Non si può infatti cogliere appieno il senso di alcune importanti
trasformazioni sociali ed economiche che hanno investito, seppur in maniera
diseguale, le sub aree della provincia, senza prima averne attentamente analizzato
le premesse storiche, sia in ambito locale che nazionale. Le traiettorie lungo le
quali passa lo sviluppo di questa regione del Mezzogiorno hanno toccato, a
partire dai primi anni Cinquanta, solo le aree che meglio si prestavano - per
ricchezza di risorse, migliore localizzazione geografica o maggiore dotazione di
infrastrutture - ad accogliere insediamenti umani ed economici, lasciando il resto
del territorio ai margini di ogni logica di progresso. Il percorso storico si snoda
lungo i passaggi consueti di uno sviluppo economico squilibrato, con tradizionali
punti di svolta quali le politiche di sviluppo della grande impresa pubblica degli
anni Sessanta, l'emigrazione come unica alternativa ad una disoccupazione
strutturale, l'ipertrofia della pubblica amministrazione da Stato assistenziale degli
anni Ottanta, fino all'affermazione della piccola e media impresa privata negli
anni Novanta.
Focalizzare direttamente l'attenzione sulla provincia di Matera senza prima
considerare la visione d'insieme, l'ambito regionale, potrebbe quindi condurre ad
un'analisi incompleta, in quanto l'assenza di termini di confronto o,
semplicemente, la mancanza di una analisi a tutto campo, portano a valutare le
problematiche che emergono dall'indagine, oltre la loro giusta dimensione,
inquadrabile nella difficile situazione economica in cui versa l'intero
Mezzogiorno d'Italia. Il primo capitolo, pertanto, si occupa principalmente di
illustrare le condizioni socio-economiche in cui versa la Lucania negli anni
Cinquanta. Una regione povera di infrastrutture (strade e ferrovie sono carenti,
ma anche acqua, elettricità e fognature sono ancora poco diffuse), chiusa in uno
stato di isolamento e di immobilismo che non riesce a spezzare, dedita in misura
assoluta ad un'agricoltura che altro non può offrire se non l'indispensabile per
l'autoconsumo. Solo la Riforma agraria e gli investimenti della Cassa per il
Mezzogiorno riescono ad affrancare il sistema agricolo regionale da un latifondo
estremamente improduttivo e a migliorare l'area territoriale agricola più
promettente, una pianura metapontina appena bonificata dagli acquitrini e dalla
malaria. Essenziali allo svolgimento del capitolo i contributi delle opere di Lida
Viganoni (Lo sviluppo possibile. La Basilicata oltre il Sud, 1997) e di Gennaro
Biondi e Pasquale Coppola (Industrializzazione e Mezzogiorno. La Basilicata,
1974).
Quest'ultima opera costituisce anche la risorsa più importante, per notizie,
dati e considerazioni, per la trattazione dell'argomento del secondo capitolo, gli
investimenti industriali statali degli anni Sessanta. In questo ci si sofferma
fondamentalmente sulla descrizione delle fasi di insediamento delle grandi
aziende petrolchimiche Anic e Pozzi (divenuta successivamente Liquichimica)
nella Val Basento, stretta vallata pianeggiante compresa tra i comuni di Pisticci e
Ferrandina. L'industrializzazione di quest'area ben delimitata della provincia di
Matera ha delle profonde e benefiche ricadute sulla popolazione locale in termini
di opportunità di lavoro e miglioramento del tenore di vita. Ciò porta la Val
Basento a crescere economicamente e ad emergere dal tessuto regionale quale
area ricca e promettente, unica nella provincia, a parte il capoluogo, a dotarsi di
infrastrutture degne delle migliori realtà meridionali.
Il terzo capitolo affronta invece le problematiche del settore primario
dell'economia provinciale, un'agricoltura in rapida trasformazione che, pur
interessando la vasta area pianeggiante del Metapontino, non riesce a
promuovere un adeguato rinnovamento delle attività ad essa collegate. Pertanto
l'esile struttura dell'industria alimentare viene ad essere rappresentata soltanto dai
lontani e tradizionali pastifici di Matera e da una piccola azienda di liquori in
quel di Pisticci, l'Amaro Lucano, in fase di promettente sviluppo.
Gli anni Ottanta segnano per l'economia della provincia di Matera un
momento di sostanziale passaggio da una fase industriale rappresentata da poche
grandi iniziative statali ad un nuovo ridimensionato sistema, costituito da poche
piccole aziende manifatturiere in crescita, da una parallela caduta
dell'occupazione agricola e da un'esplosione del terziario. Il quarto capitolo
esamina quindi da vicino le cause e le modalità della crisi industriale che colpisce
principalmente il polo chimico della Val Basento, passando poi ad occuparsi
delle altre anomalie del sistema economico provinciale, rappresentate dalla
crescita di una disoccupazione interna che trova unico sfogo nell'impiego nel
terziario pubblico (con conseguente aumento della dipendenza regionale dai
finanziamenti esterni) e da un curioso sviluppo delle imprese edili, non
riscontrabile nel resto del paese. Nell'affrontare il paragrafo dedicato al
ridimensionamento della Val Basento, data la complessità dell'argomento e la
scarsezza di opere relative ad esso, ci si è serviti della testimonianza di soggetti
che in prima persona, seppur su posizioni diverse, vi hanno partecipato
attivamente, così da poterne dare un'interpretazione il più fedele ed obiettiva
possibile.
Il quinto capitolo è dedicato completamente a Matera, microcosmo a parte
nella provincia, un'isola di relativo benessere dovuto sostanzialmente alle
raggiunte dimensioni urbane ed alla vicinanza della provincia di Bari, con la
quale è meglio collegata rispetto al resto della provincia lucana. Matera, città che
negli anni Novanta ha saputo rilanciare i Sassi (passati da vergogna nazionale a
patrimonio dell'umanità dell'Unesco), propone una nuova immagine di cittadina
dinamica (numerose sono le aree di insediamento produttivo di cui dispone), ma
soprattutto vede crescere la propria forza economica (qui ha sede il principale
distretto italiano del mobile imbottito, aziende di altri importanti settori come
Barilla e Parmalat nell'alimentare e Breda nelle costruzioni ferroviarie operano
da tempo sul suo territorio). Il quarto paragrafo del presente capitolo racchiude
probabilmente i contenuti essenziali del lavoro di ricerca svolto: emerge
inevitabile la contrapposizione tra un modello di sviluppo, quello manifatturiero,
che prepotentemente si impone trainato da una coraggiosa imprenditoria locale, e
il modello di sviluppo, adottato in passato, a base di continue iniezioni di capitale
pubblico finalizzate a sostenere una grande impresa esterna (ad alta intensità di
capitale e a bassa di manodopera) estranea alle problematiche e alle esigenze del
territorio lucano.
Per la realizzazione di questo capitolo (il quinto) e del successivo, non
esistendo una documentazione sufficientemente aggiornata sull'attività delle
aziende che attualmente operano nella provincia, è stato necessario effettuare una
ricerca diretta sul campo, realizzata mediante la formulazione di un questionario
presentato a 23 tra le principali società dell'intera provincia. Con i dati raccolti
mediante tali questionari e grazie anche alla collaborazione diretta offerta dai
dirigenti di alcune società (tra le altre cito e ringrazio Amaro Lucano, Breda-
Ferrosud, Tecnoparco Valbasento, Snia, Nicoletti, Calia) è stato possibile
realizzare dei profili grafici riassuntivi dell'attività delle singole imprese in base
ad elementi quali il mercato di destinazione dei prodotti, la provenienza delle
materie prime e delle tecnologie, la provenienza dei dipendenti (sintomatica del
grado di integrazione dell'impresa con l'ambiente in cui opera) ed anche i mezzi
di trasporto adoperati. La scelta di proporre profili grafici delle imprese
menzionate nasce dalla convinzione che l'interpretazione immediata che la
visione di un grafico offre sia più esauriente di una serie di dati numerici elencati
di volta in volta.
L'ultimo capitolo propone una panoramica aggiornata delle strutture
economico-produttive nel resto della provincia. Si parte con l'analisi della
situazione attuale in Val Basento: un deciso rilancio delle attività chimiche
interessa il nucleo industriale lucano, il quale assume la funzione nuova di area
policentrica, ossia di area destinata all'insediamento ad all'integrazione di
molteplici attività collegate tra loro e non più come in passato localizzazione di
un'unica grande iniziativa. Le imprese del gruppo Snia (Nylstar in prima linea),
ma anche Tecnoparco Valbasento, Freudemberg Politex, Ergom, Inca ed altre
sembrano rappresentare una realtà dinamica e concreta, capace di rinnovarsi
continuamente e di durare nel tempo.
Un grosso contributo all'analisi della struttura occupazionale e degli
indicatori demografici della provincia di Matera proviene dalle pubblicazioni
dell'Istat, senza le quali sarebbe impossibile dimostrare come i livelli di
disoccupazione varino sensibilmente nel tempo all'interno di un territorio che
vede l'entroterra collinare soffrire una cronica assenza di occasioni di lavoro al
contrario del capoluogo di provincia e della pianura metapontina, i quali invece
registrano livelli più vicini alla media nazionale; allo stesso modo l'emorragia che
in termini di popolazione colpisce i medesimi centri interni a favore di Matera o
delle zone costiere non sarebbe confortata da elementi adeguati se non
occorressero in aiuto i dati censuari periodicamente pubblicati dall'Ente statistico.
Detto ciò, l'ultimo argomento affrontato in questa sede è l'analisi delle
strutture ricettive di un turismo le cui potenzialità risultano ancora
sostanzialmente inesplorate, in parte a causa del mancato adeguamento
dell'offerta turistica a quelle che sono le esigenze del turista italiano medio
(anche se strutture ricettive rivolte ad una clientela selezionata, d'elite, stanno
conoscendo un indiscutibile sviluppo), in parte alla mancata promozione nel
paese delle numerose attrattive naturali e culturali che arricchiscono questa
ancora poco conosciuta area del Mezzogiorno.
Capitolo 1
La Basilicata negli anni Cinquanta
“Cristo si è davvero fermato a
Eboli, dove la strada e il treno
abbandonano la costa di Salerno e il mare,
e si addentrano nelle desolate terre di
Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né
vi è arrivato il tempo, né l’anima
individuale, né la speranza, né il legame tra
le cause e gli effetti, la ragione e la
Storia...”. Carlo Levi.
1.1 Dopoguerra: condizioni geoeconomiche della Basilicata.
L’immagine che oggi offre una regione come la Basilicata non contempla
probabilmente attributi quali benessere economico, pieno impiego delle risorse,
massimizzazione dell’efficienza o trasparente gestione della cosa pubblica.
Certamente si può considerare il generale stato di arretratezza nei confronti delle
zone più sviluppate del Paese quale caratteristica non di questa singola regione,
ma dell’intero Meridione del nostro Paese. È anche vero, però, che all’interno
dello stesso concetto di arretratezza si possono scorgere differenze e peculiarità
che rendono unico e distinto un fenomeno apparentemente omogeneo. La
Basilicata è una regione che ricava questa unicità dalla sua particolare storia (che
l’ha vista illustre nello splendore delle colonie greche e miserevole in epoche più
recenti tanto da ribattezzarla terra di briganti) e dalla caratteristica morfologia
del suo territorio che, nonostante abbia assistito alla distruzione delle sue
splendide foreste per mano dell’uomo, ha paradossalmente determinato
l’isolamento delle genti che vi abitavano.
Ma se le condizioni attuali di questa regione testimoniano assetti economici
precari, cosa dire allora di come si presentava la Basilicata nell’immediato
dopoguerra?
“La regione bloccata nella sua civiltà contadina”, che “sconta il prezzo del
suo isolamento”, la “terra delle tre piaghe” - malaria, frane e terremoto - e dello
“sfasciume geologico”
1
, sono solo alcune delle immagini destinate a diventare
nel tempo scomode etichette ed imbarazzanti luoghi comuni. In effetti, la
Basilicata dei primi anni Cinquanta - o meglio Lucania, se si vuole utilizzare il
nome più antico, dato a questo territorio addirittura dai primi coloni greci
2
- è
realmente la terra delle tre piaghe: malaria, frane e terremoti da sempre
affliggono questa terra così desolata e, ciò nonostante, così modificata dalla
mano dell’uomo. La malaria e le frane infatti altro non rappresentano se non il
risultato di un miope sfruttamento delle abbondanti risorse naturali a vantaggio di
1
Definizioni riprese da Lida Viganoni in AA. VV., Lo sviluppo possibile. La Basilicata oltre il Sud,
E.S.I., Napoli 1997.
2
Come racconta Raffaele Giura Longo, «dall’Irpinia queste popolazioni tracimarono in Lucania e qui
vennero in contatto con gli insediamenti greci già stabilitisi soprattutto sulla costa. L’incontro creò
rapporti di più o meno pacifica convivenza, e furono proprio i Greci ad indicare questi loro vicini con il
nome di Lucani, traducendo nella loro lingua nient’altro che lo stesso vocabolo osco: Lukos in greco sta
a significare il lupo, cioè l’animale dei boschi che in lingua osca corrispondeva esattamente a Irpo».
Brano tratto da L’illusione della buona terra di Raffaele Giura Longo, in Viganoni L. (a cura di), Lo
sviluppo possibile, La Basilicata oltre il Sud, E.S.I., Napoli 1997. Secondo Bernard Kayser, inoltre,
«Lucania è l’identificazione popolare, Basilicata la denominazione accademica e burocratica», da La
svolta degli anni Cinquanta: una testimonianza, di B. Kayser , in Viganoni L. (a cura di), Lo sviluppo
possibile. La Basilicata oltre il Sud, E.S.I., Napoli 1997.
sparuti ed isolati insediamenti umani. Inoltre «l’impaludarsi dei fiumi nella piana
jonica, l’accentuarsi del loro carattere impetuoso e devastatore dovuto al
progressivo diboscamento, l’insorgere della malaria, divenuta endemica fino ad
anni recenti, e la ricerca della sicurezza indotta [...] dagli assalti dei briganti,
provoca l’abbandono dei centri costieri e di quelli situati nei fondovalle e il
conseguente ritiro delle popolazioni in posizione elevata, più salubre e sicura»
3
.
Questo processo ha portato alla forma di insediamento umano a cocuzzolo tipica
di questa regione e rappresentativa dello stato di isolamento materiale e culturale
che regna in Lucania ancora all’inizio degli anni Cinquanta.
Tipico insediamento urbano a cocuzzolo: Rotondella.
Foto: Manolio.
Se la malaria, debellata con le opere di bonifica della pianura metapontina,
ha costretto la popolazione a rifugiarsi in villaggi arroccati sulla sommità delle
3
Brano tratto da Amoruso O., Carparelli S., Mannella S., La Basilicata, Fabbri, Milano 1984.
colline interne della regione, la deforestazione, cominciata nella seconda metà del
secolo scorso e proseguita fino ai primi decenni dell’attuale, ha provocato pesanti
conseguenze sotto forma di frane e dissesti idrogeologici costituendo secondo
molti “la più pesante manomissione di questi ultimi due secoli sul territorio
regionale”
4
. Comuni come Pisticci e Craco, sorretti da fragili strutture argillose
segnate da profonde incisioni calanchive, sono a rischio a causa del
depauperamento boschivo e vedranno, negli anni a seguire, minacciata la loro
stessa esistenza; ma anche su altri comuni dell’interno come Senise, Ferrandina,
Oppido Lucano, incomberà inesorabile il pericolo frana.
Le conseguenze della frana di Pisticci nel 1974.
Foto tratta da Giuseppe Coniglio, La chiesa madre di Pisticci, Pro Loco Pisticci, Pisticci 1997.
4
Da Lo scenario della fragilità di Federico Boenzi, in Viganoni L. (a cura di), Lo sviluppo possibile, op.
cit.
La piaga terremoto, nota dolente del nostro territorio perchè sempre foriera
di immani distruzioni umane e materiali, non è, come si potrebbe pensare,
fenomeno recente e inatteso. Nel corso dei secoli sismi di intensità medio-
elevata, ma dalla carica distruttiva enorme, hanno tormentato la popolazione
lucana dei versanti montuosi potentino ed irpino situati nel nord-ovest della
regione. Basti pensare ai terremoti che colpirono Potenza e le zone limitrofe nel
1694 (300 case distrutte ma fortunatamente solo 5 morti perchè avvenne di
giorno, quando la maggioranza della popolazione era fuori di casa), nel 1826
(crollarono molte abitazioni), nel 1851 (morirono 671 persone in Basilicata) e nel
1857 (fortemente distruttivo, nella notte del 16 Dicembre fece 9.732 vittime nella
provincia di Potenza)
5
.
Con queste credenziali, quindi, la Basilicata si presenta agli occhi di un
qualsiasi osservatore esterno come una regione estremamente inospitale, quasi
chiusa ermeticamente in uno stato di apparente immobilità che solo gli agenti
naturali, di volta in volta, riescono drammaticamente a turbare.
5
I dati e le notizie sui terremoti sono tratti dal saggio di Maurizio Leggeri, Di là dalla paura: esperienze
pilota in Viganoni L., Lo sviluppo possibile. La Basilicata oltre il Sud, op. cit.
1.2 Ritardo nello sviluppo regionale.
«Che ci si trovi a Matera, piccola città in formazione, a Tricarico o nelle
altre borgate dell’ambiente rurale, lo spettacolo della strada, e soprattutto della
piazza, mi immerge nella realtà leviana della vita quotidiana. La sera, i
galantuomini camminano ancora su e giù, sotto i loro mantelli neri, nello spazio
che si sono riservati. La mattina i braccianti, interminabilmente in piedi e
immobili, aspettano senza molta speranza che venga il padrone a dare lavoro [...]
ad alcuni di loro»
6
. Questa bellissima ricostruzione d’epoca della vita quotidiana
dei centri urbani lucani testimonia molteplici aspetti della società rurale e del suo
semplice funzionamento. Il lavoro per la maggioranza della popolazione è
precario e stagionale e l’agricoltura rappresenta l’unica attività in grado di
assicurare un sia pur minimo livello di sussistenza. Esiste una gerarchia sociale
che nettamente divide la popolazione in poveri manovali, che prestano il loro
lavoro dietro compensi iniqui, e ricchi nobili, professionisti, proprietari terrieri,
che quasi vivono di rendita.
6
Queste immagini fanno parte dei ricordi di viaggio di Bernard Kayser della Basilicata nella metà degli
anni Cinquanta e sono tratte da La svolta degli anni Cinquanta: una testimonianza, di Bernard Kayser in
Viganoni L., Lo sviluppo possibile. La Basilicata oltre il Sud, op. cit..
Matera. Momenti di vita quotidiana.
Fonte: Unione degli Industriali della provincia di Matera, 50 anni di Industria nel Materano 1945-1995.
È una regione prevalentemente agricola la Basilicata alle soglie degli anni
Cinquanta ma, se di agricoltura si tratta, questa ha caratteristiche ben lontane da
un’attività non solo in grado di produrre ricchezza, ma ancor più di assumere una
certa importanza a livello commerciale. Il peso degli occupati nel settore
raggiunge il 73% della popolazione attiva
7
, ma l’attività complessivamente
«produce il 60% del reddito, si caratterizza per la marcata presenza di un
latifondo molto esteso, per l’arretratezza degli orientamenti colturali, per le
pratiche agricole ancora arcaiche, per il dilagare della malaria su molta parte dei
suoli potenzialmente migliori»
8
.
7
Dato ripreso da Cinquant’anni in salita, di Lida Viganoni in Lo sviluppo possibile, op. cit.
8
Ibidem.