Il fenomeno della globalizzazione implica l’interazione di dinamiche complesse
ed è caratterizzato dal comune confluire di processi non solo economici ma
anche politici, sociali e culturali; la ricerca di spazi globali si è verificata nella
storia per rispondere ad esigenze conoscitive ed esplorative oppure è legata
alla tendenza a trasmettere idee, valori e fedi religiose; ma il tema della
globalizzazione e l’analisi delle sue conseguenze occupano un ruolo di primo
piano nella storia dell’800 e del ‘900 perché è soprattutto in questo periodo che
le spinte globalizzatrici hanno trovato la loro massima diffusione grazie
all’apporto delle nuove tecnologie. Nell’analizzare la globalizzazione e il
rapporto tra Stati e globalizzazione, è essenziale tenere in considerazione il
fatto che economia, cultura, politica e società sono strettamente interdipendenti
e l’evoluzione di uno di questi fattori comporta la trasformazione degli altri. Per
gli studiosi del Gruppo di Lisbona presieduto da Riccardo Petrella, sono tre i
motori della globalizzazione: la liberalizzazione, la privatizzazione e la
deregolamentazione. I processi di globalizzazione in atto si muovono tra locale
e globale, in uno spazio definibile col termine di “villaggio globale” : i due termini
dell’enunciato si contraddicono a vicenda; il “villaggio” esprime qualcosa di
ristretto, mentre “globale” sta a significare l’intero pianeta. (McLuhan, 2001)
1.1.1 LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA
Con il termine globalizzazione economica ci si riferisce ad una struttura
primaria, ovvero quella di un mercato mondiale, cui sono connessi tutti gli altri
processi di globalizzazione. E’ possibile usare il termine globalizzazione per
definire la combinazione di processi economici che ha come effetti:
- la formazione di un mercato finanziario globale;
- l’aumento dell’incidenza delle nuove tecnologie per lo scambio di beni e
servizi;
- l’iperconcorrenza, ovvero un’accentuata competitività agevolata da processi
di liberalizzazione, deregulation e privatizzazioni;
- lo sviluppo di un’informazione che insieme al contemporaneo progresso dei
mezzi di trasporto unifica il mondo per ridurlo alla dimensione di “villaggio”;
- la perdita di rilevanza dello Stato o del sistema nazionale come punto di
riferimento fondamentale dello scenario economico nel nuovo assetto
globale. (Lafay, 1999)
Il fenomeno della globalizzazione non è omogeneo e presenta diversi indici di
globalizzazione degli Stati
1
. Il mondo si arricchisce con una rapidità mai
conosciuta prima e i paesi più popolati del pianeta, Cina e India, registrano ogni
anno percentuali di crescita economica del 7-10%.
Nella mappa settoriale delle grandi imprese, all’importanza del settore
finanziario fanno da contrappunto lo scarso rilievo delle attività tradizionali e
l’emergere di nuovi settori ai quali il mercato attribuisce una capitalizzazione, e
quindi un potere di iniziativa assai superiore a quello del passato. Si ravvisa una
forte tendenza alla concentrazione in quanto la capitalizzazione di mercato
aumenta. Il fenomeno più evidente è quello della de-nazionalizzazione
dell’economia, e cioè del fatto che anche i marchi di impresa, così come le
economie nazionali, divengono universalmente “fittizi”. (Hirst-Thompson, 2000)
Naturalmente la globalizzazione è un fenomeno reale. Gli investimenti e gli
scambi sono aumentati in modo veloce per cui le economie nazionali sono
divenute sempre più interdipendenti. Credo sia interessante conoscere
1
I “globalizzati” sono quei paesi che partecipano ai processi di globalizzazione; i “prossimi paesi” ad
essere globalizzati sono quelli che si stanno inserendo nell’economia globale; i “marginali” sono quei
paesi che sono esclusi da tali processi.
l’opinione di Krugman, economista di fama mondiale e attualmente docente alla
Massachussets Institute of Technology
1
. Egli ritiene che “sia la misura di questa
interdipendenza sia i suoi effetti sono solitamente sovrastimati e, almeno fra gli
intellettuali, esiste una forte tendenza a demonizzare il fenomeno e a negare
che la crescita degli scambi commerciali possa costituire un qualche vantaggio
per alcuno che non sia un capitalista”. (Krugman, 2001)
1.2 I distretti del nordest e la sfida della globalizzazione
La densa rete di collegamenti interni, con limitati canali di interazione verso
l’ambiente esterno, ha rappresentato un elemento distintivo e di valore dei
distretti, ampiamente enfatizzato negli studi in materia. L’impermeabilità non ha
dunque impedito, ma al contrario sostenuto, la riproduzione del vantaggio
competitivo dei distretti industriali.
D’altra parte, la questione della tenuta competitiva del modello di rete
localizzata chiusa si è riaperta a fronte della crescente globalizzazione dei
processi economici. A tal proposito, è necessario riconoscere che la natura
profonda della globalizzazione consiste nella progressiva estensione a scala
mondiale dei circuiti cognitivi rilevanti per le strategie competitive delle imprese
(Grandinetti-Rullani, 1996).
La strategia globale deve dunque consentire all’impresa di partecipare alla rete
globale di circolazione delle conoscenze, in modo che essa possa avere
accesso alla varietà potenzialmente disponibile su scala mondiale e possa
scegliere selettivamente il proprio posizionamento all’interno di questa varietà.
In effetti, nel corso degli anni ’90, i distretti industriali più dinamici e in
particolare quelli del Nord-Est, hanno sviluppato nuove modalità di apertura
1
MIT
internazionale. In termini generali, ciò che si osserva è il passaggio dalla rete
localizzata chiusa alla rete localizzata ampiamente permeabile all’ambiente
competitivo. Visto “dall’alto”, il nuovo distretto appare come un addensamento
locale, un nodo che incrocia una pluralità di reti globali. (Diamanti-Marini, 2001).
1.3 Gli agenti dell’apertura internazionale dei distretti
Il modo più immediato di percepire la permeabilità è l’osservazione dei
comportamenti strategici degli attori distrettuali, o meglio di alcuni attori,
rilevando la selettività dei fenomeni in discussione. Gli agenti e i percorsi
evolutivi attraverso i quali prende forma la proiezione internazionale dei distretti
compongono una tipologia articolata.
Alcune imprese distrettuali, segnatamente i gruppi di maggiore dimensione,
sono diventate delle vere e proprie global corporation, acquisendo al contempo
il ruolo di leader nel sistema produttivo locale. La catena e il sistema del valore
di queste imprese assumono una configurazione internazionale. Infatti, le
attività e le relazioni che rimangono nel distretto vengono integrate in un
disegno più complesso, che comprende: la delocalizzazione in varie forme di
alcune fasi della filiera produttiva, l’insediamento di attività commerciali nei
principali mercati esteri di sbocco, lo sviluppo di relazioni strategiche con
fornitori extra-distrettuali di servizi in attività come l’innovazione tecnologica, la
progettazione dei prodotti e il design, il marketing, i servizi finanziari. (Diamanti-
Marini, 2001)
Nell’ambito dei processi di networking attivati da grandi imprese transnazionali, i
distretti industriali specializzati hanno rappresentato in diversi casi un contesto
elettivo di investimento. L’investimento ha assunto la forma sia della creazione
di attività ex-novo che dell’acquisizione di imprese esistenti.
Piccole e medie imprese che operano nel mercato finale hanno intrapreso
strategie di nicchia ad elevata sostenibilità. Una tale opzione può venire fondata
sulla differenziazione spinta per segmenti circoscritti del mercato (nicchie
globali), oppure sulla capacità di realizzare prodotti specifici e appropriati in
relazione alle caratteristiche della domanda di particolari mercati-paese. In altri
casi, l’internazionalizzazione si regge sulla terziarizzazione commerciale della
piccola impresa manifatturiera, che modifica radicalmente il rapporto fra attività
produttiva e funzione commerciale a favore di quest’ultima, divenendo un
operatore di marketing per altri produttori industriali che non possiedono le
risorse/competenze per interfacciare direttamente il mercato finale.
Negli stadi intermedi della filiera distrettuale, aziende subfornitrici che hanno
sviluppato un significativo patrimonio di conoscenze e competenze
specialistiche nella realizzazione di un componente o di una fase di lavorazione
hanno ampliato il mercato di riferimento oltre i clienti distrettuali, diventando
subfornitori globali.
Talvolta il subfornitore evoluto viene a svolgere un ruolo più complesso:
organizza a monte una rete di subfornitori di primo livello e gestisce a valle
l’interfaccia con clienti industriali dispersi in ambito internazionale. In questi
casi, è evidente lo slittamento dal core di competenze di tipo produttivo a
competenze nel campo della progettazione dell’output, del supply chain
management , del marketing business to business.
Quando il distretto assume questa articolata configurazione inter-settoriale, la
sua internazionalizzazione diviene più complessa, in quanto include il
potenziale dinamismo di una pluralità di settori, che possono imboccare
percorsi di crescita internazionale in modo autonomo o collegato alle strategie
di imprese impegnate nella core production del distretto.
1.4 La scuola svedese di Uppsala
L’importanza attribuita al processo di apprendimento necessario per affrontare
l’espansione internazionale e il riconoscimento della decisione di
internazionalizzarsi come specifico atto imprenditoriale è propria in particolare
della scuola svedese di Uppsala.
In questo contributo teorico viene posto al centro il ciclo di apprendimento che
le imprese devono seguire per avviare l’internazionalizzazione delle proprie
attività.
Gli elementi innovativi introdotti dalla scuola svedese sono i seguenti:
• l’internazionalizzazione delle imprese (organizzativa e operativa) viene
concepita come un’innovazione schumpeteriana frutto del processo di
apprendimento sviluppato nel day-by-day con l’esplorazione dei nuovi
mercati e la scoperta delle opportunità che essi offrono;
• per far ciò le imprese non devono necessariamente essere dotate di
vantaggi originari né tanto meno occupare posizioni di leadership;
• il modello proposto è di tipo processuale, e prevede un ciclo di
apprendimento internazionale cui corrisponde un crescente coinvolgimento
dell’impresa nelle operazioni di internazionalizzazione. Il ciclo viene
suddiviso in stadi a cui corrispondono forme di coinvolgimento sempre più
dirette. Da uno stadio in cui le imprese iniziano ad entrare in contatto con i
primi mercati esteri tramite esportazioni irregolari, si passa ad uno
successivo in cui le esportazioni vengono svolte in modo più organizzato, ad
un altro ancora in cui si costituiscono filiali o sussidiarie commerciali. Per
finire poi con lo stadio in cui l’impresa prende la forma della multinazionale
completa che localizza impianti produttivi propri in più paesi;
• l’espansione internazionale richiede alle imprese delle conoscenze che sono
indispensabili per potenziare tale processo. Queste competenze aggiuntive
possono portare ad altri Investimenti Diretti Esteri (IDE) e all’ulteriore
rafforzamento della dimensione multinazionale dell’impresa. (Grassivaro,
2002)
Volendo riassumere il pensiero della scuola svedese possiamo dire che si ha
una prima fase dove l’azienda inizia un’attività di export occasionale, per
passare poi ad un export sistematico, più mirato e selettivo, frutto di ricerche di
marketing e affidato ad agenti in forma esclusiva. Step successivo è
l’insediamento di un ufficio commerciale all’estero, e quindi di una filiale
commerciale, che è una struttura più completa ed organizzata rispetto all’ufficio;
qui i 2/3 del fatturato dipendono dall’estero e l’impresa è più orientata verso i
mercati esterni che quelli interni. A questo punto,oltre alle strutture commerciali,
si aggiunge l’insediamento di una filiale produttiva; il processo di
mutinazionalizzazione è avvenuto e un ulteriore gradino si ha con la creazione
di una filiale sviluppata la quale svolge anche funzioni di R&S, demandando alla
casa madre soltanto compiti di coordinamento. Come si può notare, ad una
fase esportativa minoritaria, segue una fase di sempre più consistenti
investimenti all’estero, fino a raggiungere un interesse maggioritario fuori del
mercato domestico e ad assumere lo status di impresa multinazionale.
(Bettinardi, tesi di laurea)
1.5 Fattori che spingono le imprese verso i mercati mondiali
I fattori possono essere esaminati sotto vari punti di vista. Alcuni distinguono
tra stimoli interni alle imprese e stimoli esterni ad esse. Tra i primi si elencano in
particolare le capacità di marketing, la disponibilità di prodotti con caratteristiche
uniche (ossia la differenziazione), l’eccesso di capacità operativa.
Tra gli stimoli esterni si includono gli ordini provenienti da potenziali compratori,
l’emergere di opportunità di mercato, l’aumento della concorrenza nei mercati
locali e gli incentivi dello stato (sia di origine che ospitante).
L’elenco, molto lungo, è riassunto nello schema che segue:
I PRINCIPALI FATTORI E LE RISPOSTE DELLE IMPRESE
1. Emergere di segmenti di mercato “globali”
2. Differenze nel costo dei fattori produttivi
3. Il “sourcing” diffonde capacità e tecnologie
4. Sviluppo della concorrenza globale
5. Diversificazione dei rischi
6. Sviluppo nelle telecomunicazioni e nell’information technology
7. Progressi nei trasporti e in altre infrastrutture
8. Incentivi dei governi “ospitanti”
9. Ritmi di crescita più alti in altri mercati/opportunità/minacce
10. Sviluppo di aree economicamente e politicamente integrate
!
Le imprese reagiscono con nuove strategie, nuovi metodi di gestione e nuove
strutture dell’organizzazione.
CAPITOLO 2
IL SETTORE ORAFO NEL MONDO
2.1 Produzione mondiale di gioielli
Nel 1999 la produzione mondiale di gioielleria in oro ha superato le 3120
tonnellate, valore assoluto di rilievo, sebbene in diminuzione di quasi il 6%
rispetto al 1997.
Gli ultimi 2 anni, infatti, hanno scontato negativamente i problemi finanziari in
cui si sono dibattuti i paesi dell’ estremo Oriente. Oggi tali difficoltà sembrano in
buona parte superate come testimonia, tra l’altro, la ripresa della domanda di
gioielli in oro che le rilevazioni più recenti evidenziano. (World Gold Council,
2000)
Come documentano le cifre riportate nella tabella sottostante, la produzione
mondiale di gioielleria in oro ha sperimentato nel corso degli anni ’90 una
crescita notevole e quasi ininterrotta che si è concretizzata in un incremento dal
1989 al 1999 di quasi il 52% delle quantità prodotte. Si tratta di tassi di sviluppo
certamente non trascurabili, visto il grado di maturità raggiunto dal prodotto.
Tab. 1: Ripartizione geografica della produzione mondiale di gioielleria in oro compreso il
riciclaggio (in tonnellate di oro fino)
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998
Europa 634,1 653,0 683,5 650,7 644,4 658,9 650,3 726,6 771,1
Nord America 141,7 135,7 146,4 156,0 163,8 165,5 170,1 178,5 191,6
America Latina 62,4 69,4 73,5 76,4 92,5 87,8 93,7 103,4 107,6
Medio Oriente 382,2 397,7 504,8 477,8 397,5 493,8 535,5 710,8 649,2
Subcontinen-te
indiano
277,8 268,9 338,8 306,2 395,3 459,7 505,5 707,2 776,1
Estremo Oriente 561,5 613,6 733,3 642,3 654,7 659,6 639,3 619,7 410,3
Africa 42,8 43,8 43,9 32,8 32,7 35,7 36,0 37,7 34,3
Oceania 4,7 4,0 3,9 5,5 6,8 6,0 5,8 5,2 5,0
Cina 35,4 134,7 203,0 179,0 208,0 204,0 189,0 224,0 173,0
Unione Sovietica 45,7 36,9 29,2 26,0 21,9 20,2 25,3 29,0 27,0
Totale 2188,3 2357,7 2760,3 2552,7 2617,6 2791,2 2849,9 3342,0 3145,2
(Fonte: GFMS)
Come risulta chiaro dalla tabella, la produzione di gioielli in oro risulta
abbastanza diffusa in tutte le aree del mondo (con l’eccezione dell’Africa e
dell’Oceania). I maggiori poli produttivi, tuttavia, si trovano in Europa, ma
soprattutto in Asia, dove profonde valenze religiose e radicate tradizioni socio-
culturali, unite a modalità di investimento arcaiche, rendono la domanda di
oggetti in oro particolarmente sostenuta. In queste regioni, infatti, il gioiello in
oro non viene considerato un elemento ornamentale quanto piuttosto un
simbolo religioso o una forma di investimento. Non c’è da stupirsi, quindi, se tra
i maggiori produttori mondiali di oreficeria spiccano l’India, la Cina,la Turchia ,
l’Egitto e molti altri paesi del sud-est asiatico. (Gottardi-Scarso, 2001)
L’Italia occupa il secondo posto in termini di tonnellate prodotte, alle spalle
dell’India, seguita a netta distanza da Cina, USA, Arabia, Turchia, ed Egitto. In
effetti, dopo una lunga e ininterrotta permanenza al vertice delle classifiche
mondiali, l’industria orafa nazionale ha ceduto nel 1996 la propria supremazia
all’India, la cui produzione si è più che triplicata nel corso dell’ultimo decennio.
Se si escludono dall’analisi i dati del 1998 ( che a causa della crisi asiatica va
considerato un anno atipico), appare evidente come la perdita del primato da
parte delle nostre imprese sia da attribuirsi non tanto ad una riduzione della
quantità prodotta (che anzi nel periodo in esame è cresciuta del 45%) quanto al
prepotente affacciarsi sulla scena mondiale di nuovi competitors in grado di
erodere la quota detenuta dall’Italia.
Tab. 2: I primi 10 paesi produttori di gioielli in oro (tonnellate di oro fino)
1993 1994 1995 1996 1997 1998
Italia 259,0 346,0 400,6 427,8 594,0 682,6
India 441,0 435,0 446,0 439,0 500,0 535,0
Cina 179,0 208,0 204,0 189,0 224,0 173,0
USA 140,0 146,7 148,3 152,4 159,0 170,2
Arabia e
Yemen
147,5 127,1 153,1 154,1 200,3 164,6
Turchia 126,6 80,7 110,4 140,7 168,1 159,0
Egitto 49,3 55,8 60,5 69,0 122,7 117,8
Malesia 82,0 75,4 77,8 82,0 101,0 67,0
Hong Kong 85,0 83,0 82,0 79,0 100,0 65,0
Taiwan 127,8 114,2 102,0 91,0 87,0 65,0
(Fonte: GFMS)
Un esame puntuale evidenzia poi come negli ultimi anni abbiano abbandonato
le prime dieci posizioni nazioni quale il Giappone, la Thailandia e la Corea del
Sud a favore di altre come la Cina, la Malesia e Hong Kong. In generale si è
verificato un rafforzamento dell’area asiatica (complessivamente intesa),
contrassegnato da una ridistribuzione delle attività produttive all’interno della
stessa, soprattutto verso i paesi industrialmente meno sviluppati. (Gottardi-
Scarso, 2001)
2.2 Domanda mondiale di oreficeria
Alcune interessanti indicazioni relativamente alla domanda mondiale di prodotti
d’oro si ricavano dalle indagini trimestrali curate dal World Gold Council
1
i cui
risultati sono evidenziati nella seguente tabella:
tab.3- Domanda mondiale di prodotti in oro nei principali mercati* (1993-1999;tonnellate di oro
fino)
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
India 405,4 415 472,2 507,8 736,7 815 838,8
Pakistan 37,2 37,2 43,2 53,7 81,8 98,2 121,8
Cina 223,0 224,3 223,9 210,7 213,8 191,6 205,0
Taiwan 160,6 162,0 160,2 123,3 142,1 91,2 109,7
Hong
Kong
36,4 47,5 43,2 40,4 51,0 31,8 28,7
Tailandia 96,0 124,0 116,0 106,0 14,0 19,0 48,0
Singa-
pore
21,4 23,9 24,1 20,0 22,4 14,1 11,0
Corea del
sud
90,0 106,0 121,0 125,5 114,4 -162,5 118,5
Malesia 22,4 24,8 29,6 33,6 30,1 14,4 17,5
Indonesia 80,0 97,0 119,0 129,0 92,5 -40,0 136,0
Vietnam 31,0 35,0 36,0 41,0 45,0 44,0 53,0
Arabia 200,0 174,0 193,1 184,9 199,0 208,4 199,4
1
E’ un’autorevole organizzazione internazionale che ha lo scopo di stimolare e massimizzare la domanda
d’oro presso i consumatori, l’industria, gli investitori. (www.gold.org)
Saudita
Egitto 56,2 63,2 67,0 75,7 97,6 104,4 124,8
Stati del
Golfo
82,3 87,9 104,6 118,0 142,1 144,2 144,7
Turchia 159,9 80,8 139,4 153,0 202,0 172,0 139,0
America
Latina
94,0 97,0 85,0 100,0 107,0 119,0 126,6
USA 295,5 300,6 314,7 331,7 362,0 428,4 459,7
Italia 125,0 116,1 110,0 105,3 110,8 112,2 94,7
Francia 42,2 44,4 50,4 47,5 49,4 59,4 60,0
Germania 85,7 77,7 88,6 73,1 74,0 70,2 57,5
UK 38,6 41,1 46,2 47,1 58,8 66,8 62,2
Giappone 219,6 212,1 272,1 152,2 107,1 110,4 121,8
Totale 2605,4 2591,6 2864,5 2779,5 3053,6 2712,1 3278,4
* la domanda totale risulta sottostimata di circa il 15-20% in quanto non vengono rilevati i
consumi di alcuni mercati marginali dove il World Gold Council non ha sedi proprie, così come
non viene rilevata la domanda da investimento dei paesi occidentali.
(Fonte: WGC)
Si tratta di stime elaborate a partire dai dati sugli acquisti di prodotti in oro da
parte dei rivenditori, opportunamente integrati da informazioni ricavate dagli
istituti statistici nazionali. Le cifre tengono conto sia della domanda di gioielli
che di prodotti da investimento (monete, lingotti……).
Il 1999 si è dimostrato un anno estremamente favorevole per i consumi
mondiali di oro: non solo si è recuperato il calo dell’anno precedente, ma si è
raggiunta la cifra record di 3278,4 tonnellate. A trainare la domanda ha