Cerco, di mettermi nei loro panni e mi accorgo che sono molto più costosi dei miei!
Capisco allora che mi sono persa qualcosa e comincio a ripensare a dieci anni fa, a quando
cioè anch'io avevo la stessa loro età. Faccio un sondaggio tra le mie compagne di squadra e mi
rendo conto che ai nostri tempi non era così.
Noi ci allenavamo con scarpe comprate al mercato, con magliette "compri tre, paghi due"
eppure non ci sentivamo a disagio se qualche nostra amica indossava tute di marca, era lei, in
qualche modo, la diversa.
Ecco qual è il problema, uniformarsi agli altri per fare gruppo e sentirsi più protetti.
Identificarsi con i grandi atleti e sentirsi più forti...
Infatti, di solito quando parlo con loro individualmente, prima degli allenamenti sono dei
veri "angioletti", educati e rispettosi.
Nascondono, sotto il cappellino con la visiera, la loro timidezza evitando di guardarmi
negli occhi, sia se gli chiedo semplicemente come va, sia se li rimprovero. Poi quando inizia la
lezione e gli faccio togliere il cappello, si trasformano; sono sì individualmente più vulnerabili
ma si sa, "l'unione fa la forza" e per essere reclutati in questo originale esercito si richiede come
requisito principale, un desiderio di comprendersi senza bisogno di confidarsi e un sogno in cui
credere. Basta poi indossare una divisa firmata, meglio se da Nike o da Adidas e si è pronti ad
affrontare il mondo.
Non voglio certamente sminuire la personalità dei miei giocatori, a cui sono molto
affezionata perché, oltre ad essere simpatici e in linea di massima bravi a scuola, mi hanno dato
anche belle soddisfazioni. Ciò che mi interessava capire, era quali fossero le ragioni per cui un
genitore, pur di accontentare il proprio figlio, compra scarpe da ginnastica che costano
mediamente 200.000 lire anche se può permetterselo a fatica.
Quando ho cominciato a pormi le prime domande su questa moda mi sono subito accorta
che in realtà si trattava di un fenomeno mondiale, che coinvolgeva allo stesso tempo paesi poveri
e ricchi, gente sportiva e non sportiva, intellettuali e uomini di spettacolo... E poi la cosa più
sensazionale è stato scoprire che non si trattava soltanto di una questione di moda, c'era qualcosa
di molto più profondo e i miei ragazzi l'hanno scoperto prima di me: l'identificazione. Il credere
in qualcuno o qualcosa che possa essere d'aiuto per esprimere i propri stati d'animo soltanto con
un baffetto, o tre strisce su una felpa.
********************
La mia ricerca è divisa in tre parti, la prima cerca una spiegazione di questo successo, tra
le ragioni sociali che hanno scatenato la "moda da strada" negli Stati Uniti e di riflesso nel resto
del mondo, evidenziando problematiche importanti come il razzismo e la povertà.
Nella seconda invece si parla delle due aziende, soprattutto della Nike che ha
monopolizzato in quest'ultimo periodo i mass media.
Nella terza ed ultima parte ho analizzato spots e pubblicità apparse in televisione e nei
giornali in questi ultimi nove mesi.
La mia è stata una ricerca multimediale. Per raccogliere il materiale mi sono servita di tutti
i mezzi di comunicazione a mia disposizione: internet, televisione, videoregistratore, radio,
computer, riviste, quotidiani e naturalmente tanti libri.
Il testo è aperto, perché più parlato che scritto.
E' meglio che mi spieghi. Ho pensato alla mia tesi come ad una conversazione e così è
piena di finestre, collegamenti ed immagini che la rendono più movimentata, anche se non me la
sento di definirla come un vero e proprio ipertesto.
La scelta di questa struttura è dovuta principalmente all'influenza di alcuni libri che il
Professor Maragliano mi ha consigliato, ma anche da una mia esigenza personale.
Essendo infatti cresciuta in un'epoca in cui i mass media l'hanno fatta da padrone, sono
abituata a pensare e a scrivere con i ritmi della pubblicità e la sintesi degli articoli giornalistici.
PRIMA PARTE
Abbigliamento sportivo indossato anche
fuori dalle palestre. Questione di moda,
comodità o nuovo culto?
E’ solo una questione di stile
E' da un periodo oramai abbastanza lungo che assisto ad un fenomeno che colpisce
soprattutto la popolazione giovanile. Mi riferisco all'abbigliamento sportivo divenuto oramai,
quasi un culto tra le nuove generazioni.
Allenando squadre di pallacanestro ho la fortuna di stare molto in contatto con ragazzi
che hanno un'età che va dai dodici ai sedici anni e rimango sempre più impressionata da come la
marca sia di importanza fondamentale per loro.
Mi spiego. Quando vengono ad allenarsi hanno tutto griffato: scarpe, calzettoni, pantaloncini,
magliette, canottiere da gioco, polsini, gomitiere, cappelli con visiera...E se qualcuno della
squadra indossa una marca diversa dalla NIKE o dall'ADIDAS è guardato con sospetto.
Quando andiamo in trasferta l'argomento più dibattuto all'interno del pulmino è la nuova
tuta ADIDAS che è più bella di quella CHAMPION, le ultime scarpe NIKE che non hanno niente
a che vedere con le povere FILA, non curanti che la loro allenatrice regolarmente veste con tute
Champion e calza scarpe Fila.
Allora ecco che anche io entro in questo vortice e comincio a pensare: possibile che
l'abbigliamento sportivo possa essere davvero motivo d'accettazione a quest'età? Decido allora di
intervenire facendo loro notare che io compro le tute, i pantaloncini e le scarpe in base al mio
gusto personale, alla comodità e soprattutto al prezzo. E loro prontamente mi rispondono che
vado bene vestita così e che ognuno fa quello che vuole; in poche parole, è un modo elegante di
dirmi di fare i fatti miei.
Poi quando recentemente sono entrata in palestra con le mie nuove scarpe ASICS tutti a
guardarmi i piedi, e qualcuno più spavaldo (a dire la verità è raro trovare dei ragazzi timidi tra i
miei allievi) che subito commenta : "ma dove vai con le Asics?" ed un altro quasi dispiaciuto,
"perché te le sei comprate?"
Io allora, prima di farmi prendere dallo sconforto dico loro che mi piacevano e che
l'ASICS è stata fornitrice ufficiale sia della nostra nazionale maschile, che di quella femminile di
pallacanestro e loro "capirai, mica ha sponsorizzato il campionato NBA".
NBA
LA NATIONAL BASKETBALL ASSOCIATION (LEGA AMERICANA, FONDATA CINQUANTA ANNI
FA), RAPPRESENTA OGGIGIORNO LA PIÙ GRANDE REALTÀ ORGANIZZATIVA E COMMERCIALE DEL
MONDO DELLO SPORT PROFESSIONISTICO E SI STA VIA VIA IMPONENDO COME PROMOTRICE DEL
GIOCO DEGLI ANNI 2000 A LIVELLO PLANETARIO.
L'OBIETTIVO, DEL COMMISSIONER STERN, INDISCUSSO NUMERO UNO DELLA LEGA, E DEI
SUOI COLLABORATORI È INFATTI QUELLO DI PORTARE IN UN MODO O NELL'ALTRO, LA NBA NELLE
CASE DI TUTTO IL MONDO, CON UN OCCHIO DI RIGUARDO PER QUEI MERCATI CHE SEMBRANO OFFRIRE
MAGGIORI POSSIBILITÀ DI ESPANSIONE.
LA NBA HA ANCORA FAME QUINDI E LA MODERNA TECNOLOGIA, SEMBRA ASSECONDARLA IN
QUESTA CROCIATA VOTATA ALL'IMPERIALISMO PIÙ SPINTO: NON MALE PER UNA ORGANIZZAZIONE CHE
SOLTANTO ALL'INIZIO DEGLI ANNI OTTANTA, LOTTAVA PER RITAGLIARSI UN SUO PICCOLO SPAZIO IN
UNA REALTÀ, QUELLA STATUNITENSE, ALLORA MONOPOLIZZATA DA BASEBALL E FOOTBALL.
ANDREA GIACCHINO , NBA: STRATEGIE DI ESPANSIONE PER IL TERZO MILLENNIO
(SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA, WWW.DSC.UNIBO.IT)
Una moda comoda
Prendendo spunto dal gruppo dei miei giovani giocatori e considerandoli come unità di
misura, inizio a studiare le motivazioni di tale fenomeno e il perché si sia sviluppato così
celermente distribuendosi in modo omogeneo tra i vari strati della popolazione.
Infatti, guardandomi intorno mi sono resa conto che questi capi vengono indossati non
soltanto da chi fa sport, ma anche da chi non sa cosa significhi fare dell'esercizio fisico.
L'abbigliamento sportivo è molto comodo e apparentemente può sembrare che venga
preferito dai ragazzi proprio per questo motivo.
D'altronde, le nuove generazioni sono state abituate fin dalla più tenera età ad indossare
tute, perché tengono più caldo e perché in questo modo non si rovinano gli abiti "buoni". Ma
mentre prima ci si accontentava di comprarle anche al mercato adesso, abbiamo visto, la marca è
diventata quasi un obbligo.
Sì perché ora è divenuto uno status symbol e quindi si vedono sempre più spesso bambini
di tre o quattro anni, vestiti da piccoli Michael Jordan con mini scarpe da basket e tute acetate,
che anche se molto belle non sono né tanto calde, né comodissime.
In questo caso non credo siano i bambini a richiedere tale vestiario (anche se sono
abbastanza informati e svegli per poter avanzare richieste del genere), ma genitori che sono stati
degli sportivi, o che lo sono ancora; zii tifosi di qualche squadra che amano vedere il proprio
idolo di turno proiettato in miniatura sul nipotino; o nonni che presi dalla disperazione non sanno
cosa regalare a Natale e comprano le tute più costose perché così non fanno una brutta figura,
anche se hanno pur sempre acquistato una tuta!
Allora quello che era ritenuto il capo più comodo per eccellenza, diviene il più scomodo
da portare perché prezioso...Quindi guai a sedersi per terra, a prendere a calci un pallone, o ad
andare in bicicletta!
Ho volutamente esasperato questa situazione, che forse riguarda proprio il lato più
prettamente consumistico del discorso.
Quella che era la funzione dell'abito da competizione infatti, è stata sostituita da una moda che
una volta tanto non è stata dettata da stilisti, ma da una cultura che potremo definire da "strada" e
che comprende motivazioni che vanno al di là della semplice cura dell'immagine.
Vado allora ad analizzare la nascita di questo culto e a conoscere le marche simbolo che in
qualche modo lo hanno creato che sono per l'appunto NIKE e ADIDAS.