letterarie ed archeologiche. A tale proposito, si è delineata una
breve panoramica delle fonti letterarie antiche che hanno parlato,
incidentalmente oppure per mezzo di una trattazione più vasta, di
monili rapportabili a quelli di Pompei, Ercolano e delle altre città
sepolte dal Vesuvio: le testimonianze antiche sono state suddivise
in base alle tipologie degli ornamenti cui facevano cenno
(orecchini, collane, bracciali, ecc….).
Nel corso della ricerca è stata, inoltre, affrontata anche l’area delle
tecniche orafe, per consentire una successiva comprensione della
descrizione dei pezzi presentati. Si è accennata, oltre a ciò, in base
ai dati degli scavi e dei ritrovamenti effettuati, anche qualche
considerazione sugli artigiani operanti nell’area studiata.
Nel corso di questo lavoro, però, si è parlato dei gioielli basandosi,
principalmente, sui reperti rinvenuti nel corso degli scavi (quelli
riguardanti i pezzi qui esposti) iniziati nel XVIII sec. e proseguiti
fino alla fine degli anni ottanta del XX sec.. Nel capitolo relativo ai
gioielli dell’area vesuviana si è scelto, innanzitutto, di preparare un
paragrafo riassuntivo (peraltro diviso in sottoparagrafi secondo gli
stessi criteri su cui si basa il catalogo) delle tipologie descritte di
seguito nel catalogo per rendere in modo più immediato l’idea degli
esemplari trattati; nel catalogo vero e proprio, poi, le oreficerie sono
state ripartite a seconda della loro funzione e collocazione sul corpo
(ornamenti per capelli, orecchini…) e, di ogni categoria, si sono
messi in risalto i diversi tipi e, talvolta, le varianti e sottovarianti (se
ci sono) comprese in ciascun tipo.
Infine, si è cercato di capire, nonostante le non sempre concordi
opinioni degli studiosi, quali sono le derivazioni, i modelli artistici
dei gioielli vesuviani, gioielli che vanno ricondotti nell’ambito dei
monili di età romana repubblicana – primo imperiale, e di
approfondire, nei casi dove è possibile, l’argomento riguardante
l’identità ed il ceto sociale dei proprietari dei preziosi ritrovati.
Questa ricerca non ha certo la pretesa di essere esaustiva, vista
anche l’insufficienza di dati su cui, talvolta, si è dovuta
necessariamente basare: gli scavi spesso datati e non ben
documentati, la mancanza, a volte, della conoscenza dei luoghi
dove sono stati sistemati i gioielli (specie quelli rinvenuti nel corso
degli scavi più recenti) e le descrizioni talora sommarie degli autori
consultati hanno fatto sì che ci siano alcune informazioni non
complete. Tuttavia, si è cercato di trattare dei preziosi che le località
conservate dall’eruzione del 79 d.C. hanno restituito nel modo più
completo ed esauriente possibile.
IL FASCINO E IL SIGNIFICATO DELL’ ORO E DEI
GIOIELLI NEL MONDO ANTICO E NELLA SOCIETA’
ROMANA
1.1 L’oro e i gioielli nel mondo antico
“Non bisogna omettere che l’oro, per cui tutti i mortali fanno follie,
occupa appena il ventesimo posto nella scala dei valori”
1
: con
questo giudizio si chiude l’elenco pliniano dei prodotti naturali più
preziosi per l’uomo.
Nonostante questa osservazione, però, la fantasia degli antichi ha
sempre fatto ricorso all’oro per designare qualcosa di
particolarmente prezioso.
L’oro ha esercitato da sempre una forte attrattiva sull’uomo: la sua
luminosità, la bellezza dorata della sua luce, il suo sfolgorio
luminoso e abbagliante, il suo splendore igneo lo hanno sempre
affascinato. Lo splendore della sua luce e il suo colore caldo hanno
fatto sì che esso fosse da sempre considerato il metallo solare per
eccellenza.
L’oro ha dunque in se stesso e specialmente nel suo colore
un’attrattiva particolare, e non si può dire che ciò derivi da una
sottomissione del nostro senso critico alla conoscenza del suo
valore venale perchè il platino, ad esempio, che è più raro e che
vale maggiormente, non risulta così ammaliante. Lo splendore
dell’oro, invece, che moltiplica e modula in diverse sfumature la
luce che vi si riflette, ha fatto sì che l’uomo, da sempre, lo abbia
preferito ad altri metalli meno lucenti.
L’oro è stato, dunque, il primo metallo usato
2
e desiderato: il suo
splendido colore giallo che ricorda la luce del sole e la sua
inalterabilità hanno da sempre attirato l’umanità non solo per il
puro valore materiale che rappresenta, ma anche per i significati
simbolici ad esso attribuiti. Il nobile metallo è sempre stato non
solo equivalente di ricchezza, ma anche simbolo del potere, della
divinità e della regalità proprio a causa della sua imperitura
bellezza. Il biondo metallo contrasta efficacemente il tempo, in
quanto non si lascia nè ossidare nè intaccare dagli acidi, e per
questo fu assunto sin dalla protostoria come simbolo di eterna
giovinezza e di incorruttibilità.
L’oro è in natura facilmente riconoscibile, si presenta spesso alla
superficie del suolo e può essere direttamente utilizzato allo stato
nativo: Plinio
3
afferma che “l’oro è il solo metallo che si raccoglie
in pepite o in pagliuzze. Mentre gli altri metalli che si trovano nelle
miniere sono raffinati mediante il fuoco, l’oro è subito tale e
possiede fin dall’inizio la perfezione della sua sostanza quando si
rinviene in questa forma.”. Proprio per questi motivi è stato uno dei
primi metalli ad essere conosciuto e utilizzato dall’uomo sin dalla
prima Età del Bronzo. E’ probabile che, nella prima fase
cronologica di sfruttamento, l’oro utilizzato fosse quello trovato
sotto forma di pepite in seguito a semplici operazioni di
setacciamento di acque o sabbie aurifere: sotto questa forma il
metallo è quasi puro.
L’oro nativo, ossia l’oro che è immediatamente tale, poteva però
anche essere estratto da vene più o meno grosse in rocce
quarzifere
4
.
I greti dei fiumi furono usati come luogo di approvvigionamento
per la maggior parte del bisogno di oro dell’antichità: anche la
leggenda degli Argonauti sembra essere in relazione con i processi
di ricerca di tale metallo nelle regioni degli Sciti, sulle rive del Mar
Nero, e con la sua setacciatura in un vello di lana: in questa zona
dell’Asia Minore si trovavano grandi quantitativi di oro in
superficie.
Furono soprattutto le ricche miniere d’Oriente che fornirono
attraverso complessi commerci questo metallo, come indica pure la
leggenda dell’oro custodito dai grifi contro gli Arimaspi nel paese
degli Iperborei, simbolo forse delle miniere degli Urali. Le civiltà
orientali eccelsero fin dai tempi remoti nell’arte di lavorare i
metalli preziosi, nell’oreficeria, nella gioielleria.
A causa della lucentezza, e quindi della facilità con cui lo si notava
e con cui lo si estraeva nei luoghi dove era diffuso, della sua
malleabilità e duttilità che facevano sì che fosse semplice da
lavorare, oltre che dell’irresistibile seduzione che esercitò sullo
uomo, è stato verosimilmente il primo metallo con cui l’uomo ha
fabbricato ornamenti e di cui si è ornato
5
.
Tra il 6000 ed il 3000 a.C., gli abitanti delle fertili regioni
dell’Anatolia incominciarono a discendere e ad occupare le valli
fluviali e la terra a mezzaluna. Già intorno al 5000 a.C. essi
avevano iniziato a raccogliere l’oro ed il rame allo stato nativo
6
. A
partire dal 3500 a.C. la metallurgia risultava completamente
assimilata da parte delle civiltà mesopotamiche
7
.
Oltre alla bellezza dell’oro e al piacere del possesso si unì ben
presto la considerazione del suo valore reale, di mercato: ecco,
così, giustificato lo sforzo continuo per accaparrarsi questo metallo
che dall’antichità ad oggi ha costituito il parametro per eccellenza
in base a cui misurare la ricchezza e la potenza economica di una
civiltà, di un popolo, di una persona: la mitica richiesta di Mida, re
di Frigia, di poter trasformare in oro tutto ciò che avesse toccato e
la proverbiale ricchezza di Creso, re di Lidia nel VI sec. a.C.,
bastano a testimoniare come fosse l’oro il vero metro di paragone
della ricchezza umana.
Non bisogna però scordarsi del suo valore trascendentale, che ha
spinto gli uomini a faticare per impossessarsene e per offrirlo agli
dei e ai sovrani.
Prima della scoperta dei metalli e dell’oro, dunque, l’uomo si è
ornato di conchiglie, di pendagli d’osso e d’avorio, mentre
nell’Eneolitico, con la scoperta dei metalli e dell’oro, l’uomo ha
utilizzato specialmente quest’ultimo per forgiare i suoi ornamenti
8
e su questo ha esercitato la sua industriosità ed arte.
L’arte della gioielleria si perde nella notte dei tempi, perchè il
bisogno di apparire e di ornarsi è pressochè nato con l’uomo. L’arte
dell’oreficeria, invece, è nata evidentemente da quando l’umanità,
nell’Eneolitico, ha conosciuto, insieme con il rame, l’oro e ha
scoperto il modo di lavorarlo per ottenere ornamenti luccicanti.
Forse, il primo gioiello d’oro fu una pepita che brillava al sole e
che avrà attirato l’attenzione degli uomini per il suo aspetto
insolito. In seguito si scoprì la malleabilità del biondo metallo
colpendolo con una pietra dopo averlo posto su un appoggio
(ottenendo così, per mezzo della battitura, una lastra), finchè, non
si sa se per caso o no, l’uomo mise l’oro sul fuoco ed esso divenne
molle: il modo di usare l’oro nativo, che limitava le proporzioni
dell’oggetto che si voleva fabbricare al volume stesso del pezzo di
metallo rinvenuto, durò fino a quando non si scoprì la possibilità di
fondere il metallo; già alla fine del mondo antico, poi, le tecniche
essenziali dell’arte orafa erano state tutte inventate e sperimentate
9
.
Religione, superstizioni, organizzazione sociale, economia,
commerci e guerre ebbero un ruolo determinante nell’arte
dell’oreficeria.
Se oggi l’oreficeria è divenuta un artigianato sempre più corrente,
meccanizzato e si esaurisce spesso in una mostra di metalli preziosi
e gemme in cui si cerca il valore materiale più che quello artistico,
nell’antichità, invece, era collegata con le correnti di stile del
tempo e ne rifletteva le correnti commerciali (grazie, per esempio,
alla ripetizione degli stessi tipi di gioielli trovati in punti anche
molto lontani), le influenze artistiche, i rapporti tra le varie culture
(si pensi, ad esempio, agli effetti dei lunghi viaggi che venivano
affrontati per approvvigionarsi di metalli, dando così impulso ai
rapporti tra popolazioni lontane) poichè costituiva un facile oggetto
di scambio e di importazione e, rappresentando così un veicolo di
diffusione del gusto, è per noi un documento prezioso della cultura
artistica dei vari popoli
10
.
I gioielli insomma, si differenziano nel tempo, secondo le età,
secondo la ricchezza, seguono l’evolversi dell’ambiente politico e
sociale e la trasformazione del pubblico costume
11
.
La gioielleria antica è l’arte che si esprime in oggetti generalmente
destinati ad abbellire, rendere più potente e veneranda, più elegante
la persona: nel corso dei millenni, attraverso le culture più diverse,
l’ornamento si è diffuso presso gli uomini come presso le donne.
I gioielli hanno sempre suscitato grande fascino in tutte le epoche e
in tutte le civiltà forse anche grazie alle molteplici valenze
attribuite: l’ornamento contiene un valore affettivo, uno
economico, uno simbolico (riflettendo la posizione sociale di chi lo
indossa), è l’elemento motore della seduzione e partecipa alla
bellezza dell’individuo.
Spesso i parametri usati per valutare gli oggetti inerenti alla
gioielleria ruotano attorno a due poli: il valore intrinseco dei
materiali costituenti e il valore estetico. Sono cioè pressochè
limitati alla preziosità dei materiali impiegati (metalli preziosi,
pietre preziose e semipreziose) ed alle tecniche di particolare
elaborazione e raffinatezza che sono a questi associate (tecniche
dell’oreficeria, taglio delle pietre...). Questo tipo di lettura riduce la
comprensione del valore e delle molteplici funzioni storiche della
gioielleria: ne riduce lo sviluppo a quello di una forma d’arte
estremamente elitaria, per la quale l’interesse che si può dimostrare
è confinato all’ambito della meraviglia che tali oggetti non possono
fare a meno di suscitare. Oppure l’interesse rimane limitato alla
evidenziazione dei processi formali e stilistici presenti nei gioielli.
Una lettura in queste direzioni è restrittiva, in quanto esclude
l’ambito simbolico che costituisce il retroterra dell’abitudine in uso
sin dalle prime fasi della storia dell’uomo di ricorrere
all’ornamentazione personale. Una tale chiave di lettura, se mai,
finisce per evidenziarne solo un aspetto particolare, ossia quello
che vede nell’uso del gioiello una sorta di “marchio” che qualifica
lo status socio-economico del suo possessore: un simile modo
di considerare il gioiello si basa sulla messa a fuoco dei caratteri di
tesaurizzazione inerenti all’oggetto.
Da una valutazione più attenta e completa della gioielleria, invece,
si deduce che si carica di molteplici valori: un valore pratico (per
esempio trattenere vesti e acconciature), uno estetico (abbellire la
persona che la indossa), uno economico, uno magico- religioso
(talismanico), uno “segnaletico”.
Ci si rende così conto che ciò che ha indotto ad utilizzare certi
materiali nell’ornamentazione personale è stato di natura differente,
per lo più, dal processo di tesaurizzazione, capitalizzazione cui è
soggetto l’oro, e che ha trovato le sue motivazioni nella “diversità”
di tali materiali rispetto alle esperienze e alla realtà abituali. Questa
diversità, che può consistere nella rarità del materiale, nella
difficoltà di giungerne in possesso, nel suo particolare aspetto, fa sì
che questi caratteri divengano portatori di simboli.
Nelle epoche preistoriche si usavano collane costituite di elementi
che forniva la natura, come denti di animali feroci: il rischio che si
correva per procurarsi tali denti, comportava che questi oggetti
assumessero un carattere di diversità, e che quindi fossero un
ornamento prestigioso in quanto, una volta indossati, divenivano
segnale di identificazione e simbolo dell’azione ad essi inerente, e,
di conseguenza, conferivano prestigio alla persona che li indossava
e che era stata così forte e coraggiosa da compiere tale azione.
Ciò che si sta cercando di dire è, cioè, che, negli ornamenti, la
“diversità” e rarità dei materiali venivano assunte a valore
simbolico, “segnaletico”, distintivo; ciò può riscontrarsi anche nel
caso dell’oro che era un elemento cui ci si affidava per soddisfare il
bisogno di differenziazione sociale: il gioiello costituito di tale
metallo dà sicurezza e importanza, è segno di distinzione
12
.
La lucentezza e l’incorruttibilità di tale materiale (associate al sole)
hanno fatto sì che esso divenisse simbolo diretto della divinità (per
esempio, presso gli antichi Egizi il dio Ra, il Sole, era identificato
con l’oro) e che, perciò, tale fosse considerata la persona che lo
indossava.
Questo tipo di simbolismo implica allora una regolamentazione
rigorosa nell’uso dei suddetti materiali, poichè dall’oggetto (nella
fattispecie il gioiello) il significato simbolico- sacrale si trasferisce,
sia esso politico o religioso, alla persona che lo porta su di sé
mettendo così in evidenza la funzione nel proprio contesto sociale:
è anche per questo che le leggi suntuarie di ogni tempo hanno
concesso l’uso di ornamenti costituiti di certi materiali solo a
persone “autorizzate” a rappresentare la divinità, la regalità, il
potere politico: sacerdoti, sovrani, nobili. Gli oggetti aurei dei
corredi funerari, per esempio, costituiscono dei chiari simboli di
potere destinati ad accompagnare il defunto nell’Aldilà: sembrano
indicare che, perfino nei suoi stadi iniziali, il metallo non
assolse tanto a scopi direttamente pratici e utilitaristici, ma rivestì
piuttosto una funzione sociale come segno di ricchezza e di
distinzione di rango
13
.
Inoltre è da rimarcare che, attraverso i processi di lavorazione e di
decorazione del gioiello, essendo così messo ancor più in rilievo il
materiale prezioso che lo costituisce, non si fa altro che evidenziare
ancor di più il significato simbolico dell’oggetto.
Un’altra chiave di lettura da considerare nello studio della
gioielleria è la funzione di portafortuna di quest’ultima. La
funzione talismanica ha avuto una grande diffusione
riproponendosi, fino ad oggi, nell’uso di gioielli- amuleti contro la
sfortuna. Anche la funzione talismanica è legata, per la maggior
parte dei casi, ai caratteri morfologici dei materiali.
Si deve far notare ancora che, a proposito dei gioielli, si passa via
via da un uso sacrale, pubblico ed istituzionalizzato, ad uno più
individualizzato e, quindi, all’arricchimento di quei significati di
ornamentazione individuale che portano all’isolamento dei fattori
di tesaurizzazione, ossia mettendo in risalto le componenti del
gioiello si evidenzia la capacità economica del possessore di
acquistare un tale oggetto costituito da materiali preziosi, “diversi”.
Il gioiello, dunque, già nell’antichità, ma specialmente con il
passare del tempo e particolarmente nelle epoche recenti e oggi,
viene concepito anche come semplice investimento di capitale,
come un bene- rifugio, un valore economico di tesaurizzazione
della ricchezza, di riserva per i giorni del bisogno
14
, poichè le
occasioni di impiego a livello cerimoniale e di connotazione sociale
si vanno riducendo all’interno della società contemporanea: ciò ha
dato impulso ad una gioielleria di uso diffuso e comune, di minore
valore intrinseco
15
, che segue la moda dei tempi.
L’avvento del metallo e dell’arte dell’oreficeria, dunque, consentì
di disporre di nuove e più durevoli forme di accumulazione di beni,
indipendenti dalla deperibilità cui sono soggetti i prodotti vegetali
ed animali, favorendo così la concentrazione della ricchezza e la
stratificazione sociale
16
.
1.2 L’oro e i gioielli nella società romana
Lo splendore dell’oro e degli ornamenti ha molto presto esercitato
la sua seduzione sugli abitanti del Mediterraneo e, fra questi, sui
Romani. I gioielli costituivano l’ornatus delle antiche romane.
Lo studio dei gioielli indossati dalle matrone romane acquista un
grande interesse anche dal punto di vista politico- sociale,
intrecciandosi con le vicende storiche e con la trasformazione
dell’economia e del costume pubblico e privato: lo studio dei
gioielli contribuisce a studiare l’antica società latina
17
.
Il primo incontro dei Romani con l’oro e con il lusso che ne derivò
si può far risalire all’epoca del regno di Tarquinio Prisco, cioè
all’avvento nel Lazio degli Etruschi, popolo ricco e progredito, che
commerciava con il mondo greco- orientale e fenicio. I Romani,
influenzati ed istruiti dagli Etruschi nell’arte della metallurgia,
dettero origine a quella prima fase del lusso che fu di carattere
pubblico, riservato cioè agli dei (oggetti di culto e doni votivi) o a
coloro che esercitavano poteri sovrani e di rappresentanza dello
Stato
18
: in un primo momento, infatti, solo i patres e unicamente
quando andavano in missione ufficiale all’estero (esercitando
quindi la carica di ambasciatori di Roma) potevano porre al dito un
anello d’oro al posto del comune sigillo di ferro, ma non appena
rientrati e tornati alla vita domestica riprendevano ad indossare
quest’ultimo
19
.