L’età del loro massimo splendore risale ai periodi di Hallstatt e
di Latène (500 a.C.)
1
.
L’invasione celtica raggiunse la penisola iberica, l’Italia
settentrionale, la Francia meridionale e tutte le regioni renane dalla
Svizzera fino ai Paesi Bassi. L’ampiezza di tale fenomeno non
consente di adottare in maniera acritica i concetti di cultura e
nazionalità
2
.
Da un punto di vista etnologico, infatti, è possibile ritenere che
una razza celtica vera e propria non sia mai esistita, ma che si fusero
diversi elementi sociali in una comune tipologia; tuttavia i Celti
1
“ La civiltà di Hallstatt ha cominciato […] a svilupparsi fin dall’epoca del Tardo Bronzo, anche
se è con l’età del Ferro che diventa fiorente e prospera. Essa si espande ed esporta le proprie
caratteristiche, e con il passare dei secoli la cultura celtica di Hallstatt influenzerà buona parte del
continente europeo. […] La cultura di Hallstatt ha visto un’ampia diffusione su tutto il territorio
europeo; l’espansione raggiunta con il periodo di Latène, dal nome del sito archeologico svizzero
prosperato dal V al III secolo a.c. ha giustamente designato i Celti come i “fondatori ”della prima
Europa ”. Cfr. TARAGLIO R., Il vischio e la quercia. La spiritualità celtica nell’Europa druidica,
L’età dell’acquario, Novara, 1997, pp. 32-33.
2
Cfr. LE ROUX F. – GUYONVARC’ H C. J., La civiltà celtica, Gruppo di Ar, Villa San Giovanni,
1987, pp. 43-47.
riuscirono a costituire una complessa società collegata da una fitta rete
di interconnessioni linguistiche ed economico-sociali che si reggeva
su un rapporto di continua osmosi tra gli apporti delle numerose
nazioni celtiche. Da tale fusione si generò un popolo pieno di
contraddizioni, da un lato animato da un forte spirito combattivo che
lo condusse talvolta a compiere cruente scorrerie, e dall’altro lo portò
a ricercare una condotta in piena armonia con la natura
3
.
Il desiderio di una esistenza normale, li condusse alla
costruzione di una società libera da ogni struttura di governo centrale
che fosse più grande della singola tribù
4
.
3
Cfr. SILICAN L. A., L’Aratro e la spada, Keltia Edizioni, Aosta, 1996, pp. 43-47.
4
“ L’unità sociale più vasta era la tribù (in irlandese tùath, in gallico civitas-pagus), i cui membri
si attribuivano un comune antenato. […] alcune tribù erano piccole, altre grandi e potenti, con
cospicue forze armate, le quali si contendevano l’egemonia sull’intera Gallia. Cfr. FILIP J., I Celti,
Newton-Compton Editori S.R.L, Roma, 1980, pp. 101-102.
La civiltà celtica si organizzò in modo tale da riprodurre la
suddivisione della società indoeuropea, articolata secondo tre funzioni
fondamentali ovvero la funzione regale o sacerdotale esercitata dal re
capo-tribù dei Celti denominato Rix
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e dai druidi che insegnavano le
scienze sacre e celebravano i sacrifici, la cui funzione era preposta alla
realizzazione dell’uomo per via dell’espressione del divino
nell’umano. La seconda funzione era, invece, rappresentata dalla
categoria dei guerrieri che avevano il compito di proteggere il popolo
con la forza delle armi, ed infine la funzione produttiva esercitata
dagli artigiani ed allevatori che si occupavano della produzione di
beni. Queste tre funzioni costituiscono l’espressione dell’universale
5
“ Il Rix deteneva la responsabilità delle mediazioni con la forza della natura e con gli dei. […]
Tutti i Celti si ritenevano di discendenza divina e la cerimonia di incoronazione rinnovava questa
essenza divina ed il legame con le potenze supreme. Alla morte di un Rix, il suo successore veniva
eletto dall’assemblea dei sudditi liberi presieduta da un Druido scelto tra i membri della sua
famiglia […] o poteva essere scelto in base a qualche segno o premonizione del Druido”. Cfr.
SILICAN L. A., op.cit., p. 34.
nel particolare; attraverso la divisione e la suddivisione dei compiti il
tutto si rende manifesto attraverso i suoi attributi particolari: la
conoscenza appannaggio della casta sacerdotale, la forza propria della
casta guerriera e l’amore emblema della cultura produttiva, che sono,
nella cultura celtica i tre momenti fondamentali dell’atto di creazione.
Gli elementi base della loro società erano la famiglia e la
parentela (fine), la prima comprendeva antenati e discendenti diretti o
collaterali; oltre a tale unità indistruttibile erano riconosciuti solo
legami personali di dipendenza. Sussistevano inoltre diverse forme di
fine, la più importante veniva denominata gelfine, costituita da un
capofamiglia e da una o più mogli. La comunità, venutasi in tal modo
a creare, costituiva il punto focale del tuàth la cui organizzazione
potrebbe ricordare quella per parentado. All’interno della tribù
l’autorità del re non veniva messa in discussione, tuttavia quest’ultimo
doveva tenere in notevole considerazione “la parola” dei druidi, i quali
detenevano il potere di deporre lo stesso Rix in caso di perdita
dell’onore. Nel sistema celtico, dunque, non sussisteva una ferrea
suddivisione fra le varie classi sociali e il rispetto per l’individuo non
era vincolato alla particolare condizione di censo
6
.
Gli uomini liberi venivano denominati aire ed erano suddivisi in
due classi: i nobili (flaith) cioè la classe guerriera e gli allevatori ( bo-
aire),”ogni uomo libero possedeva un proprio prezzo onorifico che
equivaleva al suo valore nella comunità, il suo peso sociale”. Gli
uomini detenevano il loro potere solo all’interno del tuàth, non
esisteva tuttavia alcun sistema giuridico atto a regolare le relazioni tra
6
Cfr. TARAGLIO R., op.cit., p. 54.
i ceti e i singoli individui. Tale assenza dello stato comportava
necessariamente una sconsiderata applicazione del diritto. Le
controversie venivano sanate senza il ricorso a regole definite; spesso
da ciò conseguiva il sorgere di lotte intestine o di faide familiari.
Base dell’economia erano l’agricoltura e l’allevamento, anche
le foreste producevano notevoli quantità di legname destinate al
lavoro dei carpentieri per le fortificazioni, tipiche costruzioni degli
insediamenti celtici che testimoniano i frequenti episodi di guerriglia.
La grande maggioranza del popolo celtico viveva in isolate
capanne di paglia poste al centro delle terre da essi coltivate. Le città
invece sorgevano in aree strategiche (terreni sopraelevati circondati da
fossati) per ragioni di salvaguardia e tutela del Rix. Proprio nel De
bello gallico Cesare distingue gli insediamenti celtici in vici ed
oppida; i primi erano una sorta di villaggi privi di cinta murarie, i
secondi costituivano invece dei villaggi-fortezza per la popolazione
nei momenti di pericolo
7
, essi erano adibiti inoltre a magazzini
contenenti cereali e bestiame, da ciò nacque la loro funzione di
mercati che ebbe notevole impiego durante il II secolo a.C.
L’arte celtica rappresentò un’altra grande risorsa economica; le
tecniche, infatti, utilizzate da fabbri ed orafi variavano dall’incisione
alla lavorazione del bronzo alla fusione; ciò permise loro di creare
monili e rifiniti utensili, da cui emerse un’arte intrisa di mistero e
magia dettata dalla fantasia dell’inconscio piuttosto che sottostante
alle ferree regole dell’arte classica.
7
.“Gli oppida occupavano in generale da 20 a 50 ettari. Il muro che li circondava era
contemporaneamente opera di difesa e di immagine, per dare una sufficiente impressione di
potenza della tribù al mondo. Al loro interno […] si radunavano gli artigiani che fornivano i
villaggi e le cascine della zona”. Cfr. SILICAN L. A., op. cit., pp. 12-13.
Dall’analisi di questi dati emerge dunque che la società celtica
sia stata relativamente semplice, basata sullo sfruttamento delle risorse
primarie, tuttavia tale struttura socio-organizzativa, comune ad altri
popoli, nasconde una profonda cultura dell’interiorità che sviluppò
una complessa e quanto mai misteriosa dimensione filosofico-
religiosa che contribuì a rendere i Celti uno dei popoli più influenti
sulle culture successive.
La storia del popolo celtico testimonia, infatti, un intenso
momento di splendore nello scenario storico-culturale dell’Europa,
che riuscì a resistere all’impatto con la civiltà romana, non sempre
capace di “rispettare” ed apprezzare le culture e le tradizioni che
incontrava lungo il suo percorso.
Dall’incontro-scontro con la cultura dei Cesari emergerà,
infatti, la ricchezza degli apporti culturali celti, la loro originalità,
specificità e complessità, che costituiranno l’humus da cui trarrà forza
e vigore il tormentato spirito medievale che non può e non deve essere
identificato esclusivamente sulle traiettorie della cultura latina, di
quella greca e di quella islamica. Esiste, infatti, uno “spirito” del nord
che va studiato ed approfondito per comprenderne in pieno i suoi
influssi su tutto il contesto medievale.
CAPITOLO PRIMO
LA RELIGIONE DEI CELTI
1.1 LA SPIRITUALITÀ CELTICA
La cultura del popolo celtico fu complessa e carica di contenuti
suggestivi. Essa accolse al suo interno e valorizzò, nel corso dei
decenni, gli apporti eterogenei delle culture con cui, più o meno
direttamente, entrò in contatto.
Tale molteplicità di apporti contribuì a rendere particolarmente
ricca anche la spiritualità di questo popolo.
I Celti ebbero una straordinaria capacità di immaginazione
attraverso la quale tentarono di cogliere, sotto forma di immagini, la
multiforme varietà del creato.
La loro conoscenza empirica si estrinsecò attraverso un atto di
riproduzione mimetica del reale, grazie al quale lo spirito celtico tentò
di giungere sino alla sfera del trascendente. Dio poteva essere
conosciuto solo attraverso le sue manifestazioni; l’uomo dunque non è
in grado di coglierne l’essenza, se non tramite le sue concrete
emanazioni. “Tutto ciò che sperimentiamo di dio, tutto ciò che di lui ci
è rivelato, tutto ciò in cui lo conosciamo si riferisce alle sue energie e
non alla sua intellegibile essenza”
1
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1
Cfr. DUNCAN A., The Elements of Celtic Cristianity, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1997,
p.115.
Così l’immagine di dio si riflette sull’intera creazione e si
identifica con l’uomo; e proprio l’uomo è lo “strumento” attraverso il
quale si manifesta l’infinito amore di dio. Soltanto all’interno di
questo “virtuoso” circolo la dimensione umana acquista la propria
valenza.
Il dio dei Celti, che è emanazione dell’intera creazione,
comprende in sé ogni possibilità del creato, esso costituisce l’inizio e
la fine di ogni creatura vivente; tale concezione rievoca, in certa
misura, la dottrina classica ed aristotelica, secondo la quale nella
Metafisica si svolge una serrata critica nei confronti dei predecessori,
che – secondo lo stagirita – intravidero esclusivamente due cause atte
a determinare l’essere, quella materiale e quella motrice e, soltanto in
minima parte, riconobbero la causa efficiente e finale. Sebbene la
teologia aristotelica consideri dio come primo motore immobile, cioè
come una sostanza immodificabile, tuttavia la vicinanza fra la divinità
celtica e quella aristotelica risiede nella natura stessa di dio: esso è la
sostanza che principia se stessa, generando il cosmo, secondo il
principio della causa efficiente e finale. Da esso tutto trae la propria
origine, dio è il demiurgo che informa la sostanza e muove la natura, è
dunque la causa prima della realtà, ma si configura anche come il fine
ultimo verso cui tende l’intera serie del reale. In esso tutto trova la
propria giustificazione e pensabilità “il pensiero che è pensiero per sé
ha come oggetto ciò che di per sé più eccellente, e il pensiero che è
tale in massimo grado ha per oggetto ciò che è eccellente in massimo
grado. L’intelligenza pensa se stessa […] l’intelligenza è, infatti, ciò
che è capace di cogliere l’intellegibile e la sostanza, ed è in atto
quando li possiede”
2
; allo stesso modo il principio divino del popolo
2
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, lib. Λ 7 , 1072 b 20-30, a cura di G. Reale, Rusconi, Milano, 1993, p. 565.
celtico si configura come il principio che produce il moto perpetuo
della materia (causa efficiente) che, nella infinità dei suoi cicli, tende
unicamente a ricongiungersi con il supremo essere creatore (causa
finale).
In questa visione, però, l’assoluto essere rappresenta l’infinito, e
la sua essenza non può essere colta dall’uomo se non attraverso le sue
energie: l’amore, la conoscenza e la potenza, dalla cui unione nasce la
giustizia, sono le concretizzazioni materiali della potenza creatrice.
Attraverso il processo di sostanzializzazione ha luogo la
creazione intesa come emanazione concreta di dio per via del suo
amore infinito.