2
rubrica il legislatore dichiara immediatamente di voler rinunciare ad una
qualificazione statica e monolitica della scissione, ossia ad una sua
definizione generale, sottolineando, al contrario, il polimorfismo del
fenomeno, derivante dalla sua multifunzionalità.
La scissione ha in primo luogo una funzione economica e strategica,
poiché si configura come strumento di ristrutturazione e riorganizzazione
aziendale, ma il suo ruolo non si esaurisce in quest’aspetto. L’operazione in
esame, infatti, si pone anche come mezzo di composizione stragiudiziale
delle controversie tra soci, consentendo a questi ultimi di risolvere i propri
contrasti con un atto di autonomia privata (quale la scissione è) che permette
di scomporre la compagine sociale in gruppi omogenei rispetto agli interessi
perseguibili tramite lo strumento societario
2
.
Se si esaminano i “considerando” che hanno motivato l’adozione
della direttiva CEE n° 891/82
3
, relativa alle scissioni societarie, risulta
chiaro che le esigenze a cui il legislatore comunitario ha voluto rispondere
tramite essa sono le seguenti:
1) evitare che le garanzie disciplinari già fornite in materia di
fusione (con la direttiva CEE n° 855/78) fossero eluse
nell’ambito della scissione;
2) coordinare la legislazione dei Paesi CE relativamente alla
scissione;
3) tutelare in modo adeguato gli interessi dei soci appartenenti agli
enti coinvolti nella vicenda scissoria;
4) tutelare i diritti dei creditori sociali, in particolare degli
obbligazionisti, visti i rischi derivanti dalla scissione per tali
soggetti;
5) tutelare i diritti dei terzi tramite un’adeguata pubblicità
dell’operazione;
2
In questo senso V. anche E. CUSA, Prime considerazioni sulla scissione delle società,
Milano, 1992, p. 60.
3
Il testo della direttiva è pubblicato in Riv. soc. , 1982, p. 1332 ss.
3
6) garantire la certezza dei rapporti giuridici relativi alla scissione
attraverso la limitazione dei casi di nullità dell’operazione,
limitazione ottenuta tramite sanatorie, quando possibile, e tramite
un termine breve per l’esercizio dell’azione di nullità.
Vista la rilevanza degli obiettivi che il legislatore comunitario ha
inteso perseguire mediante la disciplina della scissione, mi pare chiaro che
la sua introduzione nel nostro ordinamento ha come scopo ulteriore quello
di renderlo più adattabile alle esigenze di una realtà economica dinamica
come quella odierna e forse ancor più dinamica nel futuro prossimo, perciò
tale da costringere gli assetti societari a rapide e continue riorganizzazioni
strutturali e patrimoniali.
2. La situazione giurisprudenziale precedente l’introduzione dell’istituto.
Prima che l’istituto della scissione fosse introdotto nel nostro
ordinamento attraverso il decreto legislativo n° 22/91, la giurisprudenza si è
ritrovata ad esaminare casi riconducibili a questa operazione solo in due
occasioni.
Il primo caso è quello relativo al decreto della Corte d’appello di
Genova del 9 febbraio 1956
4
.
Il caso riguardava un provvedimento del Tribunale che aveva negato
l’omologazione ad una delibera assembleare di una società a responsabilità
limitata.
Con tale delibera, l’assemblea della suddetta s.r.l. aveva deciso di
rimborsare ai soci una parte del patrimonio sociale, con conseguente
riduzione del capitale alla metà; i soci, poi, avrebbero dovuto conferire il
patrimonio rimborsato in una società di nuova costituzione, realizzando così
un’operazione classificata come scorporo.
4
V. App. Genova, 9 febbraio 1956 (decr.), s.r.l. C.I.S.A., ric., in Giur. Tosc., 1956, p. 306
con nota di L. Rocchi.
4
Il Tribunale, dunque, aveva negato l’omologazione della delibera
anzidetta per due motivi: in primo luogo, perché una simile operazione non
era prevista dal diritto vigente; in secondo luogo, perché, mancando una
disciplina specifica del fenomeno, non si riteneva possibile tutelare
adeguatamente gli interessi dei creditori della società scorporante.
La Corte d’Appello di Genova, invece, ritenne legittima l’operazione
suddetta, riconoscendo che, pur non essendo prevista dal nostro
ordinamento, poteva essere effettuata in base al principio di autonomia
privata, ricavabile dagli artt. 1322 e 1324 c.c., secondo il quale le società
possono adottare deliberazioni atipiche purché dirette a realizzare interessi
meritevoli di tutela.
Riguardo agli interessi dei creditori della scorporante, poi, la Corte
affermò che l’unico pericolo che essi potevano correre era dovuto alla
riduzione del capitale causata dallo scorporo, e fece notare che contro tale
pericolo si poteva ritenere sufficiente la tutela già apprestata dall’art. 2445,
3° comma, c.c., che subordina l’esecuzione della delibera al decorso di tre
mesi dalla sua iscrizione nel registro delle imprese senza che vi sia stata
opposizione dei creditori.
In conclusione, la Corte d’Appello qualificò la scorporazione come
sintesi di due atti tipici: la riduzione del capitale per esuberanza ex art. 2445
c.c. e la costituzione di nuova società con capitale proveniente dalla predetta
riduzione. In tal modo, però, l’organo giudicante non riscontrò la peculiarità
della scissione, consistente nel passaggio diretto dei beni patrimoniali della
società scorporante alle società beneficiarie.
Il secondo caso è quello affrontato dal decreto del Tribunale di
Verona del 20 febbraio 1990
5
.
Con questo provvedimento l’organo giudicante dichiarò illegittima
una delibera assembleare con la quale una società a responsabilità limitata
intendeva costituire un’altra società, dello stesso tipo, mediante la
5
V. Trib. Verona, 20 febbraio 1990 (decr.), s.r.l. Trasporti Gianfranco Riolfi, ric., in
Società, 1990, p. 1103 con nota di R. Rordorf.
5
scorporazione di un proprio ramo aziendale e l’attribuzione proporzionale ai
propri soci delle quote della nuova società.
Il Tribunale giudicò l’operazione inammissibile perché contrastante
con il principio del nostro diritto societario secondo cui la costituzione di
una società può avvenire solo se vi è una pluralità di soci fondatori;
cosicché, tramite scissione, si sarebbe realizzata illegittimamente la
costituzione di una o più società per mezzo di un semplice atto unilaterale,
cioè l’atto di scissione, in quanto atto della sola persona giuridica società e
non della pluralità dei soci.
Oltre che in base a tale considerazione, il Tribunale ritenne
inammissibile, nel nostro ordinamento, la realizzazione di una scissione
societaria a causa della mancanza di un’apposita disciplina in materia, che
sarebbe stata introdotta di lì a poco in seguito alla recezione della sesta
direttiva CEE. Perciò L’organo giudicante indicò in tale recezione il
momento a partire dal quale sarebbe stato possibile realizzare
legittimamente operazioni di scissione.
Nonostante la motivazione addotta dal Tribunale di Verona si
basasse su un elemento rilevante, cioè l’unilateralità dell’atto di scissione, si
ha l’impressione che l’organo giudicante non si sia sforzato di intravedere
anche i potenziali pregi economici dell’operazione di scissione, preferendo
attendere l’imminente intervento del legislatore.
La Corte d’appello di Genova, invece, pur non riuscendo a
qualificare nitidamente l’istituto, aveva comunque mostrato di
comprenderne la valenza economica, con l’ulteriore merito di averlo fatto
quando ancora non esisteva il legislatore comunitario, con la sua forza
propulsiva in ambito normativo, e la situazione economica non era
caratterizzata dal dinamismo odierno, che ha reso opportuno il recepimento
dell’istituto nell’ordinamento italiano.
6
3. La posizione della dottrina prima dell’introduzione dell’istituto.
Prima dell’introduzione della scissione nell’ordinamento italiano la
dottrina, come la giurisprudenza precedentemente esaminata, si era trovata
su posizioni contrapposte riguardo all’ammissibilità della scissione nella
nostra disciplina societaria.
Un primo orientamento dottrinale riteneva inammissibile la scissione
essenzialmente per tre motivi.
In primo luogo si riteneva, come il Tribunale di Verona, che una
società non potesse costituire con un atto unilaterale un’altra società, ma che
ciò potesse avvenire solo tramite contratto stipulato da almeno due persone
fisiche o giuridiche
6
.
In secondo luogo si considerava inammissibile la scissione perché
ritenuta contraria al principio, considerato generale, secondo cui ad avere la
titolarità delle azioni o quote delle società beneficiarie del conferimento
deve essere lo stesso soggetto che ha deliberato ed effettuato il
conferimento; nella scissione, invece, ad avere la titolarità delle azioni o
quote delle beneficiarie sono i soci della scissa, ma ad aver deliberato ed
effettuato il conferimento è la scissa attraverso l’atto di scissione, che è atto
unilaterale compiuto dalla società come persona giuridica distinta dai soci
che la compongono
7
.
Infine si negava la possibilità di realizzare la scissione attraverso una
delibera assembleare, poiché si riteneva che un’autentica manifestazione di
volontà dell’assemblea sociale si sarebbe configurata solo a proposito della
decisione di ridurre il capitale per esuberanza e di rimborsarlo ai soci,
mentre la decisione successiva di apportare il capitale rimborsato in una
6
In questo senso G. SANTINI, Scorporazione di società?, in Giur. it., 1956, I, p. 853 ss.;
A. GIULIANI, Nota ad App. Genova, 5 febbraio 1956, in Riv. not., 1956, p. 536 ss.; G.
COTTINO, Osservazioni in tema di scorporo di società, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1957,
p. 786 ss.; R. NOBILI, La scorporazione delle società nella recente dottrina italiana, in
Riv. dir. comm., 1957, II, p. 34 ss.; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, p.
521 ss.
7
Così C. SANTAGATA, Rassegna di diritto societario (1969 – 1970), in Riv. soc., 1972,
p. 1063 ss.; A. SERRA, La trasformazione e la fusione delle società, nel Tratt. di dir. priv.
diretto da P. Rescigno, XVII, tomo III, Torino, 1985, p. 379 ss.; F. LAURINI, Scorporo di
società: considerazioni e prospettive, in Riv. not., 1986, p. 440 ss.
7
nuova società non avrebbe potuto essere presa dai soci con delibera
assembleare, perché, essendo ritornati titolari del capitale a causa del
rimborso, avrebbero agito come singoli e non come compagine sociale
8
.
Un’altra dottrina, invece, riteneva che l’istituto della scissione fosse
ammissibile nel nostro ordinamento anche senza il recepimento della sesta
direttiva CEE
9
. Tale opinione era fondata sulla qualificazione della scissione
come modifica dell’atto costitutivo tesa ad adattare le strutture societarie a
nuovi tipi d’investimento, con un unico limite: il necessario rispetto della
causa sociale.
Configurando l’operazione in questi termini, dunque, si poteva
ammettere che i soci la realizzassero tramite una delibera dell’assemblea
straordinaria.
Circa il problema dell’impossibilità di costituire una nuova società
tramite un atto unilaterale, quale l’atto di scissione, la suddetta dottrina
aggirava l’ostacolo negando l’unilateralità di questo atto, poiché risultante
dalla volontà di una pluralità di soci. Si vedeva quindi nella società non una
persona giuridica, ma un soggetto collettivo.
Questo secondo orientamento dottrinale era, a mio avviso, preferibile
al primo, poiché si sforzava di accogliere un istituto di cui mostrava di
percepire i vantaggi economici e strategici, in virtù dei quali non sarebbe
stato conveniente respingerlo.
8
In proposito v. G. COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1987, p. 643 ss.; F.
SCARDULLA, La trasformazione e la fusione delle società, nel Tratt. di dir. civ. e comm.
diretto da A. Cicu e F. Messineo, XXX, tomo II, Milano, 1989, p. 338 ss.; R. RORDORF,
La scissione di società, in Società, 1989, p. 677 ss.; M. IRRERA, Fusione delle società, in
Digesto commerciale, VI, Torino, 1991, p. 309 ss.
9
In questo senso E. PEDEMONTE, La scorporazione delle società commerciali con
speciale riguardo agli obblighi tributari, Genova, 1956; E. SIMONETTO, Della
trasformazione e della fusione delle società, nel Comm. del cod. civ. a cura di A. Scialoja e
G. Branca, (artt. 2498-2510), Bologna- Roma, 1976, sub art. 2501, p. 130 ss.; G. TANTINI,
Trasformazione e fusione delle società, nel Tratt. di dir. comm. e di dir. pubbl.
dell’economia diretto da F. Galgano, VIII, Padova, 1985, p. 296 ss.; E. SIMONETTO,
Scissione di società, in Arch. Civ., 1987, p. 577 ss.; R. CARAFFA, Considerazioni in tema
di scorporazione o scissione delle società di capitali, in Tributi, 1987, p. 21 ss.; F.
FERRARA jr. – F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, p. 743 ss.; G.
FERRI, Le società, nel Tratt. di dir. civ. fondato da F. Vassalli, X, 3, Torino, 1987, p. 993
ss.; B. FERRARO, Scissione e scorporazione di società: problemi di principio e problemi
pratici, in Nuovo dir., 1988, p. 649 ss.; G. MARZIALE, Le società più vicine al diritto
comunitario, in Società, 1989, p. 237 ss.; V. SANTARSIERE, Scorporazione e scissione di
società: duplici discorsi, in Giust. Civ., 1989, II, p. 232 ss.
8
4. La scissione nella direttiva CEE n° 891/82.
La direttiva CEE n° 891/82 è la sesta basata sull’art. 54 n° 3 lett. g)
del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea e ha come oggetto
la disciplina delle scissioni delle società per azioni, che è ricalcata su quella
delle fusioni
10
.
Contrariamente alle altre direttive CEE, quella in esame, quando fu
varata, non vincolava tutti gli stati membri, ma solo quelli che consentivano
già questo tipo di operazioni o intendevano consentirle in futuro.
L’ambito di applicazione della direttiva comunitaria, fissato dagli
artt. 1.4, 2.2, e 21.2, consente che la scissione sia realizzata anche da società
diverse dalle società per azioni (la disciplina, però, ha ad oggetto solo queste
ultime), nonché dalle società soggette a procedure concorsuali o in
liquidazione, purché non abbiano ancora iniziato la distribuzione dell'attivo
tra i propri soci.
La direttiva prevede due tipi di scissione: la scissione per
incorporazione e la scissione mediante costituzione di nuove società.
Nel primo caso il patrimonio della società scindente è trasferito a
società beneficiarie preesistenti; nel secondo caso le società beneficiarie
sono costituite ex novo dalla scindente allo scopo di realizzare l’operazione
di scissione.
In entrambe le ipotesi gli effetti, previsti dall’art. 17.1 della direttiva,
sono gli stessi e consistono:
1) nel trasferimento dell’intero patrimonio della società scissa ad
una pluralità di società beneficiarie;
2) nell’estinzione della società scissa;
10
Si veda in proposito la serie di considerazioni proprie della sesta direttiva dove viene
ribadita la stretta connessione della fusione e della scissione. Più precisamente si può
leggere: “… a causa delle somiglianze esistenti tra le operazioni di fusione e di scissione, il
rischio che le garanzie fornite nei confronti delle fusioni dalla direttiva 78/855/CEE siano
eluse potrà essere evitato soltanto introducendo una protezione equivalente in caso di
scissione”.
9
3) nell’attribuzione ai soci della società scissa di azioni delle società
beneficiarie e di un eventuale conguaglio in denaro (ad esempio
nel caso in cui il rapporto di cambio comporti dei resti), purché
non superiore al 10% del valore nominale delle azioni attribuite,
onde evitare di snaturare l’operazione di scissione.
L’art. 1.3 della sesta direttiva consente, poi, di realizzare la scissione
anche attraverso una combinazione tra scissione per incorporazione e
scissione mediante costituzione di nuove società.
L’art. 5.2, infine, riconosce il diritto di recesso agli azionisti che non
vogliano partecipare all’operazione.
Ciò che balza agli occhi e lascia perplessi è il fatto che la direttiva
non prevede né la possibilità di realizzare la scissione tramite trasferimento
parziale del patrimonio della scissa, né la possibilità di destinare parte del
patrimonio sociale ad una sola società beneficiaria. Nella disciplina
comunitaria, dunque, la scissione può essere solo totale, solo a favore di più
beneficiarie e attuabile dalle sole società per azioni.
5. La scissione nella legge delega n° 69/90.
La legge delega n° 69/90
11
ha previsto l’attuazione della terza e della
sesta direttiva CEE, che disciplinano rispettivamente le fusioni e le scissioni
di società.
La suddetta legge, che ha trattato congiuntamente le due direttive,
essendo la disciplina delle scissioni sostanzialmente ricalcata su quella delle
fusioni, ha imposto al legislatore delegato i seguenti criteri direttivi, elencati
nell’art. 2:
11
Il testo della legge si trova in Società, 1990, p. 704 ss.
10
1) l’estensione della disciplina delle fusioni e delle scissioni a tutte
le società aventi per oggetto l’esercizio di un’attività
commerciale e alle società cooperative;
2) l’esclusione dalle operazioni di fusione e scissione delle società
soggette a procedure concorsuali, nonché di società in
liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo tra i
propri soci;
3) la necessità che, eccetto i casi previsti dall’art. 10 della sesta
direttiva CEE, fusione e scissione siano deliberate secondo gli
adempimenti prescritti da tutte le società partecipanti
all’operazione.
Quanto al punto n° 1) è evidente come il legislatore italiano, rispetto
a quello comunitario abbia esteso la disciplina delle fusioni e delle scissioni
anche a società diverse dalle società per azioni. Ciò è stato deciso per non
rompere il carattere unitario della disciplina italiana della fusione e per
evitare disparità di trattamento basate sulla diversa tipologia delle società
coinvolte nelle operazioni di fusione o scissione
12
.
Riguardo al punto n° 2) si rileva che il nostro legislatore, a differenza
di quello comunitario, ha escluso dalle operazioni di fusione e scissione le
società soggette a procedure concorsuali a causa dell’incompatibilità di tali
procedure con le anzidette operazioni
13
.
Circa il punto n° 3) il citato art. 10 della sesta direttiva CEE afferma
che la relazione degli amministratori, la relazione degli esperti e la
situazione contabile relative a ciascuna società partecipante alla scissione
12
Come però fa notare R. RORDORF, La scissione di società, op. cit., p. 677 nota 4,
possono sorgere perplessità sull’opportunità di regolare in modo uniforme operazioni aventi
dimensioni e complessità spesso molto diverse, quali sono le scissioni che coinvolgono
società di capitali rispetto a quelle riguardanti unicamente società di persone. In relazione a
ciò si potrebbe prospettare una semplificazione del procedimento per realizzare la scissione
nel caso in cui quest’ultima coinvolga esclusivamente società di persone.
13
Un discorso a parte merita il rapporto tra scissione e amministrazione straordinaria, a
proposito del quale si rinvia al paragrafo 4 del capitolo terzo.
11
non sono necessarie quando tutti gli azionisti delle società partecipanti
all’operazione, nonché i portatori di altri titoli che danno diritto al voto, vi
abbiano rinunciato. Il nostro legislatore delegato, comunque, non si è
avvalso della facoltà ex art. 10 della sesta direttiva CEE; infatti, vista la
delicatezza dell’operazione, ha sancito la necessità in ogni caso dei
documenti suddetti. Quest’impostazione mi sembra condivisibile, perché
garantisce una maggiore trasparenza e un controllo più completo
sull'operazione.
6. La scissione nel decreto legislativo n° 22/91.
Con il decreto legislativo n° 22/91 il governo ha eseguito la delega
concessa con legge n° 69/90 e ha recepito la terza e la sesta direttiva CEE,
relative rispettivamente alle fusioni e alle scissioni delle società.
Riguardo alla scissione il decreto delegato ha dettato una disciplina
che è contenuta nel codice civile, libro quinto, capo VIII, sezione III,
comprendente gli articoli da 2504-septies a 2504-decies.
La definizione di scissione è contenuta nell’art. 2504-septies c.c.
14
,
che così dispone: “La scissione di una società si esegue mediante
trasferimento dell’intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di
nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della
prima; la scissione di una società può eseguirsi altresì mediante
trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società, preesistenti o
di nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della
prima.”
Quindi la scissione può essere realizzata secondo una delle seguenti
modalità:
1) una società trasferisce parte del proprio patrimonio ad una o più
14
F. D’ALESSANDRO, La scissione delle società, in Riv. not., 1990, p. 874, afferma che
l’art. 2504-septies c.c. definisce la scissione elencando le forme che essa può assumere.
12
società già esistenti;
2) una società trasferisce parte del proprio patrimonio ad una o più
società che saranno costituite mediante la scissione;
3) una società trasferisce l’intero suo patrimonio a due o più società
già esistenti
15
;
4) una società trasferisce l’intero suo patrimonio a due o più società
che saranno costituite mediante la scissione
16
;
5) una società trasferisce l’intero suo patrimonio o parte di esso
costituendo nuove società e, contemporaneamente,
accrescendone altre già esistenti.
In linea di principio, in tutte queste operazioni, l’attribuzione ai soci
della società scindente delle azioni o quote emesse dalle beneficiarie in
seguito all’apporto patrimoniale ricevuto è proporzionale alle partecipazioni
di cui i suddetti soci erano titolari nella società originaria, ma, come si vedrà
nel corso della trattazione è possibile che i soci scelgano in alternativa un
criterio di distribuzione non proporzionale delle partecipazioni sociali.
La definizione di scissione data dall’art. 2504-septies c.c. è
certamente innovativa perché, dal punto di vista operativo, permette di
realizzare la scissione nel modo più ampio e vario possibile, andando
addirittura oltre le previsioni della sesta direttiva CEE. Quest’ultima, infatti,
non contemplava la possibilità di compiere una scissione parziale, né quella
di cedere parte del patrimonio della scissa ad una sola società beneficiaria.
In ogni modo, se è vero che la direttiva non ha previsto le due
15
Non è possibile, invece, che la scissa trasferisca il suo intero patrimonio ad una sola
società già esistente, perché in tal caso non si avrebbe una scissione, ma una fusione per
incorporazione.
16
Naturalmente sarebbe un assurdo logico, prima ancora che giuridico, consentire il
trasferimento dell'intero patrimonio della scissa ad una società di nuova costituzione; così,
infatti, tutta l’operazione si ridurrebbe ad un semplice cambiamento del nome della società
che si scinde.
13
operazioni anzidette, è altrettanto vero che non ne ha espressamente
precluso l’attuazione; pertanto l’iniziativa del nostro legislatore non si può
ritenere contraria alla disciplina comunitaria, soprattutto se si considera che
sia la scissione parziale sia il trasferimento di una porzione del patrimonio
ad una sola società beneficiaria non sono stati esentati, nel nostro
ordinamento, dalle garanzie offerte dalla disciplina della scissione.
Il fatto, poi, di consentire il trasferimento parziale del patrimonio ad
una sola società beneficiaria permette di realizzare, da un punto di vista
sostanziale, un risultato analogo a quello raggiungibile tramite il
trasferimento d’azienda. Quest’ultimo, infatti, differisce dalla scissione
principalmente per due aspetti di carattere formale: in primo luogo nel
conferimento d’azienda le azioni o quote delle beneficiarie sono attribuite
alla società scorporante e non ai soci di quest’ultima, come accade nella
scissione; in secondo luogo il conferimento d’azienda, in quanto semplice
trasferimento di beni, è deliberato dal consiglio d’amministrazione (a meno
che non modifichi l’oggetto sociale della scorporante), la scissione, invece,
deve essere deliberata dall’assemblea straordinaria dei soci.
Tuttavia, concesso che la presenza di strumenti alternativi può
costituire una ricchezza nel nostro ordinamento, è da notare come la
disciplina della scissione sia più rigorosa, e quindi più costosa per la società
scorporante, rispetto a quella del conferimento d’azienda; quindi, rispetto a
quest’ultimo, la scissione parziale è preferibile solo a condizione di un certo
favore fiscale. A tal proposito mi sembra positiva la neutralizzazione
tributaria della scissione attuata dall’art. 123-bis del TUIR, in base al quale
le operazioni di scissione (e di fusione), per effetto del principio di
continuità dei valori in bilancio, non comportano né benefici né perdite,
sotto il profilo fiscale, per le società che le pongono in essere.
Nella scissione e nella fusione risalta il fatto che la continuità non è
solo una caratteristica dei bilanci, ma anche ed innanzi tutto dell’attività
d’impresa e del rapporto sociale facente capo alla compagine dei soci.
Perciò il principio di continuità mette in rilievo la profonda
differenza che corre tra istituti come la fusione e la scissione ed altre
14
operazioni di ristrutturazione aziendale, come il conferimento e la cessione.
I primi, infatti, attuano operazioni di concentrazione e scorporo
senza troncare il collegamento tra il gruppo dei soci e l’impresa; i secondi,
invece, risolvono tale collegamento perché l’azienda viene trasferita ad
un’altra società nella quale i soci non sono più gli stessi che partecipano a
quella che effettua l’apporto. Quindi alla mutata titolarità dei beni si
aggiunge l’interruzione del rapporto societario riguardo agli stessi. Per
essere più precisi, nella fusione e nella scissione sono gli stessi soci degli
organismi che partecipano alle operazioni a ricevere le azioni o le quote
delle società che diventano intestatarie dei patrimoni, mentre con il
conferimento o la cessione il patrimonio è attribuito ad una società nella
quale il gruppo originario dei soci non è più direttamente presente.
Dunque, se ai fini impositivi l’impresa deve identificarsi in funzione
del soggetto che è titolare dell’attività e quindi del reddito che ne scaturisce,
allora è coerente, sul piano logico e giuridico, che la legge fiscale dichiari
neutrali sia la scissione sia la fusione. Tali operazioni, infatti, non recidono
il legame del patrimonio né con l’attività oggettivamente considerata, né con
il gruppo dei soci cui tale attività fa capo
17
.
17
In questo senso si esprime anche S. GALLO, La disciplina fiscale della scissione di
società, in Fisco, 1996, p. 3972.