5
L’obiettivo che questa ricerca si prefigge è quindi quello di ricercare i
momenti peculiari attraverso i quali i soggetti, nel corso della loro
carriera di insegnanti, hanno sentito di aver imparato qualcosa sul
proprio mestiere, utilizzando come punto di partenza le proposte
teoriche relative alla formazione degli adulti e degli insegnanti in
particolare.
L’intento di costruire una tipologia classificatoria di modalità di
apprendimento non esclude tuttavia un secondo e non meno
importante obiettivo.
Nell’ottica della ricerca- intervento, ricercatore e soggetto indagato
sono i due poli di una relazione che a fianco dell’intento conoscitivo
implica quello trasformativo: se al ricercatore è permesso di
convalidare o disconfermare attraverso i dati emersi la propria
impostazione teorica, una posizione non meno attiva spetta al soggetto
indagato.
Compito di quest’ultimo, affiancato e guidato nella riflessione
dall’autore della ricerca, è non solo rievocare momenti significativi
della propria esperienza, ma anche e soprattutto rileggere il proprio
materiale autobiografico alla luce di una rinnovata consapevolezza;
rievocare acquista quindi il significato di rileggere, reinterpretare,
scoprire strumenti nuovi ed esplicitare il già conosciuto in vista di un
suo nuovo e più consapevole utilizzo.
Per ciò che riguarda il metodo, esula dagli obiettivi prefissi l’esigenza
di quantificare le tipologie di apprendimento emerse; scegliendo di
utilizzare come modalità indagativa il racconto autobiografico dei
soggetti del campione, tipologia di analisi di stampo qualitativo, lo
scopo si concentra nel tentativo di focalizzarsi sulla comprensione
interna dei significati che gli intervistati assegnano ai propri
comportamenti e atteggiamenti, piuttosto che basarsi su procedure di
conferma esterne trattabili mediante variabili statisticamente
misurabili.
Le interviste in profondità sono state effettuate secondo la linea delle
storie di vita, incoraggiando il più possibile la libera descrizione delle
esperienze cruciali attraverso cui è costruita dal soggetto la propria
competenza professionale; ogni esperienza è stata poi classificata
all’interno di una scheda che ne descrive le variabili principali.
La variabile fondamentale presa in considerazione, la “modalità di
apprendimento”, ha permesso poi di rintracciare i temi comuni che
attraversano le varie storie, per trarre infine le conclusioni proposte.
6
1- INSEGNANTI
1.1 La figura professionale dell’insegnante: uno sguardo d’insieme
Sulla definizione del termine “insegnante” il linguaggio comune e
quello scientifico concordano, tendendo ad indicare non tanto chi
insegna occasionalmente, ma chi esercita quest’attività per professione
e con consapevolezza, distinguendosi in tal modo da tutte le altre
figure – un esempio per tutte, quelle genitoriali – che svolgono lo
stesso tipo di attività saltuariamente e più o meno consapevolmente.
L’insegnante è dunque colui che viene preparato e abilitato al compito
educativo; uno sguardo alla concezione dell’insegnamento attraverso i
secoli, a partire dagli scriba orientali e dai rapsodi greci, passando
attraverso i precettori ellenici dell’antica Roma per approdare ai
grandi professionisti dell’insegnamento cristiano, i monaci, e agli
insegnanti dei fiorenti collegi rinascimentali, ci parlano di una figura
caratterizzata da una precisa e riconosciuta professionalità,
contraddistinta da una forte aura di rispettabilità.
Volendo tracciare i contorni della professione docente, non si può fare
a meno di constatare come, a dispetto delle rappresentazioni del senso
comune, complessità e contraddizioni ne siano invece parte integrante.
Come rileva Ballanti (1983), una serie di elementi sono da sempre alla
base di questa figura professionale; alcuni di questi colgono
efficacemente nel segno nel descrivere le numerose sfaccettature del
mestiere dell’ insegnare.
1. Primo di questi è la dipendenza: non solo a livello sociale, ma
anche a livello scientifico ed operativo, l’insegnamento non è
mai stato esercitato come libera professione; salvo rare
eccezioni, individuabili nel precettorato a domicilio,
all’insegnante non è mai stato concesso di fissare liberamente
obiettivi, procedure, tempi e metodi del proprio lavoro. Al
contrario, ha sempre subito, a fianco della più generale
imposizione di finalità ultime, anche quella di obiettivi
prossimi, vedendo scaturire da fonti esterne anziché da
riflessioni sulla propria operatività, le stesse norme e regole del
proprio lavoro.
7
2. Collegato a questo tema troviamo un’altra delle caratteristiche
dell’insegnamento, l’istituzionalità. Non essendo in condizioni
di porre egli stesso regole e obiettivi del proprio operato,
l’insegnante si è da sempre identificato ad un’istituzione
scolastica che svolgesse nei suoi confronti la funzione della
definizione degli obiettivi e della precisazione delle regole.
Entro l’istituzione, sono mancate tuttavia le definizioni dei
comportamenti reali ed osservabili; l’insegnante è
esclusivamente tenuto ancor oggi a presentare entro una certo
tempo una certa quantità di informazione e a dichiarare tramite
una votazione il controllo dei risultati. Non è previsto alcun tipo
di valutazione del proprio valore; le sue capacità, testate
all’ingresso sotto forma di esami o accertamenti culturali, sono
date poi per scontate.
Si può dunque affermare che l’istituzione deresponsabilizza
l’insegnamento, rafforzando un comportamento negativo il cui
presupposto si trova nella dipendenza dal potere.
3. Altra nota caratterizzante è la già constatata contraddittorietà
del compito, intesa in questi termini: il rapporto con
l’istituzione non solo è inevitabile professionalmente, ma anche
personalmente per ciascun insegnante, la cui situazione di
lavoro, non sorretta da autonomia e competenza, lo costringe al
continuo ricorso a criteri soggettivi e dunque ad un tipo di
comportamento ambivalente; da un lato, lasciandosi
burocratizzare e quasi spersonalizzare in un ruolo, dall’altro
ricorrendo alla propria storia personale in ogni caso di
emergenza. Ciò si attua ogni qual volta egli cerchi di esercitare
una funzione trasmissiva utilizzando un’impronta personale,
creativa o singolare; o più semplicemente, ogni volta in cui
cerchi di far primeggiare il rapporto umano con i discenti,
sfuggendo al grigiore di una routine dove tutto è predisposto.
Tenendo presente questa contraddittorietà sostanziale, diventa
lecito affermare, nonostante l’apparente contrasto con il
carattere di dipendenza messo in evidenza finora, che
l’insegnamento resta un’attività lavorativa squisitamente
individuale: ogni docente svolge in ultima analisi il proprio
lavoro da solo e resta unico responsabile ed artefice delle scelte
e delle modalità con cui decide di strutturare le sue attività di
insegnamento.
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Per ciò che attiene invece lo scenario sul quale si svolge ogni giorno l’
attività lavorativa dell’insegnante, luogo privilegiato è l’aula, sede
d’incontro con i destinatari dell’apprendimento.
L’insegnamento non dev’essere tuttavia ricondotto unicamente o
prevalentemente al momento della relazione di insegnamento-
apprendimento. Esistono, infatti, tutta una serie di pratiche lavorative
che pur avendo luogo fuori, prima o dopo l’aula, sono altrettanto
essenziali per la realizzazione di una pratica professionale così
complessa e contraddittoria; è utile un’ulteriore distinzione all’interno
di questa articolate rete di compiti, responsabilità, di competenze
rappresentata da tale occupazione.
L’insegnante, infatti, in classe fa deduzioni, confronti, dà definizioni e
spiegazioni; fa domande e incoraggia gli allievi, li motiva, valuta,
scherza, tiene i contatti con i genitori e si confronta con i colleghi. Da
quest’esemplificativo quadro già emerge l’esercizio di funzioni
amministrative e procedurali, di capacità relazionali, di scambi
cognitivi.
Volendo definire un necessario curriculum di competenze cui ogni
buon insegnante deve poter attingere, non possiamo dunque non
citare, a fianco di una necessaria cultura generale basata su
conoscenze organizzate e di una competenza teorica nel campo dei
contenuti dell’insegnamento, la consapevolezza delle dinamiche
emotive e relazionali implicate nel rapporto di insegnamento-
apprendimento; e, non ultima, una competenza professionale in senso
stretto, nella quale si saldino teoria e pratica, sapere e saper fare.
Che questo curriculum non sia prerogativa di ogni insegnante è
purtroppo una constatazione fin troppo evidente.
La situazione concreta si presenta infatti ben diversa: così come,
istituzionalmente, gli obiettivi di apprendimento e di insegnamento si
identificano puramente nei programmi da svolgere, come la
trasmissione di una certa conoscenza si identifica con l’insegnamento
di essa, così si dà per scontato che colui che è in grado di parlare di
Letteratura o di Storia sia anche in capace di insegnare a qualunque
classe la Letteratura e la Storia; quanto questo pregiudizio sia in realtà
lontano dalla realtà è un dato ampiamente sperimentato da chiunque
provi a soffermarsi con la memoria alle proprie passate vicende
scolastiche.
Molti docenti universitari sono convinti sono convinti che basti
conoscere la propria materia di insegnamento per poterla insegnare, a
9
qualsiasi livello di scolarità e con ogni tipo di alunni. Questo punto di
vista manifesta ancora di più la sua unilateralità ove si tenga conto di
quanto poco nelle singole discipline di studio e nei corsi di laurea
universitari si dia spazio alla riflessione epistemologica; la concezione
di ogni disciplina, l’analisi e la discussione del suo oggetto di studio e
dei suoi metodi, dei modi di giustificarne le conclusioni, sono
elementi essenziali per la formazione di un docente che abbia chiara
coscienza di che cosa insegna e perché, e dei talora profondi
interrogativi che i fondamenti stessi della disciplina pongono spesso
con incerte risposte (Borsese, Fiorentini, 1997).
Quello che spesso avviene è che, nella personale storia di
apprendimento del proprio mestiere, per ogni insegnante spesso le
conoscenze accademiche rimangono separate dalla pratica lavorativa
quotidiana e dai mille problemi di ordine pratico che essa presenta;
pur dotato di un corposo bagaglio teorico, il docente si ritrova dunque
a dover attingere alle proprie risorse personali.
La procedura di iniziazione all’insegnamento è di solito la seguente:
presentazione al Preside della scuola che comunicherà gli orari,
passaggio in segreteria per le informazioni burocratiche e la consegna
dei registri di classe, ricerca assistita da un bidello dell’ubicazione
della classe. Dal momento in cui si chiude la porta della classe dietro
le spalle, egli è diventato un insegnante a pieno titolo, con tutti i poteri
e le responsabilità del caso. Il mestiere, in sostanza, lo si impara
facendolo; non c’è docente che non sottolinei il carattere improvvisato
del suo ingresso nella professione.
In una situazione di lavoro così caratterizzata, è inevitabile che
l’interpretazione del ruolo professionale sia fortemente influenzata dal
bagaglio di aspettative, orientamenti e valori di ciascun individuo; di
fronte al quotidiano presentarsi di esigenze di ruolo non preventivate,
il novello insegnante dovrà far fronte volta per volta affrontando
momenti di crisi e ristrutturando gradualmente aspettative e modalità
di intervento, costruendo in tal modo le basi della propria abilità
professionale.
Gli studi compiuti nel campo dell’Intelligenza Artificiale hanno da
tempo concentrato l’attenzione sulle modalità con cui l’individuo
organizza le proprie conoscenze attraverso l’esperienza, diventando
così “soggetto esperto” (Re, 1990); un tale discorso sembra
particolarmente adatto alla descrizione della professionalità
dell’insegnante.
10
Ciò che contraddistingue tale soggetto rispetto al novizio sembra
essere un’abilità meta-cognitiva che va oltre il numero o la qualità
delle conoscenze possedute. L’expertise che connota il soggetto
esperto, non assimilabile all’esperienza, sembra avere origine dalla
fusione del sapere scientifico, dal carattere cumulativo e formale, con
il sapere empirico, pragmatico e volto alla soluzione dei problemi; è
una sorta di consapevole rielaborazione della propria azione
professionale che si arricchisce di valori e rapporti sociali, ma
soprattutto di personali modalità di risoluzione dei problemi.
Le pratiche di pensiero esperto non sanno solo contribuire alla
soluzione dei problemi, ma sono in grado soprattutto di permettere di
vederne di nuovi; una caratteristica essenziale della prestazione
esperta è, infatti, quella di ridefinire continuamente lo spazio
problematico nel quale operare. La rappresentazione del proprio
campo d’azione è inoltre più complessa rispetto a quella di un novizio,
gli aspetti più rilevanti sono posti in primo piano, interconnessi e
organizzati (Meghnagi, 1992).
Altra fondamentale caratteristica dell’esperto è l’alto grado di
flessibilità cognitiva: lo stesso problema può essere risolto ora in un
modo, ora in un altro, tenendo conto della specificità del contesto e
privilegiando modalità economiche di risoluzione dei problemi, che
permettono di risparmiare energia cognitiva o fisica.
Il concetto chiave utilizzato per rendere conto di queste specifiche
abilità prende il nome di script. Applicato al contesto di riferimento,
quello cioè dell’insegnamento, tale script assume il ruolo di uno
strumento mediante il quale l’insegnante esperto costruisce nel tempo
un repertorio di alternative di istruzione che gli permettono di
affrontare efficacemente, proprio perché in modo diversificato, il
problema del far apprendere un certo contenuto ad un certo gruppo di
allievi in uno specifico momento, consentendo di affrontare in modo
pianificato, ma contemporaneamente flessibile, il compito
dell’insegnare.
Il bagaglio di competenze a cui l’insegnante deve poter attingere
risulta dunque plurimo e necessita una precisazione, o meglio una
distinzione tra il sapere scientifico, inteso come conoscenza di base
relativa alle varie discipline, e quel sapere, di vario livello, fatto di
conoscenze pragmatiche, al di fuori di ogni specialismo.
Le competenze dell’insegnante si configurano così come un insieme
complesso e articolato di abilità e capacità, in cui la specifica
conoscenza disciplinare risulta parte integrante di un sapere
11
professionale che è l’esito dell’integrazione tra aspetti teorici e
rielaborazione di esperienze concrete, la sintesi di una formazione
iniziale e di una successiva formazione in età adulta.
Mentre risultano numerosi gli studi che hanno analizzato il rapporto
che esiste, in diversi contesti lavorativi, nella costruzione di una
competenza professionale tra momenti di formazione istituzionale e
momenti successivi di apprendimento situato, legato cioè alla
specificità del contesto, molto meno numerosi sono gli studi relativi
allo sviluppo della competenza degli insegnanti.
La formazione degli insegnanti può essere tuttavia definita, in una
prospettiva più accessibile, come l’esito di un processo di
qualificazione personale e di educazione degli adulti (Corda Costa,
1990). In questa affermazione sono evidenziate le affermazioni
connesse con l’età dei soggetti di riferimento, che già nella fase
iniziale e a maggior ragione nelle fasi successive di crescita
professionale, risultano portatori di un ampio bagaglio di esperienza
cui attingere.
Come le odierne concezioni dell’apprendimento concordano
nell’affermare, non vi è un momento attivo costituito dall’insegnare ed
uno passivo costituito dall’apprendere; l’apprendere è piuttosto
scoprire autonomamente qualcosa. Gran parte di quello che l’uomo
impara è appreso spontaneamente, grazie all’interazione con materiali
tratti dal proprio ambiente e dalla propria esperienza personale,
collegandosi quindi ad apprendimenti precedenti e in misura
significativa spontanei (Autieri, 2001; Corda Costa, 1990; Knowles,
1997).
Sembra quindi assodato che l’insegnante si trovi a dover compiere un
faticoso e personalissimo esercizio di saldatura tra il sapere teorico di
cui la scuola lo ha attrezzato e la realtà cui si trova di fronte nel
momento in cui entra per la prima volta in un’aula; un lavoro che
inevitabilmente comporta ristrutturazioni cognitive e progressivi
adattamenti, ma soprattutto il ricorso alle proprie risorse emotive e
cognitive nella ricerca continua di un soddisfacente approccio
personale al proprio lavoro.
Il processo di apprendimento e di adattamento al proprio ruolo si
caratterizza in genere come un percorso a tappe, prima fra tutte la crisi
iniziale provocata dalla disillusione delle aspettative e dal presentarsi
di esigenze non preventivate; seguono il presentarsi di un punto di
quasi- rottura in cui le discrepanze sperimentate sul lavoro sembrano
minacciare ambiti più ampi di definizione di sé, e infine le funzionali
12
modificazioni della personalità e dei comportamenti che permettono
l’integrazione a tutti gli effetti nel proprio ruolo.
Se l’impronta personale di ogni specifico soggetto risulta così
accentuata, è tuttavia innegabile che le modalità di essere insegnante
sono in stretta correlazione con la preparazione professionale ricevuta
sia prima sia durante l’attuazione del proprio ruolo, nel momento in
cui il docente in fieri struttura le proprie conoscenze e sperimenta le
proprie capacità in previsione della propria futura professione.
Uno sguardo al panorama offerto dalla letteratura sulla formazione
degli insegnanti può contribuire a fornire una cornice adeguata entro
la quale inserire la riflessione sulle modalità di apprendimento della
professione docente.
13
1.2 Un nodo irrisolto: la formazione degli insegnanti in Italia
Se la ricerca sull’acquisizione della competenza nell’insegnante si
presenta scarna, non altrettanto si può dire di un’ampia e ben
documentata letteratura relativa alla formazione docente.
Numerose sono, infatti, le posizioni critiche che riconducono questo
tema ad uno dei nodi fondamentali irrisolti della politica scolastica,
legato alle numerose e significative riforme curriculari che negli
ultimi anni hanno attraversato trasversalmente ogni ordine di scuola,
incontrando spesso resistenze e difficoltà di realizzazione
(Baullauques, 1983; Ballanti, 1983; Broccolini, 1992; Cavallini, 1993;
Corda Costa, 1990; Fiorentini, Testa, 1993).
L’accento è posto in primo luogo sull’insufficienza della preparazione
di base, non essendo quest’ultima in grado di fornire competenze
specifiche e immediatamente spendibili da parte dell’insegnante
novizio.
Il panorama della formazione si presenta alquanto variegato e confuso,
e soprattutto portatore di una grave contraddizione. Mentre la scuola è
stimolata ogni giorno di più a svolgere la propria funzione di
istruzione, incalzata dal crescere delle conoscenze teoriche, la
formazione e l’aggiornamento degli insegnanti sono ancora di tipo
prettamente “educativo”, incompleti e carenti dal punto di vista
dell’aggiornamento e di una sempre più consensualmente validata
formazione continua; si apre così un sempre più ampio scarto tra la
formazione attivata e quella di fatto richiesta dal dinamico e
complesso compito dell’insegnamento scolastico.
La cultura universitaria italiana, del resto, risulta da sempre
caratterizzata da una forte connotazione teorica, compensata tuttavia
da carenze in merito alle applicazioni didattiche del sapere posseduto;
l’università, da sola, non è quindi in grado di assicurare il
collegamento tra conoscenze disciplinari, teorie pedagogiche e
pratiche didattiche.
A sostegno di questa condivisa affermazione, Luttazzo (1996) afferma
che “Il pericolo maggiore, nella concreta realtà dell’Università
italiana, delle sue tradizioni, degli atteggiamenti dei suoi docenti, non
è certo un eccesso di rapporto con l’ambiente professionale in cui gli
allievi saranno chiamati ad operare, ma al contrario l’esclusiva
14
attenzione alla scientificità, con possibili derive verso il puro
accademismo” .
Altrettanto estranea alla tradizione pedagogica risulta la verifica
sistematica delle ricadute operative effettive e delle possibilità reali di
applicazione delle teorie proposte: il mondo della scuola si dimostra
ancora largamente refrattario alla rilevazione sistematica dei risultati
degli apprendimenti, così come, del resto, alla verifica dell’efficacia
degli interventi educativi (Cavalli, 1996).
Gli stessi riferimenti propri della didattica generale presentano limiti
gravi e risultano in larga misura inattendibili di fronte alla specificità
dei singoli problemi che si devono affrontare nell’insegnamento;
spesso si incontrano problemi e aspetti ignorati dalla ricerca
psicologica e pedagogica generale, che si configura così come
lacunosa e generica.
Broccolini (1992) propone un’analisi del complesso panorama della
formazione chiamando in causa un equivoco: la confusione tra
formazione e preparazione docente, tra cultura personale da un lato e
preparazione professionale didattica e disciplinare dall’altro.
Ad una mancanza di chiarezza concettuale tra i due termini si può,
secondo l’autore, ricondurre la confusione e la sovrapposizione tra il
carattere culturale della formazione e quello professionale della
preparazione, impigliandosi in un dannoso equivoco che consiste nello
scambiare i contenuti dell’insegnamento per preparazione scientifica,
relegando la formazione pedagogica dell’insegnante in secondo piano.
Proprio in merito al ruolo svolto dalle scienze dell’educazione, cui
Broccolini rivolge un’attenzione particolare ed un ruolo fondamentale
nella formazione del docente, prende le mosse un altro corposo filone
di critica dell’attuale sistema formativo degli insegnanti (Baullauques,
1983; Broccolini, 1992; Cavallini, 1993; Fiorentini,Testa, 1993); esso
consiste nella rilevazione di una di fatto insufficiente preparazione
psico- socio- pedagogica e didattica dei docenti, che appare quasi del
tutto assente nel caso degli insegnanti di scuola media ed
eccessivamente astratta o nozionistica nel caso degli operatori di
scuola materna ed elementare.
Una siffatta insufficienza può a ragione essere considerata la causa di
molti fallimenti nel lavoro educativo condotto a scuola, essendo ormai
evidente come possa interferire, nel processo di apprendimento, il
modo in cui l’insegnante presenta agli alunni oltre che i contenuti, se
stesso.
15
Si può dunque affermare, con un rapido sguardo alla letteratura
presente in materia, che la figura dell’insegnante nella scuola
tradizionale risulta contraddistinta da numerose carenze.
Un riferimento alle istituzioni che l’hanno formata si rende necessario:
il sistema formativo magistrale risulta, infatti, alquanto frazionato. Le
educatrici di Scuola Materna
1
provengono da una Scuola Magistrale
triennale; i maestri elementari da un Istituto Magistrale della durata di
quattro anni nel quale la preparazione culturale generale sovrabbonda
rispetto a quella teorica professionale; la preparazione pratica, che
accomuna maestri elementari e di Scuola Materna, è rappresentata da
un ristretto e passivo “tirocinio didattico” nelle classi, nel quale è assai
difficile che siano offerte possibilità di intervento.
Una differenziazione esiste per gli insegnanti di grado superiore, ai
quali è richiesta la laurea; se ancor oggi è ammessa questa
differenziazione, ciò è probabilmente da imputare alla convinzione
che, salendo dalla prima infanzia all’adolescenza, il compito
dell’educatore si faccia sempre più difficile, nonostante le acquisizioni
della Pedagogia ma soprattutto della Psicologia abbiano ampiamente
dimostrato che i primi anni sono determinanti per i futuri processi di
socializzazione e di apprendimento dell’individuo.
La fonte legislativa cui ancor oggi si fa riferimento rimane il
purtroppo ignorato art. 7 del D.P.R. 417/ 1974
2
sulla formazione
universitaria completa degli insegnanti di ogni ordine e grado, in cui si
afferma, parlando di requisiti specifici di ammissione, che “Per
l’ammissione ai concorsi per titoli ed esami è richiesta una formazione
universitaria completa da conseguire presso le università od altri
istituti di istruzione superiore”.
Come già sottolineato, tuttavia, l’università da sola non è in grado di
assicurare il collegamento tra conoscenze disciplinari e teorie
pedagogiche da un lato e pratico- didattiche dall’altro, proprio perché
generalmente non ha conoscenza delle condizioni generali
dell’insegnamento nei gradi scolastici pre-universitari; non rientra,
infatti, nella tradizione scientifica delle singole discipline (eccezion
fatta, almeno teoricamente, per il corso di laurea in Pedagogia)
occuparsi anche dei relativi insegnamenti nei gradi scolastici pre-
universitari.
1
Al termine “Scuola Materna” sarebbe più corretto sostituire quello di “Scuola dell’Infanzia”.
2
Con il termine D.P.R. si intende “decreto del Presidente della Repubblica”, decreti delegati dai
quali sono stati avviati gli organi collegiali della scuola e lo stato giuridico degli insegnanti, oggi
in parte superati dal regolamento sull’autonomia scolastica e dal contratto di lavoro per il
personale della scuola.
16
Non disponendo le nostre Università, con poche eccezioni, di
attrezzature, strumenti e competenze adeguate per affrontare il
compito, non si può pensare di mettere in piedi in breve tempo un
sistema completo e ottimale di formazione dei docenti su scala
nazionale; il processo non può che essere graduale.
Non mancano tuttavia, a riequilibrare un quadro così negativo,
suggerimenti teorici ed operativi da parte di chi di formazione degli
insegnanti si occupa da anni; numerose sono, infatti, le proposte di
cambiamento, testimonianze di una rinnovata attenzione al problema e
soprattutto di una sentita necessità di uscire da una situazione di
forzato immobilismo per realizzare un sistema formativo magistrale
realmente efficace.
17
1.3 Proposte di miglioramento per la formazione degli insegnanti
Nel panorama formativo italiano una nuova proposta, attuata a partire
dall’anno 1999- 2000 presso una ventina di università, si pone come
alternativa al tradizionale sistema di concorsi ed esami di abilitazione:
sono stati, infatti, attivati corsi biennali di specializzazione
all’insegnamento nella scuola media e superiore, con esame finale a
titolo di abilitazione.
Jori e Migliore (2001), trattando i motivi fondamentali di questa
scuola, definiscono nella specializzazione degli insegnanti il calare il
sapere disciplinare, acquisito durante il corso di laurea, nella
dimensione adeguata all’insegnamento scolastico. La professionalità
da acquisire consiste secondo questa prospettiva nel coniugare le
conoscenze teoriche con l’operatività didattica e la pragmatica della
comunicazione, cioè con capacità di interazione verbale, di
organizzazione e di animazione di un gruppo di adolescenti.
L’innovazione di questo tipo di formazione iniziale risiede
indubbiamente nel tentativo di uno stretto raccordo tra la teoria e la
pratica; nell’intento di fornire una preparazione trasversale di tipo
pedagogico, psicologico e didattico, strumento fondamentale utilizzato
a fianco dell’uso dei laboratori è il tirocinio.
La proposta di utilizzare il tirocinio come momento privilegiato del
curricolo trova ampie conferme in una rassegna proposta da un gruppo
di ricercatori dell’Università di Genova (Bini, Borsese, Luzzatto,
Massa, Pedemonte, 1996); essi pongono come condizione tuttavia che
tale tirocinio si configuri non come un semplice corso, bensì come uno
spazio di esperienza e riflessione.
A fianco di un tirocinio operativo, rappresentato da un insieme di
attività di osservazione, sperimentazione e pratica dell’insegnare, si
propone l’attuazione di un tirocinio riflessivo: si intende con
quest’ultimo un momento di analisi, valutazione e ripensamento
critico su entrambi i versanti, quello più propriamente oggettivo ma
anche e soprattutto quello soggettivo, relativo al proprio modo di
rapportarsi alle azioni e interazioni compiute.
18
Affiancato da tutors costituiti da insegnanti esperti, il futuro
insegnante sperimenta in questa prospettiva un’occasione precoce e
continuata di immersione totale nella reale situazione scolastica,
realizzando così un immediato feed- back tra l’esperienza con alunni
in carne ed ossa e la riflessione critica fondata tanto sulla base
empirica quanto sui fondamenti teorici.
La posizione centrale assunta dal tirocinio non è tuttavia prerogativa
esclusiva della scuola di specializzazione per insegnanti; tale
argomento si trova, infatti, al centro delle numerose proposte sulla
formazione degli insegnanti, costituendone una parte considerevole.
Cavallini (1993) riconduce, infatti, uno degli obiettivi fondamentali
della formazione all’assicurare al futuro docente una sufficiente
esperienza pratica dell’insegnamento, e più in generale della vita di
classe e di scuola, attraverso il tirocinio; secondo l’autore, a tale
attività dovrebbe essere riservato il 50% del tempo totale della
formazione.
La considerazione che muove questa proposta è indicata da Cavallini
nella constatazione della incapacità, o per lo meno della difficoltà da
parte degli studenti di integrare reciprocamente la teoria e la pratica;
collegandosi al modello formativo oxfordiano, l’indicazione
principale auspicata è quella di rendere più stretto il collegamento tra
la formazione accademica e la pratica scolastica, destinando nella
stessa settimana alcuni giorni al tirocinio e altri alla formazione
teorica.
Nel riferimento alla necessità di una formazione di stampo
professionalizzante si legge inoltre una delle necessità fondamentali
per la riuscita di ogni apprendimento: la necessità di tenere alta la
motivazione dei discenti.
Sempre a favore del tirocinio è la proposta di Grossi (2000) di
riallacciarsi al quadro culturale di riferimento statunitense sulla
formazione degli insegnanti.