Lo sport aiuta a sviscerare una cultura cosciente della
propria fisicit , un dono naturale che sentiamo il dovere
di sviluppare e potenziare al massimo.
Lo sport tenta di soddisfare una richiesta di svago, non
contaminata dal mondo del lavoro e della politica.
Da qui, la distinzione dalla realt quotidiana e lo
stretto legame con la vita della comunit per
rappresentarne i valori ed esprimere la drammatizzazione
del reale.
In altre parole il gioco e la competizione servono a
reinterpretare la realt e non a fuggirla, inserendosi a
pieno titolo nella vita collettiva dell individuo.
Il tentativo di creare una sfera separata consacrata al
gioco che sia estranea al lavoro, genera il suo
contrario.
Tesi piø o meno moderne, che prendono le mosse da Freud,
insistono poi sul fatto che lo sport aiuta a sublimare le
pulsioni sessuali.
L educazione fisica moderna punta proprio a questo,
tant Ł vero che, anche a livello professionistico, la
teoria del training, corrente nel gioco del calcio,
raccomanda una moderata attivit sessuale e astinenza per
due giorni prima della partita.
A fronte di tutto questo c Ł da considerare che la storia
dello sport, non pu essere svincolata dagli avvenimenti
storici e dai mutamenti sociali intervenuti nel corso dei
secoli, anche se Ł giusto dire che la storia dello sport
ha una sua autonomia relativa, con un proprio tempo,
proprie leggi di sviluppo e proprie crisi.
Lo sport si Ł definito come pratica specifica nel momento
in cui Ł diventata preponderante l idea di competizione,
e dunque il tutto non era piø riducibile ad un semplice
gioco rituale o ad un divertimento festivo.
E solo allora che si Ł venuta a generare una cultura ed
una competenza specifica che oggi separa il
professionista dall amatore e, a livello di
comunicazione, il competente dall appassionato.
Ripercorrendo un excursus storico appare evidente che il
passaggio dal gioco, inteso come ludus, allo sport
propriamente detto sia avvenuto nelle scuole riservate
alle Ølite della societ borghese, e piø precisamente
nelle public schools inglesi, dove i figli
dell aristocrazia hanno ripreso un certo numero di giochi
popolari, rendendoli simili a loro, piø consoni alla loro
condizione sociale.
Insomma, una trasformazione dal volgare all eccelso che
ha mutato il senso e la funzione dello sport in un
passaggio, a volte eccessivamente coatto, dall essoterico
all esoterico.
Questo processo di formalizzazione e acculturazione del
gioco arriva fino ai giorni nostri, trascinando con sØ
tabø e fraintendimenti.
La scuola, dunque, da sempre, Ł il luogo della skholØ,
deputato alla formazione del giovane atleta e dove le
funzioni sociali vengono convertite in esercizi
corporali, fini a se stessi.
Ma questo avviene nell et adolescenziale ed Ł un compito
dell educazione scolastica.
Il problema sorge quando c Ł l entrata nel mondo del
lavoro.
In particolare Ł noto che nella classe lavoratrice
l abbandono dello sport spesso coincide con il matrimonio
e le responsabilit della vita adulta.
Queste sembrano essere le variabili sociali piø influenti
circa l allontanamento dall attivit sportiva.
Un altra variabile di non poco conto Ł data dallo status
sociale.
Infatti, l attivit sportiva diminuisce nettamente mano a
mano che si scende nella gerarchia sociale.
La pratica di sport considerati piø popolari, come il
calcio, diminuisce o scompare del tutto, se si appartiene
ad alti ranghi sociali che lasciano il posto a pratiche
sportive piø raffinate ed esclusive come il golf o il
tennis.
Un modello esplicativo capace di rendere conto della
distribuzione delle pratiche sportive tra le classi deve
necessariamente tener conto di almeno tre fattori
discriminanti quali la disponibilit di tempo, il
capitale economico e il capitale culturale.
Dunque, l habitus di classe definisce il significato
conferito all attivit sportiva.
Il profitto che da essa ci si attende, non Ł solo di
natura economica, ma Ł in gioco soprattutto il valore
sociale che deriva dalla scelta di certi sport piø
elitari rispetto ad altri piø popolari.
In realt , Ł anche la relazione con il proprio corpo che
distingue le classi lavoratrici da quelle privilegiate in
un unit di stile di vita.
Dunque, da sempre, lo sport Ł un indicatore sociale, ma
non ha mai trovato consacrazione fra i riformatori
sociali, i custodi della moralit pubblica e i sociologi
funzionalisti come Veblen
1
che identificava nella
futilit degli sport praticati dall alta borghesia una
anacronistica sopravvivenza di militarismo e audacia.
Da Huizinga
2
in poi si Ł parlato di homo ludens che
cerca nel gioco e quindi di riflesso nella pratica
sportiva una fuga dalla forte soggettivit che si
riscontra oggi nel mondo capitalistico, che non concede
spazi all aspetto ludico.
La razionalizzazione inevitabile che coinvolge i processi
lavorativi non permette di scatenare estro ed inventiva,
e allora il rischio e l audacia vengono ricercati e
sperimentati nel gioco.
E chiaro che, a livello professionistico, la
commercializzazione ha trasformato il gioco in lavoro,
subordinando cos il piacere dell atleta a quello dello
spettatore.
Il calcio Ł emblematico di questo stato di cose.
Un grande campione, oggi, Ł subissato di doveri e
restrizioni che sono l inevitabile conseguenza della
notoriet e del business che lo circonda.
Quasi come a voler giustificare verso l esterno, con una
condotta di vita ineccepibile, il lauto stipendio
ricevuto.
E allora non Ł piø la voglia di giocare che traina,e
l onerosa condizione di campione , con tutto quello che
implica, crea nell atleta-uomo uno sfaldamento
psicologico che lo porta a non godere piø dell aspetto
puramente ludico della pratica sportiva.
Questa Ł la critica piø efferata nei confronti dello
sport-spettacolo moderno, che usurpa l ego umano degli
stimoli piø primordiali, per trasformarli in evento
fruibile da milioni di persone; una spettacolarizzazione
che assume le forme del deterioramento per l atleta che
si trova a gestire sempre piø spesso situazioni di
dissonanza cognitiva.
D altra parte, sappiamo bene che le gare sportive sono la
messa in scena di una cerimonia gi nota che riafferma
valori comuni.
Da qui l importanza e la non trascurabilit di tutti gli
attori in campo ed anche e soprattutto del pubblico.
In questo processo di secolarizzazione dello sport, le
competizioni atletiche non possono privarsi dell elemento
rituale e celebrativo per non correre il rischio di
degenerare in svaghi grossolani e crudo sensazionalismo.
A questo proposito, sempre Huinzinga
3
, sottolinea come
la degradazione dello sport non consiste in un eccesso
di seriet , ma nella sua banalizzazione .
In sostanza, non si pu non considerare lo sport come
fenomeno culturale delle societ industrializzate, che
promuove il consenso sociale, i processi di aggregazione
e socializzazione, di partecipazione ed integrazione,
orientando le persone ad un comportamento che favorisca
la condivisione di schemi di pensiero, di valutazione, di
giudizio e di atteggiamento, tipici della societ
moderna.
Inoltre, lo sport, inteso come attivit ludica che si fa
spettacolo, garantisce un complesso di norme, regole e
simboli che pervadono gli individui e ne orientano
emozioni e comportamenti.
Non dimentichiamoci che, nonostante le differenze
menzionate in precedenza, lo sport Ł stato il primo a
riunire spettatori di tutte le classi sociali e di tutte
le et .
Non Ł un caso che il luned mattina, componenti di classi
sociali diverse si ritrovino a discutere degli eventi
sportivi della domenica, utilizzando lo stesso
linguaggio.
1.2 SOCIOLOGIA DELLO SPORT APPLICATA AL CALCIO
Si Ł detto in precedenza come la diffusione dello sport
sia legata all evasione dalla vita lavorativa, ma Ł anche
importante sottolineare il nesso con il sorgere della
sfera del tempo libero.
Il potere del capitale ha congiunto lavoro e tempo libero
in modo cos inestricabile che non si pu capire l uno
senza considerare l altro.
In questo contesto s inserisce perfettamente il gioco del
calcio, sport nazionale per eccellenza, che serve a
cementare il principio di realt dominante.
Al di l di questa interpretazione piø sociale che
psicologica della diffusione del calcio, questo Ł
sicuramente il gioco piø organizzato in ruoli pre-
definiti, in regole e ritualizzazioni che riproducono la
realt sociale nel suo insieme e nei suoi punti fermi.
Le motivazioni personali che spingono un bambino ad
avvicinarsi a questo tipo di pratica sportiva sono
molteplici, ma non sempre consce.
Il piø delle volte Ł la famiglia che determina la scelta.
Numerosi studi psicologici confermati da ricerche
empiriche, sostengono che alla base ci sia una
svalutazione del ruolo del padre, ed una debolezza della
figura maschile che induce il bambino maschio a non
identificarsi piø con il genitore dello stesso sesso e a
ricercare al di fuori un punto di riferimento che, nella
fattispecie, potrebbe essere l allenatore.
Questo bisogno inconscio, unito all attrazione
dell affascinante mondo del calcio che oggi pervade le
nostre vite, contribuisce alla tendenza verso questo
sport.
Il bambino, dunque, cerca un padre piø forte, anche piø
autoritario se occorre e, nella migliore delle ipotesi,
questa figura Ł incarnata dal mister, altre volte Ł piø
fiabescamente quella del divo del calcio e della squadra
che rappresenta.
Accanto a questa esigenza da soddisfare che appare piø
intrinseca nella psiche dell adolescente, ce n Ł una piø
consapevole che Ł l esperienza personale e concreta di
sperimentare cosa significa essere membro autonomo e al
tempo stesso utile di una comunit .
Il gioco spinge alla competizione, al miglioramento dei
propri limiti, e se questa pratica Ł supervisionata
adeguatamente da una struttura competente, porter il
giovane calciatore a formarsi non solo come atleta, ma
anche come uomo.
Sotto l istruzione dell allenatore, il ragazzo apprende,
insieme ai suoi coetanei, moduli di comportamento
considerati tipicamente maschili.
Sul campo di calcio viene inculcato il concetto di
resistenza, come emblema di virilit . Anche la
comunicazione verbale contribuisce a favorire questo
proposito, parlando di gioco maschio , incitando al
duello accanito e denigrando ogni tipo di
sentimentalismo.
Questo Ł il modello che caratterizza il clima nel gruppo
sportivo fin dagli esordi.
Ovviamente questo prototipo emargina e svilisce le
personalit piø deboli o chi non ha una corporatura
adatta, facendolo diventare oggetto del disprezzo degli
altri.
L apprendimento di ruoli maschili, dunque, si verifica
indipendentemente dalla famiglia, sotto la guida di
adulti maschi.
E tutto questo avviene nella squadra di calcio,
rigorosamente isolata dall altro sesso.
Una specie di reazione coatta contro impulsi femminili
che potrebbero minare le basi del ruolo maschile
all interno della societ .
La tesi secondo cui il gioco del calcio corrisponde ad
una sorta di accesso alla virilit adulta, Ł corroborata
dal fatto che l interesse per l attivit calcistica si
ridimensiona molto col matrimonio.
Il calcio come gioco di squadra: fattori di
socializzazione.
Analizzando il fenomeno calcio e le motivazioni che
sottostanno alla scelta di praticarlo, non possiamo non
considerare le peculiarit del gioco di squadra e gli
elementi di socializzazione che ne sono alla base.
Il gruppo Ł, per definizione, il luogo psicologico di
condivisione dei desideri che spingono al perseguimento
di un progetto collettivo inconscio.
All interno gli individui si percepiscono
vicendevolmente, piø o meno interdipendenti per qualche
aspetto.
Quello della squadra di calcio Ł un gruppo, cosiddetto,
ristretto e, secondo la tipica classificazione di
Gurtvitch
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, primario e volontario, nel senso che il suo
scopo Ł quello di soddisfare i bisogni emotivi e sociali
dei membri, con connotazioni di tipo secondario nel caso
dei professionisti.
In sostanza, l esperienza del gruppo Ł fondamentale per
la prima socializzazione, fase in cui il comportamento si
caratterizza principalmente in tre fattori: la
collaborazione, l imitazione e la competizione.
Mano a mano che l et avanza, diventano piø importanti i
fattori socioculturali quali, per esempio, la motivazione
al successo, senza la quale il giovane calciatore non
troverebbe stimoli e forza per sostenere un lavoro cos
gravoso con determinazione.
Molla importante Ł anche la volont di perfezionarsi e
l impegno profuso in allenamento che ha come principale
obiettivo il miglioramento di se stesso.
Da qui l esigenza e la voglia di un calciatore, anche
professionista, di rimanere anche dopo la normale seduta
di allenamento a provare, in solitudine, tecniche nuove
magari sui calci di punizione o sul modo di tirare i
rigori, per essere al meglio la domenica in partita.
E questo tipo di ottimizzazione Ł ricercato al di fuori
del contesto della squadra.
Un altra motivazione secondaria che spinge il giovane
verso il gioco del calcio Ł quella affiliativa.