2
generale, e non mancano studi che risaltano per equilibrio ed obiettività, i
più significativi dei quali sono indicati in bibliografia.
Sebbene la mia indagine abbia preso le mosse da un saggio sulla
storia dell’E.T.A pubblicato a Milano nel 1980 da Luigi Bruni (un dirigente
sindacale della FIM-CISL degli anni ’70) e conservato presso la biblioteca
di Storia Moderna e Contemporanea di via Caetani a Roma, il resto della
ricerca è stato svolto quasi completamente su materiale raccolto in Spagna
e precisamente presso l’Universidad de Navarra a Pamplona, relativo al
periodo che va dalle origini del nazionalismo basco alla guerra civile
spagnola.
Entrando nel merito, nello studio ho cercato di dimostrare che
proprio da un’ambiguità mai risolta sono venute creandosi le condizioni di
una contrapposizione che da politica e ideologica è diventata anche sociale
e culturale ed è andata ben oltre la rivendicazione separatista. Una
contrapposizione di tale complessità da rendere difficile per chiunque
individuare con precisione gli stessi soggetti della contesa e i reali fini di
una violenza che ha perso da lungo tempo anche la dignità di lotta, per
assumere i connotati di una guerra terroristica antisistema e senza
quartiere, ma fatta ancora in nome di una fantomatica identità nazionale
negata.
Una volta accertata, nella prima parte dello studio, l’inesistenza di una
concezione unitaria delle province basche e tanto più di una coscienza
3
nazionale precedenti alla formazione del movimento sorto ad opera di
Sabino Arana alla fine del XIX secolo, ed aver conseguentemente
dimostrato che l’idea di una Nazione basca è frutto di una sua “originale”
creazione, nella seconda parte ho spiegato gli elementi teorici posti a
fondamento della sua creatura politica, il Partido Nacionalista Vasco (PNV),
e trattato le vicende legate alla nascita di quel movimento e al dibattito
sorto dopo la morte del suo demiurgo tra un radicalismo indipendentista,
intenzionato a custodire l’ortodossia dottrinale del fondatore, ed un
moderatismo autonomista che proponeva una strategia politica basata sul
gradualismo e sul perseguimento dell’obiettivo minimo dello Statuto.
Fatto cenno anche ad una terza via, indicata da alcuni intellettuali
baschi e tradotta in un’esperienza politica che purtroppo non ha riscosso il
successo che probabilmente meritava, si arriva al nucleo della questione:
l’ambiguità irrisolta tra un’ideologia indipendentista ed una prassi
autonomista, o meglio una dicotomia che ha trovato soluzione all’interno
del PNV, fino a diventarne l’anima stessa.
Nella terza ed ultima parte, attraverso l’analisi del pensiero dei
protagonisti, ho cercato di dimostrare il carattere strumentale che hanno
sempre avuto le rivendicazioni autonomiste per i dirigenti del PNV, anche
nel periodo in cui il conseguimento dello Statuto sembrava venisse
perseguito come obiettivo massimo, lasciando credere agli alleati politici
spagnoli che il nazionalismo basco avesse finalmente abbandonato
4
qualunque velleità separatista per integrarsi, come comunità autonoma,
nello Stato spagnolo.
Lo scopo è quello di avvalorare la tesi secondo cui su questa prassi
politica trasformista, alla quale il PNV non ha mai completamente
rinunciato, riposa sostanzialmente l’equivoco di un’aspirazione
all’indipendenza che, se sotto il regime franchista poteva corrispondere ad
un’esigenza di libertà, a più di venticinque anni dall’approvazione dello
Statuto di autonomia, continua ad essere invocata dal terrorismo etarra a
giustificare i crimini più nefandi.
E in questo equivoco sono ravvisabili responsabilità che pesano sulla
coscienza democratica di coloro che oggi guidano questa forza politica ed
hanno l’obbligo di rispondere non solo ai propri elettori, ma a tutta la
società civile.
Tuttavia, prima di addentrarci in quello che un insigne studioso ha
definito emblematicamente il labirinto basco
1
, conviene soffermarsi un
momento ad esaminare i caratteri generali di questo popolo dalle antiche e
misteriose origini.
1
Mi riferisco al libro di Julio Caro Baroja, El laberinto vasco, Txertoa, San Sebastián, 1984: una raccolta di saggi in cui
l’autore - intellettuale di origine basca recentemente scomparso, considerato tra i più accreditati etnologi spagnoli,
nipote tra l’altro del noto romanziere Pio Baroja - cerca di fornire alcuni criteri di interpretazione di una realtà
politica e sociale, quella basca del periodo post-franchista, che gli appare sempre più complessa. Da quelle pagine
così ricche di spunti emerge un travagliato percorso intellettuale, durante il quale l’ottimismo che accompagna
l’autore negli anni immediatamente seguenti la fine del regime franchista cede il passo ad una visione caratterizzata
da una crescente sfiducia circa le prospettive del movimento nazionalista basco, nella misura in cui, col passare del
tempo, la via non violenta non riesce completamente a prevalere sulle forme armate di lotta politica e soprattutto
non si riescono a superare le divisioni e le barriere ideologiche interne che impediscono l’unità nonché il
conseguimento dell’obiettivo finale.
5
Capitolo I
LE ORIGINI DEL NAZIONALISMO BASCO
1. I BASCHI: TRA MITO E STORIA
Come vedremo nelle pagine seguenti, la formazione di una coscienza
nazionale nel popolo basco è un fatto che attiene alla storia recente, ma
nel contempo affonda le sue radici ideologiche nelle remote origini di
questo gruppo umano.
Attualmente i Baschi popolano un territorio che si estende su
entrambi i versanti dei Pirenei occidentali: la gran parte vive in Spagna,
nelle cosiddette province basche (Vizcaya, Álava, Guipúzcoa)
e nella zona
settentrionale della Navarra; mentre una piccola minoranza è stanziata sul
suolo francese, nel dipartimento dei Pyrénées-Atlantiques comprendente
le province di Labourd, Basse Navarre e La Soule
2
.
Numerosi studi di varia matrice scientifica, prodotti soprattutto a
partire dalla metà del secolo scorso, anche sotto la spinta delle vicende
politiche occorse nei Paesi Baschi spagnoli nei due decenni precedenti,
hanno tentato di avvalorare l’ipotesi del carattere autoctono dell’etnia
basca, spingendosi in taluni casi ad attribuirle addirittura il connotato di
2
Nella topografia nazionalista si incontrano solitamente i nomi baschi di queste sette province, che cito nell’ordine
in cui appaiono nel testo: Bizkaia, Araba, Gipuzkoa e Nafarroa, che compongono i Paesi Baschi spagnoli; Lapurdi
(o Laburdi), Benabarra e Zuberoa, che formano quelli francesi.
6
ceppo originario della razza europea o caucasoide; cosicché l’uomo basco
di oggi sarebbe, secondo alcuni, il risultato dell’evoluzione locale
dell’uomo di Cro-Magnon, l’antico progenitore della cosiddetta “razza
bianca”, che gli archeologi chiamano appunto «uomo dei Pirenei»
3
.
Peraltro il problema dell’origine dei Baschi è strettamente legato a
quello dell’origine della loro lingua, l’euskera (o euskara): idioma non
indoeuropeo che, secondo un’opinione generalmente condivisa dagli
studiosi - in quanto basata sull’assenza di legami apparenti con ogni altra
forma di espressione orale conosciuta -, sarebbe il diretto discendente di
una delle lingue parlate dagli Iberi, primi abitanti della penisola, ovvero il
continuatore, insieme alle lingue caucasiche, delle lingue mediterranee
preindoeuropee
4
. Tuttavia la conoscenza dell’iberico risulta troppo scarsa
e frammentaria per determinare senza una notevole approssimazione la
sua posizione linguistica e di conseguenza quella del basco.
A questo proposito le più moderne correnti linguistiche e
antropologiche rifiutano, come inutile, inconsistente e inadeguata,
qualsiasi teoria che tenti di inferire in maniera acritica la natura primigenia
dell’etnia basca dalla semplice constatazione delle sue origini ataviche e
3
Mi riferisco alle teorie formulate da J. M. Barandiarán in due suoi scritti: El hombre prehistórico en el País Vasco, Ekin,
Buenos Aires, 1953 e El hombre primitivo en el País Vasco, Itxaropena, Zarautz, 1974; nonché alle tesi esposte da
Fernando Erro in una raccolta di studi sull’etnia basca elaborati da una decina di autori (archeologi, etnologi,
antropologi, biologi). Cfr. Ramón Nieto, Los Vascos, Acento Editorial, Madrid, 1996, p. 13 e pp. 25-26.
4
Il primo a farsi sostenitore di questa teoria fu Wilhelm von Humboldt, autorevole filosofo e linguista tedesco,
vissuto tra il 1767 e il 1835, al quale va ascritto il merito di aver conferito dignità accademica e livello scientifico
allo studio della lingua basca, nonché di aver aperto un filone di ricerca che ha visto impegnati, nel tempo, studiosi
di scuola francese, spagnola e anglosassone. Cfr. J. L. Davant et aliá, Euskadi en guerra, Ekin, Bayonne, 1987, cap.
II, p. 77.
7
delle peculiarità che caratterizzano la sua lingua. In tal modo gli ambienti
scientifici si sono decisamente sottratti a qualsiasi forma di
strumentalizzazione politica ed hanno preso nettamente le distanze da
quella letteratura storico-leggendaria, di matrice romantica, che elaborò la
storia del popolo basco alla luce di una tradizione mitologica - sorta tra il
Trecento e il Quattrocento e sviluppatasi all’inizio dell’Età Moderna - sulle
cui basi fu eretto, nel corso del XIX secolo, l’edificio ideologico
nazionalista.
Iniziatori di questa tradizione epica furono il conte de Barcelos e
Lope García de Salazar nei secoli XIV e XV
5
. Ma la creazione di un vero
e proprio apparato mitologico, costruito intorno alle origini protostoriche
di questo popolo e della sua lingua, fu opera di un gruppo di notabili
baschi che avevano acquisito, nel XVI secolo, notevole prestigio presso la
corte di Carlo I (V imperatore), e rispose al preciso intento di fornire una
base teorica al nuovo regime forale statuito nel 1526 per la Signoria di
Biscaglia e più tardi esteso anche a quella di Guipuzcoa
6
.
5
La fama di questi due personaggi è legata al mito dell’origine della Repubblica signorile di Biscaglia, sorta, secondo
Salazar, nel IX secolo in seguito alla battaglia di Arrigorriaga, vinta dai biscaglini nell’anno 888 contro Alfonso III,
re di Asturie e Leon. Sempre secondo la leggenda, sarebbe stato Jaun Zuria, ossia il condottiero vittorioso, il primo
a prestare giuramento ai fueros sotto il famigerato albero di Guernica e qiuindi a rivestire la carica di Señor de
Vizcaya, un titolo ereditario ma soggetto alle disposizioni forali; i biscaglini, infatti, conservavano il diritto di
destituire il signore che non governasse in maniera conforme a quelle leggi e consuetudini. Come avremo modo di
vedere, la storiografia basca di matrice positivista ha negato ogni fondamento storico a questo mito, collocando al
secolo XI, sotto la primazia signorile di Iñigo López, la nascita del piccolo stato basco, peraltro gravitante nella
sfera d’influenza del regno navarrese di Sancho III il Grande. Cfr. José Luis de la Granja, El nacionalismo vasco: un
siglo de historia, Tecnos, Madrid, 1995, p. 75; R. Nieto, Los Vascos, cit., p. 57.
6
Per quanto riguarda il contesto storico in cui si sviluppa la tradizione mitologica basca, cfr. F. Letamendía (Ortzi),
Historia de Euskadi: el nacionalismo vasco y ETA, Ibérica de Ediciones y Publicaciones, Barcelona, 1977, pp. 37-39.
8
Nella tradizione medievale spagnola si era affermata, tra l’XI e il XIII
secolo, la consuetudine secondo cui, dapprima la monarchia navarrese poi
quella castigliana concedevano, alle popolazioni che abitavano i territori di
confine con i domini francesi, alcuni privilegi politici ed economici
chiamati fueros - di cui si parlerà ampiamente in seguito. Rispetto a quella
prassi giuridica l’elemento innovativo introdotto nel Fuero Nuevo del Señorío
de Vizcaya fu l’affermazione della hidalguía universal
7
, ossia lo status di
nobile per tutti i residenti in quelle terre; diritto riconosciuto in seguito
anche ai vicini guipuzcoani. Un triplice ordine di fattori determinò tale
concessione da parte della monarchia spagnola. In primo luogo, la
pressione esercitata, a partire dal XIV secolo, dalle hermandades
8
biscagline
e guipuzcoane sulla corona di Castiglia, al fine di farsi riconoscere un titolo
di merito per aver sostenuto una lunga e strenua lotta contro i signori
locali, contribuendo così al successo della causa monarchica. In secondo
luogo, come già accennato, l’influenza che alcuni funzionari baschi
avevano guadagnato presso la corte imperiale per essersi distinti quali abili
amministratori ed eccellenti calligrafi e che faceva sentire il suo peso
ogniqualvolta si decideva di introdurre delle modifiche al regime forale. In
7
Sulla pratica applicazione della teoria della nobiltà universale dei baschi, vd. R. Nieto, op. cit., p. 58.
8
Si tratta di una sorta di confederazioni tra città o villaggi, costituitesi in gruppi di uomini armati intorno al XIII sec.
per difendere in comune la sicurezza delle strade e proteggersi dalle prepotenze della nobiltà. Tali contrasti tra gli
interessi commerciali delle classi medie urbane e quelli egemonici dell’aristocrazia locale rappresentarono per
l’autorità regia un’occasione propizia per imporre il suo controllo su quei territori; obiettivo che fu raggiunto
attraverso il riconoscimento ufficiale degli statuti delle hermandades, che in tal modo divennero la longa manus
della corona di Castiglia.
9
terzo luogo, la necessità - particolarmente sentita da questi autorevoli
uomini di stato - di preservare la struttura sociale basca, fondata sulla
famiglia numerosa ma rigidamente regolata sul diritto di primogenitura (un
maggiorascato maschile o femminile, senza distinzione), favorendo, da un
lato, l’emigrazione della vasta parte della popolazione che, secondo le leggi
e i costumi locali, non aveva diritto al sostentamento familiare, e
fronteggiando, dall’altro, il pericolo della forte ondata immigratoria
conseguente all’espulsione in massa di ebrei e moriscos dai domini diretti
della corona spagnola.
Pertanto il principio della hidalguía universal venne formulato allo
scopo di creare uno sbocco a quella parte della popolazione basca di cui si
è appena detto, facilitandone l’integrazione nel personale
dell’amministrazione statale attraverso l’acquisizione dello status nobiliare.
Quello stesso principio si tradusse poi in un sistema di rigide norme di
cittadinanza, in base alle quali fu proibito ai forestieri, che non fossero
nobili o in grado di provare la propria origine aristocratica, di stabilirsi,
svolgere attività d’ogni genere e persino risiedere occasionalmente nei
territori baschi. Tuttavia la condizione nobiliare nel diritto castigliano, oltre
a fondarsi sull’assoluta estraneità a qualunque tipo di attività lavorativa, era
strettamente connessa alla proprietà terriera e alla sudditanza al signore di
tutti coloro che abitavano e prestavano la loro opera nei suoi domini. Di
conseguenza il principio giuridico della nobiltà universale conteneva in sé
10
una evidente contraddizione di fondo nella misura in cui, riconoscendo a
tutti i baschi una condizione gentilizia, escludeva ogni possibilità di
sudditanza e rivestiva di un tale privilegio una popolazione intimamente
legata alle attività produttive dell’agricoltura e del commercio. La soluzione
di questa grave questione divenne motivo di duro scontro tra i giuristi
castigliani e le Giunte generali basche, massimi organi legislativi del regime
forale. Lungo tutto il corso del XVI secolo furono esercitate forti
pressioni sulla Corona, al fine di indurla a porre delle limitazioni di ordine
economico e culturale all’esercizio delle prerogative nobiliari dei baschi
9
.
In ogni modo questi artifici legali non riuscirono ad impedire che l’idea di
eguaglianza restasse fortemente viva in quel popolo, così come l’idea che
non esistono lavori disonorevoli e che tutti i baschi hanno lo stesso valore,
a prescindere dal lavoro che svolgono o dalla propria condizione
economica
10
.
In tale contesto storico si mossero i teorici della nobiltà basca ovvero
i padri di quella tradizione mitologica che tanto influì sul pensiero
nazionalista. Tra costoro meritano una speciale menzione due cronisti
guipuzcoani: Zaldivia e Garibay.
9
Una serie di Ordinanze regie, emanate a partire dalla metà del secolo, proibirono a coloro i quali non fossero
proprietari di essere nominati alla massima carica municipale (quella di alcalde - pressappoco l’equivalente del
nostro sindaco); e ulteriori requisiti di carattere censitario, nonché culturale (come la capacità di leggere e scrivere
in castigliano) furono via via introdotti per impedire l’accesso alle maggiori cariche pubbliche da parte della
popolazione meno abbiente, finché un’ Ordinanza del 1671 finiva coll’attribuire ai soli regidores - una sorta di
consiglieri municipali - la facoltà di eleggere gli alcaldes, ponendo fine al suffragio universale. R. Nieto, op. cit., pp.
58-59.
10
Ibidem.
11
Nella sua Suma de las cosas cantábricas y guipuzcoanas Zaldivia sosteneva
che i baschi discendevano direttamente da Tubal, figlio di Yafet e nipote
di Noè, il quale fondò personalmente i fueros, basati sul diritto naturale
originario, precedente alla corruzione degli uomini. Secondo la sua visione,
essi sarebbero stati tutti nobili per il semplice fatto di essere direttamente
imparentati con i Cantabri, primi popolatori della penisola, e per non aver
mai sofferto una dominazione straniera.
Partendo da tali premesse, Esteban de Garibay - cronista ufficiale di
Filippo II, segretario del Sant’Uffizio e spirito controriformista, gesuitico e
dogmatico - asseriva che i baschi erano i veri spagnoli e che la loro nobiltà
si fondava su un criterio egualitario, mentre quella non basca era basata su
un criterio differenziatore. Pertanto, secondo Garibay, Filippo II doveva
necessariamente discendere dalla stirpe basca, in quanto originaria della
penisola e mai assoggettata a un potere straniero, dunque più nobile di
quella gotica.
In seguito queste tesi furono arricchite e articolate mediante nuovi
apporti teorici. Ad esempio, alcune versioni ingenue della storia basca
suggerivano che l’euskera potesse essere la lingua originale del Paradiso
terrestre e di conseguenza l’unica parlata dall’umanità prima che accadesse
il “disastro” della Torre di Babele. Dal mito dell’invincibilità dei baschi
scaturiva l’idea dell’origine pattuale della Signoria di Biscaglia, secondo cui
sarebbero state quelle stesse popolazioni a negoziare liberamente un
12
accordo con la corona di Castiglia: in base ai patti il re veniva riconosciuto
Señor de Vizcaya e delle restanti province basche, senza che ciò
comportasse un atto di sottomissione, dal momento che il sovrano doveva
impegnarsi solennemente a governare quei territori secondo le leggi e i
costumi locali
11
. Inoltre al mito tubalista di Zaldivia veniva fatto risalire il
carattere egualitario della società basca che animava lo spirito dei fueros, le
antichissime leggi che si sosteneva avessero dato vita ad una democrazia
«purissima», quale il mondo avrebbe conosciuto solo in epoche più
moderne e che la tradizione nazionalista considerò come il principale
fattore testimoniale dell’illesa sovranità del popolo basco, nonché della sua
superiorità culturale e razziale, peraltro riconosciuta nel regio decreto che
concedeva il titolo nobiliare a tutti i cittadini della Biscaglia
12
. Infine, il
profondo cattolicesimo dei baschi, testimoniato dalle vite di santi come
Ignacio de Loyola e Francisco Xavier, veniva addotto come prova della
loro superiorità morale sul resto degli spagnoli.
Una serie di pubblicazioni di carattere storico-erudito, comparse agli
inizi del XIX secolo a sostegno di una violenta campagna politica lanciata
dal governo spagnolo contro le istituzioni forali basche, cominciarono a
demolire l’edificio teorico-mitologico eretto nei secoli precedenti per
11
Questa teoria - che costituisce uno dei cardini dell’ideologia nazionalista - viene sconfessata dalla stessa realtà
storica. Ne dà conto puntualmente R. Nieto, quando asserisce che «...nel 1379, in occasione del matrimonio tra
l’ultima erede della signoria ed Enrico II di Castiglia, il titolo di Señor de Vizcaya si unì a quello di Re di Castiglia.»,
ibidem, p. 57.
12
John Sullivan, El nacionalismo vasco radical 1959-1986, Alianza Editorial, Madrid, 1988, pp. 12-13.
13
giustificare ideologicamente le peculiarità del regime forale
13
. Da quegli
studi risultava che i fueros baschi non erano altro che il frutto di una
concessione dell’autorità regia alle comunità locali in cambio della loro
lealtà politica alla monarchia, costituendo in tal modo una forma di
controllo esercitata dal potere centrale su dei territori legati al sovrano da
vincoli personali e non facenti parte del patrimonio della Corona
14
.
In realtà soltanto la storiografia contemporanea è riuscita a definire i
termini esatti della questione dell’origine dei fueros basco-navarresi. Il nodo
del problema era che, durante il Medioevo, nei territori baschi
coesistevano due sistemi giuridici distinti e separati: un diritto regio
romanizzato, che iniziò la sua penetrazione nei territori baschi intorno al
XII secolo, attraverso la progressiva estensione dei fueros municipali, non
autoctoni, alle città biscagline, per poi diffondersi sistematicamente, nei
due secoli successivi, anche nelle regioni guipuzcoana e alavese; un diritto
13
Il regime forale era un complesso sistema normativo, di origine medievale, che regolò la vita politica e
amministrativa delle Province Basche spagnole fino al XIX secolo. Esso poggiava fondamentalmente su tre
pilastri: il pase foral (veto forale), concesso ai territori baschi dalla Corona di Castiglia nel XV secolo, consistente
nella prassi secondo cui nessuna legge, decreto o decisione giudiziaria emanata dal potere centrale poteva produrre
effetti su quei territori senza la previa approvazione delle autorità forali di ciascuna provincia; le Juntas generales
(Giunte generali), massimi organi istituzionali del regime forale - paragonabili agli odierni Consigli provinciali della
Comunità Autonoma -, formate dai rappresentanti dei municipi, le quali disponevano, oltre che del suddetto
potere di veto, di un amplissimo potere di decisione su tutte le questioni politiche, giuridiche (non su quelle di tipo
penale), amministrative ed economiche che riguardavano i cittadini, le famiglie ed ogni altra forma associativa della
rispettiva provincia, nonché il diritto di nominare i membri delle Diputaciones, organi esecutivi forali; il corregidor,
ossia l’agente del Re nei Paesi Baschi, che, pur non disponendo di attribuzioni legislative, presiedeva le Giunte per
evitare che esse prendessero decisioni contrarie agli interessi della Corona, ed esercitava inoltre, a livello
municipale, funzioni giudiziarie ed amministrative inerenti a questioni fiscali. Una serie di immunità e privilegi,
come l’esenzione dal servizio militare nell’esercito regio, un diritto di habeas corpus, secondo il quale i cittadini
baschi non potevano essere soggetti ad arresti arbitrari né a torture, nonché l’esenzione dal pagamento dei tributi
statali e delle regie tariffe doganali, completavano il quadro delle peculiarità del regime forale delle province
basche. Cfr. R. Nieto, op. cit., pp. 16-21 e Ortzi, op. cit., pp. 41-44.
14
Tale impostazione sembra essere accolta dal Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani (voce fuero, vol. V, p.
137), che definisce i Fueros «le immunità locali, concesse dai sovrani a città, feudi ed enti ecclesiastici, nonché i
capitoli coi quali, valendosi di queste immunità, tali enti danno forza di legge, col consenso del sovrano, alle loro
consuetudini».
14
consuetudinario, basato sugli usi e costumi tradizionali ed autoctoni delle
popolazioni basche, che fu codificato solo a partire dal XIV secolo in
forma di statuti detti appunto Fueros. Pertanto non si può asserire che la
vita di quelle province sia stata regolata per secoli sulla base di un regime
giuridico uniforme, rigido e chiuso, di origine integralmente autonoma,
come sostengono gli apologisti della “nazione” basca, ovvero di natura
esclusivamente eteronoma, secondo il punto di vista degli storici
centralisti. Il fatto che ciascuna provincia basca disponesse di propri statuti
forali, con delle varianti anche sostanziali nelle competenze e nei poteri
delle rispettive autorità locali, dimostra comunque l’inesistenza di una
realtà politica unitaria, per la realizzazione della quale, tra l’altro, non si
registra storicamente alcun serio tentativo precedente alla formazione del
movimento nazionalista
15
. Peraltro l’esistenza dei fueros non impedì che la
legislazione comune spagnola continuasse a produrre i suoi effetti
sull’amplissimo terreno giuridico estraneo alla foralità, ossia quello degli
interessi privati. Infine va sottolineato il fatto che i fueros baschi avevano
equivalenti in tutto il regno, prima che il diritto consuetudinario, vigente
nelle realtà locali, fosse progressivamente soppiantato dalla legislazione
statale, nella misura in cui vennero consolidandosi, nel XVIII secolo, le
tendenze centralizzatrici della Corona spagnola.
15
John Sullivan, El nacionalismo vasco radical..., cit., p. 13; J. Pablo Fusi, El País Vasco. Pluralismo y nacionalidad, Alianza
editorial, Madrid, 1984, p. 185.
15
Neanche il mito di un regime forale basco (anche se ormai
dovremmo parlare al plurale), considerato come il riflesso di una primitiva
Arcadia democratica, trova conferma nella realtà storica di un sistema che,
se si eccettua un breve periodo, in genere aveva garantito alle popolazioni
meno abbienti solo una limitata partecipazione alla vita politica. Di fatto il
potere era sempre rimasto saldamente nelle mani di una élite di proprietari
terrieri e il diritto di voto, esteso - come si è visto - a tutti i cittadini in una
certa fase, era tornato presto ad essere prerogativa di pochi
16
.
Da quanto detto fin qui emergono sostanzialmente due aspetti di
particolare rilievo ai fini del nostro discorso. In primo luogo, il carattere
meramente strumentale delle tesi mitologiche formulate dagli scrittori del
XVI secolo, il cui unico intento fu quello di tutelare un interesse
corporativo e non certo quello di rivendicare una specificità etno-culturale
o ancor meno un’identità politica del popolo basco. In secondo luogo,
l’assoluta mancanza di una contrapposizione frontale tra la Corona e le
province basche, quanto meno intese come unità politica. Tale asserzione,
peraltro, trova riscontri obiettivi anche sul piano culturale, se si considera
che fino al sorgere del movimento nazionalista non è assolutamente
proponibile un confronto tra l’euskera e il castigliano.
16
Maximiano García Venero, Historia del nacionalismo vasco, Madrid, 1979, pp. 69-94.