1. Il Corriere della Sera;
2. Il Giornale;
3. La Repubblica;
4. Il Sole 24 Ore.
Sui termini raccolti è stata poi svolta un’analisi relativa sia allo studio
della frequenza d’apparizione negli annunci sia alla rilevazione statistica,
tramite interviste, del grado di diffusione nel linguaggio comune.
Vengono quindi esposti i significati raccolti nei principali dizionari
1
con
particolare riferimento ai tratti distintivi di ogni singola voce.
Nel terzo capitolo ho evidenziato, riportando fisicamente alcuni degli
annunci, come siano utilizzati i termini raccolti.
Il primo paragrafo riporta alcuni annunci in cui gli anglicismi sono
utilizzati in modo corretto; il secondo riporta alcuni esempi di significati
attribuiti in modo completamente o parzialmente errato; nell’ultimo
paragrafo sono riportati annunci dove i termini vengono utilizzati senza
alcuna spiegazione, lasciando quindi al lettore libera interpretazione.
1
Dizionari utilizzati:
1. PICCHI F., Economics and Business. Dizionario enciclopedico economico e commerciale,
Bologna, Zanichelli, 2001.
2. CODELUPPI L., A Dictionary of Business English. Dizionario commerciale, Firenze, Le
Monnier, 1993.
3. Collins Cobuild English Dictionary, Great Britain, Harper Collins, 1999.
4. Cambridge International Dictionary of English, Great Britain, Cambridge University Press, 1995.
5. Oxford English Dictionary, Oxford, Oxford University Press, 1997.
6. Dictionary online.
7. Dictionary.com.
1.1 LE LINGUE SPECIALI
L’attenzione specifica verso le lingue speciali, nella tradizione
italiana, risale agli anni Trenta. Si utilizza per la prima volta
questo termine per denominare le varietà impiegate in settori
specifici della vita sociale e professionale e caratterizzate da
terminologie speciali
(1)
.
Le lingue speciali sono dunque caratterizzate da un patrimonio
lessicale specialistico e sebbene siano impiegate da specifici
gruppi di parlanti, il loro tratto peculiare è tematico e non sociale
(2)
.
Non è possibile parificare le lingue speciali ai gerghi in quanto le
prime impiegano tecnicismi e quindi necessitano di massima
precisione, mentre questi ultimi utilizzano l’oscurità come
strumento di differenziazione dalla lingua comune e di coesione
all’interno di un gruppo
(3)
.
(1
)
MIGLIORINI B.,Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Laterza, 1935.
(2)
CARDONA G. R., Introduzione alla sociolinguistica, Torino, Loescher,
1987.
(3)
BECCARIA G. L., I linguaggi settoriali in Italia, Milano, Bompiani,
1973.
Si può effettuare un’ulteriore distinzione tra linguaggi
specialistici e linguaggi settoriali: i primi hanno un lessico
specifico e regole peculiari a cui corrisponde una circolazione
mirata ad un pubblico di specialisti di un determinato settore,
mentre i secondi sono caratterizzati dall’assenza di un lessico
specifico e dalla mancanza di regole convenzionali sono diffusi
attraverso i mass-media e hanno un’ampia utenza
(4)
.
Le principali caratteristiche delle lingue speciali sono:
- monoreferenzialità (rapporto biunivoco fra significato e
significante);
- precisione referenziale;
- trasparenza;
- sinteticità;
- neutralità emotiva
(5)
.
(4)
SOBRERO A. A., Introduzione all’italiano contemporaneo. La
variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, 1993.
(5)
CARDONA G. R., Introduzione alla sociolinguistica, Torino, Loescher,
1987.
1.2 FENOMENI D’INTERFERENZA:
ANGLICISMI NELLA LINGUA
ECONOMICA ITALIANA
Come molte lingue tecnico–scientifiche, la lingua speciale
economica italiana si caratterizza per il massiccio ingresso di
forestierismi di matrice inglese e americana entrati molto
rapidamente anche nel circuito comunicativo a dimensione
internazionale.
Il prestigio dell’angloamericano si risolve, infatti, nella
simultanea adozione di tecnicismi che circolano sotto forma di
prestito e calco in italiano e in varie lingue europee, con
conseguente omologazione culturale e diffusione europea di
terminologie tecniche
(6)
.
Il fenomeno dell’interferenza linguistica riveste, dunque, una
parte centrale nel processo di formazione del lessico della lingua
economica italiana. La presenza di una nutrita serie di anglicismi
non adattati o parzialmente integrati, infatti, mette in luce
l’incidenza del preziosismo espressivo come strategia adottata sia
dagli operatori del settore economico sia dalla stampa
specialistica del settore.
(
6)
FUSCO F., «Incontro tra due civiltà. Atti del Convegno di Scambi
Culturali», Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1990.
Dall’ultimo Dopoguerra in poi, infatti, l’influsso dell’inglese
sull’italiano si è sviluppato in maniera crescente per ragioni
storiche, economiche e culturali e pertanto termini di matrice
angloamericana sono penetrati in tutti gli strati sociali, grazie
anche all’azione dei mass–media. L’inglese si è, inoltre, imposto
come lingua di prestigio a scapito del francese, che, peraltro, ha
mantenuto ancora il ruolo di lingua intermediaria nei fatti di
interferenza tra inglese ed italiano
(7)
.
Vi è, inoltre, una maggiore tolleranza verso gli anglicismi non
adattati, confermata dalla diffusa pratica della formazione di
derivati italiani da basi inglesi, dovuta principalmente al fatto che
“gli anglicismi sono accolti nella maggior parte dei casi
attraverso il parlato e sono resi con una pronuncia approssimativa
di quella inglese e con realizzazioni fonetiche che variano
dall’uno all’altro strato sociale e non attraverso lo scritto come
accadeva un tempo”
(8)
.
Si può parlare di cultural borrowing, nel caso di una diffusione
nella lingua ricevente dei prodotti culturali della nazione
donatrice, e di intimate borrowing, che si verifica per il
contemporaneo uso di più lingue da parte della medesima
comunità, con parlanti con un elevato grado di bilinguismo.
(7)
ORIOLES V., Incontri linguistici, Roma, Laterza, 1992.
(8)
DARDANO M., SOBRERO A. A. (a cura di), Introduzione all’italiano
contemporaneo. Le strutture, Roma-Bari, Laterza, 1993.
Nel caso specifico dell’influsso inglese sull’italiano il rapporto
tra i due idiomi è di tipo culturale, in quanto l’influenza inglese è
dovuta al prestigio che la lingua e la cultura sia inglese sia
americana godono agli occhi dei parlanti italiani e non ad una
situazione d’appartenenza alla stessa comunità linguistica
(9)
.
Il contatto fra lingue e le conseguenze derivanti da questo
contatto sono oggetto di studio di quel settore della linguistica
denominato interlinguistica. Agli inizi del Novecento il termine
interlinguistica veniva utilizzato per indicare quel settore delle
discipline linguistiche che si occupava della creazione e della
diffusione delle lingue artificiali, dette anche interlingue. Questa
definizione, venne ancora impiegata nel VI Congresso
internazionale dei linguisti, tenutosi nel 1949 a Parigi, per
denominare lo studio delle lingue artificiali o di quelle ausiliarie.
Un nuovo valore al termine interlinguistica venne dato da
Jespersen nel suo contributo “A new science: interlinguistics”
del 1939, in cui l’Autore si riferiva con questa voce ad una
disciplina che si occupava dei problemi relativi alla
comunicazione linguistica a livello internazionale o interetnico,
nei diversi aspetti politici, storici, economici e linguistici
(10)
.
(9)
BLOOMFIELD L., Il linguaggio, trad. it. di ANTINUCCI F. e
CARDONA G., Milano, Il Saggiatore, 1974.
(10)
JESPERSEN O., Psyche, Padova, Esedra Editrice, 1940.
Con interlinguistica s’intende oggi, quel “settore della linguistica
che studia le condizioni in cui si determina il contatto fra lingue e
gli effetti che ne scaturiscono”
(12)
.
Il contatto tra lingue, di cui si occupa l’interlinguistica, consiste
nella sovrapposizione di lingue nell’uso fattone da un parlante.
Una lingua entra in contatto con un altro idioma unicamente
nell’uso concreto degli individui; è dunque indispensabile,
affinché si verifichi un contatto interlinguistico, che una persona
possieda un certo grado di competenza in più lingue, in quanto
non è di per sé sufficiente una semplice coesistenza di due o più
codici in uno stesso ambiente. Oggi, infatti, s’intende con lingua
“qualsiasi strumento di comunicazione ed espressione linguistica
organizzata” (11) e pertanto ne consegue che, in genere, ogni
persona è plurilingue, sia che conosca due o più idiomi nazionali,
sia che impieghi una lingua nazionale ed una locale o qualsiasi
varietà di lingua.
(11)
GUSMANI R., LAZZERONI R. (a cura di), Linguistica Storica, Roma,
Carocci, 1987.pag. 88
Nei casi di bilinguismo o plurilinguismo si può dunque verificare
la possibilità in cui una delle lingue note al parlante influenzi
l’altra, ossia che avvenga una sovrapposizione di codici in un
concreto atto di parole, con conseguente contatto interlinguistico.
Fintanto che l’interferenza resta circoscritta ad un atto linguistico
o ad un determinato parlante, il sistema della lingua replica non
viene influenzato; se, invece, questa si diffonde e l’elemento di
matrice alloglotta viene adottato da altri individui, si manifesterà
un’alterazione della lingua replica.
Viene quindi denominata interferenza l’imitazione di un modello
linguistico in un contesto diverso da quello di pertinenza
(12)
.
(12)
WEINREICH U., Languages in Contact, trad. it. di CARDONA G. R.,
New York, Franco Angeli, 1953. (Torino 1974).
1.3 IL PRESTITO
Esistono vari tipi d’interferenza, che vanno dalle forme più
occasionali, come il cambio di codice linguistico durante
l’esecuzione di un messaggio (il cosiddetto “code–switching”) o
le citazioni di termini stranieri, denominate con terminologia
inglese “casuals”, dovute al prestigio di una determinata lingua o
ad una reale necessità di poter disporre di lessemi specifici, che
non trovano un adeguato corrispondente nella lingua replica, fino
alla più diffusa interferenza nei tratti sopra segmentali e alla
pronuncia imperfetta che caratterizza l’impiego di una lingua
secondaria da parte di bilingui imperfetti; sono soprattutto i
fenomeni riguardanti le diverse tipologie di prestito e calco a
produrre i maggiori cambiamenti nel sistema della lingua replica
(13)
.
Con prestito linguistico s’intende l’imitazione da parte di una
lingua replica sia del significato sia del significante di un lessema
straniero, mentre il calco linguistico è l’imitazione della forma
interna di un termine alloglotto mediante materiale linguistico
indigeno.
(13)
GUSMANI R., LAZZERONI R. (a cura di), Linguistica Storica, Roma,
Carocci, 1987, pag. 94
Affinché si verifichi un prestito, al parlante che compie l’atto
d’interferenza è richiesto anche un modesto grado di bilinguismo,
mentre perché venga effettuato un calco è necessario possedere
una buona conoscenza della lingua modello, per poter analizzare
l’articolazione interna dell’archetipo alloglotto. Nella scelta fra
calco e prestito un fattore condizionante è, senza dubbio,
l’atteggiamento del parlante verso l’ambiente collegato alla
lingua modello: infatti quanto più questo gode di prestigio tanto
più frequenti saranno i prestiti.
Per quanto riguarda il prestito si nota in ambito italiano una
sostanziale concordanza nella scelta del tipo terminologico, lo
stesso non si può dire per i calchi, che vengono classificati dagli
studiosi in maniera diversa e con una differente terminologia, a
causa della maggiore complessità di questo fenomeno di
interferenza.
Una prima distinzione nell’ambito dei prestiti lessicali, vale a
dire i forestierismi, avviene differenziando i prestiti integrali,
“presi direttamente, ‘di peso’, dalla lingua straniera”, dai prestiti
non integrali, a loro volta suddivisi in calchi “prestiti parziali, in
quanto dalla lingua straniera ricevono soltanto il modello che poi
riproducono o ‘traducono’ con mezzi indigeni” e prestiti
semantici, in atre parole termini indigeni per i quali l’influsso
alloglotto si manifesta con l’allargamento del significato di un
lessema già esistente.
All’interno della tipologia dei prestiti integrali, bisogna
distinguere, inoltre, i prestiti non adattati da quelli adattati, per
mezzo d’assimilazione fonetica, morfologica, semantica o
grafica
(14)
. Attraverso il meccanismo del prestito si rende in
lingua replica un’unità significativa della lingua modello, che
può essere un lessema, ad esempio l’italiano “snob” mutuato
dall’inglese, oppure un nesso semanticamente unitario come “fair
play” ovvero una parola- frase, ad esempio “okay”, d’origine
inglese ma ormai stabilmente acquisita dall’italiano, o, infine,
un’intera perifrasi, come l’inglese “last but not least”.
In base al genere di contatto tra lingua modello e lingua replica,
si distinguono tre tipologie di prestito:
a) diretto, se cioè deriva da contatti in aree mistilingui;
b) a distanza, quando avviene attraverso rapporti occasionali, al
di fuori d’eventuali aree di contatto;
c) mediato, quando una lingua, per ragioni geografiche o
culturali, funge da mediatrice tra la lingua modello e la lingua
replica, come nel caso del francese, che fino al Secondo
Dopoguerra ha svolto un’importante funzione mediatrice
nell’entrata degli anglicismi in italiano
(15)
.
(14)
KLAJN I., Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschki, 1972.
(15)
GUSMANI R., LAZZERONI R. (a cura di), Linguistica Storica, Roma,
Carocci, 1987, pag 95.