Roosevelt comincia ad assumere una posizione innovativa in politica estera: gli Stati Uniti
non possono più considerarsi ed essere considerati un continente dove l'eco degli eventi
europei giunge attutito e soffocato dalla distanza oceanica, e privo di ogni ripercussione
sulla politica e sull'economia statunitensi. La sua grandezza economica, la vastità delle sue
risorse, la sua forza militare l'hanno resa e la rendono un elemento determinante, se non
vitale, per la pace e l'equilibrio mondiali; questa è la realtà, forse una nuova realtà, con cui
deve confrontarsi tanto il popolo che il Congresso americano. Fin dai tempi di George
Washington la politica estera statunitense si è ispirata al principio di non-ingerenza negli
affari altrui, gli oceani che circondano il continente americano sono stati sempre considerati
come una sorta di barriera rispetto a ciò che accadeva al di la di essa; ora agli occhi di
Roosevelt sono come un ponte con l'Europa e con il resto del mondo: non una barriera
naturale per separare, isolare, ma per comunicare, mettere in relazione. Questo implica
l'esposizione agli eventi del Vecchio Continente ed alle loro conseguenze; concepisce il
proprio Paese intimamente legato a ciò che accade nel resto del mondo, ma soprattutto in
Europa ed in Asia, significa anche scoprirlo molto esposto e di certo impreparato alla sua
nuova; il quale, allo scoppio delle ostilità, è stato accusato, anche se lo ha vividamente
smentito egli stesso, di aver affermato che la frontiera americana è sul Reno
2
; che l'abbia
pronunciata o meno, tale frase più di ogni altro commento o spiegazione riassume
brillantemente la nuova percezione che Roosevelt ha delle relazioni e della situazione
2
Le sue esatte parole sarebbero state: "La frontiera americana è in Francia o sul Reno"; sta in: Beard, Storia delle
responsabilità, Longanesi, 1948, pag. 422; Sherwood, La Seconda Guerra Mondiale nei documenti segreti della Casa
Bianca,città, Garzanti, 1949; pag. 59; affemazioni strettamente confidenziali pronunciate dal Presidente in una riunione
segreta alla Casa Bianca con alcuni membri del Comitato del Senato per gli Affari militari, convocata per spiegare le
ragioni della sua politica; quando trapelano alcune indiscrezioni su quanto il Presidente avrebbe affermato, egli reagisce
in modo stizzito ed offeso smentendo vigorosamente tutto. Per un maggiore approfondimento ci rifacciamo al secondo
capitolo.
internazionali. La frontiera orientale americana, sin dalla vigilia della guerra, è veramente
sul Reno, là è la sua frontiera economica, politica, internazionale, là è la sua futura
collocazione nel mondo; Roosevelt cerca di difendere la frontiera statunitense quando
propone gli emendamenti alla Legge di Neutralità, contro l'opposizione del Congresso.
L'oceano, tanto Pacifico che Atlantico, nel disegno internazionale di Roosevelt non è più
una barriera protettiva che isola gli Stati Uniti rendendoli una roccaforte inespugnabile, ma
un'ampia via di comunicazione e di relazione, sotto il controllo, o almeno la supervisione
statunitense, per il quale sono necessarie basi, che sono ancora in mano inglese. Ancora alla
fine del dicembre 1940, in una delle consuete "conversazioni accanto al caminetto"
3
, egli
sostiene davanti al popolo americano che forse l'unica possibilità per gli Stati Uniti di
rimanere fuori dalla guerra dipende dagli effetti del risultato della "lotta europea"
4
;
l'alternativa a tale impegno sarebbe una sola: chinare docilmente la testa di fronte ad una
vittoria delle potenze dell'Asse, con tutte le conseguenze di una simile eventualità.
La percezione statunitense della realtà europea, durante l'Amministrazione Roosevelt, muta
radicalmente, facendosi più profonda ed intrisa di idealismo realistico, nonché "un
significante cambiamento sviluppatosi nel pensiero americano, che è passato dalla certezza
di vivere in un mondo sicuro alla paura del domani"
5
.
L'eco delle notizie sconvolgenti della guerra in Europa sta superando gli oceani, per
abbattersi con tutta la sua forza e cruda realtà su quella che alcuni americani si ostinano
ancora a considerare un'isola solitaria e felice. Roosevelt, prima di altri, si rende conto che
3
Particolare espressione, coniata negli anni della Seconda Guerra Mondiale, utilizzata per indicare i discorsi che il
Presidente rivolge alla nazione americana attraverso la radio; Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali,
1918-1992, Bari, Editori Laterza, 1997, pag.
4
in tema di sicurezza nazionale, del 29 dicembre 1940.
5
Tralcio dell'articolo in cui è commentata la politica estera presidenziale Laurence Greene nel New York Post, 7 giugno
1940; sta in: Beard o Sherwood
tale visione deve abbandonare l'immaginario collettivo, è lontano il tempo in cui essa
corrispondeva alla realtà. E' soltanto un'immagine illusoria, fantastica, che il realismo e la
concretezza del Presidente cominciano a sgretolare; tale isola è solo un sogno, il sogno degli
isolazionisti appunto, e di coloro che credono di rimanere intangibili in un mondo sconvolto
da una guerra così vicina e dominato dalla filosofia della forza.
Roosevelt non può permettersi un atteggiamento di questo genere, egli è chiamato a
decidere, a rispondere agli appelli inglesi ed a scorgere il rischio, fin troppo evidente, celato
sotto tale immagine idilliaca: convincersi che essa sia reale ed abbracciarla, ripetersi che
quella che si sta combattendo in Europa è solo una guerra straniera significa assecondare il
folle piano nazista, che desidera evitare il confronto con gli Stati Uniti.
Si comincia, però, a percepire un radicale cambiamento di rotta, cui Roosevelt sta
gradatamente preparando il Paese; egli ha ben presente i principi che hanno ispirato le linee-
guida della politica estera dei suoi predeccessori, ha ben presente soprattutto il disegno post-
bellico wilsoniano ed il timido tentativo di realizzarlo, come modello di condotta politica da
non ripetere. L'intuizione di Wilson era stata corretta, egli per primo comprese la profonda
interconnessione tra il destino del continente americano e di quello europeo, ma gli era
mancata la determinazione e l'impegno e la possibilità politica per renderla una realtà
concreta. E' come se Wilson avesse sperato e illusoriamente pensato di dirigere la politica
internazionale ed i rapporti America-Europa assestandosi in una posizione super partes;
come di colui che tira i fili dello spettacolo internazionale senza implicarsi veramente.
Dunque l'intuizione era giusta e lungimirante, ma era mancato il passo successivo:
comprendere e vivere la stretta unione, l'interdipendenza, non solo economica, ma anche
politica, tra America ed Europa avrebbe significato una evidente, continua e reale
implicazione da parte americana; era stato proprio questo il tassello mancante.
Sin dalla fase pre-bellica dell'evolversi della situazione in Europa, Roosevelt ha la vivida
volontà di inserire la sua intuizione iniziale in un progetto ben definito per il dopoguerra e di
portarlo a compimento. Fare questo avrebbe richiesto del tempo, necessario per consentire
al mondo politico americano, al Congresso e all'opinione pubblica di accettare l'idea, ma il
tempo da solo non sarebbe bastato, se non impiegato nell'attuare un'abile politica
presidenziale, fatta di continui equilibri e di assestamenti tra le pressioni interne ed
internazionali in cui Roosevelt deve destreggiarsi.
Lo storico Tansill critica la politica rooseveltiana accusandola d'incoerenza, perchè all'inizio
contraria all'intervento in guerra e poi determinando proprio questo come risultato.
6
Rimanere fedeli ad una tradizione politica
7
più che ad una linea politica, difenderla ad
oltranza, nonostante tutto, nonostante il continuo aggravarsi della situazione europea che
richiede una netta presa di posizione da parte degli Stati Uniti, avrebbe significato
mantenerli in una illusorio e fittizio ruolo di attori super partes e condannare l'Inghilterra,
l'Europa ed il mondo intero.
6
C. Callan Tansill, Il gioco diplomatico tra le due guerre, città, Cappelli Editore, 1955
7
Ci riferiamo alla tradizione in politica estera inaugurata da George Washington, nel 1797, come una regola di condotta
secondo cui è necessario intraprendere intensi rapporti commerciali con l'estero ma in modo tale da intrattenervi il
minor rapporto politico possibile; in proposito ci rifacciamo alla nota n°24 del secondo capitolo, pag. ..
§ 2. Primi contatti con la Gran Bretagna e considerazioni di Roosevelt sulla Francia.
Agli occhi di Roosevelt il Governo francese compie fondamentalmente due errori: credere
nell'ineluttabilità della sconfitta dell'Inghilterra e che alla fine la Germania avrebbe
permesso alla Francia di uscirne con un trattato, se non addirittura la possibilità di farsi una
certa, sicura posizione in un'Europa dominata dai tedeschi; tanto che nell'ottobre 1940 al
tavolo della resa francese si andrà ben oltre il trattare le condizioni dell'armistizio, fino a
discutere di un'eventuale collaborazione franco-tedesca. A nulla valgono gli ammonimenti
che giungono dagli Stati Uniti dietro suggerimento di Churchill: il punto focale è impedire
che la flotta francese si consegni al nemico. Anche dopo l'attacco tedesco all'Unione
Sovietica, Pétain continuerà a credere che il destino della Gran Bretagna è segnato: neanche
l'intervento in guerra americano varrà a farlo avvicinare alla causa degli Alleati, ed essi sono
ben consapevoli che il Governo di Vichy non avrebbe portato la Francia o il Nord-Africa ad
affiancarsi a loro, e nel caso in cui alla fine lo avesse fatto, o comunque sarebbe stato troppo
tardi.
Churchill fa estremi tentativi per cercare di convincere il Governo Reynaud a resistere ad
ogni costo, fino all'estrema soluzione di continuare la lotta contro il nazi-fascismo dai suoi
possedimenti coloniali, soprattutto nel Nord-Africa, ma in Governo francese è perduto.
L'ultima flebile speranza di trarla fuori dagli artigli nazisti è un'immediata dichiarazione di
guerra, o almeno la minaccia, da parte dell'unica Potenza nel mondo che può ancora fare
concretamente qualcosa per frenare l'impeto tedesco; ma al di là della speranza, nutrita fino
all'ultimo, Churchill è consapevole che, di fatto, il suo Paese è rimasto solo nella lotta.
Il crollo tanto repentino della Francia fa toccare con mano il potenziale distruttivo di cui
dispone la Germania, è una doccia fredda che desta bruscamente gli Stati Uniti dal sonno
tranquillo in cui si sentono immersi. Se le forze dell'Asse avessero vinto, cosa sarebbe
successo ai possedimenti coloniali che Francia e Olanda hanno nell'emisfero occidentale?
Sarebbero caduti, così vicini al terrritorio americano, nelle mani dei nazisti e sarebbero
quindi diventati un ottimo avamposto per far sentire al popolo statunitense il pesante alito
tedesco? Se la stessa sorte fosse toccata anche all'Inghilterra, con un Impero ancora più
vasto e strategicamente pericoloso, quale destino sarebbe toccato alla neutrale America?
Sarebbe stato necessario difendersi contemporaneamente da due nemici, sui due Oceani, con
una Marina ed un attuale potenziale bellico insufficente. Sono in gioco i territori del Nuovo
Mondo; al riguardo l'unico provvedimento che il Congresso statunitense sa prendere è
quello di non riconoscere nessun eventuale passaggio di territori da una Potenza all'altra
nell'emisfero occidentale: sarebbe valsa a qualcosa la tecnica del non-riconoscimento con le
truppe tedesche così avanzate, fin quasi ai confini americani?
I risultati che il Presidente riesce ad ottenere ufficialmente possono essere paragonati a dei
piccoli passi che servono all'America ad imparare a camminare in direzione della guerra,
intanto egli prepara minuziosamente, e d'intesa con la Gran Bretagna, la bozza del piano
d'azione militare comune: agire offensivamente nell'Atlantico e difensivamente del Pacifico,
ovvero puntare contro la Germania come obiettivo militare primario e poi sugli altri suoi
alleati.
La collaborazione anglo-americana si mostra più scorrevole ed agile sul piano militare,
piuttosto che su quello diplomatico, soprattutto nel raggiungere un punto di partenza
univoco nell'affrontare questioni a lunga scadenza, nonostante la continua e fitta
corrispondenza tra i due leader politici; laddove emerge una sfera d'azione congiunta, gli
americani si pongono su di un atteggiamento difensivo e gli inglesi devono dare sfoggio di
tutta la loro abilità oratoria e diplomatica; si ha l'impressione che il rapporto tra i due fututi
alleati sia caratterizzato da una sorta di corteggiamento inglese verso la ritrosa America.
La Gran Bretagna inizialmente ne fa una questione di guerra economica da scatenare contro
la Germania per fiaccare le loro risorse fin dalla base. Si ha come la netta sensazione che la
Gran Bretagna voglia essere l'unica a tirare le fila dell'azione anti-tedesca, emerge, anche in
quest'occasione, la sua natura accentratrice ed il suo spirito imperialista. In più c'è la
consapevolezza che le proposte britanniche sono improntate a difendere ed a mantenere
intatto il Commonwealth, e che non si può parlare d'Inghilterra senza contemporaneamente
riferirsi ai suoi interessi economici durante e soprattutto dopo la guerra: gli Stati Uniti
considerano anche questo quando valutano chi hanno davanti e quando trattano con i
diplomatici e rappresentanti inglesi.
§ 3. La situazione europea precipita
L'imminenza del pericolo è avvertita in tutta la sua drammatica realtà a partire dalla
primavera del 1940, drammatica perché esige un'azione, una repentina presa di posizione a
cui l'America non è ancora pronta. La guerra-lampo condotta e conclusa contro la Francia
spalanca davanti agli occhi di Roosevelt la tremenda ipotesi che se l'Inghilterra condividerà
la stessa sorte della Francia, questo non significherà solo l'imporsi della Germania come
interlocutore unico europeo, ma l'inevetabile intervento in guerra degli Stati Uniti, dopo
averlo tanto rimandato e scongiurato, esponendo l'emisfero occidentale, in primis l'America
Latina, al pericolo di un attacco tedesco nell'attesa di una mossa offensiva giapponese nel
Pacifico. E' proprio ora che comincia la storica corrispondenza, epistolare ma anche di
animi, tra Roosevelt ed il nuovo Primo Ministro britannico Churchill.
Né Roosevelt e tantomeno Churchill sono intimiditi nei confronti della Germania o animati
da uno spirito di rinuncia, che caratterizzò la "resa" di Monaco; ma la posizione
geostrategica della Germania, nel cuore dell'Europa, avrebbe inevitabilmente inciso sugli
equilibri internazionali post-guerra tanto da stravolgerli.
Una pace negoziata con la Germania significherebbe una pace solo temporanea, utile per
dare a Hitler il tempo necessario per organizzarsi e prepararsi alla conquista dell'Europa,
dell'Africa, del Medio Oriente e della maggior parte dell'Atlantico: è questa un'eventualità
da scongiurare ad ogni costo.
Fin dalla primavera 1940, Churchill, nei suoi telegrammi indirizzati a Washington, in cui si
firma l'ex marinaio
8
, comincia a sottoporre a Roosevelt con insistenza crescente la
drammatica situazione in cui versa l'Inghilterra. Per Hitler diventa urgente completare la
conquista e la vittoria sulla Gran Bretagna, ma le difficoltà dell’impresa cominciano ad
emergere con tutta la loro gravità: ma l’Inghilterra resiste con tenacia allo sforzo aereo
sistematico contro gli aereoporti, l’aviazione e le città britanniche. I tedeschi devono
persuadersi che il piano per una vittoria rapida sulla Gran Bretagna di Churchill sta fallendo.
I presagi che giungono negli Stati Uniti attraverso la corrispondenza Churchill-Roosevelt
sono presagi di morte e di tragedia; l'esito della guerra-lampo nell'Europa nord-occidentale,
soprattutto in Francia, fa temere che la Germania, con un tale potenziale bellico e
8
Winston Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1970; Sherwood, La Seconda
Guerra Mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca,città, Garzanti, 1949; pag. 80.
distruttivo, riuscirà fin troppo facilmente ad estendere il suo controllo anche su quel che
resta dell'Europa ancora libera e democratica, che ha il suo ultimo baluardo nell'Inghilterra.
È a questo punto che l'America diventa "il fattore strategico decisivo della guerra"
9
;
l'Inghilterra ha uomini sufficenti a respingere l'ormai prossimo attacco tedesco, ma sono
poco e male equipaggiati, la sconfitta e la totale disfatta del governo francese si attendono
da un giorno all'altro: la situazione in Europa non potrebbe essere più nefasta e chiara al
tempo stesso; Roosevelt ed i suoi Capi di Stato Maggiore sanno che la sopravvivenza
dell'Inghilterra e del sistema democratico europeo dipendono quasi esclusivamente da
quanto gli Stati Uniti saranno disposti a fare, da quanto l'America sarebbe riuscita ad aiutare
materialmente la Gran Bretagna. Churchill e Roosevelt, oltre che attraverso la loro fitta
corrispondenza, comunicano e si rispondono attraverso i discorsi ai loro rispettivi Paesi, il
primo lanciando grida di soccorso al Nuovo Mondo ed il secondo rispondendo con il famoso
discorso di Charlottesville
10
, che coincide con l'ingresso in guerra dell'Italia accanto alla
potenza tedesca.
L'inquietidine di Churchill, alla notizia della "pugnalata alla schiena"
11
italiana, aumenta in
modo considerevole, egli teme che l'Inghilterra non riesca a resistere a queste condizioni;
ciò avrebbe significato, con molta probabilità, il rovesciamento del suo Governo, sostituito
prontamente con uno disposto a firmare la pace con la Germania, alle condizioni volute
dalla Germania. I telegrammi del Primo Ministro inglese a Roosevelt si fanno più frequenti
e il loro tono più allarmato.
9
Sherwood, La Seconda Guerra Mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca,città, Garzanti, 1949, pag. 84
10
Roosevelt pronuncia il discorso di Charlottesville del 10 Giugno 1940.
11
Roosevelt, con questa particolare espressione, definisce e commenta l'intervento in guerra dell'Italia al fianco della
Germania, dopo la sconfitta della Francia; William L. Langer e S. Everett Gleason, La sfida all’isolazionismo, Roma,
Macchia, 1954, pag. 530-531.
§ 4. Il ruolo giocato dall'Impero coloniale britannico e dal nascente Commonwealth
nei rapporti tra Stati Uniti e Gran Bretagna.
L'impero nel corso del XX secolo subisce una trasformazione, non solo di carattere politico-
strutturale, ma anche di tipo psicologico; nel senso che si manifesta un mutato stato d'animo
che comporta un certo senso di disagio anche nel solo pronunciare la parola impero; "gli
uomini non volevano essere più dominati, ma non volevano neppure più dominare"
12
.
Cominciano a nascere problemi di carattere costituzionale, soprattutto relativi allo sviluppo
di rapporti in seno a quello che comincia ad essere definito Commonwealth britannico delle
Nazioni, in cui la comunità britannica nella sua funzione di mediatrice delle differenze
nazionali non è ancora una realtà, ma si prepara ad esserlo. Esso è di certo un impero
frammentario e molto diversificato, anche se colpisce la capacità di riuscire a condurre una
politica comune, almeno nella maggior parte di esso. Gradatamente la Madrepatria rinuncia,
in campo econimico, prima al protezionismo e poi al liberismo commerciale. E' giunto il
momento, al tempo della Conferenza di Ottawa
13
, di adottare il sistema delle preferenze
imperiali, per sorreggere lo scheletro del nascente Commonwealth. Essa è piutosto ispirata
ad un'immagine dell'impero che serra le fila rispetto al mondo esterno ad esso, e questo
significa di conseguenza la riorganizzazione di una politica estera generale. Con il graduale
peggioramento della situazione europea, le colonie si sforzano di elaborare un tipo di
politica estera che concili in qualche modo i singoli interessi nazionali ed i rapporti con le
12
C.L. Mowat, Storia del mondo moderno. I grandi conflitti mondiali, 1898-1945, Garzanti, 1972, pag. 452-453.
13
I lavori della Conferenza di Ottawasi svolgono nel 1932; lo scopo è quello di elaborare ed attuare all'interno del
Commonwealth una politica economica comune, che coincide con l'adozione del sistema delle preferenze imperiali,
ovvero una realtà politica ed economia protezionista, che in un certo senso non serra le fila rispetto al mondo esterno.
Essa è l'ispirazione e la visione su cui ci si orienta durante la Conferenza. C.L. Mowat, Storia del mondo moderno. I
grandi conflitti mondiali, 1898-1945, Garzanti, 1972, pag. 467-468.
Potenze europee stesse, pur mantenendo l'unità tra di loro, ovvero con la realtà del
Commonwealth, e con la Madrepatria, loro punti di forza e baricentro. In politica estera esse
hanno spesso dimostrato un radicato individualismo, tipico soprattutto del Canada, da
intendere come riluttanza a lasciarsi coinvolgere in impegni internazionali a cui non hanno
preso parte, o sui quali non sono stati consultati. E' il modo in cui il Canada cerca di
partecipare alla sicurezza collettiva, per evitare di essere esclusi, per l'ennesima volta, dalle
decisioni circa la sistemazione internazionale; a cui si aggiunge, negli anni immediatamente
precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la ferma volontà di esaminare, per
quanto sia loro possibile, la politica estera dell'Inghilterra prima di sostenerla. Gli anni di
guerra cementano lo status internazionale dei dominions ed i loro uomini versano il sangue
sui campi di battaglia europei e mondiali.
Il Canada, in particolare, non solo invia un corpo di spedizione a sostegno dell'Inghilterra,
ma si trova collegato agli Stati Uniti in una strategia artica, mentre l'Australia e la Nuova
Zelanda vi si trovano collegate in una strategia oceanica. Gli Stati Uniti, dal canto loro,
fanno in modo di allacciare contatti diplomatici ed intensificare i rapporti con questi Paesi
attraverso una sorta di dialogo preferenziale; questo, nei piani di Roosevelt, ha un duplice
obiettivo: da un lato "sondare" le aspirazioni indipendentiste di questi territori
strategicamente rilevanti per gli Stati Uniti, e dall'altro "utilizzarli" come leva nei rapporti
con l'Inghilterra: il centro di d'irradiazione dei loro interessi è sempre meno Londra e
sempre più Washington.
Mentre l'Europa lotta per la sopravvivenza del sistama democratico contro la violenza
tedesca, comincia l'invio degli aiuti indispensabili alla Gran Bretagna; Roosevelt ed Hull
14
condividono l'opinione che sostenerla con ogni mezzo, eccetto la guerra, consentirà a far
combattere ufficialmente solo l'Inghilterra, sostenuta e sorretta dagli Stati Uniti, che
parteciperanno al conflitto solo indirettamente, ma a vittoria avvenuta, potranno avere un
posto di rilievo al tavolo dei vincitori.
Il tavolo statunitense delle consultazioni si amplia di continuo: prima e soprattutto la Gran
Bretagna, poi i "punti forti" del suo impero coloniale, in particolare il Canada, parte
integrante del continente americano e avamposto strategico nell'Atlantico, poi l'Australia e
la Nuova Zelanda per la loro posizione nell'oceano Pacifico.
La guerra in un certo senso costruisce gli imperi, ma li distrugge anche. Dopo una guerra
dalle proporzioni mondiali, tutte le posizioni e le realtà esistenti prima del conflitto, ne
usciranno rimescolate; è come se passasse una bufera su tutto ciò che c'è prima della guerra,
e dopo è come se ci fosse il nulla da cui ripartire, con tutte le possibilità spalancate. Durante
e dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’importanza dell’Inghilterra come potenza mondiale
declina sempre più, e quindi diminuisce anche l’ascendente ed il controllo sul suo impero.
Le stesse colonie, così come i territori sotto mandato sperimentano la diminuzione di potere
e di prestigio della Madrepatria sul piano internazionale; una nuova potenza, rimasta fino ad
allora chiusa entro i propri confini, si rivela più interessante ed interessata ad un dialogo con
loro.
14
Cordell Hull è il Segretario di Stato statunitense durante l'Amministrazione Roosevelt fino alla fine del 1944, quando
gli succede Edward Stettinius, che affianca il Presidente durante i lavori della Conferenza di Yalta; Ennio Di Nolfo,
Storia delle relazioni internazionali, 1918-1992, Bari, Editori Laterza, 1997, pag. 320 e pag. 528.
La guerra scoppiata nel 1939 non consente più l'esistenza di un impero la cui caratteristica
dominante sia la soggezione dei Paesi che ne fanno parte, ovvero non è più immaginabile un
impero concepito con caratteri ancora ottocenteschi; deve mutare lo sguardo inglese su
quello che è sempre meno il suo "impero" e sempre più un Commonwealth "legato da
vincoli liberamente accettati"
15
, e quest'evoluzione senza dubbio passa attraverso gli Stati
Uniti.
Se l'Inghilterra ha un vero e proprio impero coloniale, l'America perlomeno ha una zona di
dominio riservato, che abbraccia tutto il continente americano e che pesa grandemente nelle
decisioni del Presidente. Ripetute conferenze si svolgono a livello panamericano prima e
durante il conflitto per stabilire una concorde posizione dell'America, intesa come
continente, in riferimento alla situazione europea. La conclusione cui si giunge infine
16
è di
istituire una "zona di sicurezza", ovvero il divieto di ogni atto di guerra nell'emisfero
occidentale, ad eccezione delle coste canadesi e dei possedimenti coloniali europei, ma non
viene preso, però, alcun provvedimento concreto per difendere tale zona.
Uno degli obiettivi della politica estera americana, nato dalla relazione che s'instaura con la
Gran Bretagna, è quello di difendere e garantire l'esistenza del Commonwealth britannico
delle Nazioni, non l'Impero britannico; questo non per puro spirito di generosità americana,
ma perché il Presidente, per la sua passata esperienza in Marina, è ben cosciente che la
potenza navale e marittima è un fattore decisivo nel conflitto che è in corso e nell'equilibrio
mondiale postbellico; questo accresce l'importanza strategica dell'Inghilterra rendendola
molto desiderabile come partner europeo, per il suo potenziale navale e per le sue basi
15
C.L. Mowat, Storia del mondo moderno. I grandi conflitti mondiali, 1898-1945, città, Garzanti, 1972, pag. 463.
16
Ci riferiamo alle conclusioni a cui si giunge alla fine dei lavori della Conferenza delle repubbliche americane di
Panama dell'ottobre 1939.
disseminate un po’ ovunque nei suoi possedimenti; è l'unica che può assicurare agli Stati
Uniti di condividere il controllo dell'Atlantico con una potenza amica dalla propria parte ed
inserita in un progetto d'azione comune. La condivisione, se non proprio la spartizione,
dell'Atlantico reca non pochi problemi alle due Potenze sorelle, o forse è più indicato
l'aggettivo "sorellastre", entrambe con mire ed aspirazioni imperialiste e poco disposte a
lasciare il ruolo di protagonista l'una all'altra.
L'esistenza del Commonwealth assicura agli Stati Uniti l'esistenza, in ogni parte del globo,
di repubbliche democratiche amiche, con cui sarà possibile raggiungere delle intese a livello
tanto politico che economico. La loro prosperità è un baluardo per la prosperità americana;
per fare questo è necessario che gli Stati Uniti assicurino un'onesta ed uguale concorrenza
sul mercato mondiale e gli altri Paesi, perseguendo una liberale politica di commercio.
Questo significa anche il riassetto dell'economia interna statunitense, non ripetendo l'errore
del primo dopoguerra: l'innalzamento di barriere finanziarie, con la conseguente chiusura
alle importazioni dall'estero e l'aumento delle tariffe, ostacolando il libero movimento delle
merci tra i Paesi; a tal riguardo vanno rivisti totalmente gli accordi di Ottawa, consistenti
nella creazione di un sistema di privilegi e benefici tra l'Inghilterra e gli altri membri del
Commonwealth, che sono un evidente ostacolo ad un "salutare fiorire" del commercio
internazionale
17
. Lo scopo degli Stati Uniti è di abrogare tale politica, ma ciò sarebbe
impossibile attraverso il perseverare in una politica isolazionista dal punto di vista politico-
economico.
17
Sumner Welles, Ore decisive, città, Garzanti, 1947, pag. 468.