Da questa sua funzione derivano alcune caratteristiche: è fungibile,
cioè è indifferente avere una banconota da diecimila o dieci da mille; è
accettata da chiunque, purché ne riconosca l'autenticità, in forza della
legge che ne ha autorizzato l'emissione, ha cioè corso legale; ha un
valore oggettivo perché mille lire hanno lo stesso valore
indipendentemente dal soggetto che le possiede.
Gli economisti, inoltre, rilevano che la moneta ha un'utilità
marginale costante nel senso che una lira in più aumenta l'utilità di chi la
riceve sempre nella stessa misura, indipendentemente dalla quantità di
denaro posseduta.
Quando, invece, si confrontano i prezzi di due beni della stessa
specie ma di marche diverse, o si ragiona se con quello che si ha in tasca
è possibile acquistare determinati prodotti, si fa riferimento alla seconda
funzione del denaro: quella di numerario, in altre parole alla capacità di
misurare il valore dei beni, del reddito e del risparmio.
Infine, quando il denaro non è speso subito ma è tesaurizzato si
ricorre alla terza funzione della moneta: riserva di valore. Per ciò che
riguarda quest'ultimo aspetto, sorgono particolari problemi ogni
qualvolta si verificano congiunture economiche negative, volte a minare
la fiducia del pubblico verso questo strumento e a mettere in dubbio la
capacità del denaro, di conservare il proprio valore nel tempo. Questo è
particolarmente vero in economie caratterizzate da elevata inflazione,
dove, gli operatori economici, cercano di limitare la perdita del potere
d'acquisto del denaro investendo i propri capitali in “beni rifugio” come
ad esempio l'oro.
2
Così definite dalla scienza economica, queste funzioni, sono state
accolte anche dalla dottrina giuridica traducendole in espressioni quali:
mezzo di pagamento, unità di misura dei valori, strumento di
capitalizzazione dei valori patrimoniali.
Anche se le caratteristiche fondamentali del denaro si manifestano
in queste funzioni, esiste una qualità dello stesso che, pur essendo
estrinseco ad esso, è di fondamentale importanza per l'esistenza del
fenomeno monetario: la qualità di mezzo di pagamento legalmente non
rifiutabile.
Il nostro legislatore ha ritenuto opportuno inserire nel codice civile
una disposizione, secondo la quale «i debiti pecuniari si estinguono con
moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il
suo valore nominale» (art. 1277 C.C.). Questo principio esprime la
sovranità monetaria dello Stato.
Nel nostro ordinamento, a differenza di altri, la sovranità monetaria
non è sancita nella Costituzione Italiana dove il riferimento è indiretto
2
L.Paolazzi, Euro. La moneta unica europea, ed. Il Sole-24 Ore Libri, Milano,1997, pagg. 4
ss.
(art. 47 Cost.)
3
e la disciplina in proposito è contenuta nella legislazione
ordinaria (L. bancaria 7 marzo 1938 n.141).
4
Ad una prima analisi potrebbe sembrare che i pubblici poteri
attribuendo alla moneta forza vincolante, si limitino ad affermare con la
legge ciò che è un'esigenza del sistema economico e, quindi, a svolgere
una funzione meramente regolatrice.
In realtà, la variazione della quantità di moneta influenza il ciclo
economico, determinando (attraverso l'aumento e la diminuzione della
quantità di moneta) la variazione del potere d'acquisto della collettività.
Quindi il controllo della moneta rappresenta uno strumento forte,
attraverso il quale, i pubblici poteri sono in grado di influenzare il
sistema economico. Inoltre la doppia funzione della moneta, di mezzo di
scambio e numerario, presuppone un legame inscindibile con il mercato
ponendo in evidenza l'esigenza, avvertita da tutti gli utilizzatori della
stessa, che il suo valore si conservi nel tempo.
3
L’art.47 Cost. così recita: «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;
disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito […]». Una parte della dottrina ha cercato di
ricavare da quest’articolo un ipotetico principio di stabilità monetaria. Infatti, in base al citato articolo,
il compito della Repubblica è di difendere il risparmio dalla progressiva erosione causata
dall’aumento dell’inflazione. In passato, quest’interpretazione non ha avuto larghi consensi; non tanto
perché non si riconosceva allo Stato l’obbligo di tutelare la moneta dall’erosione causata
dall’inflazione quanto per le difficoltà di individuare l’organo costituzionale dotato di sovranità
monetaria. Grazie al progressivo affrancamento dal potere politico, avvenuto nel corso degli anni ’80,
la Banca centrale è diventata l’organo materiale (anche se numerosi sono stati i tentativi volti
all’inserimento della Banca d’Italia nella Costituzione) dotato di sovranità monetaria preposto al
rispetto del principio della stabilità.
4
B. Inzitari, op. cit., pagg. 5 ss.
Difatti la collettività accetta la moneta poiché essa ha un valore e
questo scaturisce delle complesse relazioni tra sistema economico e
sistema giuridico. Il sistema giuridico attribuisce alla moneta valore
legale, mentre, il sistema economico tramite le complesse relazioni tra
gli operatori contribuisce al valore economico e, in altre parole, alla
fiducia che il mercato nutre nei confronti della stessa.
5
5
G. Di Plinio, Diritto Pubblico dell’economia, Giuffrè editore, Milano,1998, pag. 373.
2. Il controllo della moneta. Evoluzione storica. Dal Gold Standard
agli accordi di Bretton Woods: il tentativo di creare un sistema
monetario internazionale.
Il controllo della stabilità monetaria è un problema che riguarda non
solo le moderne economie industrializzate ma anche quelle pre-
industriali. Infatti, dove esistono degli scambi e come metro è usata la
moneta sorge il problema di garantirne il valore. Questo, nelle società
medievali, era garantito dalla quantità di metallo prezioso che, tramite la
coniazione, entrava a far parte della moneta. Ben presto, però, si
rivelarono le contraddizioni del sistema poiché i sovrani riducevano la
quantità d'oro a parità di conio realizzando un prelievo fiscale occulto a
danno della collettività. Nel periodo feudale fu utilizzato uno strumento
ancora più semplice per realizzare delle truffe nei confronti delle classi
produttive: la moneta immaginaria. Questa, era uno strumento, al quale il
feudatario attribuiva la funzione di unità di conto e che svalutava e
rivalutava, a proprio piacimento, per tutelare i propri interessi. Questo
comportamento, oltre a generare delle rivolte sociali da parte della
collettività, che si sentiva defraudata, non poteva essere utilizzato in
maniera indiscriminata dato che alla lunga indeboliva il sistema
produttivo e minava la possibilità dello stesso di riprodursi.
Alla fine del diciassettesimo secolo, con lo sviluppo della funzione
bancaria tese ad affermarsi l'uso della moneta cartacea al posto di quella
metallica. Inizialmente la circolazione di questo nuovo strumento, si
basava sulla fiducia che la collettività riponeva sull'emittente; fiducia che
scaturiva dalla capacità dello stesso di far fronte all'obbligazione assunta.
Successivamente i poteri sovrani imposero l'uso delle banconote ed
assegnarono ad alcuni banchieri il privilegio di emettere tali biglietti
decretando la nascita dei primi istituti di emissione.
Il diciannovesimo secolo, segna il passaggio dallo Stato assoluto a
quello liberale con l'affermazione della borghesia che riuscì ad ottenere
una grande conquista: il Gold Standard. Questo sistema, si basava
sull'oro, ed il valore di ciascuna moneta era fissato in base ad una
quantità fissa di metallo prezioso. Inoltre, le autorità monetarie avevano
l'obbligo di convertire la moneta legale nell'equivalente quantità d'oro.
Questo sistema che prevedeva un regime di cambi fissi, imponeva a tutti
i paesi partecipanti all'accordo di detenere una quantità di riserve auree
pari al valore della moneta esistente.
6
Sebbene il sistema aureo sembrava funzionasse in conformità a
meccanismi automatici ed impersonali, tuttavia era la Gran Bretagna che
6
G. Di Plinio, op. cit., pagg. 374 ss.
con il ruolo guida della sterlina provvedeva all'armonizzazione ed al
coordinamento delle politiche monetarie e creditizie nazionali.
Il Gold Standard che raggiunse il suo apogeo nel periodo compreso
tra il 1870 e il 1914, successivamente entrò in crisi, non tanto a causa
delle difficoltà connesse con la ricostruzione post-bellica, quanto a causa
dei mutamenti intervenuti nella sfera economica mondiale. Infatti, le
ragioni che spiegano la caduta del Gold Standard vanno ricercate nella
fine della Gran Bretagna quale paese guida dell'economia mondiale.
7
Con la fine della prima guerra mondiale, i paesi avvertirono
l'esigenza del ritorno ad un sistema di cambi fissi. Un tentativo di
ripristinare il sistema aureo si ebbe con il Gold Exchange Standard che,
però, fu investito da violente crisi finanziarie e dalle svalutazioni a
catena operate dagli Stati, per recuperare competitività sul mercato delle
esportazioni. Il fallimento del ritorno alle parità d'anteguerra evidenzia
un profondo mutamento avvenuto nello scenario economico mondiale: la
perdita del predominio economico della Gran Bretagna e l'affermazione
di una nuova realtà; quella degli Stati Uniti. Quest'ultimo paese, infatti,
aveva vissuto gli aspetti positivi del periodo bellico cioè la forte
domanda di armamenti che la guerra aveva stimolato, senza subire, però,
gli effetti negativi del conflitto.
7
G. Mauro, Bilancia dei pagamenti e sistema monetario internazionale, ed. G. Giappichelli,
Torino,1984, pagg. 6ss.
La fine della seconda guerra mondiale evidenziò, di nuovo, la
necessità di un nuovo ordine monetario internazionale, soprattutto a
causa del nuovo scenario economico che si era realizzato. Così nel 1944
furono siglati gli accordi di Bretton Woods. Questi stabilivano una serie
di regole. In primo luogo, fra le varie monete fu stabilito un sistema di
cambi fissi, ma non rigidi, essendo consentite fluttuazioni minime tra le
valute. In secondo luogo, il dollaro assunse una posizione centrale
poiché ogni moneta doveva stabilire la sua parità in termini di dollari,
mentre, gli Stati Uniti ne garantivano la convertibilità con l'oro al prezzo
di 35 dollari per oncia. In terzo luogo, fu creato il Fondo Monetario
Internazionale che aveva il compito di preservare la stabilità monetaria
fornendo delle regole di condotta ai paesi partecipanti all'accordo e,
inoltre, concedendo ai paesi che registravano un disavanzo temporaneo
nei loro conti con l'estero, i mezzi creditizi necessari per superare lo
squilibrio. La principale contraddizione del sistema di Bretton Woods
derivava dall'utilizzo del dollaro come mezzo di pagamento
internazionale. Gli Stati Uniti, infatti, per garantire questa funzione, della
loro moneta, erano costretti ad avere un disavanzo strutturale della
bilancia dei pagamenti. Questa si compone di due parti: le partite
correnti e i movimenti di capitali. La prima comprende i movimenti di
merci e servizi; la seconda, nell'attivo comprende le entrate nette di
capitali e il valore dei crediti commerciali concessi dall'estero agli
importatori nazionali e nel passivo le uscite nette di capitali e il valore
dei crediti commerciali concessi dagli operatori nazionali agli
importatori esteri. Il forte squilibrio della bilancia dei pagamenti degli
Stati Uniti derivava dai movimenti di capitali e crediti verso l'estero,
mentre le partite correnti (cioè la bilancia commerciale) presentavano un
costante surplus. Per contro gli altri Stati che partecipavano all'accordo
erano costretti ad avere la bilancia dei pagamenti in avanzo strutturale; in
caso contrario, cioè di disavanzo, gli Stati non avrebbero potuto far
fronte ai propri impegni. Questa fu la situazione che si delineò nella
maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale che li costrinse,
dapprima, a difendere la parità delle proprie monete attraverso la vendita
sistematica di valuta estera, ed in seguito con l'esaurimento delle riserve
li obbligò a procedere a svalutazioni del tasso di cambio ed all'emissione
di moneta nazionale che generò una spirale inflazionistica e la crisi
definitiva del sistema che crollò nel 1973.
8
8
G. Di Plinio, op. cit., pagg. 376ss.
1 La creazione di un ordine monetario europeo.
1.1 Dal Trattato di Roma al “serpente monetario”.
La fine degli accordi di Bretton Woods, spinse gli europei alla
creazione di una propria area di stabilità monetaria, che coinvolgesse i
paesi del vecchio continente. La realizzazione di questo progetto fu
ritardata, però, dalla presenza del precedente accordo che si basava sul
Fondo Monetario Internazionale e la leadership degli Stati Uniti. Infatti,
nel 1955, la Risoluzione
9
di Messina che stabilì le fondamenta della
Comunità economica europea, faceva riferimento solo all'«adozione di
metodi suscettibili di assicurare un coordinamento sufficiente delle
politiche comunitarie dei paesi membri per permettere la creazione e lo
sviluppo di un mercato comune». Coerentemente, nel Trattato di Roma
firmato nel 1957
10
, si affermava, all'art. 103 e all'art. 108, che gli Stati
9
Occorre distinguere le risoluzioni del Parlamento europeo che sono la espressione del potere
di un organo che, per sua natura, non è decisionale dalle risoluzioni del Consiglio che, nate come atti
tipici poiché previsti espressamente dall’articolo 189 del Trattato istitutivo, sono atti d’indirizzo delle
politiche comunitarie. Le risoluzioni del Consiglio eseguono diverse funzioni: alcune volte,
predispongono obiettivi e strategie; altre volte, contengono programmi d’azione o atti d’impulso nei
confronti di altre istituzioni comunitarie. Molto più spesso, però, concernono la concreta attuazione
del diritto comunitario tramite la corretta interpretazione ed applicazione degli atti normativi. Le
risoluzioni possono avere come destinatari gli Stati membri anche se è negata, in genere, la possibilità
di queste di vincolare direttamente le amministrazioni interne dei paesi interessati. La dottrina, però,
ha rilevato l’esistenza di effetti vincolanti alla luce dell’evoluzione delle sentenze della Corte di
Giustizia (sentenza 16 febbraio 1978, causa 61/77 e successive relative alla risoluzione dell’Aja e
novembre 1976).
10
Per il testo completo del Trattato CEE firmato a Roma il 25 marzo 1957, cfr. G.U., suppl.
ord. al n.317, del 23 dicembre 1957.
membri consideravano la propria politica in materia economica e di tassi
di cambio «come un problema di interesse comune». Il Trattato per
regolare questa materia, prevedeva all'art. 105 un Comitato monetario a
carattere consultivo «per promuovere il coordinamento delle politiche
degli Stati membri nel campo monetario».
Nel 1964, al Comitato monetario si affiancò il Comitato dei
Governatori delle banche centrali degli Stati membri, anch'esso con
compiti consultivi; però, la sua base giuridica era di rango inferiore a
quella del Comitato monetario, poiché la sua istituzione derivava da una
decisione
11
del Consiglio e non direttamente dal Trattato di Roma.
I problemi affrontati per la realizzazione di un'area di stabilità
monetaria europea sono stati molteplici. Sin dall'inizio ci si è dovuti
confrontare con due scelte fondamentali. Innanzitutto, se la cooperazione
monetaria dovesse essere perseguita stabilizzando i rapporti di cambio
tra le valute europee, oppure, mirando direttamente a regolare la quantità
di moneta e i tassi d'interesse. In secondo luogo, bisognava verificare se
l'Unione monetaria si poteva realizzare anche prima che fosse stata
completata l'Unione politica ed economica dell'Europa.
11
Le decisioni sono atti comunitari vincolanti in tutti i loro elementi solo per i destinatari
espressamente indicati; quindi, indipendentemente dalla denominazione di un atto come decisione,
occorrerà verificare se esistono uno o più destinatari. Nel caso di più destinatari, si è in presenza di
una decisione in senso tecnico, che come tale è assimilabile ad un provvedimento amministrativo
ricettizio, che inizia a produrre effetti quando giunge a conoscenza del destinatario. Le decisioni, salvo
alcuni orientamenti divergenti della dottrina e della giurisprudenza sono atti comunitari direttamente
applicabili dai giudici e dalle amministrazioni nazionali.
Con queste problematiche dovette confrontarsi, alla fine degli anni
'60, il primo tentativo di Unione monetaria che coinvolse i sei stati
fondatori della Comunità europea (Germania, Francia, Belgio, Paesi
Bassi, Lussemburgo e Italia). A un gruppo di esperti, sotto la presidenza
di Pierre Werner, fu affidata l'elaborazione di un piano per la
realizzazione dell'Unione economica e monetaria. Il piano Werner
12
,
però, attribuiva maggiore importanza a degli elementi che la successiva
esperienza avrebbe mostrato non essere giusti. In particolare, risultava
appena abbozzata l'idea che l'Unione avesse bisogno di una banca
centrale unica e maggiore risalto, invece, era dato alla stabilizzazione dei
tassi di cambio delle diverse monete partecipanti. Non molto si diceva
sulla politica monetaria da realizzare, mentre, molta attenzione era
focalizzata sul fatto che la politica di bilancio fosse spostata dai livelli
nazionali a quello comunitario. A causa dell'abbandono del sistema di
Bretton Woods, tra il 1971 e il 1973, l'avvento del primo shock
petrolifero del 1974, il ritorno dei cambi flessibili, l'aumento e i divari
nei tassi d'inflazione presto costrinsero ad abbandonare l'obiettivo.
Anche nell'immediato, però, il piano Werner vide alcune delle sue
proposte realizzarsi. Infatti, il 21 marzo 1972 una risoluzione del
12
Rapporto Werner su La realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria, in Boll.
CE, suppl., n. 11 del novembre 1970.
Consiglio
13
creò il cosiddetto serpente monetario resosi concreto, poi,
attraverso un accordo tra banche centrali. Con quest'accordo si mirava a
limitare le variazioni dei tassi di cambio delle monete di Belgio, Francia,
Germania, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Danimarca e Regno Unito.
14
Nell'aprile del 1973, a completamento del sistema fu istituito il
Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) con il regolamento
CEE n. 907/73.
15
Il FECOM aveva il compito di promuovere la
riduzione dei margini di fluttuazione delle monete comunitarie, di gestire
il finanziamento a brevissimo termine e il sostegno monetario a breve
termine. Quest'istituzione, però, non fu in grado di svolgere i propri
compiti perché non le fu mai affidata alcuna funzione sostanziale.
16
Nonostante il fallimento, il serpente monetario può essere
considerato un esperimento positivo in virtù degli insegnamenti che
riuscì a fornire. In particolare, si capì che un sistema basato sul controllo
dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio della moneta, non era un
meccanismo adeguato a far fronte a crisi che derivavano dall'economia
13
GUCE n. C 38, 18 aprile 1972.
14
L'accordo di Basilea del 24 aprile 1972 (che rese operativo il serpente monetario) decise di
limitare la fluttuazione delle monete comunitarie entro una fascia dell'1,125% in più o in meno
rispetto alla parità centrale del dollaro e, quindi, di stabilire uno scarto massimo nei rapporti tra due
monete della Comunità del 2,25%; la metà di quello previsto dagli accordi Smithsoniani. Tali accordi,
firmati a Washington nel 1971, prevedevano che il divario massimo tra due monete diverse dal dollaro
poteva raggiungere al massimo il 4,50%. Dato che l'accordo di Basilea non alterava la banda di
oscillazione prevista dagli accordi Smithsoniani , il patto venne definito serpente nel tunnel, poiché le
monete europee potevano oscillare tra di loro entro limiti più ristretti (il 2,25%), mentre nei confronti
del dollaro la banda di oscillazione era più ampia (il 4,50%). V. G. Mauro, op cit., pagg. 214ss.
15
GUCE n. L 89, aprile 1973.
16
F. Papadia-C. Santini, La Banca centrale europea, ed. Il Mulino, Bologna,1998, pagg. 11ss.
reale. Il sistema delineato dal piano Werner, infatti, non attribuiva molta
importanza alle differenze strutturali che esistevano nelle economie dei
paesi partecipanti all'accordo e, si preoccupava solo di tenere fermo in
modo artificiale il tasso di cambio. L'esperienza recente dimostra che
quest'ultimo è inadatto a risolvere crisi economiche se è usato in modo
isolato; al contrario, la sua efficacia si manifesta pienamente se è
coordinato con altri strumenti prettamente economici (come le politiche
fiscali e di bilancio).
17
17
N. Marzona, Funzione Monetaria, ed. CEDAM, Padova,1993, pag. 84.