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Nel capito successivo viene esposto il modello dell’analisi delle conversazioni,
organizzato sui tre livelli che lo caratterizzano: lo studio delle strutture conversazionali,
l’analisi della messa in sequenza degli atti linguistici e l’individuazione delle strutture
logico-dialogiche della conversazione.
In particolare nello studio delle strutture conversazionali sono stati fatti confluire la
negoziazione dei ruoli, il sistema dei turni di parola, le pause di silenzio, le espressioni
metadiscorsive (newsmarks e riformulazioni), l'organizzazione strutturale in cinque ranghi
(interazione, sequenza, scambio, intervento e atto linguistico) e la coerenza tra elementi
verbali, paraverbali e prossemici.
L'analisi della messa in sequenza degli atti linguistici ha considerato gli apporti
forniti dai principali teorici: Austin, Searle, Grice, Vanderveken e infine i contributi di
Trognon e Ghiglione (1993), mentre con individuazione delle strutture logico-dialogiche si
è prestata particolare attenzione alla coerenza tra interventi, sia emessi da un singolo
locutore che all'interno di uno scambio.
La seconda parte riguarda principalmente la realtà virtuale della quale si è cercato
di cogliere due aspetti: l’interazione uomo-computer e la comunicazione mediata dal
computer da una parte, la realtà virtuale dal punto di vista tecnico e psicologico dall’altra.
L'assunto fondamentale è quello di considerare gli artefatti informatici tra quelli
cognitivi e come tali suscettibili di modificare le forme di cooperazione delle persone,
nonché le convenzioni sociali e le divisioni del lavoro.
A questo proposito il terzo capitolo concerne le modalità con le quali la
comunicazione si è evoluta all'interno delle nuove tecnologie informatiche adeguandosi
alle loro peculiarità, prima fra tutte l'indipendenza rispetto alla compresenza fisica degli
interlocutori, mentre il quarto capitolo si propone come un'introduzione tecnica alla realtà
virtuale con riferimento alle dimensioni tecnologica e psicologica, delle quali la prima è
certamente preminente a livello del grande pubblico.
Il presente lavoro si chiude con la presentazione di un'esperienza sperimentale nella
quale si è cercato di far confluire le informazioni precedentemente raccolte e discusse e
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che consiste principalmente di un'analisi delle conversazioni di interazioni prodotte durante
lo svolgimento di un compito collaborativo in due situazioni a virtualità variabile.
Considerata la natura cooperativa del compito, l'analisi concerne principalmente
alcuni indici conversazionali in grado di mettere in evidenza l'effettiva collaborazione dei
soggetti durante lo svolgimento della prova come l'alternanza dei turni di parola, la
coerenza logico-dialogica degli interventi, la quantità e la natura delle informazioni
scambiate dai locutori, la messa in sequenza degli atti linguistici.
Inoltre la particolare organizzazione del compito, che richiedeva ai soggetti di
spostarsi all'interno di un labirinto, ha suggerito l'approfondimento dell'uso della deissi e
dell'abilità di sviluppare una mappa mentale dell'ambiente artificiale.
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Parte prima - L'analisi delle conversazioni
1. La conversazione
Il termine conversazione viene utilizzato per designare "il tipo più diffuso di
discorso familiare in cui due o più persone si alternano liberamente a parlare, generalmente
al di fuori di specifici ambiti istituzionali".
1
L'importanza della conversazione è
testimoniata dal suo costituire il prototipo dell'uso del linguaggio, la forma in cui si è
esposti alla lingua e, conseguentemente, la matrice dell'acquisizione di quest'ultima.
Trognon (1991) definisce la conversazione come un'attività sociale originaria e
fondatrice, interfaccia tra individuale e collettivo, tra processi cognitivi e rappresentazioni
sociali. La conversazione si presenta, infatti, come l'ambito più naturale perché le
competenze cognitive possano essere sviluppate, emergendo dalle interazioni
conversazionali cui si prende parte fin da bambini. Per quanto riguarda la costruzione e
gestione delle rappresentazioni sociali (Trognon e Larrue, 1988), nella comunicazione si
possono ravvisare i tre termini che, secondo Moscovici caratterizzano l'ottica psicosociale:
soggetto individuale, soggetto sociale, oggetto.
In quanto azione sociale, la comunicazione rinvia al comportamento di altre
persone e si orienta, nel suo svolgersi, secondo questo riferimento. Implica l'esistenza di un
attore che prende l'iniziativa, intende realizzare uno scopo tramite un'azione, e di un co-
attore che compie un'azione di ritorno grazie alla quale l'attore realizza il suo scopo.
L'azione sociale consiste nella coordinazione delle azioni dei partner, la quale, a sua volta,
implica la coordinazione delle attribuzioni di senso alle azioni. Nel caso delle azioni di
comunicazione i mezzi utilizzati per provocare l'azione di ritorno sono dei significati
costituiti per mezzo dei codici, il principale dei quali è la lingua (Bange 1992b).
1
Levinson C. S. (1985) La pragmatica, Il Mulino, Bologna.
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È da notare che la comprensione di un messaggio è essa stessa un'azione e non
semplicemente una ricezione passiva; è un'azione il cui scopo è costituire qualcosa di
sensato e consiste nell'attribuzione di un senso mediante l'inserzione del significato in un
insieme più vasto di fenomeni interconnessi. La comprensione è un processo creativo che
supera sempre l'informazione codificata nell'enunciazione stessa, che talvolta ignora gran
parte di tale informazione ma che riceve sempre il suo scopo dall'intenzione del recettore
(Hörmann, 1980). Come verrà specificato meglio in seguito l'interpretazione non è
arbitraria, ma regolata dal principio di cooperazione di Grice.
Un concetto non dissociabile da quello di azione sociale è l'interazione, inteso come
un meccanismo di azioni sociali reciproche, all'interno del quale i ruoli di attore e co-attore
sono scambiati dai partner. Questi elementi dell'azione di comunicazione rendono possibile
la descrizione del carattere dialogico della conversazione, dell'interpretabilità dei simboli
scambiati, delle inferenze operate congiuntamente, della sua costituzione come processo
sequenziale. Questo lavoro di descrizione fa riferimento a tre concetti; il primo è
l'intercomprensione in base al quale la comprensione deve essere interattiva e reciproca e a
questo scopo ogni interattante deve assicurare la comprensibilità della propria
enunciazione per l'altro, assicurarsi della propria comprensione dell'enunciazione dell'altro,
deve identificare e rendere identificabile la situazione e il tipo di interazione, gli oggetti del
discorso e l'azione in corso. Il secondo concetto riguarda le modalità di organizzazione
strutturale della conversazione, mentre la descrizione dell'interazione come processo
sequenziale ne evidenzia l'articolazione secondo un modello a tre fasi: introduzione,
sviluppo e conclusione (Bange, 1983).
Per Kerbrat-Orecchioni (1992b) l'interazione verbale rappresenta la realtà
fondamentale del linguaggio, nel corso della quale i partecipanti, o interattanti, esercitano
un'influenza reciproca di diversa natura. Nei suoi studi ha verificato come il materiale
semiotico non sia ovunque lo stesso: le differenze dei sistemi linguistici incidono sui
comportamenti conversazionali dei locutori, sebbene non ne siano le sole responsabili; in
modo analogo variano da una società all'altra le regole che reggono i comportamenti
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paraverbali, come la dizione, l'intensità vocale e l'intonazione; infine variano le regole che
governano i comportamenti non verbali dei soggetti interagenti, come i comportamenti
prossemici, posturali e mimico-gestuali.
E' possibile distinguere le società a seconda che le interazioni vi si svolgano in
modo più o meno gerarchico, o, al contrario, egualitario, a seconda del ruolo che gioca la
variabile 'potere'; ma le società si differenziano anche in base al comportamento
'individualista' o 'comunitario', e mentre le prime sono a cortesia negativa, le seconde
tendono a praticare la cortesia positiva; un'ultima opposizione è tra società in cui i
comportamenti interazionali sono sottoposti a regole vincolanti e società in cui sono
codificati meno rigidamente (Kerbrat-Orecchioni, 1992b).
La conversazione si configura come il risultato di un complesso intreccio di attività
svolte da due o più soggetti che, interagendo, costruiscono congiuntamente il senso delle
proprie azioni, sulla base di una disponibilità alla comunicazione e di un bagaglio di
conoscenze comuni o comunque oggetto di negoziazioni.
Ci sono diverse ragioni per approfondire il tema della conversazione.
Una di queste è il motivo per cui le conversazioni funzionano così bene e gran parte
dei problemi vengono risolti velocemente e facilmente. Tenuto conto che le persone non
hanno accesso diretto ai pensieri altrui e dato che le conversazioni avvengono tra persone
con diversi scopi, retroterra e posizione sociale, la conversazione quotidiana rappresenta
uno straordinario atto di coordinazione. Occorre capire come tutto questo si compia con
successo.
Un'altra ragione è che le tecniche utilizzate nella conversazione costituiscono la
base per forme più 'ufficiali' di interazione (interviste, testimonianze, conferenze ecc.). Le
persone adattano il loro sistema di conversazione a queste altre circostanze. Quindi, in un
primo tempo si apprende a conversare e successivamente si applicano queste abilità ad
altre forme di interazione comunicativa.
Infine la conversazione rappresenta il metodo primario attraverso il quale le
relazioni interpersonali vengono formate, mantenute ed estinte.
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Così si può dire che la conversazione quotidiana ricopra un posto di vitale
importanza nella società umana (Nofsinger, 1991).
La crescita di interesse per la conversazione come oggetto di studio è legata ad un
mutamento di prospettiva nello studio dei processi comunicativi caratterizzato
dall'abbandono della concezione della comunicazione come processo lineare fondato
sull'alternanza dell'attività di due entità, una emittente e una ricevente. A questo riduttivo
punto di vista è andata sostituendosi una rappresentazione della conversazione come
evento interattivo, all'interno del quale i partecipanti svolgono un ruolo attivo,
collaborando alla produzione di significati, nell'osservanza di norme e regole di natura sia
generale che situazionale. La conversazione non viene più considerata come un mero
trasferimento di informazioni, bensì come relazione sociale (Galimberti, 1994).
Lo studio della conversazione ha portato all'elaborazione di una serie di modelli: i
primi hanno preso a fondamento i fattori tecnici in gioco nella trasmissione di segnali nei
sistemi di telecomunicazione, i quali potevano, però, dar conto solo parzialmente della
comunicazione umana; in seguito anche i modelli linguistici si rivelarono insufficienti, in
quanto non tenevano conto del rapporto psicosociale in atto tra i soggetti; così
recentemente sono comparsi i modelli psicosociali accompagnati da una riflessione
approfondita sulla dimensione interlocutoria della comunicazione (Galimberti, 1994).
In particolare, tra i modelli tecnici, il più noto è quello elaborato da Shannon e
Weaver (1949) la cui caratteristica fondamentale è la presentazione della comunicazione
come passaggio di informazioni da una sorgente ad un destinatario. Gli elementi coinvolti
nella comunicazione sono individuati in un emittente che codifica un messaggio e lo
trasmette attraverso un canale in direzione di un ricevente che si occupa della sua
decodifica; l'intero processo può essere influenzato o disturbato da fenomeni intervenienti
connotati come 'rumori'. Il modello di Shannon e Weaver presenta una serie di pregi, come
il riconoscimento dell'esistenza di fenomeni di perturbazione della trasmissione di
informazione o l'attenzione ai processi di codifica e decodifica operati dai soggetti in
comunicazione; accanto a questi interessanti punti, al modello sono da imputare, però,
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anche alcuni limiti, come la riduzione della lingua a codice e il ricondurre le distorsioni a
disturbi e difetti dei media attraverso cui si comunica, dovuti, principalmente, al fatto che
le analogie tra un codice formale e il codice linguistico sono molto limitate: il primo si
fonda sulla corrispondenza biunivoca tra significato e significante, mentre il secondo è
caratterizzato dalla polisemia e dall'ambiguità, che ne fanno un codice poco affidabile.
Anche le distorsioni che si verificano nel corso dei processi comunicativi non sono solo di
natura fisica e non sono connesse solo alle caratteristiche dei media utilizzati, bensì sono di
ordine cognitivo, linguistico e psicosociale. Il modello di Shannon e Weaver, e di
conseguenza tutti i modelli tecnici, si sono rivelati incapaci di rendere conto della
specificità del linguaggio verbale (Galimberti, 1994).
Il modello di Jakobson (1963) si colloca tra quelli linguistici e riconosce la
presenza di sei componenti del processo comunicativo legate a sei funzioni linguistiche. In
particolare la funzione espressiva o emotiva è riferita al destinatore e riguarda l'espressione
affettiva dell'atteggiamento del soggetto nei confronti di ciò di cui parla; la funzione
conativa rinvia, invece, all'azione che il destinatore intende compiere sul destinatario
attraverso il messaggio emesso; la funzione fatica è esercitata da quanto contribuisce a
mantenere il contatto tra chi comunica; la funzione metalinguistica è attivata nel momento
in cui gli interattanti utilizzano il codice nello stesso senso; dalla funzione denotativa
dipende il significato del messaggio; la funzione poetica è relativa alla forma stessa del
messaggio nella misura in cui possiede un valore espressivo. Al feedback viene
riconosciuto lo status di settimo elemento e determina il superamento del criterio di
alternanza tra emittente e ricevente, mentre l'integrazione delle condizioni sociali nel
processo comunicativo sono incluse in questo modello all'interno della nozione di contesto,
sebbene i linguisti si siano interessati al contesto come insieme di fatti linguistici piuttosto
che sociali, con l'eccezione di Bachtin che ha sostenuto l'importanza delle relazioni sociali
nello studio degli scambi linguistici (Galimberti, 1994).
Sempre all'interno dell'ottica linguistica si collocano le ricerche di Hymes e
Gumpez, cui va riconosciuto il merito di aver costruito un modello nel quale il concetto di
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situazione, o di contesto, è inteso per la prima volta in modo esplicito non solo come
insieme di elementi di natura linguistica (Hymes, 1972). Il nome del loro modello -
SPEAKING - è un acrostico costituito dalle iniziali degli elementi considerati, dove la
situazione, o setting, comprende sia il contesto generale, sia il contesto psicologico in cui
la comunicazione ha luogo; dei partecipanti non fanno parte solo emittente e ricevente,
bensì tutti coloro che hanno un influsso effettivo sulla scena e che ne determinano lo
svolgimento; le finalità, o ends, comprendono sia gli obiettivi che si desidera perseguire,
sia i risultati effettivamente raggiunti; gli atti esprimono contemporaneamente contenuto e
forma del messaggio; il tono, o keys, si riferisce alle modulazioni del contenuto del
messaggio; gli strumenti, o instrumentalities, riuniscono sia i canali che le forme della
parola; le norme sono sia quelle di interazione che quelle di interpretazione; il genere,
infine, può essere il racconto, il poema, la conferenza ecc.
Anche i modelli linguistici presentano dei limiti riconducibili alla descrizione di un
processo ideale, incapace di rendere conto delle difficoltà e degli incidenti che
intervengono durante la comunicazione, e che difficilmente possono essere ridotti a ragioni
di ordine tecnico o linguistico, essendo dovuti prevalentemente a fenomeni di ordine
interattivo (Galimberti, 1994).
Anzieu e Martin (1971) propongono un esempio di modello psicosociologico,
cercando di dar conto delle interpretazioni erronee, delle incomprensioni, dei controsensi,
dei conflitti presenti nella comunicazione, descrivendola come un rapporto tra due o più
personalità impegnate in una situazione comune e che discutono tra loro a proposito di
significati. Il loro schema comprende tre fattori: la personalità dei partecipanti, una
situazione comune e dei significati, ma il merito dei due ricercatori è probabilmente quello
di aver tentato una descrizione della successione dei filtri che si frappongono tra
l'intenzione del locutore e la ricezione dell'allocutario: la comunicazione risulta facilitata se
i due condividono il medesimo universo simbolico e gli stessi quadri di riferimento che,
insieme al sistema valoriale, costituiscono dei veri e propri filtri rispetto al flusso della
comunicazione stessa (Galimberti, 1994).
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Con i modelli psicosociologici si assiste, in primo luogo, all'allargamento
dell'oggetto di indagine, come conseguenza della considerazione della comunicazione
come un fatto totale, che arriva a comprendere anche i registri non verbale, paraverbale e
prossemico; inoltre ci si interessa sempre meno ai meccanismi di trasmissione di
informazioni, mentre cresce l'attenzione per i processi di elaborazione e condivisione dei
significati; infine in questi modelli viene precisato il concetto di contesto (Galimberti,
1994).
Uno dei principali esponenti dei modelli interlocutori è Jacques (1985), il quale
parla dell'impossibilità di rappresentare un interazione come un susseguirsi di
comportamenti caratterizzati da una relazione d'ordine, né come un semplice sistema dove
gli output di un soggetto servirebbero da input ad un altro soggetto; in questo modo
l'intersoggettività che si vorrebbe stabilire a livello linguistico si riduce di fatto
all'alternanza di due soggettività simili, preesistenti al messaggio (Jacques, 1992b). La vera
interazione comunicativa esige una determinazione più forte: essa consiste in un lavoro di
cooperazione verbale, un'attività congiunta durante la quale gli enunciati di un
interlocutore si intrecciano con gli enunciati dell'altro. In questa prospettiva l'interazione
non consiste semplicemente in un'azione che si trasferisce da un soggetto all'altro, poiché il
messaggio diretto al ricevente è considerato contemporaneamente messaggio per
l'emittente, nella formula: 'mi dico ciò che ti dico'; in questo modo l'emittente viene a
conoscenza delle modalità attraverso le quali il destinatario ha ricevuto il suo messaggio,
mediante una sorta di retro-comprensione (Galimberti, 1994).
Il modello di Jacques può essere rappresentato come una spirale comunicativa in
cui il messaggio di un soggetto costituisce una sorta di perturbazione che l'altro dovrà
compensare per ristabilire l'equilibrio; la compensazione sarà solo parziale, poiché nel
turno successivo l'operazione sarà ripetuta dal primo soggetto nei confronti dell'emissione
del secondo. I due soggetti, inoltre, sono inseriti nel cosiddetto 'spazio logico
dell'interlocuzione', indicato come un sistema superiore che, a sua volta, subisce
un'evoluzione in seguito alle loro interazioni, sempre conservando un'apertura nei
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confronti del mondo esterno da cui attinge l'informazione di cui si nutre (Galimberti,
1994).
Nell'interlocuzione, quindi, si costruiscono le identità degli interlocutori, non più
preesistenti al messaggio, e la comune referenza ad un universo di discorso condiviso; per
questo Jacques sostiene che la co-referenza al mondo sia solidale alla retro-referenza alle
persone.
Un approccio interazionale alla comunicazione è sostenuto anche da Kerbrat-
Orecchioni (1990), la quale riconosce che nel corso di uno scambio comunicativo gli
interattanti esercitano un'influenza reciproca di diversa natura e ravvisa nell'impegno allo
scambio un elemento centrale. Il locutore deve parlare a qualcuno, segnalandolo attraverso
l'orientamento del corpo, la direzione dello sguardo e la produzione di marcatori verbali di
allocuzione e si deve altresì assicurare che l'altro ascolti, alimentando la sua attenzione;
l'insieme di questi segnali è di natura fatica. Da parte sua, il ricevente deve produrre dei
segnali, detti regolatori, che possono essere verbali, non verbali o vocali. E' con la
produzione di segnali fatici e regolatori che i due interattanti si considerano
reciprocamente due interlocutori validi. Le due funzioni fatica e regolatrice non sono
indipendenti, ma solidali: in caso di difficoltà del ricevente, il locutore moltiplica i segnali
fatici, mentre in caso di difficoltà del locutore il ricevente moltiplica i segnali regolatori.
Tutto questo può essere ricondotto al fenomeno di intersincronizzazione che riguarda
anche il funzionamento del sistema dei turni di parola e la gestione del comportamento
corporeo, manifestandosi sia a livello vocale e verbale, sia a livello emozionale.
La concezione interattiva della comunicazione implica anche che le fasi di
emissione e di ricezione siano in una relazione di determinazione reciproca che si esplicita
in modo sia successivo che simultaneo. Lo sviluppo degli eventi comunicativi non è solo
lineare ma incorpora anche dei meccanismi di anticipazione, poiché il primo turno dipende
in parte dalle previsioni sul secondo, e di retroazione, nel momento in cui il secondo turno
modifica la percezione di quanto accaduto nel primo.
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Il mutamento di prospettiva nello studio dei processi comunicativi ha comportato
anche un nuovo interesse per il contesto e per il processo di negoziazione dei significati
operato dagli interattanti occupati in una conversazione.
In particolare il primo costituisce un elemento essenziale per la pragmatica,
definita, appunto, come l'insieme di quelle indagini linguistiche che rendono necessario il
riferimento al contesto, che comprende sia l'identità dei partecipanti, sia i parametri spazio-
temporali dell'evento comunicativo, sia le credenze, le conoscenze e le intenzioni di chi
partecipa all'evento. Comprendere un enunciato, infatti, significa molto di più che
comprendere i significati delle singole parole enunciate e delle relazioni che le legano, ed
implica trarre inferenze che mettano in riferimento quanto detto con quanto reciprocamente
ipotizzato dai partecipanti o con quanto detto in precedenza (Levinson, 1985).
Il contesto è interpretato anche come un insieme di rappresentazioni dei
partecipanti sulla base sia di informazioni preliminari, sia di informazioni fornite nel corso
dell'interazione, conosciute anche come indici di contestualizzazione e costituite
dall'insieme di elementi che forniscono ai partecipanti delle conoscenze pertinenti circa i
diversi parametri che costituiscono il contesto stesso (Kerbrat-Orecchioni, 1990).
Il contesto può essere considerato un elemento fluido dell'interazione, oggetto di
ridefinizioni incessanti ad opera dello scopo dello scambio, dell'identità e dello statuto del
partecipanti e della relazione, e la cui proprietà principale consiste nel carattere dinamico.
L'identificazione corretta del contesto da parte dei partecipanti è necessaria perché possano
interpretare correttamente gli eventi verbali e non verbali che si verificano nel corso
dell'interazione e perché possano comportarsi in modo adeguato (Kerbrat-Orecchioni,
1990).
Per quanto concerne la negoziazione, Jacques (1992b) inserisce la sua trattazione
all'interno dell'ambito più vasto del consenso; la negoziazione avrebbe il proprio termine
normale nel compimento di un accordo, ma in quanto semplice tecnica per regolare dei
conflitti col minor costo possibile, la negoziazione non esige un accordo di fondo. I
negoziatori hanno obiettivi distinti, ma allo stesso tempo condividono un obiettivo
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consensuale comune, desiderando che venga raggiunto un accordo in modo da regolare le
parti in causa.
Kerbrat-Orecchioni (1992b) individua nuove priorità a livello metodologico che
derivano dalla nuova concezione della comunicazione: la priorità dello studio delle forme
discorsive dialogiche, assunte come strutture elementari del discorso; la priorità dello
studio del funzionamento orale del linguaggio, considerato a lungo sottoprodotto
linguistico in quanto caratterizzato dalla presenza di 'scorie' come fallimenti di elocuzione,
costruzioni incompiute, rettifiche, riformulazioni, costruzioni incoerenti e segnali di
esitazione, fatici e regolatori; la priorità dell'analisi di conversazioni naturali e la necessità
di non limitarsi al materiale verbale ma di tener conto anche dei dati prosodici, vocali e
visuali, come sguardi e gesti.
Concetti pragmatici come la deissi, la presupposizione, le implicature e gli atti
linguistici possono dirsi strettamente legati alla conversazione come tipo primario e
fondamentale dell'uso della lingua. Sebbene la pragmatica abbia avuto origine da tradizioni
prevalentemente filosofiche, sembra che la tendenza in atto sia quella di indagini più
empiriche sull'uso linguistico.
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2. Analisi delle conversazioni
1. Analisi del discorso e analisi della conversazione
L'analisi del discorso e l'analisi della conversazione costituiscono i due principali
tipi di analisi teorica della conversazione. Secondo Brassac (1992) analisi del discorso e
analisi della conversazione condividono l'obiettivo - analisi dell'organizzazione e della
coerenza discorsiva delle conversazioni - il tipo di corpus studiato - interazioni in
conversazioni naturali - e lo statuto epistemologico - teoria dell'azione in prospettiva
interazionista o logica. Sebbene, quindi, si propongano entrambe di spiegare come
avvengono la produzione e la comprensione di sequenze organizzate e coerenti del
discorso, i due metodi sono molto diversi tra loro e in gran parte incompatibili (Levinson,
1985).
In particolare l'analisi del discorso si rifà ai concetti e alla metodologia tipici della
linguistica. Le procedure consistono nell'individuazione di un insieme di categorie di base
o unità del discorso e nella formulazione di un insieme di regole di concatenazione, riferite
alle categorie di base, che permettano di distinguere le sequenze ben formate da quelle
male strutturate; per stabile quali discorsi siano coerenti si ricorre all'intuizione (Levinson,
1985).
Al contrario l'analisi della conversazione consiste in un modo rigorosamente
empirico di affrontare i dati, evitando la costruzione di una teoria predefinita. I metodi
sono induttivi, in contrapposizione a quelli deduttivi dell'analisi del discorso; si ricercano
schemi ricorrenti in un gran numero di conversazioni spontanee, piuttosto che procedere
all'immediata categorizzazione dei dati tipica dei primi lavori dell'analisi del discorso; si
considerano le conseguenze interazionali ed inferenziali della scelta di un enunciato tra le
varie alternative, invece di limitarsi ad un'ontologia teorica delle regole; infine si tende ad
esaminare il maggior numero possibile di istanze di un fenomeno particolare all'interno di
più testi al fine di definire le proprietà dell'organizzazione sequenziale del discorso e il
modo in cui gli enunciati si dispongono per formare tali sequenze (Levinson, 1985).