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accompagnate dal corpo e poi dal corpo nelle sue performances con
l’abito.
La natura del loro rapporto non è assolutamente immobile.
Fluttua anzi dalla contrapposizione sino alla negoziazione,
dall’annullamento dell’uno sino alla resa dell’altro. Spesso
ingaggiano una lotta per la supremazia, altre volte uno è chiaramente
prevaricato oppure addirittura completamente ignorato, altre volte
ancora collaborano dignitosamente e costruttivamente senza
scalciare.
Difficile stabilire se la lotta per la costruzione di una bellezza
sociale abbia inizio dal corpo oppure dall’abito. Il corsetto era una
costruzione di bellezza sociale particolarmente cruenta per il corpo
femminile e spesso si è insistito sulla preponderanza dell’inorganico
sull’organico. La definizione di una bellezza per il corpo, della sua
modellazione, avrebbe avuto la meglio sull’abito che si sarebbe
fermato alla funzione pura di ‘involucro’ che lo racchiude. Nello
stesso periodo storico, però, è anche la gonna a ruota a tenere banco,
con il suo ampio giro di circonferenza. In questo caso sembrerebbe
quindi che il corpo e la forma delle gambe siano assolutamente
dimenticate in favore di una ricostruzione totale della bellezza sotto
il giro-vita
1
.
Pur nel cercare un approccio diverso, non possiamo nemmeno
trascurare completamente quello che considera la moda come
l’oscillazione del gusto. Non è solamente un problema di inseguire
la novità, ma di costruire una bellezza, che, come tale, non può
prescindere dai gusti, necessariamente volubili, del periodo in cui
vive. È importante ricordare come, anche se questo lavoro si
concentra sulla moda intesa come abbigliamento, la moda sia
essenzialmente il cambiamento. In tutte le arti esiste una moda. La
1
Troviamo che il corsetto sia un indumento particolarmente significativo nello studio delle
relazioni fra la moda e il corpo e in questo lavoro vi torneremo sopra molto spesso.
8
corrente letteraria, lo stile architettonico, sono solo diverse
espressioni che raccolgono lo stesso fenomeno, cioè il cambiamento
del gusto e il suo riflettersi nelle strutture della società che è in
continua evoluzione. Solamente la moda come abbigliamento
esaspera questa necessità di cambiare facendone uno dei cardini
portanti. Vedremo come la moda, come sistema del cambiamento
del gusto, si contrapponga alla moda come espressione artistica della
ricerca formale di uno stilista.
Siamo quindi di fronte a due entità contrastanti, la tendenza e lo
stile. La tendenza è la necessaria rigenerazione e oscillazione di
quello che era considerato ‘adatto’ oppure ‘bello’, mentre invece lo
stile è qualcosa di più coerente nel tempo, di più cristallizzato, lo
stile è quello che non cambia.
La tendenza è un fattore della moda. Se prima sapevamo
solamente che era soltanto ‘cambiamento’ ora sappiamo che esiste
una forma di standardizzazione in questo cambiamento. Spesso la
tendenza non è l’immagine cristallizzata di cosa occorre somigliare
per una valorizzazione sociale ma piuttosto una linea guida cui
accodarsi. In questo caso non si tratta più di “muoversi come” ma di
“muoversi con”, di muoversi con un ritmo uniforme all’interno di un
divenire collettivo, come ricorda Landowski (in Grandi e Cerani
1996, p. 38). Inevitabile che la ricerca continua di un nuovo modello
di bellezza abbia invischiato la moda in un vortice in cui solamente
la novità, il non visto, sono i traguardi da raggiungere. In questo
fluire continuo essa si è ritrovata schiava di una frenesia del
mutamento. La rottura diventa la necessità di un mondo che è alla
costante ricerca di nuovi stimoli e nuovi idoli. La moda, nella sua
accezione di “regime obbligatorio di mutamento del gusto” (Simmel
1895) diventa l’emblema di punta di un cosmo che viene percepito
soltanto come scorrere.
Ma invece dello scorrere vogliamo puntare l’indice sulla sua
variabile staticità. Le sue continue rivoluzioni sono naturalmente
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fattori da non dimenticare, ma quello che realmente ci preme è
trovare i punti in cui, all’interno di queste rivoluzioni, si viene a
contatto con il corpo.
Accennando alle sue relazioni di negoziazione e conflittualità con
l’abito suggerivamo come il corpo sia anch’esso parte del sistema
del mutamento. Esso accompagna e viene accompagnato dalla
moda. Insieme peregrinano continuamente, nemici o complici,
attraverso la storia e attraverso i diversi modelli di bellezza sociale.
Esiste naturalmente una ‘moda del corpo’, se intendiamo con il
termine ‘moda’ quello di una bellezza temporanea e socialmente
costruita. Avere un corpo efficiente, snello e tonico è, nella nostra
società occidentale, un segnale di forma fisica ed è socialmente
apprezzato
2
. Sostanzialmente la magrezza è un ideale da raggiungere
per una valorizzazione sociale. Naturalmente essa è soltanto uno dei
possibili modelli, quello occidentale, che un corpo deve esibire per
potere essere ammirato. Questo particolare tipo di forma fisica non è
raggiungibile solamente attraverso il gusto, gusto della moda,
dell’abbigliamento, ma è una pratica che coinvolge in particolare la
donna
3
molto più a fondo. È un modello che la segue nei pasti, che
le occupa il tempo libero, che ne modifica le abitudini, e
naturalmente che si ripercuote sull’abito, o più esattamente che entra
in relazione con esso.
Sarebbe infatti sbagliato vedere la silhouette ideale della donna
come il prodotto di una forza sociale che agisce sul corpo, solamente
assecondata dall’abito.
Quello che vogliamo sottolineare è come l’ideale di snellezza
della donna non sia esclusivamente un ideale corporeo ma un ideale
di corporeit� vestita. In una società come la nostra - una società
2
Curioso notare come un modello di bellezza tale venga apparentemente in contrasto
con la bellezza sociale ‘da passerella’ dove spesso le modelle esibiscono un corpo magro al
limite dell’anoressia, della sopravvivenza, un corpo in uno stato di enigmatico disagio.
3
Mi riferirò spesso alla ‘donna’ solamente per comodità, pur nella consapevolezza che
molti dei modelli e delle teorie presentate sono applicabili pienamente anche agli uomini.
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vestita - la persona è solitamente osservata in contesti sociali dove
indossa qualcosa che copre, più o meno, molte zone del corpo.
Questo determina che l’ideale di bellezza si rifletta e si applichi su
un corpo vestito. Quello che consideriamo quindi un modello
attraente di bellezza non è solamente quello che “c’è sotto”, ma il
suo insieme. Ovviamente possedere un bel corpo aiuta, ma �
l�azione congiunta di abito e corpo a determinare il giudizio finale.
Questa teoria, che considera volutamente l’abito un oggetto
definito nella sua relazione con il corpo, implicitamente suggerisce
un principio di collaborazione fra i due che conduca alla definizione
di corporeità vestita. Spesso questo idilliaco rapporto si spezza in
virtù di un fattore che avevano volutamente tralasciato, lo stilista.
Vedremo come la presentazione di un abito in una sfilata attraversi
alcuni stadi che conducono il designer ad impossessarsi di una
maggiore libertà espressiva nella creazione dell’abito. Questa libertà
è spesso utilizzata nel tentativo di negare il corpo e costruire un
modello di bellezza completamente artificiale. Dagli anni ’80 le
passerelle hanno rifiutato il loro ruolo di presentazione diretta ai
possibili acquirenti per proporsi invece all’attenzione dei mass-
media che costituiscono un passaggio intermedio attraverso il quale
lo stilista viene presentato al grande pubblico. La trasgressione è
stato il richiamo più utilizzato dalle griffes verso i mezzi di
comunicazione di massa e questo ha, al contempo, ‘scagionato’ gli
stilisti dallo seguire compostamente sia le linee del corpo sia le linee
guida delle tradizionali corporeità vestite. Nella terza parte di questa
tesi espongo come molte delle corporeità vestite (cioè le figure
umane vestite, come, per esempio, una donna con la gonna) siano
intrinsecamente innaturali ma siano considerate ‘normali’ dall’uso
continuato e abituale che se ne è fatto.
La questione è che i disegnatori prendono margini di libertà, li
pretendono e si battono fermamente per il loro diritto di espressione
artistica.
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Discutendo della rottura del rapporto fra abito e corpo abbiamo
inserito lo stilista come un fattore che interviene a creare scompiglio.
Questo avviene perché egli si inserisce nella relazione, ne dà una sua
opinione, una sua visione, lo ‘contamina’ con il suo personalissimo
gusto. Se da un lato questa intromissione poteva apparire
eccessivamente invadente ad un osservatore abituato a pensare
all’abito su misura, quindi l’abito particolare per un corpo
particolare, essa può invece essere apprezzata come stile, di un
disegnatore, di una griffe, di un consumatore che sceglie. Lo stile è
la creazione di una forma che si ispiri a un modello, che ne sia la
trasfigurazione ed in questo modo che sia la proposta di una visione
del mondo.
L’esigere liberi modi di espressione ha una fortissima
ripercussione sull’uso che fanno del corpo. Spregiudicato, nudo,
eccessivamente vestito (e quindi qualche volta trasgressivo come
rifiuto della trasgressione), macchiato, osannato e vilipeso, il corpo
entra prepotente nella moda. Il suo titolo non è soltanto quello di
essere un mero oggetto che è contenuto dal vestito (come pure il
vestito non è un semplice rivestimento del corpo) ma assume un
ruolo di protagonista attivo. Nelle sfilate i corpi delle modelle spesso
sono oggetto di discussione sui mass media più della collezione
stessa. Le pubblicità di griffes possono presentare corpi nudi con
accanto soltanto il marchio. Le bozze disegnate dagli stilisti
rappresentano vestiti indossati da corpi in pose particolari che
rendano il vestito più attraente. Lo stesso corpo è disegnato con una
forma che faccia risaltare la bellezza del vestito. L’esempio delle
bozze è particolarmente indicativo di un nuovo ruolo che il corpo
assume nella moda. Nella loro funzione di semplice indicazione
dello stilista al proprio staff riguardo alla forma di un nuovo abito,
questo si preoccupa di dare al corpo un adeguata rappresentazione
estetica, anche se poi la bozza verrà visionata solo da persone
interne al suo staff. Nessun giornalista, nessuna modella, nessuno
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del pubblico vedrà quello schizzo (a meno che lui stesso non lo
pubblichi) ma lo stilista si preoccupa comunque di conferirgli quella
posa (a volte persino l’espressione del volto) che assicuri un
impressione migliore del vestito
4
.
Troppo semplice pensare che il corpo quindi sia un neutro
manichino che sostiene e fa muovere l’abito, esso invece partecipa
attivamente alla costruzione sociale del significato di un determinato
abito, di un determinato stilista, di un determinato stile. Si separa
dall’abito in quanto entità portatrice di un significato proprio anche
se non del tutto indipendente da quella dell’abito, che d’altronde, pur
essendo anch’esso portatore di un significato lo assume pienamente
in relazione con il corpo.
Insieme e tuttavia separati, il corpo e l’abito hanno nella moda un
significato nuovo, una connessione quasi insperata. Lo stilista li
utilizza per portare avanti una sua idea della moda che, essendo a
sua volta un metronomo della società, è una sua idea del mondo. La
nuova posizione assunta dallo stilista moderno è che non esiste più il
“buono” o il “cattivo” gusto. Egli, non essendo più portatore
assoluto del sentimento del “buon gusto”, avendo perso la posizione
privilegiata di arbitro dell’eleganza si limita a dare una sua
definizione del gusto, spesso anzi rifiutando l’etichetta di “eleganza”
o, ancora, “buon gusto”, per farsi portatore di nuove istanze a volte
conciliabili con la società, soltanto parallele, a volte antitetiche e
profane.
Ci sono ovviamente delle eccezioni. Giorgio Armani può non
essere gradito, non rispondere ad uno stile prediletto ma è quasi
innegabilmente l’arbitro del “buon gusto” e dell’eleganza. Ciò che
disegna Armani può non essere di tendenza, può non essere sempre
adatto (ad un concerto dei Sex Pistol potrebbe diventare
particolarmente trasgressivo), ha uno stile delineato, ma è comunque
4
Le scuole stesse di stilismo insegnano i primi rudimenti dello schizzo dando grande
importanza alla posa, alla forma del corpo e persino alla espressione del viso
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l’eleganza stessa incarnata in un abito e in un nome. Ovviamente
nella costruzione di questo significato dell’etichetta “Armani”
concorre per buona parte un’azzeccata strategia di marketing e di
presentazione della griffe e, (non dimentichiamolo, è cruciale nella
moda) di Giorgio Armani stesso. Ma già l’altro grande stilista che
emergeva negli anni ’80, Gianni Versace era portatore di valori e
significati antitetici. Non siamo più nel cosmo dell’eleganza
innegabile (e un po’ fredda, come poi è l’eleganza pura stessa)
firmata Armani ma siamo precipitati in un orgia di colori e forme
provocanti che evocano qualcosa di molto diverso, molto meno
formale e tranquillizzante. Entrambi quindi utilizzavano la libertà
espressiva del ventesimo secolo per portare avanti parallelamente
uno stile, un’idea, una visione.
La moda, intesa come metronomo dei mutamenti sociali e moda
di ciascuno stilista, intesa come coerenza stilistica di un disegnatore,
vengono così a fronteggiarsi, ma non in uno scontro sanguinoso
bensì intavolando una trattativa nella quale ogni creativo plasma gli
abiti secondo il proprio gusto ma senza scordare le esigenze del
periodo in cui vive.
In questo lavoro – dicevamo - cercheremo di portare avanti
un’idea della moda non concentrata soltanto sul concetto di tendenza
e di gusto. Non cercheremo le cause che fanno della moda stessa
quel “regime obbligatorio di mutamento del gusto” (George Simmel,
1895), non cercheremo neppure il perch� la moda sia mutamento
obbligatorio, ma ci concentreremo sulla costruzione del connubio tra
abito e corpo. Che cosa insieme comunicano, cosa aspirano, cosa
rappresentano.
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Mi servirò di un esempio concreto del mondo della moda, il
giovane emergente stilista Alexander McQueen, per cercare di
spiegare meglio questi concetti e trovar loro un’applicazione pratica.
Cerchiamo quindi un approccio alla moda che non risalti
solamente il suo variare, la sua periodicità, il suo essere una catena
ininterrotta di variazioni omogenee ma tentiamo di capire il
funzionamento del meccanismo, cogliere le logiche che la guidano e
i legami che la uniscono al resto della vita collettiva.
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AVVERTENZE METODOLOGICHE TEORICHE E
TERMINOLOGICHE
In quest’ultima frase ho utilizzato il termine “moda” in una delle
accezioni che userò nel corso della trattazione. Riferendomi alla
moda di Alexander McQueen il termine verrà inteso come
descrizione dello stile del disegnatore, della sua idea dell’abito e
dell’idea di donna che trasmette.
Diversamente utilizzerò il termine ‘moda’ riferendomi al Sistema
Moda, cioè all’universo che racchiude l’abito, la sfilata, lo stilista, la
sua comunicazione e presentazione al pubblico ma soprattutto l’idea
che ingloba. Tale idea può essere considerata sia nel dettaglio del
singolo stilista, con la sua propria idea su come proporre Moda, sia
come attenzione ai cambiamenti sociali e culturali. Il vestire è infatti
una sorta di sintassi socioculturale che può chiamarsi ‘costume’
nell’ambito delle funzioni rituali dell’abito e delle società
tradizionali e ‘moda’ nel contesto delle funzioni estetiche dell’abito
delle culture della modernità (Calefato 1996).
Difficilmente mi riferirò al termine “moda” utilizzandolo come
sinonimo di tendenza (nel senso di “� di moda”). La moda è un
meccanismo di riconoscimento, non una forma di standardizzazione
semplice, non si basa nell’essere “come tutti gli altri”. Ovviamente
quest’ultima affermazione è largamente discutibile dato che spesso e
volentieri le tendenza-moda sono una scusa per uniformare tutti allo
stesso taglio di capelli, agli stessi colori della camicia, ecc…
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Ma quello che vorrei analizzare è un movimento che percepisce e
accompagna il mutamento circostante, vi si adatta di conseguenza
rispettando il ritmo generale. Gli abiti e i corpi non sono tutti uguali
ma spesso interpretano in maniera differente lo stesso fenomeno in
atto.
L’essere di tendenza o di moda ha un richiamo semantico troppo
concentrato sui mutamenti di breve periodo (“quest�anno � di moda
la gonna plissettata� o �quest�anno � di moda la camicia a righe”).
Nel caso ci dovessimo riferire al termine ‘moda’ con questi
significati avremo cura di segnalarlo.
Questo procedimento è funzionale alla presentazione di alcune
delle mie tesi che vogliono slegare la moda dalla semplice ciclicità
della stagione presentata e di abiti e corpi che passano senza lasciare
segno nell’arte e nel sistema sociale. Essa comincia a lasciare il
segno.
Si cercherà quindi un approccio che riesca a considerare sia la
moda intesa come ciclo, sia come processo, cercando di mediare i
due differenti sistemi. La mia analisi si concentrerà prevalentemente
su alcune parti significanti: l’abito, il corpo e il loro connubio nello
stile di Alexander McQueen. Infatti ciò di cui i fashion studies
ancora poco si occupano non è l’implicazione sociologica della
moda nel tessuto sociale ma una visione degli oggetti ‘abito’ e
‘corpo’ nella loro corporea consistenza, tenendo conto delle
implicazioni psicologiche, visive e persino tattili dell’indossare
qualcosa. E così, letteralmente, del consumarlo.
L’analisi di Alexander McQueen verterà prevalentemente sulle
collezioni donna ed esclusivamente nel periodo dalla primavera-
estate ‘96 sino alle collezioni del 2001. Non verrà preso in
considerazione il lavoro che negli stessi anni ha sviluppato per la
maison Givenchy essendo in quel periodo, contemporaneamente il
designer della casa francese e del marchio che porta il suo nome.
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Questa premessa metodologica si basa sul fatto che non soltanto
uno stilista non ha soltanto uno stile definito e immutabile ma che
l’identità di un marchio è un processo di costruzione del significato
che richiede una certa coerenza stilistica. Il lavoro che svolge per il
proprio marchio è così inevitabilmente differente da quello
sviluppato per Givenchy che possedeva già nel ’96 una fortissima
identità di marchio.
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PARTE PRIMA
L’ABITO
Se fino ad adesso mi sono concentrato sull’introduzione di una
sommaria analisi del Sistema Moda all’interno della società ora
vorrei proporre un nuovo discorso centrato prevalentemente
sull’abito.
1-
CERCANDO UNA DEFINIZIONE
La definizione di abito è piuttosto complessa e altri studi non ci
aiutano poiché di solito si rivolgono alla ciclicità della moda oppure
alla sua interazione sociale senza prendere in considerazione
l’oggetto minimo della moda, appunto l’abito. Esso può considerarsi
l’oggetto materiale elementare da cui la moda prende forma,
sostanza e vita.
In maniera rudimentale lo potremmo definire quel pezzo di stoffa
tagliato e cucito secondo il fine di coprire le nudità del corpo. In
questo modo ne avremmo una definizione puramente funzionale e,
specialmente al giorno d’oggi, neppure troppo esatta. Quando in
passerella sono usciti i provocatori vestiti di rete degli anni ’80 li
potevamo davvero considerare come coprenti il corpo? E anche
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ricorrendo a queste sottigliezze dimentichiamo una delle principali
caratteristiche dell’abito anche in tempi non recenti, anche in società
non occidentali: l’estetizzare, l’abbellire. E ancora, naturalmente, di
semantizzarlo in più o meno codificate maniere. Il giudice che
presiede il tribunale è abbigliato in maniera molto più rigidamente
standardizzata del manager d’industria sul posto di lavoro. E si badi
che il secondo termine di paragone è stato scelto proprio per risaltare
il carattere di assoluta immobilità e rigidità nell’abito del giudice,
poiché anche il manager subisce una forma di imposizione dalla
società riguardo al modo di vestire.
Ricapitolando dobbiamo modificare il termine “coprire” con
quello di “indossare” e aggiungere la funzione semantizzante (ed
eventualmente quella estetizzante, ricorrentissima ma non
sufficiente).
Ma anche in questo modo non si capisce se, materialmente, tale
“abito” sia d’un pezzo solo (un vestito intero femminile) o possa
essere smontato in più unità, come un completo o un maglione con
la gonna. Per comodità ci riferiremo solamente all’abbigliamento
femminile considerando “abito” sia il vestito “d’un pezzo solo” sia il
completo o l’abbinamento maglione-gonna, considerando in questo
modo più dettagliatamente quello che solitamente gli stilisti
propongono in passerella. Per concludere vi aggiungeremo anche gli
eventuali accessori come borse, sciarpe, guanti, ecc. Le scarpe, per
lo stesso motivo rientrano a pieno titolo nell’abito. Ci sentiamo di
includere nella categoria anche il profumo, appartenente alla
categoria di qualcosa che si indossa e rispetta la forma generale,
come avremo modo di spiegare con miglior chiarezza più avanti.
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Un ultimo dubbio. Il trucco, il make-up? Dopotutto anch’esso
rispetta la forma generale e, come il profumo, dovrebbe essere
inserito in quanto è una forma di decorazione e deformazione del
corpo come il vestito. Ma mentre il vestito, per ragioni più che
intuitive, è un oggetto asportabile e non invadente, il trucco ci
sembra più una pratica di confine, una linea di demarcazione incerta
fra il corpo e l’abito. Ci sentiamo quindi di escludere il trucco dalla
lista degli accessori in quanto appare più strettamente collegato con
il corpo o comunque più affine ad esso.