La “Provincia di Padova” nel maggio del 1919 riferì di una
“numerosa assemblea”, che avrebbe segnato la definitiva
costituzione della sezione padovana dei fasci. Guidati dal
De Marchi i fascisti individuarono subito nel “bolscevismo”
il nemico da combattere mentre, nel campo della politica
estera, criticarono i rappresentanti italiani alla conferenza
della pace di Parigi, Orlando e Sonnino, rei di non aver
difeso adeguatamente il ruolo avuto dall’Italia durante la
guerra (5).
Fin da questi primi orientamenti emergono i principi che
caratterizzarono la vita del primo fascismo: la matrice
antisocialista è cosa ovvia per un movimento che raccolse a
sé quanti fecero dell’interventismo il proprio credo,
contrapposto al neutralismo dei socialisti (6). L’altro
obiettivo a cui mirò il neonato movimento mussoliniano, in
relazione alla politica estera italiana, può essere sintetizzato
nell’idea di una nazione forte, nella quale l’interesse
generale, l’ordine e il bene comune dovevano prevalere
sugli interessi individuali e particolaristici.
2-L’estate del 1919 e la crisi economica
La situazione economica già pesante a causa degli squilibri
innescati dall’evento bellico, si aggravò ulteriormente nel
corso dell’estate e, con essa, l’incapacità da parte delle
istituzioni politiche liberali di trovare una soluzione alla
crisi. Le cause del difficile momento furono individuate nel
rincaro di generi di prima necessità e nel problema della
disoccupazione, collegato alla massa di soldati che
ritornavano dal fronte .
Alla fine di giugno il fascio cittadino era impegnato contro
“produttori, incettatori e venditori di generi di prima
necessità”, accusati di profittare del difficile momento (7).
Tale agitazione era in sintonia con quanto Mussolini e De
Ambris scrivevano dalle pagine del quotidiano fascista “Il
Popolo d’Italia” di questo periodo e che sfociò nell’articolo
pubblicato il 5 luglio, dove si suggeriva di far “penzolare
dal lampione” i colpevoli dell’aumento del costo della vita.
Da parte sua il movimento fascista locale criticò il governo
per non aver opposto una seria politica economica
all’eccessivo aumento dei prezzi ; mentre, in riferimento
all’espropriazione dei profitti di guerra, i fascisti
dichiararono che si sarebbero interessati del problema “in
misura ben più larga di quella prospettata dal governo”. Al
di là di questi impegni verbali, difficilmente realizzabili da
un movimento che di “politico” non aveva ancora nulla (8),
è importante rilevare quali fossero gli argomenti che il
fascio diciannovista si proponeva di sollevare e, soprattutto,
quali i ceti sociali presi di mira da esso. Ad un’assemblea
indetta per il 29 maggio l’invito fu rivolto, tra gli altri, alle
“madri e vedove di tutti i caduti e i mutilati e gli invalidi di
guerra e tutti gli smobilitati e smobilitandi, i reduci dalle
prigioni e i disoccupati” (9): queste categorie sociali erano
le più colpite dagli eventi bellici e postbellici e per alcune
di esse il problema era rappresentato dal loro reinserimento
nella vita civile, dopo quattro lunghi anni trascorsi in
trincea, dove la lotta e lo scontro fisico erano all’ordine del
giorno. Il fascismo di combattimento adottò il mondo del
“combattentismo” e si fece difensore della sua dignità.
Dal secondo semestre del 1919 e per buona parte dell’anno
seguente, il movimento scomparve gradualmente dalle
cronache cittadine. Tale sorte accomunò la maggior parte
dei fasci italiani di combattimento, caratterizzati nella fase
iniziale della loro vita, dalla “debolezza” e “ambiguità” sia
dei programmi che dei loro dirigenti (10). Fu così che, nel
periodo in esame, il fascio padovano “rimase un gruppo
ristretto di studenti e ufficiali, isolato a destra come a
sinistra” (11). Tale condizione fu ribadita all’assemblea del
25 ottobre 1919, dove la sezione cittadina dei fasci deliberò
il “disinteressamento dalla lotta elettorale” imminente, non
certo per libera scelta, quanto per la sua “inconsistenza
politica” (12).
3-L’estate del 1920: nascita del fascismo agrario
La situazione nelle campagne della provincia rispecchiava
la situazione generale del paese: l’aumento della disoc-
cupazione e il malessere per il senso di sfruttamento che
accomunava i lavoratori della terra, rendevano il clima
pesante.
Tra il maggio e l’agosto del 1920 si rilevarono in tutta la
provincia sollevazioni e scioperi bracciantili che
culminarono nel settembre con l’occupazione di alcune
fabbriche cittadine e della bassa provincia. Già nella
primavera-estate del 1919 braccianti e salariati
ingaggiarono con proprietari e conduttori di fondi della
provincia, una lotta sanguinosa caratterizzata da sequestri e
isolate reazioni da parte dei possidenti terrieri. Comune
denominatore del malcontento erano le violazioni dei patti
agricoli di lavoro, che le organizzazioni in difesa dei
lavoratori stringevano con i medi e grandi fittavoli del
padovano (13).
I lavoratori della terra che nel corso del 1919 avevano dato
vita a sollevazioni spontanee, vennero orientati
politicamente dai sindacati cattolico e socialista. La novità
che qui interessa rilevare, consiste nella reazione che i
grossi proprietari e conduttori di fondi della bassa
provincia, zona prevalentemente dominata dal “leghismo
rosso”, riuscirono a organizzare per contrastare le agitazioni
bracciantili pilotate dal movimento socialista (14).
Un primo esempio della tendenza in atto fu dato in
occasione dello sciopero indetto dalla Camera del Lavoro di
Padova alla fine di aprile. Le squadre di lavoratori aderenti
al movimento socialista, furono affrontate dagli agricoltori
durante le giornate dello sciopero: cinque furono i socialisti
uccisi negli scontri, mentre nessun agricoltore perse la
vita(15).
I grandi proprietari terrieri e conduttori di fondi della bassa
provincia erano organizzati nell’Associazione Agraria,
organismo nato nel 1917 ad opera di Augusto Calore,
nipote di un grosso conduttore di Maserà, paese di cui era
sindaco. Calore, primo esponente dell’associazione
padronale, comunicò ai primi giorni di maggio al ministro
degli interni, l’esistenza di “gruppi di centinaia di giovani”
organizzati in alcune zone della provincia “decisi a tutto pur
di non vedere distruggere, assieme al patrimonio e alla
libertà della famiglia, gli stessi principi di libertà e
umanità”: Calore taceva sul fatto che i “gruppi” erano
mandati e armati dalla sua stessa associazione
(16).Dall’aprile del 1920 i gruppi di cui parlava Calore,
vennero organizzati dall’Agraria in una “struttura militare
di squadre armate” (17), i “Fasci Agrari di tutela e di
lavoro”, con il compito di difendere proprietari e conduttori
appartenenti all’associazione padronale, dalle “violenze dei
leghisti” (18). Subito dopo lo sciopero “rosso” di aprile,
infatti, i fascisti agrari “scorrazza(va)no a scopo
intimidatorio per tutta la bassa padovana”, scontrandosi con
braccianti e contadini: in occasione dello sciopero della
vendemmia di fine settembre a Monselice, il prefetto di
Padova informava che diversi conduttori di fondi agricoli si
erano accordati di loro iniziativa per “intimorire gli
scioperanti” e, al fine di impedire violenze e danni,
percorrevano “in gruppo e armati le campagne, dando luogo
al risentimento degli avversari” (19). I braccianti esasperati
dalle provocazioni, aggredirono un agricoltore. La reazione
delle squadre fu immediata: i fratelli Fornasiero, agricoltori
della zona, con il “gruppo di conduttori incaricati della
comune difesa” irruppero nella piazza del municipio di
Monselice. Lo scontro con i “rossi” fu violento e
sanguinoso(20).
Lo stesso giorno un altro agricoltore fu sorpreso e bastonato
dai lavoratori aderenti al movimento socialista: giunsero in
loro soccorso “fratelli e compagni” che respinsero i
socialisti a colpi di fucile (21). Al termine della giornata di
scontri, i lavoratori lasciarono sul campo un morto e 30
feriti, mentre nessuno degli squadristi agrari fu arrestato
(22).
4-L’incontro tra il fascismo di combattimento e il
fascismo agrario
E’ necessario ora domandarsi se esistesse un qualche
legame tra il fascismo cittadino e quello agrario. Per quanto
riguarda il caso padovano, si è rilevata la sua “originalità”:
a fronte di un movimento cittadino isolato, come abbiamo
sottolineato, rispondeva dalla provincia uno squadrismo
agrario ben organizzato e che riusciva ad imporre con la
forza della violenza le sue ragioni (23).
I primi contatti tra le due organizzazioni risalgono
probabilmente al secondo semestre del 1920, quando ex
combattenti e fascisti cittadini vengono arruolati da
Augusto Calore, il fondatore dell’Agraria, tra gli squadristi
della bassa (24). Tuttavia la presenza dei fascisti di
combattimento a fianco delle squadre degli agricoltori, fu
irrilevante almeno fino al gennaio del 1921, periodo in cui
la repressione agraria contro il “bolscevismo” fu rinforzata
in misura considerevole dai fasci mussoliniani (25).
Fin da ora possiamo però rilevare alcuni fatti, anticipatori di
quello che fu il parallelo c coincidente cammino dei due
fascismi. Le squadre armate dagli agricoltori erano guidate
da Mario Favaron, possidente terriero ed ex combattente
che al tempo della marcia su Roma guidò le squadre fasciste
di Padova (26). Lo stesso Augusto Calore giocò un ruolo
determinante per i destini del fascio di combattimento
padovano, fino alla sua candidatura nel “listone” del Partito
Nazionale Fascista alle elezioni politiche del 1924 (27).
Un’importante riunione dell’Agraria, avvenuta alla fine di
marzo del 1921, ci informa sui rapporti esistenti fino a quel
momento tra le due organizzazioni: l’avvocato Calore
dichiarò esplicitamente che non vi era “incompatibilità” di
appartenenza dei fascisti agrari ai fasci di combattimento,
che in quel periodo stavano sorgendo in tutta la provincia
(28). Nel suo intervento, il direttore dell’associazione
padronale ripercorse le tappe principali del fascismo
agrario: “l’Associazione Agraria fu la prima a creare...le
squadre di agrari lavoratori, nuclei di audaci e forti che
sempre risposero agli appelli dell’Agraria, la quale poté così
difendersi dalle violenze dei leghisti”. Altrettanto
importante è un articolo riportato dalla “Provincia di
Padova” di fine marzo, dove si rilevano anche le differenze
tra i due fascismi: i fasci agrari si distinguevano infatti per
il loro carattere “nettamente di classe” (29). Erano cioè
espressione di un ceto sociale ben determinato, la borghesia
rurale, per molti aspetti lontana e distinta da quel gruppo
eterogeneo di cui il fascismo di combattimento delle origini
era espressione (30).