La Tesi che viene qui presentata verte sul tema centrale e fonda-
mentale della libertà. La libertà come problema filosofico e morale, 
come elemento centrale da indagare per poter costituire ogni futu-
ra e valida riflessione etica. Senza una preventiva e chiara analisi 
della libertà dell’uomo, del suo poter agire senza restrizioni, nel 
suo poter progettarsi in una molteplicità mutevole di realizzazioni 
concrete, nulla si può pensare di dire sull’uomo e sul suo essere. 
Il problema stesso di ogni etica, di ogni analisi del comportamento 
dell’uomo, di ogni assiologia che sta alla base delle scelte morali 
dell’individuo necessita una preventiva considerazione e riflessio-
ne sulla libertà dell’uomo. Possiamo spendere fiumi di inchiostro 
tentando di fondare una morale che si basi su un principio, su un 
qualsiasi valore, tentando di capire come l’uomo dovrebbe com-
portarsi in determinate situazioni, come potrebbe distinguere fra 
un comportamento giusto e uno invece ingiusto ma tutte queste 
nostre fatiche filosofiche si infrangerebbero contro un muro di inu-
tilità se prima non avessimo chiarito, e dimostrato filosoficamente
1
 
che l’uomo è libero; che l’uomo di fronte ad una qualsiasi scelta, 
ad un qualsiasi bivio ha la reale e concreta possibilità di decidere 
che strada intraprendere.  
Intendiamo perciò in questa tesi compiere questa riflessione e  cer-
care di capire se effettivamente l’uomo di fronte ad una gamma di 
possibilità reali possa fermarsi a riflettere e scientemente decidere 
 
1
 Con dimostrato filosoficamente intendiamo semplicemente l’aver giustificato filosofi-
camente il problema proposto.  
 
  
per una possibilità, oppure ( come cercheremo di dimostrare) tale 
gamma di possibilità e solo virtuale e in realtà la scelta verso una 
specifica possibilità è già predeterminata da una serie di fattori a 
cui l’uomo non può sottrarsi. 
Si compirà allora un percorso che ci porterà ad analizzare la libertà 
dell’uomo.  
Certamente questo problema è stato a lungo dibattuto e forse non 
vi è stato autore che non abbia dedicato a questo tema almeno una 
pagina. La tradizione  e la storia filosofica sono ricche di apporti a 
tale questione, anzi talmente ricche da far apparire necessario ri-
spondere alla domanda circa l’effettiva utilità di una ulteriore ri-
flessione sul tema.  
Innanzitutto va precisato, e lo fa bene Bausola nel suo “ Libertà e 
responsabilità
2
”, che l’argomento della libertà è uno dei temi costi-
tutivi del pensiero umano, è una di quelle domande filosofiche che 
caratterizzano il costante interrogarsi dell’uomo su sé stesso e 
sull’essere. Chiedersi se le proprie scelte sono dettate da una serie 
di costrizioni più o meno manifeste oppure se sono libere indica-
zioni della nostra volontà è palesemente una domanda costante, 
continua e necessaria che ognuno si pone e a cui ognuno tenta di 
dare una risposta. 
                                                                                                                                                                                                
 
2
 Adriano Bausola, “Libertà e responsabilità”, Torino: Einaudi Editore, 1980. 
  
Ecco perché allora una ulteriore ed ennesima riflessione su questo 
argomento non appare né superflua né inutile.  
Tuttavia un grosso problema ci si presenta all’orizzonte ed è lo 
spinoso e travagliato rapporto con l’enorme produzione filosofica 
precedente su questo tema che apre il contenzioso sulla eventuale 
originalità di un’altra analisi e sul rapporto che tale nuova rifles-
sione debba avere con l’auctoritas della tradizione precedente. 
Compito di questa Tesi deve essere quello di compiere una rifles-
sione che tenga conto dei monolitici e fondamentali precedenti 
senza però temere, laddove ve ne fosse lo spazio, un margine di 
originalità’ e di novità che crediamo necessario. Non si intende 
con questo la volontà di dar vita ad uno sterile e sicuramente im-
modesto contrasto con la tradizione precedente con finalità scan-
dalistiche; si vuole semplicemente ritagliarsi uno spazio (che ve-
dremo possibile) di originalità che ci permetterà di presentare una 
posizione giustamente rispettosa di tutta le  precedenti riflessioni 
sulla libertà senza tuttavia costringerci ad una posizione totalmen-
te sottomessa e supina ad essa. 
Sarà allora criterio fondamentale nella stesura di tutte le pagina 
che seguiranno una scrupolosa e filologicamente fondata analisi 
della tradizione filosofica, per poi, edificati da tale ricerca, permet-
terci una ennesima, personale, individuale considerazione sul 
problema, che abbiamo visto in fondo comune a tutto gli uomini, 
della libertà.  
  
Un rapporto vivo e fertile fra l’ineliminabile  volontà di riflessione 
innovativa del singolo e il peso e l’autorità della tradizione prece-
dente
3
. Questo è allora il principio guida di questa Tesi ossia la 
possibilità concreta, dinamica di poter trovare ancora uno spazio 
per fare filosofia, per dare un senso ad una riflessione filosofica 
che da molte parti è messa in discussione, è addirittura criticata e 
di cui si dubita dell’effettiva utilità. Sarà nostra intenzione mostra-
re come la filosofia nella sua funzione antropologica, nel suo farsi 
studio e analisi sull’uomo
4
 possa riacquistarsi uno spazio di inda-
gine specifico e fruttuoso. 
È ben lontano da questa Tesi l’atteggiamento pessimistico di colo-
ro i quali ritengono che la filosofia abbia ormai esaurito i suoi ar-
gomenti con il suo conseguente svuotamento. 
Una considerazione questa di alcuni filosofi e studiosi che reputa-
no ormai la filosofia deprivata di oggetti si studio e vedremo co-
stretta ad uno sterile ripiegamento su sé stessa.  
Per comprendere tale posizione e per poi criticarla in favore inve-
ce di un “angolo vivo” della filosofia dobbiamo, sinteticamente, 
osservare le premesse concettuali che guidano e fondano tali con-
siderazioni pessimistiche.   
L Filosofia è vista nel suo nascere, nel su sorgere dalle pieghe irra-
zionali del Mythos, come un’indagine razionale, del Logos , su tutta 
                                                           
3
 Dialettica questa già osservata dal E. Cassirer nel suo “Saggio sull’Uomo”; Roma, 
Armando Armando Editore, (pp. 365-374) 
4
 E si e’ visto come lo studio sulla libertà sia il primo passo di ogni analisi antropologica 
  
la realtà, su ogni singolo aspetto dell’essere che siamo e che ci cir-
conda. Insomma la filosofia come l’unico strumento d’indagine 
razionale ed intellettuale dell’essere. Nel suo lungo cammino tut-
tavia la filosofia e stata spogliata progressivamente dei suoi ogget-
ti di studio, un vero e proprio “furto” continuo e costante.  
La teologia ha privato la filosofia dell’oggetto di studio Dio, impe-
dendone una riflessione autonoma; la rivoluzione scientifica e la 
conseguente specializzazione scientifico- tecnologica ha sottratto 
alla filosofia l’oggetto di studio Mondo, costringendola anzi alla 
totale impossibilità di dire alcunché sul Mondo e sul suo senso. In-
fine le scienze dello spirito hanno privato la filosofia del suo ulti-
mo grande oggetto di studio: l’Uomo, che ‘e divenuto oggetto di 
una molteplicità di discipline differenti con la conseguente fram-
mentazione e dispersione dell’uomo stesso
5
.  
La filosofia allora così costretta a subire questa sua progressiva ed 
incessante privazione dei suoi oggetti di studio è stata obbligata a 
trovare una scappatoia, un rifugio presso cui rintanarsi e a chiu-
dersi in sé stessa, a ripiegarsi su sé stessa in quella che è da consi-
derarsi come la deriva Ermeneutica: in cui l’unico oggetto possibi-
le alla filosofia è la filosofia stessa, il suo filosofare. La meraviglia 
che aveva guidato gli uomini nell’incessante scoperta filosofica di 
ciò che li circondava si è ora annichilita in un circolo vizioso in cui 
                                                           
5
 Come ci dice giustamente Scheler nel suo “La posizione dell’uomo nel cosmo”; Mila-
no: Franco de Angeli; 2000 (pp. 77-80) 
  
l’unico oggetto della curiosità della filosofia è il fare filosofia stes-
sa.  
Ecco che allora emerge con chiarezza quell’atteggiamento pessimi-
stico di inutilità  di svuotamento della filosofia che caratterizza al-
cuni pensatori e che vogliamo criticare e che vogliamo superare. 
 Tale atteggiamento di chiusura e di sclerotizzazione si fa manife-
sto ed evidente nell’opera di un filosofo tedesco: Brandt e in parti-
colare nel suo “La lettura del testo filosofico
6
 ”. L’opera nasce come 
una disamina precisa e puntigliosa del fare filosofia e più in parti-
colare dello scrivere filosofia. Concordiamo con Brandt che il pen-
siero filosofico non possa mai essere avulso dal suo essere scritto e 
che ogni riflessione esiste e trova la sua forma e il suo senso solo 
nella scelta delle parole con cui è espresso. Brand allora mira ad 
una analisi del testo filosofico, delle sue parti e del rapporto di es-
se con il tutto. Il principio guida su cui si basa Brandt è 
l’oggettività, egli vuole assolutamente uscire da ogni riferimento 
ad una necessità interpretativa soggettiva o storicamente determi-
nata in favore di una analisi che si presenti come assolutamente 
obiettiva, quasi scientifica nella sua asetticità, nella sua meta- sto-
ricità. Questo criterio che è rispettato nella prima parte del testo, 
laddove Brandt compie una analisi tecnica e pignola sui vari ruoli 
e compiti delle varie parti del testo filosofico si perde invece nella 
                                                           
6
 Reinhard Brandt, “La lettura del testo filosofico”, Bari: Laterza editori, 1998. 
  
seconda parte in cui assistiamo ad una deriva mistico-magica as-
solutamente imprevedibile e incredibilmente assurda. 
Brandt dichiara al lettore di essersi reso responsabile di una stra-
ordinaria scoperta filosofica, un’intuizione che a suo dire è desti-
nata a cambiare le sorti di ogni futura riflessione. Egli osserva co-
me ogni testo filosofico sia stato scritto, indipendentemente dalla 
volontà dell’autore, secondo un preciso schema che si è imposto 
alla mente del pensatore. Tale schema si concretizza in una divi-
sione tripartita del contenuto del testo a cui si aggiunge una quar-
ta parte che raccoglie e giustifica la precedente tripartizione
7
. 
Nell’opera il filosofo tedesco inserisce un numero incredibile di 
esempi atti ad avvalorare la propria tesi, limitandosi però a tali e-
sempi senza mai dare una spiegazione razionale (come invece ri-
chiederebbe l’analisi filosofica) di tale presunto schema. Egli ritie-
ne che tale principio sia una sorta di Arche letterario, che permea 
ogni testo dedicato alla filosofia, un principio magico, misterioso 
di cui non si può dare nessuna spiegazione, ma che bisogna solo 
accettare come tale, quasi come un principio di fede. 
Nella sua lunga disamina su tale misterioso fenomeno mai, nep-
pure una volta, Brandt ipotizza che esso sia semplicemente una 
sorta di Gestalt del pensiero umano, di forma mentis del suo proce-
dere intellettuale.  In tal modo sarebbe stato ovvio e conseguente 
                                                           
7
 Uno dei molti esempi proposti e’ la tripartizione delle forme statali presente in vari au-
tori antichi: 1- governo di uno, 2- di pochi, 3- di molti, più una quarta parte che racco-
glie le tre precedenti: il governo misto.  
  
che ogni prodotto di tale mente razionale mantenga, come una 
sorta di impronta, la forma e le strutture fondamentali proprie 
dell’intelletto. Così facendo avrebbe quantomeno cercato una 
spiegazione razionale ad un fenomeno che gli si limita a definire 
inspiegabile. Tale suo rifiuto ad ogni tipo di indagine intellettuale 
del problema presentatogli indica come Brandt abbia di fatto por-
tato la filosofia ad una deriva irrazionalistica e magica che non ha 
certo nulla a che fare con il principio di razionalità che sta alla ba-
se dell’indagine filosofica
8
. 
Brandt è stato dunque citato in questa breve premessa perché rap-
presenta forse il gradino più basso, il punto più estremo di quella 
deriva ermeneutica a cui si accennava prima. La filosofia privata 
dei suoi oggetti, richiusasi in sé stessa in una circolarità viziosa e 
sterile in cui l’oggetto del suo sapere è rappresentato esclusiva-
mente da sé stessa, cade in un abisso di irrazionalità, di magica 
superstizione che de facto vanifica il senso stesso della filosofia: in-
dagine razionale, logica dell’essere.  
Scopo della Tesi allora qui proposta è il riemergere da questo abis-
so di sterilità per ritrovare uno spazio, un senso alla filosofia; per 
poter finalmente riportare alla luce il significato originale 
dell’indagine filosofica e per poter ancora interrogarsi e meravi-
gliarsi del mondo sicuri della guida logico-razionale del nostro in-
telletto.  
                                                          
8
 Come può essere  considerata filosofia una ricerca che smette di cercare una spiega-
 
zione logica ai problemi che le si presentano innanzi? 
  
La domanda che dobbiamo allora porci, dopo aver osservato come 
la filosofia nel suo procedere storico sia giunta ad un vicolo cieco e 
sterile di ripiegamento su sé stessa, è quella di sapere quale via es-
sa deve percorrere per abbandonare tale sterilità, tale chiusura 
sclerotizzata.  
Serve rendere chiaro come la filosofia si debba scrollare di dosso 
tutta la precedente riflessione e in modo nuovo debba trovare una 
nuova via, con un nuovo oggetto di studio, un nuovo metodo, del-
le nuove finalità e un senso generale nuovo che la ponga non più 
come vana e inutile ma come viva e attiva.  
Serve che la filosofia ricominci da capo un’altra volta. Questo è il 
proposito che va seguito, questa la speranza che la può rendere 
viva: ritornare sugli oggetti di studio fondamentali ma cercare di 
osservarli e di studiarli da un’ottica, da una prospettiva nuova, at-
traverso un nuovo metodo di indagine.  
Ma quale è il primo grande oggetto di cui la filosofia deve occu-
parsi? Quale è il punto da cui si deve poi originare tutto un sapere 
nuovo e vivo? Cosa deve conoscere l’uomo innanzitutto? La rispo-
sta a queste domande è semplice; il primo, fondamentale, basilare 
oggetto di studio della filosofia sarà l’uomo. L’uomo deve final-
mente conoscere sé stesso, deve uscire dai fraintendimenti che ne 
hanno caratterizzato lo studio, giungendo in fine ad un’analisi e-
saustiva della sua natura. 
                                                                                                                                                                                                
  
Ecco che allora questa nuova filosofia, questo nuovo sapere che ri-
fiuta ogni sclerotizzazione e ogni sterile ripiegamento su sé stesso 
deve prendere le mosse da quella che tanti hanno chiamato prima 
di noi: Antropologia Filosofica.  
Un sapere nuovo sull’uomo e che, vedremo, si basa su una serie 
dettagliata di nuove riflessioni e nuove prospettive che mirano ad 
allontanarsi da vecchie impaludate considerazioni.  
L’antropologia filosofica deve costituire il primo passo di un sape-
re nuovo, il passo iniziale ma più importante, essa deve dirci 
dell’uomo, del suo esistere, del suo vivere concreto e quotidiano, 
essa deve darci una descrizione dell’uomo che si basa sulla espe-
rienza, sulla sua vita reale e non delle descrizioni create ad hoc per 
adattarsi ad una precedente metafisica. Solo una volta chiarito co-
sa è l’uomo
9
, possiamo sperare di poter dedicare la nostra atten-
zione a cosa altro l’uomo conosce, al mondo in cui l’uomo vive, 
ecc. La conoscenza dell’uomo di sé stesso è la condizione prelimi-
nare, necessaria e fondamentale per ogni alto sapere.  
La centralità dell’uomo è ancora la prima grande caratteristica di 
questo nuova filosofia che crede ancora nella possibilità di dire 
qualcosa di utile, di valido e di poter ancora contribuire attiva-
mente al sapere. Questo è il punto di partenza di ogni sapere 
dell’uomo.  
                                                           
9
 Immaginando che in fondo tale processo di ricerca sull’uomo avrà mai fine.  
  
Tale centralità si fa poi assolutamente necessaria se soprattutto 
consideriamo le molte storture e i molti fraintendimenti che hanno 
segnato lo studio dell’uomo. Riflessioni, considerazioni e analisi 
che spesso partivano da presupposti metafisici a cui sono costrette 
ad adattarsi, oppure visioni dell’uomo frammentate tanto da far 
perdere l‘idea di un essere unico, vivo e integro.  
L’antropologia filosofica invece si basa su una concezione 
dell’uomo chiara e precisa che ne considera ogni singolo aspetto e 
soprattutto il suo concreto procede nella quotidianità. Nucleo fon-
damentale di tale concezione è quella che il Cassirer nel suo “Sag-
gio sull’uomo”
10
 definisce come una vera e propria rivoluzione di 
stampo kantiano, ossia il passaggio da una visione sostanziale 
dell’uomo ad una che sia funzionale. Cassirer è da questo punto di 
vista chiaro ed esplicita una teoria che è alla base di tutta la rifles-
sione antropologica filosofica.  
L’uomo non viene più considerato come una sorta di ipostasi, di 
sostanza sepolta al suo interno che va cercata attraverso un proce-
dimento di “scavo archeologico” che miri via via ad eliminare gli 
strati non essenziali per poter arrivare ad un presunto nocciolo so-
stanziale. Una prospettiva, questa sostanziale, che immagina 
l’uomo come una sorta di universalità sommersa da aspetti acci-
dentali e perciò eliminabili. Scopo di tale visione dell’uomo è allo-
ra ricercare tale essenza universale comune a tutti gli uomini, che 
                                                           
10
 Vedi nota 1. (pag.137-148) 
  
si pone in anticipo rispetto ad ogni considerazione sociale, storica 
e individuale dell’uomo.  
Sogno di tale modo di considerare l’uomo è il giungere a definirlo 
come una sorta di Adamo, libero, indipendente da ogni connota-
zione contingente, storica e sociale, per giungere a quelle caratteri-
stiche proprie e specifiche che determinano l’uomo in ogni tempo 
e in ogni luogo e che rendono di fatto ogni uomo simile al suo 
prossimo.  
Una visione questa dell’uomo che spesso cade vittima di presup-
posti e di premesse metafisiche. L’uomo non è più descritto in ba-
se alla sua attività concreta e quotidiana ma è presupposto come 
un’essenza e tale presupposizione sulla natura dell’uomo è spesso 
imposta nel tentativo di giustificare a priori considerazioni morali 
e dettami etici.  
Al contrario alla base della visione dell’antropologia filosofica vi è 
l’osservazione quotidiana dell’uomo e soprattutto del suo agire. 
Non vi è infatti lo sterile desiderio di giungere ad una descrizione 
essenziale e, proprio per questo, statica e cristallizzata ma la vo-
lontà di osservare l’uomo nell’ambiente in cui vive concretamente 
per giungere, non a delle universalità ma ad una descrizione em-
pirica dell’uomo.  
Proprio questa è la rivoluzione formale e funzionale che prevede-
va il Cassirer: considerare l’uomo come un continuo, inesauribile e 
progressivo agire. L’uomo come attività che non può più perciò 
  
essere descritto come un’immobile ipostasi ma come una concreta 
azione. Ciò che fa essere l’uomo ciò che è allora non è più una sta-
tica e intrinseca essenza ma una vivace, continua, incessante attivi-
tà dell’uomo nel mondo. 
 Una volta che si è chiarito tale presupposto fondamentale che sta 
alla base della nostra riflessione e che era giusto presentare in que-
sta breve premessa possiamo vedere come ci si aprano davanti 
una serie di nuove prospettive interessanti; un nuovo materiale su 
cui compiere quell’indagine filosofica che dunque, come avevamo 
visto sopra, non può e  non deve essere considerata esaurita o, an-
cora più drammaticamente, richiusa in sé stessa.  
Prima di proseguire nel vedere più in dettaglio quali sono queste 
prospettive nuove che ci si aprono davanti e nel vedere in che 
modo dovremo considerarle dobbiamo dedicare qualche riga al 
problema delle scienze umane e del loro complesso rapporto con 
la antropologia filosofica.  
È assolutamente manifesto che l’oggetto di studio delle scienze 
umane (termine con cui indichiamo in generale le varie branche e 
specializzazioni)  e della antropologia filosofica sia in fondo lo 
stesso, ovvero l’uomo. Tuttavia vedremo come le due discipline si 
collochino su due livelli di studio differenti.  
Innanzitutto bisogna dire e lo ricordano bene sia Scheler che Cas-
sirer nelle opere già citate come le scienze umane
11
 siano state re-
                                                           
11
 Quelle che Dilthey definiva scienze dello spirito. 
  
sponsabili di una progressiva frammentazione in una molteplicità 
caotica di discipline differenti inerenti ognuna da un particolaris-
simo aspetto dell’uomo. Questo ha portato ad una scomparsa 
dell’uomo stesso, di quello che Scheler chiama l’uomo-
complessivo, in favore di una poliedricità incomunicabile di parti-
colarismi. 
Le scienze umane hanno così per prime dimenticato l’uomo tanto 
che lo stesso Scheler sostiene che nonostante il loro proliferare e la 
loro fortuna attuale esse hanno fatto si che “ mai, nel corso di tutta 
la storia la sua storia, l’uomo sia stato così tanto enigmatico a sé 
stesso, come nell’epoca attuale” 
12
. 
Esse hanno portato ad una esasperazione dei singoli specifici a-
spetti dell’uomo causando così di fatto una frammentazione di 
quell’unica attività costitutiva che in fondo è l’uomo. Proprio a 
causa di tale esasperata specificazione le scienze umane sono 
giunte comunque a dei risultati apprezzabili che non possono e 
non devono essere dimenticati, serve però ricondurre tali risultati 
ad una visione unitaria e funzionale dell’uomo. Compito allora 
della Antropologia filosofica sarà quello di raccogliere, riunire e 
dare senso unitario a tutto il materiale raccolto dalle scienze uma-
ne. L’Antropologia allora si costituisce come un livello di indagine 
più originario rispetto a quello delle scienze umane, con il compito 
di dare forma al semplice materiale grezzo raccolto dalle scienze.  
                                                           
12
 Scheler, ibidem, (pag. 75).