al
persistente differenziale di risorse cui queste ultime disporrebbero
rispetto alle Regioni a statuto ordinario, per quanto attiene al
mancato concorso delle stesse alla perequazione interregionale.
Infatti, sotto il primo profilo, si può osservare che il decreto
legislativo ha, sia pure soltanto parzialmente, attenuato la distanza
che separa le prime dalle seconde; resta, invece, del tutto irrisolto il
secondo problema.