GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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1. Dalla teologia liberale al primo Römerbrief
Prendiamo in esame innanzitutto gli anni della formazione universitaria
fino alla stesura della prima edizione del commento alla Lettera ai Romani
(1904-1922). Sono anni decisivi in cui matura una svolta nel pensiero di Barth.
Vedremo le fonti principali della sua formazione e come a poco a poco prende
le distanze dalla scuola «liberale» della teologia protestante alla quale in un
primo momento aveva aderito.
1.1. La «formazione antibarthiana»
5
: la teologia liberale (1904-1909)
Berna: la scoperta di Kant. La prima tappa della formazione teologica di
Barth avviene all’Università di Berna a partire dal 1904 fino al 1906. Il giovane
Barth comincia a muoversi nel panorama teologico del tempo e un primo
autore si leva luminoso sul suo orizzonte: IMMANUEL KANT (1724-1804).
«Tutto quello che si può avere in cuore… contro “la vecchia ortodossia” è
che tutte le vie di Dio devono partire da Kant e, possibilmente, a lui tornare,
tutte queste cose me le sono lasciate dire e le ho assimilate seriamente durante i
miei semestri bernesi»
6
. «Il primo libro che da studente mi abbia realmente
commosso è stata la Critica della Ragion Pratica di Kant»
7
. Questa lettura di
Kant potrà pochi anni più tardi venire descritta da Barth con i colori di una
storia di conversione: «Venne poi il tempo in cui incominciai a fare una grande
scoperta. Fu la scoperta che l’Evangelo è qualcosa di semplice, che la verità
divina non è un insieme complicato e difficile di cento specie di principî,
opinioni e supposizioni, ma una conoscenza semplice, chiara, accessibile a
qualsiasi bambino. Ricordo ancora chiaramente come questa intuizione mi sia
venuta mentre studiavo un libro che diceva: non c’è niente di buono nel mondo
e fuori di esso, eccetto la volontà buona. La volontà buona sarebbe la verità, il
divino nella mia vita»
8
.
Barth incontra con entusiasmo il pensiero del filosofo di Königsberg
descritto come si vede come una «grande scoperta» e per molti anni lo porterà
con sé
9
. Nel pensiero di Kant il problema della religione, per quanto ci
interessa, può essere delineato in cinque punti essenziali: (1) Dio non può
5
Ci avvaliamo dell’espressione provocatoria di I.Mancini, Il pensiero teologico di Barth nel
suo sviluppo, introduzione a: Karl Barth, Dogmatica Ecclesiale, antologia a cura di
H.Gollwitzer, il Mulino, Bologna, 1968 (EDB, Bologna, 1990) p.XII. Questo testo è ripreso
dallo stesso autore in Novecento Teologico, Vallecchi, Firenze, 1977.
6
TA (testi autobiografici) I, 1927. Citato in E.Busch, cit., p.35.
7
TA I, 1927. Citato in E.Busch, cit., p.35.
8
Predica del 13-10-1912. Citato in E. Busch, cit., pp.35 s.
9
Per una panoramica sui rapporti Barth-Kant si veda il contributo di A.Moda, Karl Barth
lettore di Kant, in N.Pirillo (a cura di), Kant e la filosofia della religione, vol.II, Morcelliana,
Brescia, 1996, pp.755-778.
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3
essere oggetto della ragione teoretica, quindi non può essere oggetto di
conoscenza. «La ragione pura, che è vincolata al mondo dell’esperienza dalle
sue categorie mentali ed è la regolatrice suprema dei suoi dati, è incapace di
affermare l’esistenza di Dio, il che non significa né postula la sua negazione»
10
.
(2) Dio tuttavia è un postulato della ragion pura pratica cioè una proposizione
non dimostrabile, ma vera, che si inferisce dal dato della legge morale dotata di
«valore incondizionato a priori». Dio è quindi un «bisogno assolutamente
necessario»
11
, un «bisogno razionale» perché scaturito dalla legge morale. (3)
Come Kant arriva ad affermare questo? Egli afferma che poiché è un’esigenza
razionale la realizzazione del sommo bene (la sintesi di virtù e felicità), dovrà
essere possibile anche la condizione di tale realizzazione: «la supposizione è
così necessaria come la legge morale». Dio infatti nel sistema kantiano svolge
il ruolo di rimuneratore, di garante della felicità che ci si è meritati in seguito
all’esercizio della virtù (e che non si ottiene secondo le leggi del mondo
fenomenico). (4) «Applicando poi i suoi postulati alla teologia cristiana, ai suoi
stessi dogmi, Kant dimostrerà la riducibilità del cristianesimo a sistema morale,
ne intesserà l’elogio come della più alta espressione di moralità, e rivedrà in
questa chiave tutta la tematica della fede»
12
. (5) In particolare Gesù Cristo è
ridotto a «Idea personificata del buon principio», il figlio di Dio è nient’altro
che la cifra più corposa dell’ideale dell’uomo moralmente perfetto, perché di
una persona che agisce per motivi puramente morali si può dire veramente che
è figlio di Dio, figlio dell’Altissimo
13
.
«Elevarci a questo ideale di perfezione morale, cioè al prototipo dell’intenzione
morale in tutta la sua purezza è il dovere universale di noi uomini, e a ciò quest’idea
stessa, che ci è data dalla ragione come uno scopo da raggiungere, ci può dare la forza
necessaria (…). L’ideale dell’umanità gradita a Dio (…) noi non potremmo concepirlo
se non mediante l’Idea di un uomo, pronto, non solo ad adempiere tutti i doveri umani
e, insieme, a diffondere intorno a sé, nella massima misura, il bene con la sua dottrina
e col suo esempio, ma anche disposto (…) a subire tutti i dolori, fino alla morte più
ignominiosa»
14
.
Berlino: alla scuola di Schleiermacher. A partire dal semestre 1906-1907
Barth prosegue gli studi presso l’Università di Berlino. Qui studia molto
10
Cfr. B.Gherardini, La seconda Riforma. Uomini e scuole del Protestantesimo moderno, vol.I,
Morcelliana, Brescia, 1964, p.69.
11
Per questa ricostruzione del pensiero di Kant ci rifacciamo in particolare al testo di
A.Lambertino, Il rigorismo etico in Kant, La Nuova Italia, Firenze, 1999, qui pp.174 s. Da
questo testo sono tratte anche le citazioni tra virgolette di Kant presenti nella Critica della
Ragion Pratica.
12
Cfr. B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.70.
13
Cfr. I.Mancini, Il pensiero teologico di Barth…, cit., p.XIV.
14
Immanuel Kant, La religione nei limiti della sola ragione, in: Immanuel Kant, Scritti di
filosofia della religione, Mursia, Milano, 1989, pp.107-108.
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4
intensamente e segue i corsi e l’insegnamento di uno dei più grandi teologi del
tempo: Adolf von Harnack (1851-1930), esponente di punta della corrente
liberale della teologia protestante. In particolare ricorda il maestro per «il suo
grande corso di storia dei dogmi»
15
. «Mi divenne chiara la possibilità di
comprendere la Bibbia dal punto di vista della storia delle religioni e
Schleiermacher entrò nella mia coscienza, accanto a Kant, in maniera più
incisiva che un tempo»
16
. «Avevo cercato “L’immediato” ed ora lo trovavo»
17
.
Così accanto a Kant inizia a comparire il nome di FRIEDRICH DANIEL
ERNST SCHLEIERMACHER
18
(1768-1834), altro filosofo di forte influenza
in quegli anni. Delineando sinteticamente il pensiero religioso di
Schleiermacher si può dire: (1) Dio è «L’Assoluto, l’Urgrund» e «si avvicina
alla Substantia di Spinoza: è il tutto che circonda e perciò condiziona ogni
singolo essere. Evidente quindi l’implicanza di una qualitativa identità tra il
singolo e il tutto, ferma restando la quantitativa superiorità del tutto nei
riguardi del singolo»
19
. (2) «Il compiersi della coscienza attraverso l’esperienza
delle suddette relazioni di identità e di superiorità presenta due aspetti. Nel
primo, la coscienza è un rapporto immediato con la totalità dell’essere:
coscienza di unità suprema, esperienza di Dio presente non come oggetto, ma
come Selbstbewusstsein, o consapevolezza della propria qualitativa identità con
Esso. Nel secondo invece, la coscienza si avverte nella sua singolare esistenza,
in un suo rapporto col tutto e cioè dipendente da quello. In altri termini la
coscienza non esclude l’esperienza del proprio limite»
20
. (3) La fede religiosa
dunque «non è che una “definizione, esatta espressione del sentimento o
immediata coscienza di sé” , e sorge dalla “coscienza della nostra dipendenza,
che è quanto dire della nostra relazione con Dio”»
21
. (4) Pertanto la fede in
Dio è lo «svegliarsi della coscienza religiosa e questa è la realizzazione di una
possibilità radicalmente nascosta nell’uomo»
22
. Questa nativa virtualità si attua
nel soggetto umano a partire da un sentimento: il sentimento di assoluta
dipendenza, della limitatezza, della non autosufficienza da parte del soggetto.
15
Lettera a Agnes von Zahn, 23-12-1935. Citato in E.Busch, cit., p.39.
16
TA IV,1964. Citato in E.Busch, cit., p.40.
17
Nachwort (Postfazione all’antologia degli scritti di Schleiermacher, cfr. nota succ.), 291.
Citato in E.Busch, cit., p.40.
18
Sui rapporti Barth-Schleiermacher si veda il ritratto che Barth stesso ne fa alla fine della sua
vita, nel 1968: K.Barth, Postfazione all’antologia degli scritti di Schleiermacher, in K.Barth,
Tre ritratti: Schleiermacher, Herrmann, Bultmann, a cura di Andrea Grillo, Messaggero,
Padova, 1998, pp.43-76, già apparso in una prima traduzione italiana come Appendice
autobiografica sui rapporti Barth-Schleiermacher, in K.Barth, Introduzione alla teologia
evangelica, a cura di E.Riverso, Bompiani, Milano,1968 (Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo,
1990), pp.235-265.
19
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.28. Nello stesso testo vi è un approfondito
capitolo su Schleiermacher pp.3-66.
20
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, pp.28 s.
21
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.29.
22
Cfr. B.Gherardini, La seconda riforma, cit., vol.II, pp.95-96.
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5
(5) Le Scritture pertanto non sono più testimonianza storiche di Cristo, ma
testimonianze di un elemento astorico, il sentimento religioso.
Alla luce di questi insegnamenti il divino, l’eterno, appare dunque a Barth
come l’immediato, presente nell’esperienza interiore dell’uomo. In
Schleiermacher come in Kant il divino è parte dell’esperienza vissuta, vi è una
sorta di continuità tra divino e umano in quanto l’umano contiene in sé la
potenzialità del divino, una potenzialità che si manifesta nell’ambito morale.
Il maestro Harnack. Accanto a questi due autori vi è poi l’influsso diretto
di ADOLF von HARNACK (1851-1930) e della scuola liberale della teologia
che egli rappresentava. In particolare: (1) Harnack voleva «rispondere
all’intento di “isolare” il Cristianesimo primitivo, liberandolo dalle scorie
fatalmente depositate sul fondo di esso dal flusso del tempo. Si servì a tale
scopo del metodo storico-critico»
23
. (2) In questo contesto nell’opera L’essenza
del Cristianesimo (1900) egli cerca di definire appunto l’essenza autentica
della religione cristiana che «consisterebbe nella rivelazione del Padre; “tutta la
predicazione” di Gesù è ricondotta “a questi due capi: Dio Padre e l’anima
umana così nobilitata, che può entrare ed entra effettivamente in comunione
con Dio”. Tra la paternità di Dio e la dignità umana (…) pone Gesù Cristo»
24
.
(3) Tuttavia «Il Cristo dipinto da Harnack è un maestro, il quale non aveva
alcuna intenzione di “formulare …una dottrina intorno alla propria persona e
dignità… Come suo Dio e suo Padre egli riconosce il Padre del Cielo e della
terra e lo definisce per il Massimo, per l’Unico a cui si convenga l’appellativo
di Buono (…) questo io che sente, che prega, che opera, che lotta, che soffre è
un uomo che anche al cospetto del suo Dio non si strania mai dagli altri
uomini”». Pertanto «quanto la Chiesa aveva definito a Nicea, Efeso e
Calcedonia non resiste alla demolitrice critica del grande storico»
25
, i dogmi
vengono ridotti a frutti dell’ellenizzazione del cristianesimo. (4) Ovviamente,
insieme con la natura divina di Gesù, vengono anche meno i miracoli e la
resurrezione perché «l’ordine naturale è inviolabile, ma noi siamo ben lontani
dal conoscere tutte le forze della natura e la loro azione reciproca»
26
, si afferma
dunque il rifiuto del soprannaturalismo e di tutto ciò che nei vangeli non può
essere incasellato nelle categorie della scienza e della storia. Risultato di tutte
queste premesse: la divinità di Gesù si tramuta nella “divinità” o eternità del
messaggio di Gesù-maestro, l’importante non è più la persona, ma il suo
messaggio, il suo insegnamento. La religione cristiana si riduce allora
kantianamente in nient’altro che un ideale morale.
23
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.427. Nello stesso testo vi è un paragrafo
dedicato a Harnack, pp.425-440.
24
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.429 s.
25
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.430.
26
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.432.
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6
A Marburgo con Herrmann. A partire dal 1908, dopo un anno ancora
all’Università di Berna, Barth si trasferisce alla tanto desiderata («la mia
Sion»
27
) Università di Marburgo per la prosecuzione degli studi. A Marburgo si
trovavano in quegli anni i maggiori studiosi di Kant, come si è visto autore
molto amato da Barth. Qui era nata una scuola neokantiana che aveva i suoi
maggiori esponenti in Natorp e Cohen. Tra questi vi era anche un neokantiano
dedito allo studio delle problematiche cristiane e religiose: WILHELM
HERRMANN (1846-1922). Alla sua scuola Barth matura definitivamente la
sua posizione “liberale” e “moderna”. «Si scoprì alla fine che, in contrasto con
la corrente dei miei nonni e di mio padre, io ero diventato un adepto risoluto
della scuola “moderna”, ancora dominante al tempo della prima guerra
mondiale come la sola degna dell’uomo. In essa il cristianesimo veniva
interpretato, secondo le interpretazioni di Schleiermacher, da una parte, come
un fenomeno storico da indagare criticamente, e, dall’altra come frutto di
un’esperienza vissuta strutturata prevalentemente in maniera morale»
28
.
L’influsso diretto di Herrmann che Barth recepisce lo accompagnerà a
lungo. Anch’egli esponente della scuola liberale si differenziava da Harnack in
alcuni punti di particolare importanza perché saranno decisivi nella futura
maturazione di Barth
29
. Giova sottolineare che per Herrmann: (1) «La fede
guarda al Cristo e ne dipende. Essa però non è fede che salva solo per avere
incontrato il Cristo sulla scia della documentazione storica, quanto piuttosto
per avere sperimentato, nella soprastorica interiorità di lui, la sua potenza
salvifica. La fede allora è fiducia, abbandono; non si affida soltanto alla
narrazione sempre deformante dei fatti, ma, aldilà di questi, coglie la
trasparente coscienza e la perfezione morale del Salvatore, sulla scia del quale
riconduce l’anima a Dio. Guardare al Cristo oltrepassando la mediazione
storica, rivivendone l’atteggiamento religioso: ecco la salvezza»
30
; nella fede vi
è dunque un elemento essenziale inoggettivabile che travalica la storicità e
l’ordine naturale. (2) Tuttavia resta ferma l’importanza dell’indagine storico-
critica, «solo combinando la narrazione con l’esperienza personale del suo
contenuto sarà possibile superare il margine di possibilità di una tradizione
soggetta al criticismo storico, e pervenire alla certezza della fede. Il criticismo,
tutt’al più è in grado di condurre all’affermazione dell’esistenza storica di
27
Lettera a W.Spoendlin, 21-6-08. Citato in E.Busch, cit., p.44.
28
TA II, 1945. Citato in E.Busch, cit., p.45 s.
29
L’influenza di Herrmann è stata molto forte. Si veda a tal proposito la conferenza di Barth
del 1925 Die dogmatische Prinzipienlehre bei Wilhelm Herrmann, comparsa in «Zwischen den
Zeiten», 3 (1925) tradotta in italiano in K.Barth, La dottrina dogmatica dei principi secondo
Wilhelm Herrmann, in K.Barth, Tre ritratti: Schleiermacher, Herrmann, Bultmann, cit., pp.77-
121, comparso in italiano con lo stesso titolo in «Hermeneutica», 1994, pp.201-246.
30
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.420. Nello stesso testo vi è un paragrafo
dedicato ad Herrmann, pp.418-425.
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7
Gesù, ma non a stabilire nella sua persona il fondamento della nostra fede in
Dio. Qui è in gioco la nostra decisione»
31
.
Come si può notare Herrmann tende ad un’interpretazione della coscienza
religiosa in conflitto con il mondo, per cui la fede è un’esperienza vissuta non
traducibile in termini concettuali e non direttamente riferibile alla storia.
Successivamente, come vedremo, Barth radicalizzerà molto questa
intuizione di Herrmann dell’inoggettivabilità della fede. Egli stesso nel 1925
ammetterà l’importanza del contributo di Herrmann nel suo pensiero:
«A me pare di essermi lasciato dire da Herrmann qualcosa di fondamentale, che,
seguito nelle sue conseguenze, mi ha poi costretto a dire tutto il resto in modo
totalmente diverso e alla fine a interpretare anche quello stesso fondamento iniziale in
modo totalmente diverso da lui. E tuttavia è stato lui a indicarmi questo»
32
.
Tuttavia per ancora qualche anno permarrà di convinzioni decisamente
teologiche-liberali: «Solo molto, molto più tardi, per vie totalmente diverse,
sono uscito da solo da questo stagno liberale»
33
.
1.2. L’attività pastorale: l’emergere del «problema sconfinato» (1909-1921)
Dopo l’esame teologico conclusivo mercoledì 4 novembre 1908, a 22 anni,
Karl Barth viene «consacrato» da suo padre nella cattedrale di Berna. Dopo la
cerimonia riparte per Marburgo dove continua a seguire lezioni e seminari, ma
il suo lavoro è soprattutto presso la redazione della rivista Die Christliche Welt
voce della scuola teologica moderna e liberale. In questo periodo coltiva
amicizie con Rudolf Bultmann (1884-1976), Eduard Thurneysen (1888-1974) e
il filosofo Ernst Troeltsch (1865-1923).
L’esperienza di Ginevra. Nell’agosto del 1909 Barth prende congedo da
Marburgo per iniziare il suo servizio pastorale a Ginevra, dove rimarrà per due
anni dal 1909 al 1911.
Qui inizia a fare i conti con la realtà pastorale del tempo e ben presto si
accorge di quanto sia diverso il mondo accademico delle facoltà teologiche
dalla concreta realtà dell’impegno pastorale fatto di predicazione, istruzione,
pastorale. L’ignoranza diffusa dei giovani in materia teologica, il disinteresse,
la disaffezione alla chiesa, la povertà e la miseria dei membri della comunità
mettono alla prova il giovane Barth allora ventitreenne.
«Egli doveva tenere anche l’istruzione per i confermandi. Anche qui
s’imbatteva nella stessa disaffezione per la chiesa (…). Così “ad esempio,
31
B.Gherardini, La seconda Riforma, cit., vol.I, p.422.
32
K.Barth, Tre ritratti:..., cit., p.78.
33
Conversazione VII, 2-3-1964. Citato in E.Busch, cit., p.43.
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8
all’invito a ricordare alcuni profeti dell’Antico Testamento, veniva data la
risposta: ‘Abramo ed Eva’ ” (…). Tra i doveri del giovane vicario, oltre alla
predicazione e all’istruzione, c’era anche la pastorale. In quel tempo egli fece
con zelo la visita alle famiglie e spese molto tempo per le cosiddette “ore
d’ufficio per i poveri”. Qui egli prese diretta conoscenza della vera povertà –
col forte senso dell’inadeguatezza del suo soccorso. Evidentemente ciò doveva,
a volte, spingerlo ad esprimere delle idee sociali – dedotte dall’imperativo
categorico di Kant»
34
.
Nonostante le difficoltà nella predicazione e nell’insegnamento Barth
continua sulla linea della teologia liberale acquisita a Berlino e Marburgo. In
alcune sue prediche permane l’idea della fede come contatto «diretto e
immediato» con il divino, come scrive in una conferenza del 1910 su La fede
cristiana e la storia
35
: «Fede è esperienza di Dio, immediata coscienza della
presenza e della efficacia di una forza vitale sovrumana, sovramondana, e
perciò assolutamente superiore». Sulla scia di Schleiermacher, permane la
presentazione psicologica della fede e la concezione di una continuità tra
umano ed eterno («Nel finito c’è un universo, un eterno, assoluto») che si
rivela nella condotta morale dedotta dal profilo morale di Gesù e indipendente
e comunque più importante della storicità della sua persona. Un esempio di
questa impostazione è dato dal Busch a proposito di una riflessione di Barth nel
giorno di Pasqua: «Nella Riflessione pasquale egli discuteva l’interrogativo
Che Gesù sia vissuto?, che allora appassionava molto. Ma fin dall’inizio
dichiarava che tutte le risposte date a questo interrogativo erano prive
d’importanza per la fede. “Il fondamento della nostra fede sta ed esiste
indipendentemente da tutte le prove e controprove”. Poiché “la fede non è un
ammettere e un ritenere per veri dei fatti esterni”. Essa è piuttosto “un contatto
immediato, vivo, con il Vivente” (…) “fondamento della fede è la vita
personale, interiore” di Gesù. Con ciò intendo il suo profilo morale umano”.
Questo profilo morale sarebbe in sé vero, anche se dovessero essere stati i
discepoli ad inventarlo (cosa che Barth non accetta)»
36
.
Appare evidente dunque che l’orizzonte di Barth è ancora quello liberale,
anche se le prime difficoltà incontrate nella predicazione, nell’insegnamento,
nella pastorale iniziano forse a scalfire le certezze accademiche del giovane
pastore. «Indubbiamente a Ginevra egli rimase un sostenitore della conoscenza
acquisita a Marburgo. Soltanto nelle profondità più remote del suo intimo
“l’esercizio della teologia scientifica… [incominciava ora], quanto più a lungo
dovevo predicare e istruire, a diventarmi ‘in qualche modo’ estraneo ed
34
E.Busch, cit., p.52. La citazione autobiografica interna è tratta da «Konfirmanden-Abende»,
in Gemeinde-Blatt Genf, 1910, n.37.
35
Der christliche Glaube und die Geschichte, le citazioni sono tratte dal testo, prezioso per la
nostra ricerca, di M.C.Laurenzi, Esperienza e rivelazione. La ricerca del giovane Barth (1909-
1921), Marietti, Casale Monferrato, 1983, p.21.
36
E.Busch, cit., p.52 s.
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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9
enigmatico”. E questo, tra gli altri, sarà uno dei motivi per cui non arriverà in
porto il programma, già dettagliatamente concepito, di laurearsi con
Herrmann»
37
.
Il pastorato a Safenwil. Nel luglio 1911 Barth fa il suo ingresso in una
nuova comunità. Inizia il suo compito di parroco nel villaggio di Safenwil
nell’Argovia. Sarà un periodo particolarmente importante e decisivo per la
formazione del suo pensiero successivo, in fondo Barth ha in questo periodo
solamente 25 anni.
« “Nel periodo di Safenwil… va situata la vera svolta decisiva del mio
cammino, che ne doveva condizionare anche la prosecuzione esteriore”. Barth
pensava addirittura che la successiva teologia si era formata le radici proprio
nel ministero parrocchiale di allora. “Essa è venuta crescendo dalla mia
situazione, nella quale dovevo istruire, predicare e fare un po’ di pastorale” »
38
.
All’inizio nel suo predicare emerge ancora l’impostazione liberale, tuttavia
va notato che qualche idea «strana» sembra già presente nel suo pensiero.
Come osserva il Busch «è (…) degno di nota però il fatto che già nelle prime
prediche di Safenwil si trovino, a volte, alcune frasi e idee in sorprendente
contrasto o superanti la teologia recepita all’università e altrimenti dominante
nelle sue prediche (…). “Il messaggio del venerdì santo possiede una sua
forza… prescindendo completamente da quello che tu ed io possiamo dire la
riguardo”. Oppure: Egli, Gesù, “non viene meno, quando si dileguano… i bei
sentimenti religiosi… Egli non deve nascere, vivere e morire per noi una
seconda volta”. (…) Ci sarebbe: “soltanto un’opera del Regno di Dio: quella
che Dio stesso compie”. “Non noi veniamo, ma Dio e il suo Regno vengono…
non si tratta di un movimento dal basso verso l’alto, ma dall’alto verso il
basso”. Ma appunto tali frasi sono come dei massi erratici in un paesaggio dalla
configurazione ben diversa»
39
.
Appare per la prima volta una sottolineatura dell’oggettività del messaggio
cristiano indipendentemente dalla risonanza soggettiva, dai sentimenti, un
primato assoluto dell’iniziativa divina. Tutti temi che poi Barth elaborerà in
termini più precisi.
Anche nelle prediche del 1913 emergono oscillazioni sospette: da un lato
Dio è «il Vivente» da cui noi siamo dipendenti, che riusciamo a cogliere
nell’esperienza, che è accessibile alla nostra soggettività, dall’altro è pure
«diverso da tutto ciò che è umano», per cui vi è una differenza assolutamente
37
E.Busch, cit., p.54. La citazione interna è tratta da BB (Briefwechsel Karl Barth - Rudolf
Bultmann 1922-1966), 1971.
38
E.Busch, cit., p.58. Per quanto riguarda le citazioni autobiografiche: la prima è tratta da TA
II, 1945; la seconda da LZ (Letzte Zeugnisse), 1969, 19.
39
E.Busch, cit., p.60.
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10
insuperabile fra i pensieri umani e i pensieri divini, fra la verità e quello che noi
riteniamo tale
40
.
L’insufficienza delle parole umane di fronte a Dio. Da dove nasceva questa
nuova sensibilità, questo nuovo modo di vedere il rapporto uomo-Dio, tempo-
eternità? Un ruolo sicuramente importante in questo senso va, come lo stesso
Barth afferma all’esperienza concreta di parroco, le delusioni e la disaffezione
alla fede che anche in questa parrocchia trova… «L’eco delle prediche di Barth
non fu davvero grande. Anzi, “mi sembrava di gridare contro una parete” (…).
Spesso anzi gli toccava predicare ai “banchi vuoti sbadiglianti”. Ma
“l’ordinariamente così scarsa frequenza alla chiesa” non riuscì a distoglierlo
dal prendere sul serio ogni nuova predica»
41
. Anni dopo scriverà: «Mi tormenta
il ricordo di quanto, in fondo, io abbia fallito come parroco di Safenwil»
42
.
«“Davanti a delle facce annoiate” si sentiva “spesso totalmente disarmato”
(…). “Ad onta di tutte le tecniche, il Regno di Dio non vuole lasciarsi ridurre
da me a materia d’insegnamento” »
43
.
Barth vive in prima persona l’esperienza dell’insufficienza delle parole
umane ad esprimere e a comunicare il Regno di Dio, che non si lascia
incasellare nelle categorie umane e che spesso, lungi dall’essere quella nativa
virtualità di cui parlava ottimisticamente Schleiermacher, non trova affatto
riscontro nell’interiorità delle coscienze. La rottura con quello che era stato uno
dei suoi primi maestri comincia a maturare e giungerà a piena espressione
qualche anno più tardi quando Barth dirà apertamente: «Con tutto il rispetto per
la genialità dell’opera della sua vita, ritengo per ora che Schleiermacher non sia
stato un buon maestro di teologia, dal momento che in lui, a quanto vedo, resta
oscuro, e ciò è quanto mai infausto, il fatto che l’uomo come uomo si trova
nella miseria»
44
. Il «dramma dell’esistenza del predicatore» si fa chiaro agli
occhi di Barth: «Pastore, dovevo parlare ad uomini alle prese con le
contraddizioni inaudite della vita; e dovevo parlare loro del non meno inaudito
messaggio della Bibbia che si pone come un nuovo enigma davanti alle
contraddizioni della vita»
45
, per cui il predicatore è un uomo, che ha dinanzi a
40
Cfr. M.C.Laurenzi, Esperienza e rivelazione…, cit., pp.48-52.
41
E.Busch, cit., p.60. Le prime due citazioni autobiografiche si riferiscono a BTh I
(Briefwechsel Karl Barth – Eduard Thurneysen 1913-1921), 1973, rispettivamente p.176 e
p.393; la terza è tratta da Protocollo 28-8-1918.
42
BTh II (Briefwechsel Barth – Thurneysen, 1921-1930), 1974, p.341. Citato da E.Busch, cit.,
p.61.
43
E.Busch, cit., p.62. Citazioni autobiografiche tratte da BTh I, p.220, p.361.
44
K.Barth, La parola di Dio come compito della teologia, in Le origini della teologia
dialettica, a cura di J.Moltmann, trad. it. di M.C.Laurenzi, Queriniana, Brescia, 1976, pp.236-
258 (qui p.244). Si tratta di una conferenza del 1922.
45
K.Barth, Das Wort Gottes und die Theologie, München, Chr.Kaiser, 1924, p.101. La
traduzione è tratta da una citazione di D.Morando, L’ultimo Karl Barth, in D. Morando, Saggi
sull’esistenzialismo teologico, Morcelliana, Brescia, 1949, pp.183-220 (qui p.195).
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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sé un libro pieno di misteri come la Bibbia e deve parlare ad ascoltatori che
hanno tutti in sé il loro mistero, e attendono una spiegazione. È in questo
contesto di inadeguatezza delle capacità umane, che può essere superata
soltanto nella fiducia verso la libera grazia di Dio, che nasce il lavoro su quella
che diventerà l’opera più dirompente di Barth: L’Epistola ai Romani. Egli
lavora alle due edizioni del commentario in un periodo che va dal 1916 al
1921, tutta la seconda metà del suo pastorato a Safenwil. In questo periodo si
impone, ogni volta che il predicatore si rimette al lavoro di fronte a un nuovo
testo biblico per la domenica successiva, il «crescente riconoscimento
dell’impossibilità a priori della nostra predicazione»
46
. Tuttavia il problema
affiora prima. In una predica del 1914 dice parole quasi angosciate:
«Che cosa è Dio? Che cosa significa invocare Dio? In ogni predica la maggior parte
dei miei sforzi di studio verte su questa parola (…). Quello che sono gli uomini e il
loro essere non è difficile da capire, ma “Dio” è una parola che richiede sempre una
rinnovata riflessione. Comunque sia, Dio continua ad essere sempre qualcosa di nuovo
per noi (…) In ogni esperienza, in ogni situazione della vita, in ogni domanda che ci
obbliga a decidere, Dio si ripresenta sempre come il grande sconosciuto, che noi
dobbiamo cercare»
47
.
Nell’estate del 1914 inviando due sermoni a Thurneysen, gli scrive: «Li
considererai appunto come tentativi. In effetti adesso stiamo tutti compiendo il
tentativo. Ognuno a modo suo e ogni domenica in modo diverso, per
padroneggiare in una certa misura il problema sconfinato» …Il problema
sconfinato: l’esperienza dirà che più si tenta di afferrarlo, più la soluzione
sembra sfuggire. Questo si tradurrà, come vedremo, nella formulazione
negativa dell’ «infinita differenza qualitativa» e troverà espressione
emblematica anche dopo il Römerbrief in queste parole piene di tormento:
«Vorrei caratterizzare questa nostra situazione [di teologi] con le seguenti tre
affermazioni: Come teologi dobbiamo parlare di Dio, ma noi siamo uomini e come
tali non possiamo parlare di Dio. Dobbiamo essere coscienti di entrambe le
condizioni, del nostro dovere e del nostro non potere, e proprio per questo rendere
onore a Dio. Questa è la nostra situazione penosa»
48
46
Questa e le successive citazioni sono tratte da lettere di Barth di quel periodo inviate
all’amico Eduard Thurneysen (BTh I), per questa ricostruzione della genesi del pensiero
barthiano ci rifacciamo in particolare al contributo di B.Rostagno, Barth pastore, in AA.VV.,
Barth contemporaneo, a cura di S.Rostagno, Claudiana, Torino, 1990, pp.229-241 (qui p.240).
47
Predigten 1914, Zürich, 1974, pp.365 s. La citazione è tratta da M.C.Laurenzi, Esperienza e
rivelazione…, cit., p.62.
48
K.Barth, La parola di Dio come compito della teologia, in Le origini della teologia
dialettica, p.238.
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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1.3. L’impegno politico (1911-1921)
«Il mio interesse per la teologia in quanto tale (…) nel villaggio industriale di
Safenwil, è passato considerevolmente in secondo piano di fronte al mio interesse per
il socialismo e in particolare per il movimento operaio, interesse provocato
violentemente dalla situazione esistente nella comunità»
49
.
«Attraverso il conflitto di classe, che avevo concretamente sotto gli occhi nella mia
comunità, sono stato toccato per la prima volta dai problemi reali della vita reale. La
conseguenza di ciò fu che… il mio vero studio ora si rivolse alla legislazione
industriale, alle forme di assicurazione, all’economia e simili, mentre il mio animo
veniva assorbito dalle violente lotte locali e cantonali provocate dalla mia presa di
posizione a fianco dei lavoratori»
50
.
Un altro elemento importante nella formazione del pensiero di Barth che lo
condurrà all’Epistola ai Romani è l’interesse per le questioni politiche. Barth
viene a contatto con la dura realtà delle condizioni del proletariato di Safenwil,
dove esiste una grossa industria tessile. Il villaggio vive i conflitti della fase
intermedia fra un’economia agricola e un’economia industrializzata,
sfruttamento, bassi salari, coscienza politica nulla, organizzazione sindacale
inesistente; terminati gli studi a 13-14 anni i ragazzi e le ragazze venivano
mandati a lavorare con orari massacranti e in ambienti malsani
51
. Barth
incontrava questi ragazzi durante la preparazione alla confermazione.
Maturano in questo contesto le idee politiche socialiste che accompagneranno
Barth per tutta la vita anche se non mancheranno oscillazioni e delusioni
52
. In
particolare emerge l’aspetto sociale e solidale di Gesù, liberatore dalla parte dei
poveri.
«Una conferenza tenuta il 17 dicembre 1911 su Gesù Cristo e il movimento
sociale venne subito pubblicata (…). In essa egli poneva la chiesa, che per
1800 anni sarebbe stata insensibile di fronte alla miseria sociale, al cospetto di
49
Nachwort (cfr. n.17), p.292. Citato in E.Busch, cit., p.65.
50
BB (cfr. n.37), p.306.
51
Cfr. B.Rostagno, Barth pastore, cit., p.233.
52
Sul rapporto di Barth con la politica si vedano in particolare G.Lupino, Teologia e politica
nel teologo Karl Barth, Editrice Liguria, Savona, 1994; F.W.Marquard, Teologia e socialismo.
L’esempio di K.Barth, Jaca Book, Milano, 1974 (questi insiste particolarmente sul legame
stretto tra il socialismo e la teologia di Barth, tale interpretazione viene contestata da
M.C.Laurenzi, Esperienza e rivelazione…, cit., pp.141-161); D.Cornu, Karl Barth e la politica,
Claudiana, Torino, 1970; H.Gollwitzer, Regno di Dio e socialismo: la critica di Karl Barth,
Claudiana, Torino, 1975; molto più sinteticamente si vedano il capitolo Barth e la politica in
B.Willems, Introduzione a Karl Barth, Queriniana, Brescia, 1985
3
, pp.53-68 e il contributo di
W.Kreck, La teologia e la politica in Karl Barth, in AA.VV., Barth contemporaneo, cit.,
pp.215-228. Degli scritti di Barth esiste in italiano una raccolta di articoli pubblicati per la
rivista «Teologische Existenz heute» scritti sotto la dittatura hitleriana, si tratta di K.Barth,
Volontà di Dio e desideri umani. L’iniziativa teologica di K.Barth nella Germania hitleriana,
Claudiana, Torino, 1986.
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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Gesù Cristo quale partigiano dei poveri. Per Gesù ci sarebbe stato “soltanto un
Dio solidale, sociale” »
53
.
Non dalla teoria, ma dalla difficoltà della prassi, dalla «problematica reale
della vita reale» nasce il primo impulso verso una riflessione teologica. Da qui
nasce la critica ad una chiesa e ad una mentalità che non teneva conto della
questione sociale. Proprio a contatto con alcuni esponenti del movimento
religioso-sociale che in quegli anni stava nascendo in Svizzera, accanto al Gesù
sociale e solidale, Barth matura una nuova concezione del Regno di Dio.
1.4. Kutter, Ragaz e i religioso-sociali
Il movimento religioso-sociale era nato in Svizzera nel 1906, fondato da
LEONHARD RAGAZ (1868-1945) e da HERMANN KUTTER (1863-
1931)
54
.
Kutter in particolare, con la sua idea che la socialdemocrazia è lo strumento
involontario con cui Dio ha scelto di stabilire il suo Regno che comincia su
questa terra, trasmette a Barth un’idea fondamentale poi nel suo pensiero:
l’assoluta libertà di Dio nell’intervenire nella storia umana al di là delle
istituzioni umane. Il suo interesse non è tanto politico quanto religioso: per lui
la posizione socialista, nella sua radicale volontà di un mondo nuovo, sembra
attingere alla vivente realtà di Dio, mentre le posizioni moderate realistiche gli
sembrano frutto di calcolo e di mancanza di fede. Nel socialismo quindi è
all’opera Dio stesso…
55
«Era proprio questo “pensatore e predicatore profetico
a rappresentare… allora, con una potenza non uguagliata da nessuno accanto a
lui, …l’idea che l’ambito di intervento di Dio è in realtà più grande dell’ambito
della chiesa, e che a Dio è sempre piaciuto e piace venire incontro alla sua
chiesa, per esortarla e consolarla, proprio attraverso le figure e gli avvenimenti
della storia del mondo profano” »
56
.
Attraverso Kutter Barth entrò subito in contatto con tutto un gruppo di
ricercatori e pensatori della stessa ispirazione. Infatti a quel tempo c’era una
serie di altri teologi svizzeri che impressero «una svolta particolarmente
sorprendente alla “battaglia per il Regno di Dio” sottolineando l’escatologia e
la speranza del movimento operaio socialdemocratico – esplicitamente
accettato – che essi mettevano davanti agli occhi della chiesa, della teologia e
della cristianità come la realizzazione emblematica per il nostro tempo di
quella fede che Gesù non poté trovare in Israele»
57
.
53
E.Busch, cit., p.66.
54
Sui religioso-sociali esiste un’antologia di testi: AA.VV., La fede dei socialisti-religiosi, Jaca
Book, Milano, 1974.
55
Cfr. M.C.Laurenzi, Esperienza e rivelazione…, cit., p.36.
56
E.Busch, cit., p.72. Citazione tra virgolette da Kirchliche Dogmatik I/1, 1932, p.75.
57
Kirkliche Dogmatik II/1, 1940, p.714. Citato in E.Busch, cit., p.72
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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Uno degli esponenti più eminenti tra coloro che a quel tempo pensavano e
agivano in questo modo era Leonhard Ragaz. Egli aveva incominciato a
sostenere e a diffondere questa visione del Regno di Dio fin dal 1902 in qualità
di parroco della cattedrale di Basilea, continuando poi come titolare, dal 1908
di una cattedra teologica a Zurigo (che abbandonerà nel 1921 – lo stesso anno
in cui Barth divenne professore – per dedicarsi interamente al lavoro sociale e
pacifistico). Egli era animato da un più forte interesse politico, per lui la fede in
Dio si traduceva in attività e l’impegno politico dei cristiani a fianco dei
proletari era irrinunciabile per edificare il Regno di Dio sulla terra.
Successivamente Barth prenderà le distanze dal movimento e in particolare
da Ragaz che voleva trasformarlo da visione escatologica e di speranza in una
vera e propria ideologia (il «socialismo religioso»): « “Quello che in Kutter era
inteso come una visione e interpretazione attuale dei segni del tempo e in alcun
modo come un programma, soltanto con Leonhard Ragaz divenne la teoria,
secondo cui la chiesa deve prendere posizione in favore del socialismo quale
manifestazione anticipatrice del Regno di Dio, e il vero e proprio sistema del
‘Socialismo religioso’”. Ora è proprio a questa sistematizzazione dei religioso-
sociali che si opposero Barth e Thurneysen»
58
.
Il rifiuto di una visione puramente immanente e mondana del Regno di Dio
è un segno precursore di quello che in Barth maturerà poi come la «rottura» tra
divino e umano, tra l’eterno e il tempo.
1.5. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914)
Il tramonto degli dei. Quando, nel 1914, scoppia la Prima Guerra
Mondiale, tutti questi stimoli culturali e religiosi ricevono un’ulteriore spinta.
Lo stesso Barth ammette che un evento di così grande portata è stato per lui
particolarmente importante, quasi una svolta nella sua vita. Barth sottolinea lo
sdegno provato di fronte al manifesto favorevole alla guerra sottoscritto da
molti che erano stati suoi maestri.
«Con questa data infatti apparve “per me quasi peggiore della violazione
della neutralità belga, l’orribile manifesto dei 93 intellettuali tedeschi, i quali,
di fronte a tutto il mondo, si identificavano con la politica di guerra
dell’imperatore Guglielmo II e del suo cancelliere Bethmann-Hollweg. E tra
coloro che l’avevano sottoscritto dovetti scoprire, con terrore, anche i nomi di
quasi tutti i miei maestri tedeschi (…)”. “Io ho vissuto un tramonto degli dei
quando vidi come Harnack, Herrmann, Rade, Eucken ecc. si adattavano alla
nuova situazione”, come la religione e la scienza si trasformavano “interamente
in cannoni spirituali di 42 cm”. Così Barth venne indotto a dubitare
58
E.Busch, cit., p.73. La citazione tra virgolette è tratta da Die Kirchliche Dogmatik. I/1,
p.275.
GENESI DEL PENSIERO BARTHIANO
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“dell’insegnamento di tutti i miei maestri tedeschi di teologia, i quali, per
quello che io avvertii come il loro tradimento di fronte all’ideologia della
guerra, mi apparvero compromessi in maniera irrimediabile”. Dal loro
“tradimento etico” venne in chiaro “che neppure le loro premesse esegetiche e
dogmatiche potevano essere in ordine”. E quindi “tutto un mondo di esegesi,
etica, dogmatica e predicazione, che io fino allora avevo ritenuto
fondamentalmente credibile, incominciò, con ciò e con tutto quello che allora
si poteva leggere dei teologi tedeschi, a vacillare fin dalle fondamenta” »
59
.
La contrarietà di Barth alla guerra ha radici lontane: in parte è dovuta alla
sua formazione socialista, in parte al suo essere svizzero e non tedesco… La
sua posizione non è antitedesca, ma contro il militarismo tedesco e soprattutto
contro la giustificazione teologica della guerra che molti in Germania avevano
cercato di costruire. Egli vede un camuffamento di interessi e motivi molto
parziali e discutibili in termini di «ragione» e «scientificità»; contesta il fatto
che molti intellettuali abbiano messo la loro erudizione e la loro penna al
servizio del combattimento e di una politica fondamentalmente aggressiva; non
accetta che la cultura si sia asservita alla «nascita di nuovi idoli», per cui «non
si fa altro che sottolineare il valore del proprio popolo e invocare Dio a
sostegno della propria causa»
60
.
Impegno politico e critica alle chiese. Le conseguenze dello scoppio della
guerra sono fondamentalmente due nell’itinerario intellettuale di Barth: una sul
versante delle sue scelte politiche, l’altra sul versante delle scelte religiose.
Dal punto di vista politico Barth si iscrive al Partito Socialdemocratico
Svizzero nel 1915. Da allora sarà chiamato dai suoi parrocchiani di Safenwil
«compagno parroco». Tale scelta appare strana dal momento che egli stesso
aveva manifestato delusione verso il socialismo, che in Europa si era piegato
alla guerra. Tuttavia è forse proprio attraverso questa esperienza drammatica
che Barth perde definitivamente la pretesa di un senso finale delle cose nel loro
apparire storico, riconosce la necessaria relatività dell’impegno e delle
realizzazioni politiche, ma proprio per questo capisce che è illusorio credere di
potersi sottrarre al mondo del relativo e del condizionamento storico: «Non mi
è più possibile restare personalmente tra le nuvole, al di sopra del presente
mondo cattivo», ma occorre «mostrare che la fede (…) include il lavoro e la
sofferenza nell’imperfetto»
61
.
59
E.Busch, cit., p.76 s. Le citazioni tra virgolette sono tratte da vari testi autobiografici,
seguendo l’ordine: Nachworth (cfr. n.17), p.293; Lettera a Spoendlin, 4-1-1915; TA I, 1927; TA
IX, p.4; Nachwort, p.293.
60
Cfr. M.C.Laurenzi, Esperienza e rivelazione…, cit., pp.75-76.
61
Le citazioni e la riflessione sulla scelta politica di Barth sono tratte da M.C.Laurenzi,
Esperienza e rivelazione…, cit., pp.80-82.