4
A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, il dibattito
sull’animalismo e più precisamente sull’uso strumentale degli animali
nell’industria alimentare, così come in campo medico-scientifico, assume un
posto di rilievo nelle discussione etico-filosofica, determinando un’estensione
della nostra coscienza morale al di là dei ristretti orizzonti antropocentrici entro
cui era tradizionalmente confinata. E’ proprio in tale contesto, quello delle lotte
di liberazione umana dalla schiavitù razziale e sessuale, che matureranno le
prime istanze animaliste e, conseguentemente, verranno gettate le basi per la
costruzione di quella che oggi viene chiamata un’etica interspecifica.
La riflessione filosofica si apre così, progressivamente, a riconoscere la
presenza di altri esseri viventi, gli animali, che hanno una propria identità
psicofisica e ci costringe a gettare lo sguardo oltre i confini della nostra specie,
alla riscoperta di quella dimensione non umana, troppo spesso dimenticata, in cui
altre forme di vita senziente, oltre la nostra, reclamano valore e dignità etica.
Nel corso dei capitoli in cui si articola questo studio prenderemo quindi in
esame la “questione animale”, nel tentativo di dimostrare come essa sospinga la
riflessione filosofica al di là di categorie di pensiero prevalentemente
antropocentriche, costringendola a riformulare, secondo modelli alternativi a
quelli del dominio e dello sfruttamento, il quadro dei rapporti tra l’uomo e
l’ampia sfera degli esseri senzienti non umani. E’ proprio su questo aspetto che
cercheremo di far luce, ponendo la nostra attenzione sulle teorie filosofiche dei
due più autorevoli rappresentanti dell’animalismo contemporaneo, Peter Singer e
Tom Regan. Nei capitoli seguenti svilupperemo in parallelo le teorie di questi
5
due filosofi, tentando un confronto serrato tra l’etica di liberazione animale
elaborata da Peter Singer e la teoria dei diritti animali di Tom Regan.
L’importanza speculativa di questi due filosofi risiede nel fatto che
entrambi stabiliscono una stretta analogia tra la condizione degli animali,
utilizzati per fini industriali o d’intrattenimento, e la condizione di quei gruppi
umani che nel corso dei secoli sono stati discriminati e ridotti in schiavitù a
causa del colore della loro pelle e più in generale della loro razza d’appartenenza.
Entrambi i filosofi sottolineeranno infatti come, sia nel caso della schiavitù
umana, sia nel caso della condizione animale, è presente lo stesso atteggiamento
di esclusione dal comune ambito dell’umanità nel tentativo di giustificarne e
legittimarne l’oppressione.
Stabilito questo parallelo tra la condizione degli animali e quella di alcuni
gruppi umani nel mondo, emerge chiaramente la rilevanza etico-filosofica e, al
tempo stesso, l’estrema attualità delle teorie di Singer e di Regan: l’istanza
animalista, lungi dall’invocare un rinnovato atteggiamento di generica
benevolenza e compassione nei confronti degli animali, determina una nuova
visione antropologica e, conseguentemente, una ridefinizione della nozione
stessa dell’umano, la cui autentica essenza consiste proprio in quella sua capacità
di oltrepassare la dimensione puramente biologica dell’appartenenza alla specie
homo sapiens, proiettandosi responsabilmente nei confronti dell’ampia sfera
degli esseri senzienti non umani.
In quest’ottica esamineremo le teorie animaliste di Singer e di Regan,
sottolineando come la “questione animale”, dal loro punto di vista, costituisca la
tappa finale di quel processo di civilizzazione che nel corso dei secoli si è
6
gradualmente esteso fino al riconoscimento di diritti e dignità etica a quanti ne
sembravano per natura esclusi: dagli schiavi alle donne, fino ai non umani.
Dopo aver delineato nel primo capitolo, la cornice storico-filosofica
all’interno della quale emerge e si sviluppa la tematica animalista, esamineremo
dunque, nei restanti capitoli, la “questione animale” alla luce delle teorie di
Singer e di Regan; in tale contesto filosofico dimostreremo come la “questione
della liberazione animale” (Singer) o dei “diritti animali” (Regan), lungi dal
costituire un fenomeno isolato che va a contrapporsi all’etica umana, ne
rappresenti invece lo stadio finale postulando l’esigenza, non più ulteriormente
rinviabile, di una rinnovata concezione dell’etica il cui campo d’azione non può
più rimanere vincolato (senza cadere in un atteggiamento specista), ai soli
rapporti intraumani.
Addentrandoci ulteriormente nella riflessione filosofica di Singer e di
Regan risulterà altresì evidente come la “questione animale” superi l’istanza
esclusivamente animalista, evitando così di assumere i connotati della pura
ideologia, che finirebbe per contrapporre ancora una volta, secondo una visione
dicotomica della realtà, l’uomo all’animale. Con le teorie filosofiche di Singer e
Regan approdiamo quindi ad una concezione più matura dell’animalismo,
espressione non soltanto di quei movimenti riformatori impegnati nel
riconoscimento di diritti agli animali, ma anche di una nuova concezione
dell’etica che estende la propria sollecitazione morale al di là del confine di
specie fino a comprendere sia gli esseri propriamente non umani, gli animali, sia
quelli considerati come tali.
7
Nei capitoli che seguiranno dimostreremo come la “questione animale”,
all’interno della prospettiva filosofica di Singer e di Regan, non si limiti a
chiedere maggiore rispetto e considerazione per il mondo animale, ma
contribuisca alla nascita di un’etica biocentrica che ponga al centro appunto la
vita, tenendo conto di tutte le forme che essa può assumere e non soltanto di
quella più evoluta.
Esaminando inoltre le teorie filosofiche a cui Singer e Regan fanno
riferimento (rispettivamente l’utilitarismo e la teoria dei diritti), dimostreremo
come, trattare con rispetto gli animali, non sia un atto di bontà dell’uomo che fa
appello ai suoi sentimenti più nobili, ma si ponga invece come una vera e propria
questione di civiltà, che si richiama a principi morali universali (il principio di
uguaglianza di tutti gli esseri viventi, il principio di giustizia e del rispetto), la
cui applicazione si estende razionalmente a tutti gli esseri senzienti, non soltanto
a quelli appartenenti alla specie homo sapiens.
8
Capitolo I
Capitolo I - IL DIBATTITO SULL’ANIMALISMO
9
1. La nascita del movimento di liberazione animale
La “questione animale” è una delle tematiche più ricorrenti su cui, negli
ultimi decenni, la riflessione filosofica si è concentrata, cercando di rispondere
all’interrogativo etico fondamentale di come debbano essere impostati i rapporti
dell’uomo con l’ampia sfera del mondo non umano
1
.
La problematica relativa al trattamento degli animali nasce, quindi,
all’interno del più ampio dibattito riguardante il rapporto uomo/ambiente,
conservando però una sua specificità nel perseguire, come obiettivo
fondamentale, il superamento di quella concezione dualistica ancora oggi
dominante, che contrappone l’uomo all’animale.
A partire dagli anni Settanta infatti, con l’approfondirsi della discussione
sui diritti della persona e delle minoranze e con lo strutturarsi del movimento
ecologista, il dibattito sulla tutela degli animali assume un ruolo centrale,
sottolineando una tendenza all’espansione della coscienza morale
2
al di là dei
ristretti confini della specie umana verso il restante mondo degli esseri senzienti.
Il dibattito sull’identità e il valore degli animali non è una novità del nostro
tempo; nella storia della filosofia non sono certo mancati illustri pensatori, che, a
favore o contro, hanno disquisito sulla dignità animale. Trattati in passato come
strumenti per i nostri fini o, al massimo, considerati come destinatari di un
atteggiamento di generica benevolenza umana, gli animali sono oggi entrati a far
1
Cfr. L. BATTAGLIA, Etica e diritti degli animali, Laterza, Bari 1997, p. 26.
2
Cfr. S. CASTIGNONE, Introduzione, in AA. VV. , I diritti degli animali, a cura di S.
Castignone, il Mulino, Bologna 1988
2
, p. 16.
10
parte, non senza accese e controverse polemiche, della nostra considerazione
morale
3
.
Nel nuovo scenario politico e sociale della seconda metà degli anni
Sessanta, caratterizzato dalla nascita di numerosi movimenti di liberazione che
lottavano contro ogni forma di schiavitù e discriminazione basata sulla razza, sul
sesso, sul ceto sociale d’appartenenza, maturano anche le prime istanze
animaliste, conseguenza diretta della riflessione sul brutale e ingiustificato
sfruttamento dei soggetti deboli della società.
Nel corso dei secoli, determinate categorie umane erano state equiparate
agli animali per giustificarne l’esclusione dalla comunità morale o, peggio
ancora, per legittimarne l’oppressione. La segregazione razziale in Sudafrica,
l’antisemitismo in Europa, la prigionia dei vari totalitarismi politici sono soltanto
alcuni degli esempi di rinnovata schiavitù che hanno afflitto l’epoca più recente.
Si è così andato delineando un parallelo tra la condizione di alcuni gruppi umani,
semplici “proprietà animate”, e quella degli animali, meri strumenti di ricerca per
i nostri scopi.
Nel clima di contestazione della seconda metà degli anni Sessanta si pone
come prioritaria l’esigenza di rispondere al problema cruciale di come formulare
un principio di uguaglianza in grado di costituire un effettiva barriera contro ogni
forma di discriminazione
4
.
Inizialmente alcuni movimenti sociali (degli operai, degli studenti, delle
3
L’atto ufficiale che segna la nascita della considerazione morale delle specie non umane, è la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’Animale, proclamata di fronte all’Unesco dalle leghe
protezioniste europee il 15 ottobre del 1978.
4
Cfr. P. CAVALIERI, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Bollati
Boringhieri, Torino 1999, p. 12.
11
donne, delle minoranze razziali e religiose), sorti negli Stati Uniti, come in
Europa, si fecero promotori di questa esigenza di uguaglianza, che in più parti
del mondo veniva ancora disattesa. Lottare contro la segregazione razziale o per
l’affermazione dei diritti e la dignità delle donne significava affermare che né la
razza né il sesso erano dei criteri moralmente rilevanti per determinare il tipo di
trattamento che doveva essere riservato agli individui.
Questa protesta contro il persistere di numerose forme di schiavitù che
soggiogavano e degradavano l’umanità si inseriva nel più ampio orizzonte
culturale di critica alla nascente società industriale del secondo dopoguerra, che
con i suoi meccanismi disumani e alienanti schiacciava e riduceva l’uomo ad
un’unica dimensione: quella economico-produttiva, nella quale l’individuo
diventava un mero oggetto al servizio delle autorità politiche, sociali, culturali, di
volta in volta dominanti.
La Scuola di Francoforte assunse il ruolo di centro propulsore di questo
atteggiamento fortemente critico nei confronti della realtà sociale scaturita dalla
fine del secondo conflitto mondiale. Inaugurata nel 1924, fu negli anni Sessanta
e Settanta che le opere dei maggiori rappresentanti di questa Scuola,
Horkheimer, Adorno, Marcuse, diventarono il punto di riferimento dei vari
movimenti di contestazione
5
.
La minaccia della distruzione fisica dell’uomo e della natura, ad opera di
quella che Horkheimer aveva definito razionalità strumentale, divenne una
preoccupazione sempre più frequente nella riflessione filosofica di quegli anni e
5
Tra le opere degli autori suddetti, assunsero particolare importanza: M. HORKHEIMER,
L’eclisse della ragione (1947), T. W. ADORNO – M. HORKHEIMER, Dialettica
dell’illuminismo (1947), H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società
industriale avanzata (1964).
12
indirettamente determinò una maggiore attenzione per le questioni di etica
pratica. Riflettendo sul cambiamento repentino verificatosi nella riflessione
filosofica degli anni Settanta la Cavalieri scrive: “Sollecitati dalle richieste di
rilevanza della riflessione morale provenienti da diversi contesti sociali, molti
autori tornano a difendere l’idea che l’argomentazione abbia un importante ruolo
da giocare in etica, ed iniziano ad applicare gli strumenti teorici prodotti
dall’analisi linguistica ad un crescente numero di specifici dilemmi morali”
6
.
Una razionalità cieca rispetto agli scopi, come quella che si stava
affermando nella nascente società industriale, e il conseguente potere tecnologico
di cui l’uomo per la prima volta si trovò a disporre, fecero prendere coscienza
della vulnerabilità della natura e quindi dell’uomo stesso che in questa natura
aveva fissa dimora.
Alla fine degli anni Settanta, Hans Jonas sottolineerà le conseguenze
nefaste di un potere tecnologico che alla massima capacità intorno ai mezzi
sembrava unire un minimo di sapere intorno agli scopi
7
, e insisterà sulla
necessità di abbandonare l’etica tradizionale, incentrata esclusivamente sui
rapporti interumani, per abbracciare un’etica della responsabilità in cui il dovere
verso l’uomo è essenzialmente il dovere verso il futuro dell’uomo: verso la
biosfera, verso le generazioni future
8
.
6
CAVALIERI, La questione animale, pp. 16-17.
7
Cfr. H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P.
Portinaio, tr. it. di P. Rinaudo, Einaudi, Torino 1993
2
, p. 31.
8
“Il futuro dell’umanità costituisce il primo dovere del comportamento umano collettivo nell’era
della civiltà tecnica divenuta, modo negativo, ‘onnipotente’. In esso è evidentemente incluso il
futuro della natura in quanto condizione sine-qua-non (…) possiamo trattare entrambi i doveri
come se fossero uno solo, ricorrendo al concetto guida di dovere verso l’uomo, senza per questo
cadere in una visione riduttiva antropocentrica” (Ivi, p. 175).
13
La filosofia non poteva più ignorare le vecchie e nuove forme di schiavitù
che costantemente violavano i diritti fondamentali dell’individuo, e soprattutto
non poteva più ignorare la minaccia, sempre più concreta, di un potere
tecnologico che, nei suoi diversi campi di applicazione (manipolazione genetica,
sperimentazione sugli animali, biotecnologia, ecc.), negava la dignità degli esseri
viventi e li riduceva a semplici strumenti in funzione di un progresso scientifico
cieco e irrazionale.
In questo complesso panorama culturale, l’etica tradizionale, intesa come
dottrina del bene morale e della legge universale, lascia il posto ad un’etica
applicata alle concrete problematiche sollevate dalle nuove aree di interesse
pubblico (medicina, ambiente, biotecnologie).
Ai problemi ambientali dell’alterazione dell’atmosfera o dell’esaurimento
delle risorse naturali, ai problemi del sempre più minaccioso controllo dell’uomo
sulla vita e la morte, non si poteva rispondere facendo riferimento ad un astratto,
per quanto valido, principio etico; in questo contesto, quello degli anni Settanta,
nasce l’etica applicata al regno della vita, la bioetica.
La bioetica determina un’estensione del tradizionale orizzonte morale non
più confinabile all’interno della nostra specie. “Poiché la bioetica è l’etica
applicata al regno della vita, essa riguarda tutto ciò che è vivente, umano e non
umano (…) Accanto alla bioetica medica e a quella ambientale vi è, dunque, una
bioetica animale che si occupa degli aspetti morali delle relazioni dell’uomo con
i non umani e, quindi, dei diritti degli animali”
9
.
9
BATTAGLIA, Etica e diritti degli animali, p. XIII.
14
Da questo momento, si incomincia a parlare di animalismo, non più
soltanto in riferimento ai vari movimenti impegnati nella difesa dei diritti degli
animali, ma come settore specifico di indagine che si occupa delle problematiche
riguardanti la relazione di interdipendenza che unisce l’uomo alla restante sfera
degli esseri senzienti.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale, proclamata dalle
varie leghe protezioniste europee davanti all’Unesco nel 1978, conferma
l’attenzione della riflessione filosofica nei confronti del rapporto dell’uomo con
le altre specie. Il documento afferma non soltanto il diritto all’esistenza degli
esseri non umani, includendoli ufficialmente nella comunità morale, ma
sottolinea anche lo stretto legame che intercorre tra la specie umana, gli animali e
l’ambiente naturale.
Nel preambolo alla suddetta Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Animale, si legge: “ogni animale ha dei diritti (…) il disconoscimento e il
disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l’uomo a
commettere dei crimini contro la natura e gli animali (…) il riconoscimento da
parte della specie umana del diritto all’esistenza delle altre specie animali
costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo (…) il rispetto
degli animali da parte dell’uomo è legato al rispetto degli uomini tra loro”
10
.
In queste righe emerge il rapporto di reciproco condizionamento tra gli
organismi viventi che compongono la “comunità naturale” nell’ottica di quella
visione sistemica che è propria dell’etica ecologica. Molti degli articoli della
Dichiarazione, infatti, insistono proprio su questo legame di interconnessione tra
10
Per un approfondimento della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’animale, cfr. AA. VV.,
I diritti degli animali, a cura di S. Castignone, pp. 33-34.
15
gli esseri viventi, mostrando come la tematica animalista non possa essere
separata da quella più generale del rispetto di ogni forma di vita inclusa quella
vegetale.
Nell’articolo 11 si legge: “Ogni atto che comporti l’uccisione di un
animale senza necessità è un biocidio, cioè un delitto contro la vita”. Di seguito
l’articolo 12a) afferma: “Ogni atto che comporti l’uccisione di un gran numero di
animali selvaggi è un genocidio, cioè un delitto contro la specie. b)
L’inquinamento e la distruzione dell’ambiente naturale portano al genocidio”
11
.
Dagli articoli sopra esaminati relativi ai diritti degli animali, l’istanza
animalista viene a configurarsi come una problematica che nasce all’interno del
più ampio panorama ecologico-ambientale; agli animali vanno riconosciuti diritti
perché anch’essi, facendo parte di quella grande “comunità biotica” che
comprende, secondo una rete di rapporti orizzontali tutti gli organismi viventi e
non, contribuiscono al mantenimento di quell’equilibrio biosferico su cui tanto
hanno insistito i sostenitori della “Deep Ecology”
12
.
Senza addentrarci nella distinzione fra “Deep” e “Shallow Ecology”, su cui
torneremo nel terzo paragrafo, occorre sottolineare che i vari movimenti di
liberazione animale, sempre più numerosi a partire dagli anni Settanta,
rivendicarono piena autonomia dalle posizioni ecologiste, rimarcando la
specificità della propria causa. Essi altresì contribuirono alla nascita di quella che
oggi si chiama etica di liberazione animale che fa degli esseri senzienti dei
11
Ivi, p. 35.
12
Per i concetti di “comunità biotica”, “equilibrio biosferico” e “Deep Ecology” cfr. AA. VV. ,
Etiche della terra. Antologia di filosofia dell’ambiente, a cura di M. TALLACCHINI, Vita e
pensiero, Milano 1998, pp. 17-29.
16
soggetti di diritto, in contrapposizione all’etica della responsabilità umana, per
la quale gli esseri senzienti sono destinatari di doveri.
La rinnovata considerazione etico-filosofica per la tematica animalista è
testimoniata non soltanto dal proliferare delle numerose organizzazioni politiche
e sociali impegnate in questa causa, ma anche dalla comparsa, sempre più
frequente, di libri-denuncia contro la vivisezione, gli allevamenti intensivi e più
in generale, lo sfruttamento animale.
E’ nell’ambito della cultura angloamericana degli anni Sessanta e Settanta
che si comincia a diffondere l’idea di un’etica di liberazione animale, soprattutto
in seguito alla pubblicazione di alcuni scritti che sono diventati il manifesto
ideologico di tale etica.
Animal Machines (1966) di Ruth Harrisson, Victims of Science (1975) di
Richard Ryder, Animal rights (1976) di Andrew Linzey, The moral status of
animals (1977) di Stephen Clark, sono soltanto alcuni esempi degli scritti che in
questo periodo annunciano quella liberazione animale che troverà in Peter
Singer il suo più autorevole rappresentante e fondatore.
In alcuni di questi scritti per la prima volta emerge, in maniera realistica e
crudele, l’atteggiamento fortemente discriminatorio dell’uomo nei confronti
degli esseri di specie diversa dalla propria, che, per questa ragione, sono
considerati inferiori. In particolar modo sarà Richard Ryder a far aprire gli occhi
sulle nefandezze non più tollerabili di una scienza moderna incurante e
indifferente di fronte alla tortura fisica e alla sofferenza psicologica di esseri
senzienti come noi, la cui unica colpa è quella di non appartenere alla specie
homo sapiens.
17
In analogia a razzismo e sessismo, Richard Ryder conierà il nuovo termine
di specismo
13
per indicare che, così come la razza e il sesso non sono criteri
eticamente rilevanti per determinare il tipo di trattamento che dobbiamo riservare
agli individui, allo stesso modo, la specie di appartenenza non può essere
considerata una caratteristica eticamente rilevante in relazione alla quale
giustificare il nostro comportamento discriminatorio nei confronti dei non umani.
Il termine specismo suggerisce un parallelismo tra gli atteggiamenti degli
uomini verso gli animali non umani e gli atteggiamenti dei razzisti verso i
membri di una razza che considerano inferiore. In entrambi i casi, c’è un gruppo
interno che giustifica lo sfruttamento da esso operato nei confronti di un gruppo
esterno sulla base di una distinzione che in realtà è priva di significato morale.
La “liberazione animale” si pose quindi, agli occhi dei teorici animalisti,
come un passo immediatamente successivo alla liberazione umana dal razzismo,
dal sessismo e più in generale dallo schiavismo, sottolineando così, come farà
Peter Singer, la necessità, tipica di qualsivoglia movimento di liberazione, di un
continuo allargamento dei nostri orizzonti morali al di là dei confini della nostra
specie verso quegli esseri senzienti che condividono con noi umani l’interesse
primario a non soffrire.
“Un movimento di liberazione esige – scrive P. Singer – un’espansione dei
nostri orizzonti morali ed un’estensione o reinterpretazione del fondamentale
principio etico di uguaglianza”
14
.
13
Cfr. R. RYDER, Animal Revolution: Changing Attitudes Towards Speciesism, Blackwell,
Oxford 1989.
14
P. SINGER, Il movimento di liberazione animale: la sua filosofia, le sue conquiste e il suo
futuro, tr. it. di P. Cavalieri, A. Pillon, Sonda, Torino 1989, p. 8.