ginevrine del XVIII secolo, ma anche, e soprattutto, alle immagini
rifratte e non sempre omogenee che di esse avevano i cittadini
‘’attivi’’ di Ginevra. Nel XVIII secolo, caratterizzato da disuguaglianze
sociali ed economiche sempre più accentuate e da tensioni e
conflitti quasi endemici, l’unità politica della città sembrava ridursi a
poco più di un’illusione, ma un’illusione largamente condivisa, solo
presentata in maniera diversa a seconda della posizione occupata
nello spazio politico cittadino, e accompagnata dalla denuncia dei
pericoli, anch’essi diversamente intesi, che minacciavano di
incrinare quell’unità. È, inoltre necessario ripercorrere le tappe dei
dibattiti che costituiscono un momento essenziale delle lotte fra i
cittadini, i borghesi e il patriziato governante a Ginevra nella prima
metà del XVIII secolo; solo così è possibile disegnare una mappa
precisa dei concetti e delle idee che, diversamente disposti e piegati
alle necessità del conflitto politico, andranno a formare appunto quel
contesto, teorico e pratico a un tempo, di cui si vorrà verificare
l’utilità come complemento per orientarsi nel pensiero politico di
Rousseau.
Come ha detto Hebert Luthy:
‘’Da Calvino a Rousseau è in certo qual modo un viaggio di andata e ritorno: un
predicatore venuto dalla Francia che ha assoggettato e rifatto Ginevra a propria
immagine e, molte generazioni più tardi, un transfuga da Ginevra che porterà in
Francia il suo tormento d’uomo in rivolta tutto nutrito di lontani echi calviniani’’.
4
Ma questo viaggio di andata e ritorno sembra essere speculare a
quello degli studiosi delle idee politiche, i quali, dopo Calvino,
abbandonano Ginevra alle ricerche di storia locale, per ritornarvi
4
H. Luthy, Da Calvino a Rousseau, Bologna, Il Mulino, 1971, p. 5.
all’epoca di Rousseau. Fra Calvino e Rousseau, Ginevra sembra
quasi inghiottita dall’oscurità di vicende segnate solo dall’accanita
lotta per la difesa dell’indipendenza, un’oscurità dissipata dalle
lumiéres dei philosophes, che d’un tratto trasformano la piccola
repubblica in un modello per le nazioni europee. Gli studiosi tornano
ad appassionarsi di Ginevra solo negli anni in cui essa diventa,
come afferma Luthy, ‘’il laboratorio costituzionale d’Europa’’, per le
rivendicazioni democratiche ‘’che Rousseau e, dopo di lui, gli
emigrati ginevrini del 1782 hanno tradotto in termini filosofici di
portata universale’’.
5
Però gli anni bui di Ginevra, sono tutt’altro che
monotoni e amorfi; in questo periodo possiamo rintracciare i fili,
altrove interrotti, che dalle antiche tradizioni comunali conducono al
repubblicanesimo moderno e alle moderne concezioni della
sovranità popolare e della democrazia.
6
Ginevra non è solo l’austera
‘’Roma protestante’’, é anche la città in cui Calvino ha promosso gli
studi classici, è la città in cui gli immigrati lucchesi importano, oltre
all’industria della seta, anche la tradizione del repubblicanesimo
italiano, è uno dei principali centri di irradiazione, all’inizio del
Settecento, del diritto naturale in lingua francese. Ginevra non è solo
una fortezza assediata, ma anche un luogo di scambi, terra di
immigrazione e di emigrazione, e, soprattutto, una cittá-stato che,
grazie alla Riforma e ai complessi equilibri internazionali, ha
conservato la sua indipendenza.
7
Non diversamente dalle altre
realtà repubblicane di antico regime, anche a Ginevra fra il XVII e
XVIII secolo si prospetta una concentrazione sempre maggiore del
5
Ibidem, p. 209.
6
F. Venturini, Utopia e riforma nell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1970, p. 27. Dove viene sottolineata
l’importanza ‘’della tradizione repubblicana nella formazione e lo sviluppo dei lumi’’.
7
A. M. Piuz, A Genéve et autour de Genéve aux XVIIe et XVIIIe siécles Etudes d’histoire économique,
Lausanne, Payot, 1985, pp. 206-216.
potere nelle mani di una ristretta oligarchia di famiglie.
8
Solo che qui
è sopravvissuta l’antica istituzione comunale delle assemblee
popolari, il Consiglio Generale, in cui risiede la ‘’Souveraineté de la
Ville’’; di conseguenza, nel momento in cui molteplici fattori,
connessi alle trasformazioni economiche e sociali verificatesi nella
seconda metà del XVII secolo, produrranno una situazione di
conflittualità tale da incrinare l’unità politica, i cittadini, per difendere i
propri diritti e privilegi e arrestare le tendenze oligarchiche, si
appelleranno ai diritti del Consiglio Generale sovrano. Le
rivendicazioni dei cittadini solleciteranno una risposta da parte dei
governanti, e così si innescherà un lungo dibattito che non verterá
solo su noiose questioni giuridiche locali, ma che chiamerà in causa
idee e nozioni del pensiero politico antico e moderno.
9
Nella
ricostruzione del dibattito ginevrino, ho cercato di seguire con
particolare attenzione la presenza e l’evoluzione di temi e concetti
che mostrano una profonda affinità con la riflessione roussoiana,
‘’fertile terreno’’ per le istituzioni della volontà popolare e della
democrazia semi-diretta, che proprio nella Confederazione svizzera
troveranno attuazione: la nozione di sovranità popolare, la
distinzione fra sovranità e governo, la dottrina delle forme di
governo, la concezione dei magistrati come organi subordinati che
rappresentano il corpo sovrano nell’esecuzione della legge, l’idea
delle leggi come convenzioni, il problema dei limiti della sovranità e
il tema della degenerazione del corpo politico. In particolare, ho
fissato l’attenzione sulle riforme che i cittadini invocano all’inizio del
XVIII secolo per contenere i magistrati entro i limiti dei loro poteri e
8
P. Guichonnet, Histoire de Genéve, Lausanne, Payot, 1986, pp. 194-200.
9
M. Rossi, Gian Giacomo Burlamacchi e la storia costituzionale del Settecento in Ginevra e l’Italia,
Firenze, Sansoni, 1965, pp. 562-576.
impedire la degenerazione della repubblica in un’oligarchia
dominata dalle grandi famiglie: queste riforme si basano su una
concezione radicale di democrazia diretta fondata sull’idea della
sovranità assoluta e indivisibile del Consiglio Generale.
10
È evidente
quanto questo contesto abbia agevolato proposizioni quali:
‘’La sovranità non può essere rappresentata… essa consiste essenzialmente
nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta: o è quella stessa, o è
un’altra; non c’è via di mezzo’’.
11
Con affermazioni come questa, Rousseau - sostenendo che una
‘’vera democrazia’’ implica la partecipazione di tutti al governo e
quindi non può che essere diretta - si pone come un vero precursore
dei Diritti Popolari.
La seconda parte è volta ad analizzare nel concreto origini e
caratteristiche dei Diritti Popolari svizzeri. L’attuale sistema politico
elvetico risale alla Costituzione federale adottata nel 1848, a seguito
di una breve guerra civile contro gli Stati cattolici secessionisti del
Sonderbund.
12
I costituenti elvetici hanno operato il tentativo di
conciliare una pluralità di esigenze spesso opposte. Dato che
l’accordo confederale del 1815 era interamente fondato
sull’autonoma sovranità dei Cantoni, i costituenti del 1848
aggiunsero un fondamento del nuovo stato federale, il principio della
sovranità popolare, che già si era imposto al livello cantonale nei
venti anni che hanno preceduto le rivoluzioni liberali. Assimilando
questo principio, i costituenti hanno attinto ad una tradizione ancora
10
Ibidem.
11
J-J. Rousseau, Il contratto sociale, Torino, Einaudi, 1994, p. 127.
12
E. R. Papa, Storia della Svizzera Dall’antichità ad oggi. Il mito del federalismo, Milano, Bompiani,
1998, pp. 186-189.
fertile di democrazia diretta caratteristica dei Cantoni rurali, ma,
nello stesso tempo, hanno legato il nuovo Stato federale ad un
criterio di legittimazione differente e indipendente dal passato.
13
La revisione costituzionale del 1874 rappresenta un ulteriore passo
in avanti nella costruzione di un regime politico fondato sull’innesto
di qualche solido strumento di partecipazione diretta in una struttura
di democrazia rappresentativa atipica; con questo passaggio,
l’estensione di competenze dello Stato federale viene compensata
dalla parallela estensione della partecipazione popolare,
introducendo la possibilità di sottoporre ad un referendum popolare
le leggi e i decreti federali (su richiesta di un numero qualificato di
cittadini o di alcuni governi cantonali). Ulteriori estensioni della
partecipazione popolare sono state messe in opera durante gli anni
successivi: nel 1921 la sottomissione al referendum obbligatorio dei
trattati internazionali di durata indeterminata, o che non possono
essere denunciati, o che implicano l’unificazione multilaterale del
conflitto; nel 1949 il dovere di sottoporre a referendum, entro l’anno
successivo alla loro promulgazione, i decreti federali che derogano a
delle disposizioni costituzionali. Bisogna inoltre osservare che
l’assenza dello strumento dell’iniziativa legislativa federale
dall’enumerazione dei diritti popolari è stata superata, nei fatti, con
l’uso estensivo dell’iniziativa in materia costituzionale. Gli stessi
diritti esercitati a livello federale sono presenti anche a livello
cantonale e comunale.
14
L’inventario degli strumenti è molto vasto, e permette al popolo
svizzero di avere l’ultima parola in molte questioni politiche. L’uso
13
Ibidem, pp. 195-201.
14
E. Grisel, Initiative et référendum populaires Traité de la démocratie semi-directe en droit suisse,
Berne, Staempfli Editions, 1997, pp. 49-51.
dei diritti popolari si accorda con il funzionamento delle istituzioni
della democrazia semi-diretta: un parlamento bicamerale paritario
(Assemblea federale), composto dal Consiglio nazionale (duecento
membri, che rappresentano il popolo svizzero; ogni Cantone vi invia
un numero di deputati proporzionale alla sua popolazione) e dal
Consiglio degli Stati (quarantasei membri che rappresentano i
Cantoni: ogni Cantone, piccolo o grande, vi delega due eletti);
l’esecutivo (Consiglio federale), di forma collegiale, eletto dalle due
camere in seduta comune e completamente indipendente dalle
stesse; e soprattutto l’iter parlamentare delle leggi, caratterizzato dal
diritto d’iniziativa dei membri parlamentari, dell’esecutivo, di
associazioni, comitati, semplici cittadini, e da una consultazione
preliminare che coinvolge tutte le organizzazioni private e pubbliche
interessate alla materia.
15
Tutto ciò, oltre a garantire una grande
azione concordata e stabilità di governo, evita un massiccio ricorso
all’iniziativa referendaria. All’interno di questo quadro politico-
istituzionale, gli strumenti della democrazia diretta sono stati usati
generalmente dalle minoranze escluse dal governo, ma anche da
correnti minoritarie dei partiti di maggioranza, gruppi di pressione e
associazioni economiche.
16
Questi istituti hanno le loro basi nella
specificità dell’esperienza svizzera: un piccolo Paese (6.750.000
abitanti), la preferenza per l’arbitrato, l’abitudine a risolvere i
problemi col buon senso e la moderazione, e soprattutto il
15
AA. VV, La confederazione svizzera e il suo parlamento, Berna, Edizione Benteli, 2001, pp. 22-29.
16
V. Ravasi, ‘’Considerations sur les droits populaires en Suisse’’ in Colloque international á
l’Université Pierre Mendés France - Grenoble 2 - 2001, l’Odyssée des droits de l’homme, Grenoble, 22-
23-24, octobre, 2001.
federalismo svizzero, che riesce a far convivere individui di comunità
diverse per lingua, etnia, religione.
17
Tuttavia, anche in un contesto così favorevole l’uso dei diritti
popolari, in particolar modo negli ultimi anni, non manca di suscitare
qualche preoccupazione: si vede lentamente affermarsi una frattura
costante tra i Cantoni tedeschi e i Cantoni della Svizzera
‘’romanda’’, attorno ad alcuni problemi importanti come i rapporti tra
la Svizzera e l’Unione Europea, la partecipazione alle iniziative di
pace della Comunità Internazionale, la politica degli armamenti o
quella dei passaggi commerciali sulle strade.
18
Per confortare l’esposizione con dei dati precisi, allego in appendice
una ricerca sull’utilizzo effettivo da parte del popolo svizzero del
diritto di iniziativa popolare, dalla sua introduzione nella Costituzione
federale (1891) ad oggi. I riferimenti sono tratti dalla Home Page
delle autorità federali (http://www.admin.ch), e fanno stato al 22
agosto 2002. Le iniziative popolari proposte sono state ben 292: la
prima, entrata in vigore il 22 dicembre 1893, riguardava il ‘’Divieto
della macellazione rituale’’; l’ultima in ordine cronologico: ‘’Per il
rinnovo totale della Costituzione federale da parte di un nuovo
Parlamento (iniziativa primavera)’’, il cui esame preliminare data 19
marzo 2002. Tra le iniziative proposte, 164 sono state oggetto di
una votazione popolare, e tra queste solo 12 sono state accettate
dal popolo e dai Cantoni: ‘’Divieto della macellazione rituale; Divieto
dell’assenzio; Elezione proporzionale del Consiglio nazionale;
Divieto di istituire case di giuoco; Sottoporre al referendum i trattati
internazionali; Mantenimento dei Kursaal; Ritorno alla democrazia
17
E. R. Papa, op. cit, pp. 7-8.
18
V. Ravasi, op. cit.
diretta (clausola d’urgenza); Contro i prezzi abusivi; Per la
protezione delle paludi-Iniziativa Rothenthurm; Alt alla costruzione di
centrali nucleari (moratoria); Per un giorno della festa nazionale
festivo (Iniziativa primo agosto); Per la protezione della regione
alpina dal traffico di transito. Ben 61, invece, sono le iniziative
bocciate, 62 quelle ritirate, dichiarate nulle o tolte di ruolo, 10 in
sospeso, una in Consiglio federale e 9 in Parlamento, 5 pronte per
la votazione, 7 allo stadio della raccolta delle firme. Analizzando
questi dati, quello che colpisce è che su ben 164 iniziative
sottoposte a votazione, solo 12 sono state accettate dal popolo e dai
Cantoni, a riprova del marcato conservatorismo del popolo svizzero.
Inoltre guardando agli oggetti dei referendum, notiamo come essi
siano i più vari e vadano a toccare i problemi concreti della
popolazione: ‘’Moratoria per le antenne di telefonia mobile; Servizi
postali per tutti; Per un migliore statuto giuridico degli animali; Sei
corsie sulla A 1 Ginevra-Losanna; pro velocità 130 sulle autostrade;
salvate i nostri boschi…’’; senza trascurare argomenti a più ampio
raggio: ‘’Per un’assicurazione di base minima con premi di
assicurazione malattie accessibili; Per l’adesione della Svizzera
all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU); Per una durata ridotta
del lavoro; Misura nell’immigrazione…’’.
CAPITOLO 1
Rousseau: la vita e il pensiero
politico.
Ι La vita e le opere
La personalità di Rousseau, tanto nelle sue opere quanto nel suo
comportamento, ci appare oggi di una sconcertante complessità.
Jean-Jacques, uomo straordinario e imprevedibile, geniale e
tormentato, fortissimo nella difesa delle sue dottrine quanto
contraddittorio e spesso debole nel comportamento della sua vita
privata; uomo impegnato per la trasformazione socio-politica della
società e al tempo stesso aperto alle dilettazioni della fantasia come
narratore, memorialista, musicista.
1
Insieme ai contemporanei Montesquieu (1689-1755), Hume (1711-
1776) e Kant (1724-1804), Rousseau (1712-1778) ha esercitato
sulla moderna storia intellettuale europea un’influenza
profondissima; forse nessun altro riuscì con le sue opere e la sua
vita a stimolare e a turbare così profondamente l’immaginazione del
pubblico; sottopose a una critica ispirata le principali correnti del suo
tempo, anche se questo significava sfidarle.
2
Burrascosi furono i
suoi rapporti con i philosophes dell’Encyclopédie: il contrasto tra il
culto di un progresso laico e illuminista, vagheggiato dagli illuministi
1
M. Conti, ‘’Introduzione ai lavori’’ in AA. VV, Rousseau secondo Jean-Jacques, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1979, pp. 15-16.
2
F. Diaz, ‘’Rousseau e la storia del suo tempo’’ in AA. VV, Rousseau secondo Jean-Jacques, cit., pp.
129-138.
e la condanna roussoiana delle scienze e delle arti come corruttrici
della società e incentivo al perpetuarsi della tirannia non può non
lasciare perplessi.
3
Naturalmente, come la maggior parte degli uomini eminenti del
mondo letterario del suo tempo, Rousseau coltivò diversi interessi
oltre alla politica. Fu un compositore molto ammirato. Molte delle
sue opere giovanili più importanti trattavano delle arti, delle scienze
e della filosofia della storia, mentre negli ultimi anni Rousseau si
entusiasmò soprattutto per la botanica, a cui dedicò una serie di
lettere che, tradotte, divennero un libro di testo molto popolare in
Inghilterra. Eppure è come moralista e pensatore politico che
Rousseau ottenne maggiore notorietà.
4
Il luogo natale e la prima infanzia lasciarono tracce profonde sulla
vita e sullo sviluppo del pensiero di Rousseau. Egli nacque nel 1712
a Ginevra, una piccola regione calvinista circondata da grandi paesi
a prevalenza cattolica, in una zona montagnosa che le barriere
naturali e la cultura politica dei cittadini proteggevano dalle invasioni,
e soprattutto una repubblica circondata da ducati e monarchie.
L’immagine della Repubblica di Ginevra ha un ruolo singolare nelle
sue riflessioni. La città con i suoi quartieri, i suoi costumi, i suoi
abitanti, le sue stratificazioni sociali e la sua costituzione
democratico-repubblicana è un ideale, un mito, un modello che
propose all’Europa.
5
La madre di Rousseau morì subito dopo averlo dato alla luce; perciò
la responsabilità della sua educazione ricadde sul padre, un
3
Ibidem.
4
S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino, Giappichelli, 1961.
5
P. Casini, ‘’L’antichità e la ricerca della patria ideale’’ in AA. VV, Rousseau secondo Jean-Jacques,
cit., pp. 87-95.
orologiaio dal temperamento romantico ed irascibile, autodidatta,
amatissimo, della letteratura, curioso e generoso, e insieme
passionale, violento, galante, che gli insegnò l’amore per la natura e
per i libri, specialmente i classici e i testi di storia. Il fanciullo leggeva
col padre tutti i libri: e questo contribuí a destare troppo
precocemente in lui quel temperamento passionale e fantastico, che
se lo fece uno dei più grandi geni che vanti il genere umano, fu
anche causa dei suoi vizi e delle sue sventure. Rousseau non
ricevette un’istruzione formale, e di quando in quando sembrò voler
compensare questa mancanza mettendo nelle proprie opere lunghe
note a piè di pagina in cui sono indicate fonti che i contemporanei
cresciuti nelle scuole non si sarebbero curati di citare.
6
La madre,
infatti, aveva ereditato una vasta biblioteca, e il padre, uomo di
ampie letture, incoraggiò la passione di Rousseau per le lettere, un
atteggiamento culturale che nelle Confessioni viene descritto come
tipico degli artigiani ginevrini, se confrontati con quelli degli altri
paesi. L’attaccamento al padre e alla città natale, tuttavia, non
poterono compensare la perdita della madre. Quando aveva ancora
quindici anni, Jean-Jaques fu presentato a una baronessa svizzera,
Madame de Warens, che viveva ad Annecy, nel ducato di Savoia.
Questa donna, che per tredici anni sarà il centro della vita di
Rousseau, ed eserciterà un’influenza decisiva sulla sua formazione,
era giovane, bella, colta, di temperamento fantastico, sensuale e
fanaticamente cattolica.
7
All’età di soli ventinove anni, Madame de
Warens, aveva fatto del convertire rifugiati protestanti al
cattolicesimo una specie di professione: anche Rousseau venne
6
P. Casini, Il pensiero politico di Rousseau, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 8-11.
7
G. Preti, ‘’Prefazione’’ in J-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli
uomini, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 5-11.
introdotto nella sua casa e nel suo cuore con un’intima ospitalità che
ben si accordava con il travolgente entusiasmo di lui. Nei dieci anni
successivi, prima a d Annecy, poi a Chambéry, e infine nell’idilliaco
ritiro della valle di Les Charmettes, egli ne divenne l’amante e il
discepolo. Con la sua guida e qualche aiuto dei tutori e confessori di
lei, Rousseau completò la propria educazione, specialmente per
quanto riguarda la filosofia e la letteratura moderna, discipline che
prima aveva studiato poco , oltre a cominciare a pensare alla
professione di scrittore. Inoltre, in parte ispirato all’entusiasmo
pietistico di Madame de Warens, Rousseau sviluppò un senso di
devozione verso la divinità e le meraviglie della sua creazione che
ne avrebbero sempre distinto le credenze religiose da quelle di molti
dei contemporanei philosophes, atei oppure scettici che diffidavano
del suo fanatismo religioso.
8
Per tutto il tempo che furono amanti, e
per il resto della vita, Rousseau chiamò Madame de Warens
maman, attribuendole quelle qualità di dolcezza, grazia e bellezza
che, come orfano, egli cercava in tutte le donne di cui avrebbe
subito il fascino nel corso degli anni.
Théresé Levasseur, con cui egli visse dal 1745circa fino alla morte,
e che infine sposò, era una donna sotto molti aspetti meno
attraente, grossolana, gelosa, sospettosa e di gran lunga meno
colta: nonostante l’irresistibile e intatta freschezza, Théresé non
giunse mai a dominare i sentimenti di Rousseau come aveva fatto
Madame de Warens. Alle due donne più importanti della sua vita
Rousseau chiese innanzitutto cure materne.
9
Proprio per questo non
poté mai accettare di avere una propria famiglia e abbandonò i
8
L. Rizzi, Liberalismo Etico e Religione Civile in Rousseau, Milano, FrancoAngeli, 1997, pp. 196-198.
9
F. Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Padova, Liviana, 1966, pp. 50-60.
cinque figli avuti da Théresé alla sorte incerta degli orfanotrofi. In
seguito Rousseau dichiarò di essere stato troppo povero per potersi
prendere cura adeguata dei figli, ma che la sua condotta verso di
loro lo riempiva di rimorso e di vergogna. Di certo riempì i suoi lettori
di stupore il fatto che proprio lui avesse potuto scrivere un sublime
trattato sull’educazione qual è l’Emilio, che sotto certi aspetti può
essere letto come una forma di espiazione personale. Ancora ai
nostri giorni l’abbandono dei figli ha colorato l’immagine popolare di
Rousseau più di qualunque altro aspetto.
10
Anche verso le vicissitudini di Madame de Warens, caduta nel 1750
in una condizione di difficoltà economica tale da essere costretta a
farsi registrare come povera, Rousseau non si dimostrò troppo
sollecito. Madame de Warens morì nel 1762 in povertà e
abbandonata da Rousseau, che era tutto preso dalla
preoccupazione di salvarsi dopo che i suoi scritti erano stati messi
sotto accusa dalle autorità religiose e secolari sia francesi che
svizzere. Il 12 aprile 1778, poche settimane prima di morire,
Rousseau scrisse una delle sue pagine più ispirate, la decima delle
Fantasticherie di un passeggiatore solitario,
11
in cui rifletteva sul
fatto che quel giorno ricorrevano cinquant’anni dal primo incontro
con Madame de Warens, con la quale si era intrecciato il suo
destino, e nelle cui braccia aveva trascorso un breve e tenero
periodo della vita.
Verso i trent’anni Rousseau cominciò finalmente una vita
indipendente, grazie a un modesto reddito ricavato soprattutto
dall’attività di precettore e dalla trascrizione di partiture musicali. In
10
L. Zani, La scienza dell’educazione il problema pedagogico attraverso i tempi, Milano, Fabbri Editori,
1964, pp. 153-161.
11
J-J. Rousseau, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, Milano, BUR, 2002, pp. 327-330.
quest’epoca decise di conquistare Parigi con una commedia,
Narciso, e con la proposta di una nuova forma di notazione
musicale. Poco dopo il suo arrivo in città, nel 1741, strinse
un’amicizia con Denis Diderot (1713-1784), a lui vicino per età,
retaggio culturale e ambizione, che per quindici anni sarebbe stato il
suo più intimo compagno. In realtà i due avevano temperamenti
molto diversi; Diderot educato e affabile, Rousseau sensibile e
franco. Condividevano tuttavia un interesse comune per il teatro, per
le scienze e in special modo per la musica; quando Diderot e
d’Alambert si associarono per pubblicare l’Encyclopédie, affidarono
a Rousseau la stesura di gran parte delle voci di argomento
musicale, oltre alla voce dedicata all’economia politica.
12
Nel 1749,
in seguito alla pubblicazione della Lettera sui ciechi, Diderot fu
sottoposto a un breve periodo di detenzione nella prigione di
Vincennes, e Rousseau andò a visitarlo quasi ogni giorno,
rivolgendo continue suppliche alle autorità per la liberazione del suo
amico. Un giorno, sulla strada che da Parigi lo conduceva a
Vincennes, gli capitò di leggere l’annuncio di un premio letterario
bandito per la composizione di un saggio sulle conseguenze del
progresso delle scienze e delle arti sul genere umano: é questo il
momento che si può definire l’ora di nascita del pensiero
fondamentale di Rousseau.
13
Questo annuncio avrebbe mutato il
corso della sua vita. In un primo tempo Diderot condivise
l’entusiasmo di Rousseau per la critica della civiltà, ma solo perché
gli piaceva l’idea provocatoria che proprio uno dei principali autori
12
F. Diaz, op. cit, pp. 129-138.
13
E. Cassirer, Il problema Gian Giacomo Rousseau, Firenze, La Nuova Italia, 1956, pp. 20-21.