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ancora estremamente eterogenea dal punto di vista economico, caratterizzata da
accentuate disparità regionali nel livello del reddito e nell’occupazione fra i paesi
cosiddetti del centro ed i paesi della periferia. Le statistiche pongono in evidenza che
nazioni intere, come Portogallo, Irlanda, Spagna, Grecia, e aree regionali interne di vaste
dimensioni, come l’ex Germania Orientale ed il Mezzogiorno d’Italia, manifestano
tuttora marcati gap economici rispetto alle nazioni più sviluppate e sembra scontato che il
quadro di squilibrio complessivo sia destinato a rimanere tale ancora a lungo.
In tale prospettiva è pertanto legittimo chiedersi se l'unione monetaria sarà portatrice
di nuovi vincoli o di nuove opportunità. In particolare nell'ambito del presente studio
interessa sapere in che modo l’UME potrà incidere sugli squilibri regionali, ossia se potrà
attenuare o al contrario aggravare i problemi di arretratezza e sottosviluppo delle regioni
meno progredite. L'integrazione monetaria priva gli stati aderenti di un basilare canale di
aggiustamento degli shock asimmetrici, adottato in passato anche in modo indiscriminato
dai singoli paesi alla ricerca di una maggiore competitività per le proprie produzioni: la
modificazione del tasso di cambio. Ciò nonostante, occorre considerare che anche il
venir meno di un siffatto strumento non priva i singoli stati della possibilità di riassorbire
eventuali squilibri ricorrendo a canali alternativi di aggiustamento. Tali meccanismi sono
stati discussi e approfonditi sul piano teorico nell’ambito degli studi economici condotti
sulle aree monetarie ottimali (AMO).
Il presente lavoro si inserisce in tale problematica soffermandosi sull'esposizione
degli effetti di varia natura che possono scaturire dall’attuazione di una politica
monetaria comune, con particolare riguardo ai meccanismi e agli strumenti di
aggiustamento disponibili all’indomani dell’introduzione dell’euro per il riassorbimento
di fluttuazioni cicliche o di shock asimmetrici di tipo transitorio o permanente.
Gli effetti dell’integrazione monetaria fra i paesi dell’UE saranno valutati partendo
dall’approccio teorico fornito dalla teoria delle aree valutarie ottimali che consentirà di
definire il quadro di riferimento ai fini dell’individuazione dei canali di aggiustamento
più idonei.
- 5 -
Nello scenario delineato sarà poi analizzato il ruolo che in un'area valutaria comune
come l'UME potrà rivestire la politica di bilancio quale canale di aggiustamento
alternativo o complementare al fine di valutare se le restrittive regole stabilite in sede
comunitaria consentiranno in prospettiva un utilizzo efficace della manovra fiscale.
Poiché le zone che presentano le più accentuate disparità regionali sono anche le aree
che presentano i più elevati tassi di disoccupazione, nell’ultima parte la discussione si
soffermerà sull’analisi delle molteplici cause reputate responsabili della disoccupazione
europea e sulle ripercussioni che su di essa potrebbe provocare l’introduzione dell’euro.
Il fenomeno in esame è strettamente correlato con un basso livello di produzione e un
ridotto tasso di crescita, condizioni queste che ordinariamente si ritrovano nelle regioni
in ritardo di sviluppo.
Infine è stato posto al centro dell’attenzione il Mezzogiorno d’Italia, perennemente
oggetto di studi e progetti mirati a favorire il suo decollo economico, ma tutt’oggi
gravato da annosi problemi irrisolti di sottosviluppo. Dopo aver illustrato i tratti
fondamentali dell’attuale situazione sociale ed economica del Meridione, lo studio ha
approfondito in particolare l’impatto che l’UME potrebbe avere sull’economia del
Mezzogiorno, principalmente in termini di attuabilità dei meccanismi di aggiustamento
adottabili in presenza di un’unione monetaria.
L’idea di fondo su cui poggia il presente lavoro è che l’unione monetaria non deve
rappresentare il traguardo finale, ma solo il traguardo intermedio per raggiungere il vero
obiettivo: l’ampliamento delle opportunità di vita di tutti i cittadini europei, in primo
luogo di coloro le cui opportunità sono gravemente ridotte dalla disoccupazione e dal
bisogno. Pertanto sarà privilegiato costantemente un approccio che ponga in rilievo le
deleterie conseguenze di tipo sociale e non solo economico che gli squilibri regionali
possono determinare e l'incidenza sul problema occupazionale che ad essi
inevitabilmente si accompagnano.
- 6 -
1. I MECCANISMI DI AGGIUSTAMENTO DI MERCATO
ALL’INTERNO DELL’UME
L’unificazione monetaria nasce dall’idea di una integrazione economica e
commerciale fra i paesi della comunità compiutamente realizzata, nella quale sia
operante la completa liberalizzazione di merci, servizi, persone e capitali. In tal senso il
completamento del mercato unico, accompagnato dall’introduzione di uno strumento
monetario comune, è considerato dai fautori del libero mercato come il contesto
economico ideale per consentire la riduzione delle disparità regionali esistenti. Se i
presupposti accennati sono considerati validi, in linea teorica si può ritenere che gli
shock asimmetrici, di natura temporanea o permanente, potrebbero essere riassorbiti in
modo automatico, agendo opportunamente sui salari e sui prezzi o favorendo fenomeni di
emigrazione.
In effetti, questa visione ottimistica non tiene nella dovuta considerazione le rigidità
che possono caratterizzare il tessuto economico, e in particolare il mercato del lavoro,
all’interno del quale continuano a prevalere in ambito UE meccanismi di scarsa
flessibilità salariale e di ridotta mobilità interregionale.
La realtà attuale è pertanto abbastanza difforme dal quadro ideale prefigurato e gli
anni recenti ne hanno dato conferma, essendosi verificate nel territorio comunitario
fluttuazioni più o meno transitorie. Negli ultimi tempi l’unificazione tedesca ha
rappresentato il caso più lampante e visibile di shock asimmetrico di tipo permanente che
provocò come conseguenza una grave crisi del sistema monetario europeo.
Da più parti si teme che l’UME possa essere simile nei suoi effetti all’unificazione
monetaria tedesca che generò un’ampia crescita della disoccupazione e rese necessari
ingenti trasferimenti fiscali da ovest ad est. In realtà le condizioni di partenza dell’UME
sono totalmente differenti. L’economia della Germania orientale era del tutto svincolata
dal contesto internazionale e presentava una struttura economica precaria, aggravata dalla
- 7 -
sopravvalutazione del cambio della propria valuta dovuta a motivazioni principalmente
politiche. A causa dell’affinità culturale e linguistica fra le due Germanie non fu
possibile procedere ad un adeguamento dei salari. Questi ultimi crebbero ad un tasso
maggiore rispetto alla produttività determinando il collasso del sistema produttivo
orientale e l’esplosione della disoccupazione.
La situazione dell’UME nel suo complesso, pur denotando la presenza di differenze
regionali rilevanti in termini di reddito e di occupazione, sembra invece completamente
diversa in quanto l’economia di tutte le nazioni partecipanti è molto più integrata, il
commercio intra-settoriale è molto più sviluppato, non esistono restrizioni per il
movimento dei capitali che sono attirati laddove i rendimenti sono più elevati. Ciò non
toglie che i problemi strutturali esistano e quindi è lecito chiedersi quali possano essere i
canali di aggiustamento praticabili in caso di squilibri, analizzandone le caratteristiche e
valutandone l’efficacia, in modo da disporre di un quadro completo di riferimento degli
effetti dell’unificazione monetaria e delle modalità di funzionamento dei processi di
aggiustamento regionali rispetto a quelli internazionali. Questa disamina iniziale
consentirà di evidenziare i fattori non solo economici, ma anche sociali e politici, di
maggiore rilevanza in un processo di integrazione monetaria, che saranno di ausilio per
lo studio delle disparità regionali comunitarie, con particolare riferimento al
Mezzogiorno d’Italia.
- 8 -
1.1. L’aggiustamento tramite il tasso di cambio
Come accennato in precedenza, la creazione di un’area monetaria comune non
esclude la possibilità che possano verificarsi fluttuazioni cicliche e shock asimmetrici,
anche se uno degli obiettivi indiretti che si propone un processo di unificazione
monetaria è proprio quello di limitare nella durata e nella frequenza tale genere di
perturbazioni. Questo genere di eventi comporta una accentuazione delle disparità
regionali in quanto determina la riduzione del livello del reddito e, di riflesso, l’aumento
della disoccupazione.
Con l'integrazione monetaria i singoli paesi vengono privati di un basilare strumento
di riaggiustamento: la modificazione del tasso di cambio, vale a dire la possibilità di
svalutare la propria moneta per favorire il riassorbimento degli squilibri puntando su un
rilancio della competitività delle proprie esportazioni. Il principale costo dell’Unione
monetaria sarebbe rappresentato proprio dalla rinuncia a tale strumento di regolazione. In
realtà l’efficacia del tasso di cambio come strumento di aggiustamento dipende dalla
dimensione spaziale e temporale dello shock e dal grado di diversificazione produttiva
dell’economia nazionale.
Per quanto riguarda la dimensione spaziale, la variazione del tasso di cambio
nominale può essere appropriata se lo shock rimane nei confini nazionali in quanto in tal
modo si genera una modificazione di tutti i prezzi relativi rispetto ai concorrenti esteri.
Se lo shock interessa invece una area regionale che travalica il territorio nazionale, lo
strumento del tasso di cambio può originare soltanto effetti parziali per il riassorbimento
dello squilibrio in quanto la manovra sul cambio potrebbe essere controbilanciata da
misure analoghe adottate anche dagli altri paesi interessati.
Studi empirici hanno rivelato che gli shock ad ampiezza regionale o comunitaria sono
più importanti rispetto agli shock di portata nazionale. Le ricerche evidenziano che la
variazione dei tassi di disoccupazione nell’80% dei casi è attribuibile all’effetto
combinato di shock di tipo comunitario e regionale. L’importanza della dimensione
regionale che travalica i confini nazionali trova un caso esemplare nelle regioni
- 9 -
dell’Italia settentrionale che mostrano un più alto grado di correlazione con le regioni
tedesche piuttosto che con le regioni del meridione d’Italia. In situazioni del genere la
variazione del tasso di cambio nazionale non condurrebbe ad alcun risultato rilevante in
quanto sarebbe annullata dall'azione analoga degli altri paesi coinvolti.
Per quanto riguarda la dimensione temporale, gli shock possono avere durata
temporanea o permanente. Mentre è indubbia l'utilità della manovra del cambio per gli
shock di natura temporanea, l'uso di tale canale di aggiustamento in presenza di shock
permanenti può talora sortire l’effetto di posporre nel tempo la necessaria riallocazione
del sistema produttivo di un paese. In letteratura si sostiene che in tali situazioni la
variazione del tasso di cambio possa essere comunque utile, in particolare nell’ipotesi di
differenziali nella crescita della produttività di un’economia matura rispetto ad
un’economia in via di sviluppo, in modo da colmare il gap esistente.
In sintesi, soltanto in un limitato numero di circostanze lo strumento del tasso di
cambio si rivela efficace, e precisamente per disturbi specifici di un paese, di origine
reale e a carattere temporaneo. Nella futura UME la probabilità che si verifichino questi
tipi di squilibri è abbastanza remota dato che l’integrazione commerciale ridurrà in
maniera sempre maggiore l’importanza dei confini nazionali
1
.
L’incisività del tasso di cambio come strumento di riequilibrio dipende inoltre in
misura rilevante dalla natura generalizzata o settoriale dello shock e di conseguenza dal
grado di diversificazione di un’economia nazionale.
In presenza di shock generalizzati, quanto maggiore è il livello di eterogeneità, tanto
più influente dovrebbe essere l’impatto della politica del tasso di cambio. In risposta a
shock di natura settoriale, vale a dire a disturbi della domanda e dell’offerta che
colpiscono una particolare industria, occorre invece riconsiderare l’utilità di un
deprezzamento della valuta nazionale. Se gli scambi fra le diverse regioni hanno una
tipologia prevalentemente intra-industriale (importazione ed esportazione dello stesso
1
EURO PAPERS, 1998
- 10 -
tipo di bene), e se il peso dell’industria colpita è pressoché uguale in ciascuna regione,
allora la rinuncia al tasso di cambio non comporterà difficoltà per il processo di
aggiustamento. Al contrario, se gli scambi sono principalmente inter-industriali,
(ciascuna regione concentra il proprio export in un particolare settore), la manovra del
tasso di cambio riacquisterà la sua valenza come strumento di politica economica per la
correzione di questi disturbi
2
.
Un argomento condiviso da molti studiosi è quello secondo cui l’accresciuta
integrazione economica derivante dall’unione monetaria possa condurre ad una maggiore
specializzazione produttiva regionale. A conferma di quanto detto si può citare il caso
degli Stati Uniti al cui interno la specializzazione regionale è nettamente più marcata
rispetto ai paesi dell’UE, ciascuno dei quali presenta in media un sistema economico
molto più diversificato. In un suo studio Krugman ha rilevato che a causa delle storiche
barriere commerciali e delle differenti politiche governative, le nazioni europee risultano
meno specializzate delle regioni federate degli Stati Uniti
3
.
Quanto detto in precedenza riguardo agli shock generalizzati suggerisce che lo
strumento del tasso di cambio per riassorbire eventuali squilibri sia da escludere se ad
essere colpito è uno specifico settore produttivo in una economia multisettoriale. Anzi, la
diversificazione delle economie dovrebbe comportare come conseguenza che gli shock
sulla domanda possano diventare di tipo simmetrico in quanto colpirebbero tutti i paesi
con la stessa intensità. Tuttavia la maggiore integrazione regionale che deriverebbe
dall’UME potrebbe anche condurre ad una maggiore concentrazione regionale delle
attività produttive per cui gli shock di un settore specifico potrebbero diventare anche gli
shock di un paese nel suo complesso cosicché riacquisterebbe rilevanza l’uso del tasso di
cambio come canale di aggiustamento.
La conclusione del discorso è che una ulteriore integrazione commerciale in Europa
potrà avere un effetto ambivalente nella eventualità di shock asimmetrici fra i paesi. Non
2
Goodhart, 1996
3
Brighi, 1996
- 11 -
si può escludere l’ipotesi che i disturbi negativi siano concentrati in un solo paese a causa
dell’elevata specializzazione in un certo settore produttivo, così come non si può scartare
l’eventualità che gli shock siano distribuiti uniformemente in tutti i paesi se le rispettive
economie rimarranno diversificate.
In ogni caso, allo stato attuale delle conoscenze e dei dati empirici disponibili, risulta
assai arduo compiere una valutazione univoca dei costi della rinuncia al tasso di cambio
quale strumento di stabilizzazione economica.
- 12 -
1.2. Canali di aggiustamento in un’Area Monetaria Ottimale (AMO)
In mancanza di uno strumento come il tasso di cambio il riassorbimento degli squilibri
richiede altri meccanismi. Una volta che l’economia di un paese abbia perso il controllo
della politica monetaria e valutaria e possa ricorrere solo parzialmente alle politiche
fiscali, secondo quanto si vedrà nel seguito trattando del Patto di Stabilità, il processo di
aggiustamento può avvenire agendo sulle quantità (capitale e lavoro) oppure agendo su
salari e prezzi.
Gli studi sulle Aree Monetarie Ottimali (AMO) hanno enunciato le condizioni
teoriche da soddisfare perché un’area territoriale caratterizzata da una moneta unica
possa definirsi ottimale, analizzando i diversi meccanismi di aggiustamento. I
presupposti fondamentali sono i seguenti:
™ la flessibilità di salari e prezzi;
™ la mobilità del lavoro;
™ la mobilità del capitale;
™ l'interdipendenza tra le economie dei paesi membri (misurata in termini di flussi
commerciali)
4
.
Ipotizzando l’originarsi di uno shock asimmetrico sul lato della domanda o
dell’offerta fra due paesi facenti parte di una unione monetaria, che adotta pertanto la
stessa moneta, occorre soffermarsi sulle modalità secondo cui operino le suddette
condizioni per il ritorno all’equilibrio per poi valutare se all’interno dell’UME questi
strumenti possano funzionare con pari efficacia.
4
Brighi, 1996
- 13 -
Flessibilità di salari e prezzi
La caduta nel livello della domanda aggregata nel paese che ha subito uno shock
negativo comporterà come conseguenza il ridursi della produzione e l’aumento della
disoccupazione. Questo fenomeno potrà essere neutralizzato soltanto se i salari sono
flessibili, ossia se è possibile operare un aggiustamento del loro livello in termini
reali. Infatti, se i salari si riducono, diminuiscono i costi di produzione e i prezzi,
cosicché i prodotti esportati divengono di nuovo competitivi e si mette in atto il
meccanismo di riequilibrio. In definitiva, un paese necessita di ridurre il proprio costo
del lavoro se vuole superare uno shock negativo da domanda o da offerta.
In caso di shock da domanda (ad esempio improvvisa ondata di propensione a
risparmiare delle famiglie), il livello della domanda aggregata diminuirà a meno che
la caduta della domanda interna non sia compensata dall’aumento della domanda
estera. Ciò sarà possibile se la produzione interna diventerà più economica a
confronto con la produzione estera. Senza la possibilità di svalutare la moneta, tale
risultato si potrà ottenere solo con la riduzione dei prezzi relativi e del costo del
lavoro. Se i salari nominali sono viscosi verso il basso, il livello della domanda
effettiva non sarà ristabilito e il riaggiustamento avverrà lentamente procurando
recessione e più alta disoccupazione.
In caso di shock da offerta (ad esempio improvvisa obsolescenza tecnologica del
capitale produttivo), il livello di equilibrio dei salari reali può cadere al di sotto del
livello prevalente sul mercato. Se i salari reali sono rigidi verso il basso, la
disoccupazione spiccherà il volo e l’inflazione dovrà erodere il valore reale dei salari
fino al nuovo livello di equilibrio. L’aggiustamento in questo caso funzionerà
lentamente con rilevanti costi economici e sociali che risulteranno aggravati se le
autorità nazionali decideranno di seguire politiche restrittive per ripristinare la
stabilità dei prezzi
5
.
5
ECONOMIC PAPERS, 1997
- 14 -
Le considerazioni svolte in merito alla flessibilità salariale hanno evidenziato che
sarebbe necessario che i mercati, e in particolare il mercato del lavoro, funzionassero
in regime di concorrenza perfetta affinché gli aggiustamenti possano avvenire
tempestivamente. Nella realtà il regime prevalente tuttora nell'Europa comunitaria è la
concorrenza imperfetta, ma proprio tale situazione consente di identificare un
ulteriore meccanismo di riassorbimento dello squilibrio, ossia il sistema dei prezzi.
La differenziazione produttiva consente alle imprese di fissare il prezzo dei
prodotti applicando mark-up sui costi marginali il cui livello dipende dalle pressioni
competitive. In presenza di uno shock i produttori potrebbero decidere di diminuire i
prezzi, riducendo i propri margini di profitto unitari, e compensare in tal modo la
caduta delle quote di mercato interne con l’aumento delle esportazioni. In questo
modo la crescita e l’occupazione sarebbero salvaguardate e la riduzione dei prezzi
stimolerebbe la domanda effettiva compensando la riduzione dei margini e favorendo
il riassorbimento dello squilibrio.
In effetti studi recenti hanno evidenziato che l’integrazione commerciale seguita al
lancio del Programma del Mercato Unico ha comportato un aumento delle pressioni
competitive che sono state fronteggiate dai produttori riducendo i margini sui prezzi
per conservare le quote di mercato. Inoltre la caduta nei margini di profitto non ha
ridotto la capacità di investimento dell’UE dal momento che dall’inizio del
Programma del Mercato Unico ad oggi gli investimenti esteri diretti sono raddoppiati.
Mobilità del lavoro
Uno strumento alternativo, in situazione di rigidità dei salari, è rappresentato dalla
mobilità del fattore lavoro. Se i lavoratori disoccupati del paese nel quale si è prodotto
lo shock negativo sono disposti a trasferirsi nel paese in cui si è generato l’eccesso di
domanda, il riequilibrio avviene automaticamente in quanto entrambi i paesi si
attestano al nuovo livello di equilibrio. Infatti nel paese colpito i consumi privati si
- 15 -
ridurrebbero deprimendo la domanda aggregata e ciò favorirebbe il riassorbimento
dello shock ed il raggiungimento dell’equilibrio ad un livello inferiore rispetto
all’equilibrio precedente.
Il rischio di questo meccanismo è che lo shock possa diventare permanente se i
salari rimangono invariati fra i paesi a causa del livellamento dei prezzi dei fattori.
Ciò significa che l’aggiustamento attuato tramite la mobilità del lavoro dovrebbe
essere abbinato ad una maggiore flessibilità salariale che riduca il livello dei salari
reali nel paese colpito dallo shock.
Da quanto detto si può concludere che in teoria, se i salari sono flessibili e/o se la
mobilità del lavoro fra i paesi è sufficientemente elevata, l’aggiustamento si attuerà
in modo automatico.
In altri termini, un’unione monetaria fra due o più paesi è ottimale se soddisfa le
seguenti condizioni: a) vi è sufficiente flessibilità salariale; b) vi è sufficiente mobilità
del lavoro
6
.
Mobilità dei capitali
Secondo la letteratura sulle AMO, gli shock asimmetrici potrebbero essere
riassorbiti utilizzando un ulteriore meccanismo che scaturisce direttamente
dall’accresciuta integrazione dei mercati finanziari: la mobilità dei capitali all’interno
dell’area considerata.
Se le imprese sono disposte ad ampliare la loro attività nelle aree più povere che
presentano salari più bassi e disoccupazione più elevata riducendo il tasso di crescita
nelle regioni più ricche, si creerebbe un meccanismo di aggiustamento alternativo alla
flessibilità dei salari e alla mobilità della forza lavoro.
6
De Grauwe, 1996
- 16 -
E’ immediato tuttavia rilevare che in un mercato totalmente integrato e
concorrenziale i capitali sono attirati da quelle regioni in cui i rendimenti attesi sugli
investimenti sono più elevati. Ciò dovrebbe comportare un deflusso di capitali verso
le regioni più attraenti portando ad una diminuzione degli investimenti totali e della
domanda effettiva nelle regioni più povere con conseguente crescita dello squilibrio
7
.
Grado di apertura dei mercati
E’ diffusa l’opinione che la sempre maggiore integrazione dei mercati favorirà il
sincronizzarsi delle fluttuazioni cicliche rendendo meno frequenti gli shock
asimmetrici fra un paese e l’altro all’interno dell’UME
8
.
Nel modello di Mc Kinnon si sviluppa l’idea di un’AMO esaminando il grado di
apertura di un’economia. Il termine ottimo viene usato dall’Autore per descrivere
un’area valutaria composta da più paesi entro la quale l’uso della politica monetaria e
fiscale e del tasso di cambio flessibile verso l’esterno sono in grado di soddisfare nel
modo migliore i seguenti tre obiettivi: il mantenimento del pieno impiego, l’equilibrio
esterno, la stabilità del livello dei prezzi.
Se nel modello citato ipotizziamo che la bilancia dei pagamenti di un determinato
paese molto aperto al commercio internazionale sia in disavanzo, l’uso del tasso di
cambio quale strumento di politica economica per rilanciare le esportazioni e ridurre
le importazioni sarebbe controproducente. In effetti in tale situazione gli agenti
economici (lavoratori e datori di lavoro) prenderebbero come riferimento il livello
estero dei prezzi ed eventuali variazioni del tasso di cambio sarebbero superflue in
quanto la svalutazione conseguente aumenterebbe il livello dei prezzi interno (che si
basa sul livello dei prezzi esteri), mettendo in moto un processo inflazionistico
sull’economia senza sortire alcun effetto positivo in termini di equilibrio della
7
ECONOMIC PAPERS, 1997
- 17 -
bilancia commerciale. In un’economia molto aperta agli scambi internazionali
soltanto una riduzione della spesa interna potrebbe consentire di mantenere stabile il
livello generale dei prezzi e di diminuire il disavanzo.
Quanto detto implica che, man mano che aumenta il grado di apertura di
un’economia, la flessibilità del tasso di cambio diventa uno strumento sempre meno
utilizzabile per il controllo dell’equilibrio esterno ed è dannosa per la stabilità dei
prezzi interni. Da tale conclusione deriva anche come corollario che, quanto più il
paese è chiuso agli scambi commerciali esterni, tanto più efficace è la fluttuazione del
tasso di cambio come strumento di aggiustamento degli squilibri. Pertanto l’Unione
Europea, all’interno della quale sussiste una grande apertura commerciale, dovrebbe
adottare una moneta unica ed una politica monetaria comune al proprio interno
9
.
8
EURO PAPERS, 1998
9
Brighi, 1996