4
pensiero. Oltre ai libri, perciò, dobbiamo prendere in considerazione quello che M.
Bertani e A. Fontana hanno chiamato “un insegnamento orale”
6
, intendendo un
vastissimo intreccio di interviste, di corsi, di articoli e di conferenze, che sono stati
raccolti in quattro volumi dal titolo Dits et écrits e pubblicati nel 1994 (indicati con la
sigla D.E. seguita dal numero del volume). Tutto questo materiale eterogeneo
costituisce un raggruppamento essenziale di anticipazioni, precisazioni,
approfondimenti e chiarificazioni di ciò che ritroveremo nei libri di Foucault. Limitarsi
allo studio e all’interpretazione di questi ultimi, come generalmente è avvenuto prima
della pubblicazione dei Dits et écrits, condanna inevitabilmente ogni prospettiva di
studio a lacune e malintesi più o meno gravi.
Alla luce di ciò, appare indispensabile considerare tutti gli interventi orali e scritti di
Foucault come delle “piste di lavoro”
7
in cui sono visibili svolte teoriche e permanenze
di problemi rispetto alla produzione data alle stampe. L’intera opera del filosofo di
Poitiers nasce in “stato d’urgenza”, costantemente sollecitata dagli appelli dell’attualità:
se vogliamo dissipare alcuni dei malintesi tenaci che ancora continuano a gravare sul
suo pensiero e sulle sue azioni
8
, non possiamo fare a meno di “riprendere da capo,
ampliare, inflettere, correggere forse, tutto quello che credevamo di sapere, tutte le
ricerche, le analisi, i commenti che da una ventina d’anni, a partire quasi esclusivamente
dai suoi libri, avevamo cominciato a fare sul pensiero di Foucault”
9
.
Tale impostazione, valida in generale, è stata testata e messa in pratica limitatamente
alla produzione foucaultiana degli anni Settanta e Ottanta, perché è solo da allora che i
temi dello Stato, del potere e dei diritti acquisiscono una centralità indiscutibile,
suscitando pure un insieme di controversie e di interpretazioni erronee.
Numerosi studi critici sono stati rivolti al tema del potere, spesso indicato a torto come
il bersaglio principale di Foucault: avremo modo, invece, di accorgerci come egli non
abbia affatto fornito una teoria generale del potere
10
, una sistematizzazione lineare e
6
Cfr. la Premessa dei curatori a M. Foucault, Difendere la società, Ponte alle Grazie, Firenze, 1990, p. 7.
7
Ivi. L’espressione viene dallo stesso Foucault, come riportano i curatori dell’edizione italiana di
Difendere la società, cit.
8
Avremo modo successivamente di approfondire la posizione problematica del filosofo sul terrorismo,
come anche la sua collaborazione con il ministro della giustizia Robert Badinter a proposito di un
progetto di riforma del sistema penale francese.
9
Cfr. la Nota dei curatori a M. Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 236.
10
Cfr. intervista a M. Foucault, Poteri e strategie (1977), in D.E. vol. III, p. 422: “Non possiedo una
teoria generale e neppure dispongo di uno strumento sicuro”.
5
coerente di spunti nati dall’attualità o dall’autobiografia
11
. E poi, se il potere fosse
veramente il nucleo teorico della sua filosofia, come potremmo spiegare la svolta etica
degli anni Ottanta, la quale lascia in ombra il potere per concentrare l’attenzione sul
tema del sé? E’ evidente che certe immagini di un Foucault “teorico del potere”
dovrebbero essere finalmente problematizzate e, in parte, attenuate: è egli stesso a
pronunciarsi in maniera inequivocabile in un’intervista del 1982, quando afferma che
“non è dunque il potere, ma il soggetto, il tema generale delle mie ricerche”
12
.
Certo, il tema del potere è importante, soprattutto attorno agli anni 1975-79, e Foucault
è stato uno dei pochi a tentare di studiarne la provenienza e i meccanismi di
funzionamento; tuttavia le sue analisi non dovrebbero essere limitate a giocare un ruolo
critico di fronte al potere, ma dovrebbero inserirsi in un orizzonte più ampio,
costituendo un tassello rilevante, seppure non esclusivo, di un intero e aggrovigliato
percorso filosofico
13
.
Lo Stato, con le sue strategie di potere e i suoi diritti di parte, diventa l’occasione di una
ricerca storica, di una genealogia che scava il presente e il passato nel tentativo di
rinvenire “verità piccole e non appariscenti”
14
. Come ha detto Paul Veyne, il filosofo
Foucault “è uno dei maggiori storici del nostro tempo”; parla delle stesse cose di cui
parlano gli altri storici, “ossia di ciò che la gente fa, ma tenta di parlarne esattamente, di
descriverne i contorni acuti anziché di parlarne in termini vaghi e nobili”
15
.
Apparentemente tutti i suoi libri non sono altro che analisi storiche; di fatto sono molto
di più: la storia viene utilizzata come metodo e terreno d’indagine, utile a mettere a
fuoco problemi che, tuttavia, coinvolgono sempre l’attualità. In breve, la storia ha un
legame intrinseco con la politica
16
. Ma collocarsi entro un orizzonte politico significa
11
Cfr. intervista a M. Foucault, L’intellettuale e i poteri (1981), in D.E. vol. IV, pp. 747-748: “Ho sempre
tenuto al fatto che i miei libri fossero, in un certo senso, dei frammenti di autobiografia. I miei libri sono
sempre stati i miei problemi personali con la follia, la prigione, la sessualità”. Cfr. anche Verità, potere e
sé, in D.E. vol. IV, p. 779: “Ogni mio libro rappresenta una parte della mia storia”.
12
M. Foucault, Il soggetto e il potere (1982), in D.E. vol. IV, p. 223.
13
Ancora in Verità, potere e sé (1982), in D.E. vol. IV, pp.782-783, Foucault dice di riconoscersi in tre
campi di studio distinti eppure collegati, appunto la verità (“quali rapporti intratteniamo con la verità
attraverso il sapere scientifico, quali sono i nostri rapporti in questi giochi di verità… nei quali siamo
insieme soggetti e oggetti?”), il potere (“quali rapporti abbiamo con gli altri…?”), e il sé (“quali sono i
rapporti tra verità, potere e sé?”).
14
M. Foucault. Nietzsche, la genealogia, la storia, in “Il Verri”, 39/40, 1972, p. 84.
15
Paul Veyne, Foucault rivoluziona la storia (1979), in Michel Foucault, la storia, il nichilismo e la
morale, Ombre corte edizioni, Verona, 1998, pp. 8, 23.
16
Cfr. intervista a M. Foucault, Il potere, una bestia magnifica (1977), in D.E. vol. III, p. 377-378: “(Il
mio lavoro di storico) è essenzialmente un lavoro che parte da un’interrogazione politica: quali sono le
6
anche pensare a un avvenire, a un futuro inteso come apertura di possibilità: questo
importante legame temporale non è sfuggito a Deleuze
17
.
A questo punto sorge un problema di non poco conto, vale a dire: esiste una
progettualità politica in Foucault? Che cosa intendeva il filosofo quando affermava che
la verità dei suoi libri era nel futuro?
18
L’asse genealogico della storia ha permesso di individuare il retroterra conflittuale dal
quale sono sorti i concetti di stato, potere, diritto. In questo senso non possiamo non
riconoscere la profonda influenza che Nietzsche ha esercitato su Foucault, al punto che
l’intero percorso di quest’ultimo sembra apertamente segnato dalla domanda che
Nietzsche ha inteso affrontare nella sua Genealogia della morale: ovvero non tanto
“quale origine abbia propriamente il nostro bene e il nostro male”, ma “in quali
condizioni l’uomo è andato inventando quei giudizi di valore: buono e cattivo? E quale
valore hanno in se stessi?”
19
. Allo stesso modo sembra che Foucault rifiuti una ricerca
dell’origine (Ursprung) dei concetti di stato, potere, diritto, essendo molto più
interessato a ricostruire le condizioni della loro provenienza (Herkunft) e il modo della
loro emergenza (Entstehung): la genealogia non sarà mai “partire alla ricerca della loro
origine (…), al contrario sarà attardarsi nelle minuzie e negli imprevisti degli inizi”
20
.
Foucault stesso si riconosce “semplicemente nietzschiano”, attento nel vedere, “con
l’aiuto dei testi di Nietzsche ciò che si può fare in questo o quell’ambito”
21
.
Contrariamente a quanto molti continuano a credere, non esistono degli oggetti naturali,
delle entità non storiche date una volta per tutte e che si pretendono universali e
necessarie: non esistono oggetti naturali come la Follia, lo Stato, il Potere o i Governati,
poiché tutte queste realtà “altro non sono che i correlati delle pratiche corrispondenti”
22
.
relazioni di potere in gioco in una società come la nostra? Potere della ragione sulla follia (…), potere dei
medici sui malati (…), potere dell’apparato giudiziario sui delinquenti, potere sulla sessualità degli
individui (…). Si tratta, in fondo, dell’analisi delle relazioni di potere nella nostra società”.
17
Cfr. G. Deleuze, Foucault, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 120: “Il pensiero pensa la propria storia
(passato) ma al fine di liberarsi di ciò che pensa (presente) e potere finalmente pensare altrimenti
(futuro)”.
18
Cfr. intervista a M. Foucault, Foucault studia la ragion di stato (1980), in D.E. vol. IV, p. 41.
19
F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano, 1996, p. 5.
20
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 87.
21
Cfr. intervista a M. Foucault, Il ritorno della morale (1984), in Archivio Foucault 3, 1978-1985,
Feltrinelli, Milano, 1998, p. 269. E’ interessante notare come qui Foucault indichi nel filosofo tedesco
uno degli autori che ha letto di più: “Credo che sia importante avere alcuni autori con cui si pensa, con cui
si lavora, ma su cui non si scrive”.
22
P. Veyne, Foucault rivoluziona la storia (1979), in Michel Foucault, la storia, il nichilismo e la
morale, cit., p. 25.
7
La ricerca genealogica di Foucault appare allora orientata all’individuazione delle
pratiche nascoste, attraverso le quali si sono costituiti numerosi concetti inerenti a
diversi campi di sapere, dalla medicina alla giurisprudenza, dalla politica alla morale,
dalla religione alla verità. Concetti, tuttavia, che troppo spesso vengono intesi come
immutabili, dati una volta per sempre, dotati di una storia rassicurante che, invece, non
fa che occultarne la vera provenienza e gli stessi meccanismi di funzionamento nei quali
essi sono inseriti
23
.
Punto di partenza dell’indagine è, dunque, il presente: ciò che viene dato per scontato
deve essere ripreso, problematizzato, scavato in profondità affinché emergano le
pratiche che lo hanno costituito e di cui ora se ne servono in vista di finalità anch’esse
da individuare con attenzione. La domanda sul presente posta da Kant nel 1784
24
assume agli occhi del filosofo francese un’importanza capitale: è la prima volta che un
evento recente, di attualità, viene proposto come oggetto di un’analisi filosofica. Non
siamo più di fronte a una domanda cartesiana del tipo “chi sono io?”, dove l’io è sì un
soggetto unico “ma universale e non storico”, non localizzabile nello spazio e nel
tempo; ora la questione proposta da Kant è differente, poiché egli si chiede “che cosa
succede in questo preciso momento della storia?”
25
.
L’analisi critica del mondo contemporaneo è da intendersi come un compito filosofico
al quale non possiamo sottrarci, e lo stesso Foucault è consapevole di quanto la storia e
l’attualità siano legate tra loro: i problemi della follia, della malattia, del crimine, della
sessualità, “bisognerebbe cercare di porli come questioni di attualità e di storia, come
problemi morali, epistemologici e politici”
26
.
Diventa così comprensibile l’impegno politico compiuto in prima persona da Foucault a
partire dagli anni Settanta, vale a dire ciò che è stato definito militantismo: basti qui
ricordare la nascita nel febbraio 1971 del “Groupe Information Prisons”, a cui farà
seguito tutta una intensa partecipazione del filosofo a numerose iniziative di protesta
politica. Nel 1975 farà parte di un gruppo di intellettuali in visita a Madrid per
23
Riguardo ai racconti che sono stati prodotti dagli uomini per occultare verità inquietanti, l’ispirazione
sembra ancora una volta provenire dalla Genealogia della morale di Nietzsche, quando l’autore parla di
una “rivolta che ha alle spalle una storia bimillenaria e che oggi non abbiamo più sotto gli occhi per il
semplice fatto che è stata vittoriosa”, cit., p. 23. Il testo foucaultiano nel quale sono ripresi in modo più
diffuso i temi di una storia e di una contro-storia, è Bisogna difendere la società, cit., pp. 63-64.
24
I. Kant, Risposta alla domanda: cos’è l’Illuminismo?, in Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F.
Gonnelli, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 45-52.
25
M. Foucault, Il soggetto e il potere (1982), in D.E. vol. IV, p. 231.
8
denunciare la condanna a morte di undici oppositori del franchismo; nel 1976 darà il
proprio sostegno ai dissidenti sovietici (già nel 1953 Foucault era uscito dal Partito
Comunista Francese, a seguito di un poco credibile “complotto dei medici”, la maggior
parte dei quali ebrei, accusati di ordire un altrettanto fantasioso avvelenamento di
Stalin)
27
; nel 1977 s’impegnerà contro l’estradizione di Klaus Croissant, in nome del
principio di un diritto alla difesa
28
, ma rifiutandosi contemporaneamente di sostenere un
testo di Deleuze e Guattari sulla “deriva della Germania federale verso la dittatura
poliziesca”
29
; infine dal 1978 sarà reporter in Iran per il “Corriere della Sera”.
Come risulta evidente, dagli anni Settanta la produzione foucaultiana contiene un
legame indissolubile con l’attualità, con la congiuntura: lo spirito della domanda di Kant
sul presente è ancora vivo e continua a guidare sia la stesura delle opere poi pubblicate
sia le molteplici prese di posizioni politiche di Foucault. Sono parecchie, infatti, le
occasioni in cui l’autore ha sottolineato l’interferenza continua che deve prodursi tra
attività pratiche e lavoro teorico: “Mi sembrava di essere più libero di salire in alto (…)
quando zavorravo le mie domande con un rapporto immediato e contemporaneo alla
pratica”
30
.
La filosofia non può trascurare l’ontologia dell’attualità, non può disinteressarsi a ciò
che accade: la società nella quale viviamo risulta l’argomento “più cruciale della nostra
esistenza”
31
; “la questione della filosofia è la questione del presente che noi stessi
siamo. E’ per questo che oggi la filosofia è interamente politica e interamente storica. E’
la politica immanente alla storia, è la storia indispensabile alla politica”
32
.
Abbiamo parlato finora dei due assi del passato e del presente, vale a dire del rapporto
particolare che in Foucault ritroviamo tra la storia e la politica. La ricostruzione di tale
rapporto può essere effettuata ricorrendo alle parole esplicite dello stesso filosofo, al
26
M. Foucault, Politica ed etica (1983), in D.E. vol. IV, p. 587.
27
J. Miller, La passione di Michel Foucault, cit., p. 66.
28
M. Foucault, Klaus Croissant sarà estradato? (1977), in D.E. vol. III, pp. 361-365: “Esiste il diritto di
avere un avvocato (…); questo diritto non è né un’astrazione giuridica, né un vago ideale: esso fa parte
della nostra realtà storica, e da essa non deve essere cancellato”. Uno degli obiettivi che il nostro lavoro
si prefigura è proprio quello di raggiungere una migliore comprensione di ciò che Foucault intendeva per
diritto. Dalla lettura di Sorvegliare e punire, di Bisogna difendere la società e de La volontà di sapere
emerge una dura critica del concetto di diritto usato in ambito giusnaturalistico; si tratterà di chiedersi che
uso positivo Foucault ha fatto, o avrebbe voluto fare, di tale critica.
29
Cfr. la Nota dei curatori all’edizione italiana di Bisogna difendere la società, cit., p. 251.
30
Cfr. intervista a M. Foucault, L’intellettuale e i poteri (1981), in D.E. vol. IV, p. 748.
31
Cfr. discussione Natura umana: Giustizia contro Potere (1971), in D.E. vol. II, p. 493.
32
M. Foucault, No al sesso re (1979), in D.E. vol. III, p. 266.
9
punto che non sembra un compito particolarmente problematico, forse perché si tratta di
una lezione ancora vitale, che sentiamo fare parte della nostra vita quotidiana. La
politica è sempre interrogata a partire da uno sguardo storico, in grado di svelarne molte
verità dimenticate, talvolta volutamente bene nascoste, ma in ogni caso mai perdute.
Saranno la pazienza e la meticolosità del genealogista a consentirci di ritrovare ciò che
cerchiamo, nel nostro lavoro “su pergamene confuse, raschiate, più volte riscritte”
33
.
Ma una volta arrivati alla riscoperta delle verità nascoste, che cosa possiamo fare? Che
cosa possiamo aspettarci dal futuro? Oppure, in che modo possiamo utilizzare ciò che
abbiamo scoperto e che ora sappiamo, per orientare l’avvenire? E secondo quale
direzione poi? Insomma, siamo ritornati al problema iniziale, quello del riconoscimento
o meno di una progettualità politica in Foucault.
La questione sembra estremamente complessa, come risulta dalle diverse interpretazioni
che sono state date, e che tendono a fare del filosofo francese o un inossidabile militante
del dissenso o addirittura uno scettico che non crede né a quello che fa né a quello che
dice. Gli stessi storici di professione non hanno mancato di condannare le ricostruzioni
genealogiche offerte da Foucault, per non parlare, infine, delle sue due ultime opere,
dedicate all’antichità greco-romana
34
.
Ai pregiudizi delle interpretazioni interessate e alle condanne sommarie pronunciate da
alcuni critici
35
, si affianca anche una certa ambiguità dello stesso Foucault, che,
relativamente ai temi dell’azione politica e della resistenza al potere, non è sempre
prodigo di parole. Anzi, a volte le sue stesse azioni sono in aperta contraddizione con
posizioni teoriche assunte in precedenza
36
. Infine a creare un certo imbarazzo è la
svolta etica degli ultimi anni di vita: come concepire le indicazioni di un’estetica
dell’esistenza, di un art de vivre che riprende esplicitamente ciò che Baudelaire definiva
“dandysmo”
37
? Entro questa nuova prospettiva viene perduto il precedente orizzonte
politico degli anni Settanta? Oppure si prospetta un nuovo pensiero del diritto?
33
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 83.
34
L’allusione naturalmente è all’Uso dei piaceri e alla Cura di sé.
35
Strali infuocati vengono lanciati nelle Precisazioni sul potere. Risposta ad alcuni critici (1978), in
“Aut-Aut”, 167-168, sett.-dic. 1978, in particolare pp. 10-11.
36
E’ il caso della già citata collaborazione con il ministro della giustizia Robert Badinter, apertamente in
tensione con le posizioni enunciate nella conferenza La filosofia analitica della politica (1978), in D.E.
vol. III, a proposito del “rifiuto del gioco di potere” e della “immediatezza anarchica delle lotte”, pp. 542-
547.
37
M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo? (1984), in Archivio Foucault 3, cit., pp. 224-225.
10
In conclusione, si tratta di andare alla ricerca di rari passaggi e cercare di leggere oltre le
contraddizioni di una vita intera, oltre le ambiguità a volte intenzionalmente suscitate e
a volte inconsapevoli, oltre le interpretazioni forzate, perfino oltre gli stessi silenzi di
Foucault. Alcune domande hanno ricevuto già una risposta parziale, altre aspettano che
attorno a loro venga fatta chiarezza, altre ancora non avranno mai una risposta
soddisfacente o definitiva. Non resta altro che metterci al lavoro sui testi più conosciuti,
senza per questo dimenticare quelli meno noti, prestando attenzione ai problemi che ci
sembrano irrisolti e che non smettono di sollecitarci. Forse perché sono di straordinaria
attualità
38
; forse perché ci aiutano a dirci chi siamo, senza imporci una risposta data, ma
lasciando intravedere solo alcune direzioni possibili
39
.
Per rispondere ai molti interrogativi suscitati da Foucault, per dipanare alcune delle
questioni più calde attorno al suo pensiero-azione, non potremo fare a meno di compiere
una ricognizione sulla sua produzione degli anni Settanta e Ottanta, alla ricerca di
frammenti di parole e di posizioni concrete, che, come lo stesso Foucault ci ha
insegnato, devono essere posti in una continua interferenza
40
.
Gli assi del passato, del presente e del futuro s’intersecano senza sosta dando vita a
quadri sempre diversi, a visibilità dinamiche di relazioni e rapporti: lo Stato, il potere e
il diritto costituiscono lo sfondo entro cui Foucault cerca di problematizzare il tema che
gli pare più urgente, vale a dire “un’analisi delle condizioni in cui si formano o vengono
modificate certe relazioni tra il soggetto e l’oggetto”
41
.
38
Basti pensare alle due pagine apparse in D.E. vol. IV, pp. 707-708, dal titolo: Di fronte ai governi, i
diritti dell’uomo (1984). In poche frasi troviamo condensate molte affermazioni di principio, la cui
influenza, consapevole o meno, sembra giunta fino agli attuali movimenti “no-global”: già nel 1981
Foucault parlava di una cittadinanza internazionale contro tutti gli abusi di potere; sosteneva che la
felicità dei popoli non è negoziabile secondo profitti e perdite; ammetteva un nuovo diritto all’azione
concreta da parte di individui privati, i quali dovrebbero “sollevarsi e indirizzarsi a coloro che detengono
il potere” strappando loro il monopolio dell’azione negli affari internazionali. Con questo non vogliamo
affatto fare del filosofo francese il padre spirituale dei movimenti “no-global” (le strategie operative, gli
stili di resistenza sono profondamente diversi), ma ci limitiamo a rilevare una certa corrispondenza a
livello dei princìpi ispiratori, poi diversamente declinati nella pratica.
39
Cfr. intervista a M. Foucault, Dialogo sul potere (1978), in D.E. vol. III, 469: l’autore riconosce come
suo obiettivo quello “di sapere che cosa siamo noi oggi”. Cfr. anche Che cos’è l’Illuminismo? (1984), in
Archivio Foucault 3, cit., p. 228: si tratta “di rilanciare il più lontano e il più diffusamente possibile il
lavoro indefinito della libertà”.
40
Cfr. intervista a M. Foucault, Politica ed etica (1983), in D.E. vol. IV, pp. 585-586: “bisogna ad ogni
istante, passo a passo, confrontare ciò che si pensa e ciò che si dice con ciò che si fa e ciò che si è (…). La
chiave dell’attitudine politica personale di un filosofo non deve essere cercata nelle sue idee, come se essa
potesse esserne dedotta, ma nella sua filosofia come vita, nella sua vita filosofica, nel suo ethos”.
41
Cfr. Foucault (voce scritta dall’autore per il Dizionario dei filosofi, PUF, Parigi, 1984); ora in Archivio
Foucault 3, cit., p. 249.
11
Non è solo il lavoro di uno storico, di un giornalista o di un insegnante: è qualcosa di
autenticamente filosofico, perché coinvolge in un’unica costruzione, per niente statica
né chiusa su se stessa, le relazioni meno visibili tra verità, potere e sé, tra conoscenza,
politica ed etica.
12
PARTE PRIMA: CORPI, DIRITTO E POTERE
CAP. I) LA DISCIPLINA DEI CORPI
Da un punto di vista strettamente documentario, risulta sorprendente la quantità di
occasioni in cui Foucault si sia pronunciato sul tema del potere. In pratica, a partire
dagli anni Settanta, e soprattutto a partire dal suo insegnamento al “Collège de France”,
sembra quasi che non abbia fatto altro che pensare ad esso, al punto che ancora oggi una
buona parte della sua fama di filosofo proviene proprio da quegli scritti.
Tali numerosi interventi sul potere, tuttavia, non rappresentano una estenuante
ripetizione di una teoria nota, solidificata e completa in se stessa, ma, al contrario, sono
da intendersi come un continuo e sempre nuovo lavoro di riflessione che l’autore ha
portato avanti nel corso di un intero decennio, forse perché non era ancora del tutto
soddisfatto di ciò che aveva pensato.
Certamente troviamo una serie di ripetizioni, riguardanti degli spunti che Foucault
riteneva particolarmente significativi, ma di volta in volta cambia l’angolo visuale,
cambiano gli interrogativi, mutano i contesti e gli stessi problemi da mettere a fuoco. In
questo senso, pensare all’esistenza di un Potere, chiedersi da dove viene, come funziona
e quali effetti produce, rimane pur sempre una domanda metafisica: meglio è
immergersi nelle pratiche concrete dei vari poteri, da quello psichiatrico a quello penale,
passando attraverso un tipo particolare di potere che prende comunemente il nome di
conoscenza o quello di verità.
Ecco che allora gli orizzonti si aprono, le direzioni di ricerca si moltiplicano, i problemi
da risolvere si intrecciano e generano degli ambiti discorsivi e non-discorsivi che
devono essere setacciati con la pazienza del genealogista. Occorre ricercare le
discontinuità, le differenze, le difficoltà, senza per questo perdere di vista le ripetizioni,
le analogie, le soluzioni.
13
Si tratta di un lavoro meticoloso, che Foucault ha intrapreso a partire da esperienze
autobiografiche apparentemente secondarie, ma invece significative, come la sua
collaborazione con un ospedale psichiatrico già nel 1955
1
.
Non esiste un’istanza astratta chiamata Potere, ma esistono dei poteri agenti in contesti
diversi e, tuttavia, operanti secondo procedure simili e diretti sempre su un obiettivo
umano: il corpo (fino a La volontà di sapere), oppure la popolazione.
Inizialmente è il corpo a costituire la chiave di lettura privilegiata per affrontare una
ricerca genealogica sul potere: “il potere incide nei corpi i rapporti di forza producendo
memoria”
2
. Da un terreno metafisico focalizzato sulla domanda del Potere come istanza
naturale, oggetto dato, siamo passati ad un terreno fisico, materiale, sopra il quale
troviamo numerosi poteri, in azione su altrettanti corpi: si sta configurando un ambito
tematico che correttamente possiamo chiamare “micro-fisica” dei poteri, e che
inevitabilmente comporta “l’emersione dell’elemento politico in Foucault”
3
.
La riflessione sul potere nasce con uno stretto legame con lo studio di ciò che Paul
Veyne ha chiamato “pratiche reali”
4
, uno studio che ha riguardato l’intera vita di
Foucault, partendo dagli ambiti discorsivi dell’Archeologia del sapere e dell’Ordine del
discorso, fino a raggiungere e problematizzare quelli non esclusivamente discorsivi
dell’ospedale psichiatrico, della prigione, della scuola, della fabbrica, e, infine, della
costituzione del sé.
Una prima sintesi significativa del dire e del fare, delle pratiche e dei discorsi, è
rappresentata da Sorvegliare e punire, testo chiave, che ha per protagonista proprio il
segreto legame corpo-potere, in particolare i cambiamenti avvenuti all’interno di questo
rapporto tra la società di “Ancien régime” e un’attualità che affonda le proprie radici nel
non lontano XVIII secolo. Apparentemente siamo di fronte a realtà storiche opposte, a
1
Cfr. intervista a M. Foucault, Il potere, una bestia magnifica (1977), in D.E. vol. III, p. 369: “Ero stato
reclutato vagamente come psicologo, ma di fatto non avevo nulla a che fare (con tale professione) e
nessuno sapeva cosa fare di me, di modo che sono rimasto per due anni in stage, tollerato dai medici, ma
senza impiego. Così ho potuto muovermi sulla linea di confine che separa il mondo dei medici e il mondo
dei malati”. Cfr. anche l’intervista L’intellettuale e i poteri (1981) , in D.E. vol. IV, p. 748: “E’ per aver
passato un certo tempo negli ospedali psichiatrici che ho scritto Nascita della clinica. Nelle prigioni ho
dapprima cominciato a fare un certo numero di cose, e in seguito ho scritto Sorvegliare e punire”.
2
G. Fassin, Potere e memoria. Appunti sulla genealogia in Foucault, ne “Il Politico”, Università degli
studi di Pavia, anno LXV, n. 1, p. 109.
3
Ivi, p. 95. L’autore ha ragione nel sostenere che tale emersione non è né facile, né immediata, e che
Foucault riconoscerà la centralità del problema solo alle soglie degli anni Settanta.
4
P. Veyne, Foucault rivoluziona la storia (1979), in Michel Foucault, la storia, il nichilismo e la morale,
cit., p. 23.
14
pratiche penali tra loro incomunicabili, se non al prezzo di un irriducibile contrasto
cromatico che va “dal rosso su rosso dei supplizi al grigio su grigio delle prigioni”
5
.
Nel passaggio dallo spettacolo della punizione, dove il corpo veniva suppliziato,
squartato, amputato e marchiato, alla moderna dissimulazione burocratica della pena,
dove il giudice condanna soltanto sulla base di perizie fornite da esperti (balistici,
psichiatrici, genetici), sembra che il corpo sia scomparso “come principale bersaglio
della repressione penale”
6
.
Non sarà così, e già dalle prime pagine del libro Foucault s’interroga sulla nuova epoca
della sobrietà punitiva rilevando l’esistenza di un “fondo suppliziante”
7
che continua,
seppure dissimulato, ad investire il corpo del detenuto, sotto forma di razionamento
alimentare, privazione sessuale, percosse ricevute, celle d’isolamento. “E’ pur sempre
del corpo che si tratta”
8
; esso rimane investito dai rapporti di potere, “direttamente
immerso in un campo politico”, oggetto privilegiato di una silenziosa “tecnologia del
potere”
9
.
La ricerca deve allora indirizzarsi sia al passato, ripercorrendo i motivi attraverso i quali
i supplizi e le torture hanno lasciato il posto alla prigione, sia al presente, interrogandosi
sull’ortopedia sociale del potere, sulla sua “presa in carico meticolosa del corpo”
10
.
Per quanto riguarda il primo aspetto, Foucault non ha dubbi: non è per una pretesa
“umanità” che i supplizi vennero archiviati, bensì a causa di una “paura politica”
11
, vale
a dire la solidarietà che spesso s’instaurava tra il popolo e il singolo condannato allorché
quest’ultimo diventava visibile nelle sue sofferenze sapientemente provocate dal boia.
Una certa ispirazione per questi passaggi ci sembra essere, ancora una volta, la
Genealogia della morale di Nietzsche, in particolare quando il filosofo tedesco
riconosce che “senza crudeltà non v’è festa (…) e anche nella pena v’è tanta aria di
festa!”
12
.
5
G. Deleuze, Foucault, cit., p. 33.
6
M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976, p. 10. Da ora in avanti indicato con la sigla
SP seguita dal numero della pagina.
7
SP, p. 19.
8
SP, p. 28.
9
SP, p. 34.
10
SP, p. 142.
11
SP, p. 71.
12
F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 55.
15
In ogni caso lo spettacolo del supplizio mantiene sempre “losche parentele”
13
con il
crimine; se il popolo si accorge che la tortura e il supplizio non sono altro che una
duplicazione legale del crimine commesso, ecco che l’economia stessa del potere è in
pericolo: per avere presa su un singolo corpo il potere deve impegnare troppe energie,
con il rischio di suscitare rivolte popolari. Ci vuole una “nuova politica del corpo”
14
,
una migliore ridistribuzione economica del potere, tale da ridurne il costo politico di
esercizio, e aumentarne gli effetti coercitivi. Il corpo, che si credeva dimenticato, viene
invece riscoperto come “oggetto e bersaglio del potere”
15
.
Non è più un corpo suppliziato, come fu quello di Damiens
16
, ma un corpo addestrato,
manipolato, sottomesso, utilizzato, trasformato e perfezionato grazie all’impiego di
“piccole astuzie dotate di grande potere”
17
. Siamo entrati nell’età della disciplina,
nell’epoca contemporanea, non ancora conclusa, del potere disciplinare, caratterizzato
da una “costrizione calcolata (che) percorre ogni parte del corpo”
18
.
Il legame corpo-potere si è profondamente modificato: esso non sarà più
un’appropriazione di corpi, uno spettacolo rituale che enfatizza il potere politico nella
sua presa diretta sul corpo
19
e che termina con l’esecuzione pubblica del condannato;
ora sarà, invece, un’anatomo-politica, un’arte sapiente di intervenire sul corpo in modo
continuo, al fine di renderlo docile e utile, obbediente e produttivo.
L’anatomia politica si configura come una nuova meccanica del potere, il cui obiettivo
diventa quello di aumentare le forze del corpo (in termini economici di utilità) e di
diminuire queste stesse forze (in termini politici di obbedienza). Il nuovo potere
disciplinare s’indirizza al corpo non più mirando alla sua eliminazione, ma avendo per
finalità da un lato l’acquisizione di una “attitudine maggiorata”, e dall’altro la
13
SP, p. 11. Cfr. ancora F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 71: “(…) Proprio per lo spettacolo
delle stesse procedure giudiziarie ed esecutive, il criminale si trova nell’impossibilità di avvertire come
riprovevole la sua azione, la specie del suo atto in sé: vede infatti esercitata al servizio della giustizia
esattamente la stessa specie di atti, e quindi approvata, esercitata con tranquilla coscienza”.
14
SP, p. 112.
15
SP, p. 148.
16
SP, pp. 5-8.
17
SP, p. 151.
18
SP, p. 147.
19
Si pensi ancora al supplizio di Damiens: il corpo viene torturato con tenaglie, ricoperto di piombo fuso
e olio bollente, tirato in direzioni opposte da sei cavalli legati alle braccia e alle gambe, troncato nelle
articolazioni con colpi di scure, infine gettato sul rogo ancora vivo.
16
realizzazione di una “dominazione accresciuta”: la disciplina costringe il corpo umano
ad entrare “in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone”
20
.
Foucault ricostruisce con attenzione i contesti situazionali in cui il potere disciplinare si
è imposto nella sua nuova utilizzazione del corpo, e lo scopre all’opera negli ospedali
(psichiatrici e non), nelle scuole, nelle fabbriche, nelle caserme, nelle prigioni. Ciò
significa che esiste un potere da intendersi come extra-istituzionale, ovvero non
interamente sovrapponibile al tradizionale potere dello Stato, ripartito in legislativo,
esecutivo e giudiziario. La concezione foucaultiana del potere è molto più complessa, e
avremo modo in seguito di soffermarci su testi inequivocabili a proposito del rapporto
tra il potere inteso in senso istituzionale e i molteplici poteri che si radicano in
profondità nel tessuto sociale. Per ora l’autore si limita all’individuazione delle tecniche
concrete utilizzate nella nuova meccanica del potere, lasciando intravedere, tuttavia, dei
precisi obiettivi politici, conseguiti attraverso la disciplina dei corpi.
La domanda fondamentale riguarda il “come” del potere, le sue modalità di esercizio e
non la sua definizione sostanziale (che cos’è il potere?) o la sua origine (da dove
viene?): soltanto sostituendo queste due ultime domande con la questione “piatta ed
empirica” del “come accade?”, possiamo “tentare un’investigazione critica entro la
tematica del potere”
21
. Per comprendere la nuova presa che il potere esercita sui corpi
occorre, quindi, ricercare nel dettaglio i molteplici punti di applicazione, verificando se
le tecniche volta a volta impiegate sono simili.
Il risultato non può che sorprendere, dal momento che, a prescindere dal contesto
considerato, sia esso scuola, caserma, ospedale, fabbrica o prigione, sembra proprio che
il potere utilizzi strumenti ricorrenti: tra questi, i più evidenti sono un’abile ripartizione
dei corpi nello spazio, e un preciso impiego del tempo.
Da un punto di vista spaziale il potere disciplinare agisce trasformando “moltitudini
confuse” in “molteplicità ordinate”
22
: nel collegio, nella caserma, nell’ospedale, nelle
manifatture e nelle celle d’isolamento, la preoccupazione maggiore del potere rimane il
disordine, terreno fertile per il sorgere di ogni possibile manifestazione di dissenso.
Esso va prevenuto attraverso una certa ripartizione dei corpi, fondata sulle tecniche
20
SP, p. 150.
21
M. Foucault, Il soggetto e il potere (1982), in D.E. vol. IV, p. 233.
22
SP, p. 161.
17
della clausura
23
, del quadrillage
24
, dell’ubicazione funzionale
25
e del rango
26
. In breve, il
potere agisce dividendo, classificando, individualizzando, in nome di un principio
dell’ordine che deve essere preservato, pena la sopravvivenza stessa del potere.
Da un punto di vista temporale, il potere disciplinare mette in gioco numerose tecniche
finalizzate al controllo e all’utilizzo degli individui. Nell’esercito e nella fabbrica, per
esempio, l’impiego del tempo diventa un valore in sé: “Il tempo misurato e pagato deve
essere anche un tempo senza impurità né difetti, un tempo di buona qualità, lungo il
quale il corpo resta applicato al suo esercizio”
27
. Nell’impugnare il fucile, nel
maneggiare gli utensili da lavoro, ma anche nell’apprendere la scrittura, c’è sempre un
tempo che penetra un corpo, un tempo raccolto e messo a profitto attraverso esercizi
graduali tendenti all’assoggettamento: Foucault parla di una “codificazione strumentale
del corpo”
28
.
L’asse spazio-temporale risulta utile nel comprendere le misure produttive (e non solo
restrittive) con cui il potere disciplinare agisce sugli individui; tuttavia se si vuole
analizzare in profondità il legame finora messo a fuoco tra corpo e potere, risulta allora
inevitabile allargare il nostro campo d’indagine, includendo l’articolazione del corpo
singolo su altri corpi. Ecco che il corpo si costituirà come “elemento di una macchina
multisegmentaria”, e la stessa disciplina acquisirà una ulteriore qualificazione: “La
disciplina non è più solamente l’arte di ripartire i corpi, di estrarne e cumularne il
tempo, ma di comporre delle forze per ottenere un apparato efficace”
29
.
Partendo dai corpi, il potere disciplinare fabbrica delle individualità obbedienti al
comando. Il sogno militare di una società addestrata, ordinata e disciplinata, di una
“docilità automatica”
30
che regnasse su tutti e su ciascuno dei suoi elementi, si stava
ormai realizzando all’inizio del XIX secolo.
23
Ci sembra significativa l’osservazione dell’autore circa il fatto che sempre più “la fabbrica si apparenta
al convento”: SP, p. 155.
24
SP, p. 155. Tale tecnologia del potere presuppone come principio: “Ad ogni individuo il suo posto, ed
in ogni posto il suo individuo”.
25
L’architettura deve consentire una “sorveglianza generale e individuale insieme”, SP, p. 158. Sul tema
di un’intrinseca politicità dell’architettura, cfr. intervista a M. Foucault, L’occhio del potere (1977), in
D.E. vol. III, p.192 : “(…) Una storia degli spazi (…) sarebbe nello stesso tempo anche una storia dei
poteri”.
26
Con questo termine l’autore intende il posto intercambiabile occupato in una classificazione.
27
SP, p. 164.
28
SP, p. 167.
29
SP, pp. 179-180.
30
SP, p. 185.