Genesi e sviluppo del principio di sussidiarietà orizzontale
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sussidiarietà evoca nel linguaggio corrente può assumere,
talvolta, significati assai differenti.
In un primo significato, la sussidiarietà è qualità di quanto è
secondario, in relazione alla cosa principale, e, per estensione,
poco importante o quantomeno di importanza minore.
Tale significato è usato spesso nel linguaggio comune, per
esempio, quando, ad un discorso principale, si aggiunge un
ulteriore ragionamento.
Altra cosa è la sussidiarietà quando sta ad indicare l’ausilio, il
sostegno, ed assume un valore suppletivo. In questo secondo
caso il termine perde il suo valore di fatto secondario e,
invece, va ad assumere una posizione principale all’interno di
un contesto segnato dalla presenza di più soggetti operanti in
un medesimo contesto o in contesti contigui.
Quando si richiama l’idea di supplenza la parola può
sottintendere i concetti di supplementarietà e di complementarietà.
Supplementarietà quando indica l’integrazione di qualcosa che
altrimenti sarebbe incompleto o parziale.
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10
La complementarietà è richiamata, invece, spesso nel
linguaggio giuridico, quando si è in presenza di un elemento
che va a completare un insieme di altri elementi particolari,
recando al tutto una struttura unitaria e creando un
compromesso tra i singoli e la pluralità.3
Ampiamente usata nel campo giuridico amministrativo, la
nozione di sussidiarietà, così intesa, interviene nella
regolazione delle sfere di competenza di più organi
complementari tra loro facenti capo alla stessa struttura
organizzativa o appartenenti a strutture di livelli territoriali
diversi, secondo un principio ordinatore, detto appunto
“principio di sussidiarietà”.
3
A. Rinella, op. cit., pag. 4-5.
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DALLA PAROLA AL PRINCIPIO
“…Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella
filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla
comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società
quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare …”4, così Pio
XI, nel 1931, con l’enciclica Quadragesimo Anno definiva il
principio di sussidiarietà.
Tale definizione sottintende aspetti e problemi che occorre
analizzare ampiamente, al fine di dare una visione completa ed
esaustiva delle regole che presuppone e degli effetti che
comporta il principio di sussidiarietà. “La sussidiarietà, applicata
alla società, indica l’intervento compensativo e ausiliario degli organismi
sociali più grandi a favore dei singoli e dei gruppi sociali più piccoli”.5
4
Pio XI, Lettera Enciclica “Quadragesimo Anno”, http://www.vatican.va,
Roma 1931.
5
J. Höffner, op. cit. , Paoline, Roma 1986, p. 39-40.
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Il «principio» collocato all’interno delle regole ordinatrici di un
organismo giuridico (es: lo stato) si esprime in prima battuta
come l’espressione giuridica della nozione di sussidiarietà.6
Quindi in presenza di due o più soggetti le cui attività si vanno
a sovrapporre, esso si configura non tanto come spartiacque,
come alternativa tra due vie egualmente percorribili, bensì,
comporta la definizione dei casi e dei modi in cui la regola
generale può e deve essere disattesa al fine della realizzazione
del “bene comune”.
Il principio di sussidiarietà si manifesta, quindi, in via di
eccezione.
In altri termini il principio non è esclusivo, né escludente, non
porta all’irrigidimento delle forme delle strutture
amministrative ma, invece, costituisce un momento di
elasticità e di più facile adattamento di queste alle contingenti
condizioni della società civile.
6
A. Rinella, op. cit., pag. 4-5.
Genesi e sviluppo del principio di sussidiarietà orizzontale
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Sotto l’aspetto dei rapporti tra individuo, società intermedie e
società di più ampia dimensione politica e territoriale, il
principio di sussidiarietà presuppone un diritto-dovere di
intervento non-intervento secondo uno schema
diagrammatico che ha per estremi, da una parte la libertà-
dignità dell’individuo, e dall’altra il concetto di “bene
comune”. E’ superata in questo modo la dicotomia tra “pane o
libertà” caratteristica dello scontro ideologico tra la corrente
socialista e quella della dottrina liberale ottocentesca, in cui la
valutazione positiva di un elemento andava necessariamente a
scapito dell’altro.
Il principio di sussidiarietà si pone come terza via, nel tentativo
di assicurare «pane e libertà», grazie alla sua natura elastica.
Come poter assicurare l’uguaglianza (in partenza) e la libertà
degli individui?
Socialismo e liberalismo ottocenteschi hanno risposto in
maniera parziale e non risolutiva. La razionalizzazione e
l’esaltazione di un determinato valore porta necessariamente
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un deprezzamento a scapito di altri valori, porta ad visione
della società che è distorta in funzione del teorema ideologico.
Il principio di sussidiarietà va oltre i valori di libertà e
d’uguaglianza, torna alla valutazione dell’uomo come egli è, o
meglio guarda alla società come insieme organico, o
quantomeno organizzato, di persone, e non come somma
algebrica d’individui isolati o d’insieme d’unità che solo nel
tutto unico sono titolari di diritti.
Pane e libertà, “bene comune” e autonomia dell’individuo
costituiscono il paradosso di cui si nutre il nostro principio.
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ORIGINI
Sebbene il vescovo Ketteler venga indicato come colui il quale
alla fine del XIX secolo, “ben prima della pubblicazione delle
encicliche sociali … ha formulato in maniera pertinente questo
principio ed è stato il primo a parlare di diritto sussidiario7”8,
l’idea di sussidiarietà ha origini ben più remote.
J. Höffner ci parla di un principio di antichissima sapienza umana.
Gia nel libro dell’Esodo leggiamo questo consiglio dato a Mosè:«È
compito troppo grave per te e non puoi resistere da solo… scegli uomini
capaci … e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia,
capi di cinquantine e capi di decine … così il peso che grava su di te sarà
alleggerito, portandolo anch’essi insieme con te» (18, 18-22). Tommaso
d’Aquino tocca il principio di sussidiarietà quando, richiamandosi ad
7
“Ogni membro inferiore si muove liberamente nella propria sfera e gode
del diritto della più libera autodeterminazione e autogoverno. Solo
quando il membro inferiore di questo organismo non è più in grado di
raggiungere da solo i propri fini o di far fronte da solo al pericolo che
minaccia il suo sviluppo, entra in azione in suo favore il membro
superiore”. (Kettelers Schriften I, 403; II, 21, 162)
8
J. Höffner, op. cit., pag. 41.
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Aristotele, dichiara che un’unificazione e una uniformazione esagerata
minacciano l’esistenza della repubblica composta da varie parti, così come
la sinfonia e l’armonia delle voci scompaiono quando tutte cantano la
medesima nota. Anche Dante sottolinea nel De Monarchia che
l’imperatore non deve interessarsi direttamente delle piccole questioni di
ogni città, perché le nazioni, i regni e le città hanno caratteristiche proprie
e diverse, di cui bisogna tener conto in leggi speciali.9 Altusio nella sua
Politica contribuisce a disegnare i contorni di un momento nel
quale il problema non sarà più quello della scelta dei regimi,
ma quello dell’autonomia degli uomini, che hanno possibilità
di esercitarla solo per mezzo e all’interno delle comunità
intermedie. Agli inizi del '800 Tocqueville in Francia e Hegel
in Germania analizzano i mali delle società di appartenenza e,
pur partendo da contesti molto differenti, ricercano nell’idea
(ancora acerba) di sussidiarietà la soluzione a problemi sociali
e politici dell’epoca. Durante il XIX secolo la nascita dei due
grandi sistemi di pensiero: il socialismo e il liberalismo,
9
J. Höffner, op. cit. , p. 42.
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porteranno alcuni autori a muovere critiche a queste correnti
di pensiero e, nonostante i diversi punti di vista e le differenti
conclusioni (e anche i differenti ambiti), vi sarà
un’impostazione generale consistente nel riconoscimento di
un’autonomia dell’uomo che è differente dalla libertà come
viene concepita dai liberalisti e di un bene comune che non
coincide con l’uguaglianza rivendicata dalle correnti socialiste.
A cavallo tra l’800 e il 900 i papi, per la prima volta
cominceranno ad interessarsi nelle encicliche e nei messaggi al
problema socio-politico, inaugurando una tradizione che fino
ai giorni nostri ha contribuito alla definizione del principio di
sussidiarietà inteso in senso moderno, e ricercheranno la
soluzione nello stato sussidiario, estendendo poi il principio
anche alla materia dei rapporti internazionali.
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ANALISI DEL PRINCIPIO
L’idea di sussidiarietà, quindi, nel corso della storia a subito
un’evoluzione molto complessa. Il principio com’è oggi inteso
presenta una lunga serie d’aspetti (che tuttavia sono integrati in
un tutto unico). È da notare, inoltre, che la sua natura è
strettamente legata a quella tradizione europea, che
dall’antichità fino all’era contemporanea ha contribuito alla
definizione dello stato moderno europeo.
Presupposti
I presupposti filosofici all’idea di sussidiarietà derivano da una
determinata visione dell’individuo, inteso come singolo; della
società, quale luogo all’interno del quale si manifesta l’essenza
di ogni singola persona; del ruolo dello stato quale istanza
suprema di una comunità.
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La dignità. L’idea tomista di persona rappresenta il nucleo del
discorso filosofico che conduce alla sussidiarietà. Unico valore
ontologico, essa racchiude in sé tutti gli altri valori, che si
presentano quindi come derivati. La libertà (di fare e di
pensare), l’uguaglianza, la responsabilità sono valori compresi
nella dignità che mai si identifica o coincide con uno solo di
essi. La sua natura, pur essendo ricondotta ad una precisa
visione che lega l’uomo al creatore, ha la pretesa di far
riconoscere la dignità come valore universalmente condiviso.
Tuttavia essa necessita di essere definita in modo assoluto e
definitivo. Nonostante i tentativi che la filosofia a fatto per
trasporla su un piano razionale, i risultati hanno sempre
condotto a definizioni parziali e relative. Paradossalmente è
proprio la natura trascendente che gli fornisce quello status di
valore ontologico e assoluto.10
10
Millon-Delsol Chantal, Lo Stato della Sussidiarietà, (trad. R. Sapienza),
Gorle, Casa Editrice CEL, 1995, pag. 120 ss.
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Tutti gli uomini, uguali di fronte a dio, sono degni, e lo sono
allo stesso modo. Non vi è una scala di dignità, ciò implica
un’uguaglianza di partenza che è fondamentale nella
definizione dei diritti e dei doveri di cui ogni individuo è
titolare.
La dignità, valore assoluto, tuttavia non si manifesta in modo
sempre uguale, anzi è fortemente influenzata dalle condizioni
storico-politico-sociali di un dato momento. In base alla
concezione aristotelica per la quale l’uomo è ciò che fa, ad
ogni individuo si riconosce un diritto d’autonomia (che è
libertà e responsabilità). L’autonomia, quale manifestazione
dell’essere attraverso la propria opera, implica anche il diritto
di proprietà, poiché essendo i beni il frutto dell’azione, privare
un individuo dei propri beni equivale a deturpare la propria
essenza.
La dignità non si esaurisce con l’autonomia, la sua
concretizzazione passa, anche attraverso altri valori.
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Uno di questi è il benessere, quale insieme di condizioni e di
mezzi necessari per condurre un’esistenza “umana”11. La
definizione di questa situazione non è mai definitiva e varia
con il passare del tempo e il progresso della civiltà.
Il valore della dignità, quindi, implica in capo ad ogni uomo
diritti quali la libertà, la proprietà privata, la responsabilità,
l’uguaglianza (in partenza), il benessere. Diritti dei quali ogni
autorità deve tener conto e dai quali non può prescindere
nell’esercizio delle proprie funzioni.
La società. La visione della società, che ha accompagnato i
sostenitori del principio di sussidiarietà, non è stata sempre la
stessa. Fin dall’antichità il modello di riferimento era un tipo di
società organica in cui l’uomo e le comunità intermedie, come
in un organismo animale, costituivano le membra di un corpo,
di un tutto unico. Aristotele, infatti, descrive la società del suo
11
“ … Occorre rendere accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una
vita veramente umana, per esempio: nutrimento, abbigliamento, ambiente, diritto di
scegliere liberamente la propria condizione di vita e di fondare una famiglia, diritto
all’educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, a una informazione
conveniente, diritto d’agire secondo la propria coscienza, diritto alla salvaguardia della
vita privata e a una giusta libertà, ivi compreso in materia religiosa.”. Giovanni
XXIII, Vaticano II, par. 74.
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tempo con una serie di cerchi concentrici, dove l’individuo
costituisce il centro e lo stato, quale istanza suprema, è
rappresentato dall’ultimo anello più grande rispetto agli altri,
tutte le altre comunità (la famiglia, il villaggio) stanno
all’interno tra questi due estremi ed ognuna contiene quella di
dimensione inferiore ed è contenuta da quella di dimensione
maggiore. Questa concezione di società è rimasta tutto
sommato invariata, salvo alcune eccezioni, fino ai nostri giorni.
Tuttavia, la posizione dell’individuo e delle comunità rispetto
allo stato e il ruolo che va ad assumere quest’ultimo, hanno
subito diverse mutazioni durante l’avvicendamento e il
confronto tra le varie correnti di pensiero.
Gli antichi concepivano l’uomo solo all’interno dei gruppi
sociali. La sua esistenza è inscindibile dal tutto unico,
Aristotele, nel descrivere la condizione dell’individuo,
confronta l’uomo fuori della società ad un piede o una mano
staccati dal corpo, membra destinate a morire.