2
La possibilità di armonizzare il sociale con l’economico attraverso questa
comprensione umana ha indotto ad utilizzare come metodo d’analisi uno
strumento di gestione prettamente aziendale, almeno nella definizione dei
termini. Questa scelta nasce anche dalla consapevolezza che qualsiasi
organizzazione, sia essa di profitto o no, debba essere in grado di
coordinare le energie individuali dei suoi membri per potere raggiungere
uno scopo collettivo. Obiettivo della riflessione a seguire è, allora,
dimostrare che, nell’ambito della gestione delle risorse umane, vi sono
affinità tra queste due realtà. Il terreno comune di confronto porta
inevitabilmente alla luce anche le differenze d’atteggiamento. Diventa
scontato, quindi, chiedersi se ci possa essere uno scambio di conoscenze, tra
associazioni di volontariato ed imprese, che permetta di esportare le
peculiarità vincenti dall’una all’altra realtà allo scopo di migliorare
l’organizzazione delle persone che vi aderiscono.
Il percorso attraverso cui si svolge l’analisi è composto da due parti.
Nella prima si vogliono fornire al lettore tutte le nozioni necessarie affinché
possa impadronirsi degli stessi elementi che ci porteranno a sostenere le
riflessioni conclusive.
Nel capitolo primo si definiscono e si contestualizzano le organizzazioni
di volontariato contemporanee. Oggi la realtà normativa in merito va verso
la collaborazione (principio di sussidiarietà) tra l’ente pubblico del territorio
e le associazioni volontarie, a vantaggio del cittadino. Se da una parte è
aumentato il riconoscimento dell’utilità sociale di queste associazioni,
dall’altra diventano indispensabili quei requisiti d’organizzazione e di
professionalità che allontanano le stesse dal modello caritatevole. Si pone
allora il problema di trovare l’equilibrio tra queste due componenti. La
soluzione può essere ricercata nella “efficienza” degli operatori sociali in
un’ottica d’analisi non molto lontana da quella imprenditoriale.
Il capitolo secondo fornisce gli strumenti indispensabili per approfondire
l’argomento. Si entra, infatti, nel merito della gestione delle risorse umane
3
così com’è applicata nelle organizzazioni di profitto. Vengono affrontate
tutte le tappe attraverso cui l’ufficio del personale esercita la sua influenza
sulla vita lavorativa dei dipendenti.
Dopo avere chiarito sia l’ambito di ricerca, sia lo strumento d’analisi, nel
capitolo terzo si fondono i due temi attraverso una lettura imprenditoriale
della gestione dei volontari che aderiscono ad un’organizzazione.
Seppure il raffronto teorico fornisca molteplici elementi ai fini della
nostra comparazione, si è voluto, nella seconda parte, approfondire
ulteriormente il tema in esame attraverso lo studio di un caso concreto. Il
nostro ambito di ricerca si è ristretto ad uno degli aspetti della gestione del
personale che nel corso degli anni ha accresciuto la sua importanza anche
nel volontariato: la “formazione permanente”. L’oggetto dell’analisi è
l’applicazione un modello aziendale di preparazione del personale ad
un’associazione torinese di volontariato: Mondo X.
La scelta di quest’organizzazione è giustificata da una serie di motivi.
Innanzitutto perché corrisponde in pieno al tipo d’associazione cui
idealmente ci si è riferiti nello svolgere la parte teorica di questo scritto. Si
tratta, infatti, di un’organizzazione radicata nel contesto territoriale in
quanto nata nel 1956 e che, a partire dal 1964, si è definita “associazione
per la promozione d’attività sociali volontarie”. Si può, inoltre, individuare
nello svolgimento del servizio di Telefono Amico un tipo di volontariato
che è puro in quanto svolto interamente dai volontari di Mondo X, non
esiste alcun lavoratore retribuito all’interno del gruppo. L’associazione ha,
oltretutto, deciso di accogliere i suoi aderenti nella piena libertà delle loro
idee rinunciando ad appoggiarsi ad enti religiosi, partiti politici, ecc.
A livello strutturale, l’elevato numero d’operatori, circa 120, rende
inevitabile una suddivisione interna dei compiti facilmente raffrontabile con
una realtà imprenditoriale. Infine, Mondo X si è sempre distinto per la sua
abilità nell’occuparsi della formazione, tanto che oltre a svolgerla a favore
4
dei suoi membri, spesso ha potuto venderla all’esterno per procurarsi i
finanziamenti.
In conclusione questa sperimentazione vuole essere un concreto punto
d’arrivo su quanto affermato nella parte teorica.
Parte prima
UN APPROCIO IMPRENDITORIALE
ALL’AGIRE SOLIDARISTICO
6
Capitolo primo
IL VOLONTARIATO
1. I criteri distintivi dell’attività volontaria
1.1 Il terzo settore o settore nonprofit: definizione
In questo capitolo cercheremo di definire e contestualizzare la realtà del
volontariato. Per poter raggiungere tale obiettivo risulta indispensabile
compiere un passo indietro ed affacciarsi sul mondo nonprofit, anche
definito terzo settore. In realtà non è così facile districarsi tra le molteplici
diciture
1
che cercano di delineare questo complesso fenomeno sociale. Con
terzo settore si vorrebbe definire tutte le realtà che non sono né stato né
mercato, e cercare di fornire una chiave di lettura complessiva di tutte le
organizzazioni, movimenti e gruppi che nascono autonomamente dalla
società civile ad opera dell’impegno di singoli cittadini. Cesareo
2
definisce
quest'ambito come “l’insieme d'attività di produzione di beni e servizi,
1
Oltre a terzo settore le terminologie ricorrenti nel contesto italiano sono: privato sociale,
“sistemi di azione organizzati sulla base di motivazioni regole scopi, che godono il
massimo di autonomia gestionale interna e possono essere strutturati in forma d’impresa,
mentre sono pubblicamente rendicontabili verso un sistema politico amministrativo nel
quadro dei diritti di cittadinanza” P. Donati, La cittadinanza societaria, Roma-Bari,
Laterza, 1993 p. 101. Terza dimensione: la caratteristica fondamentale di questo “spazio
di mediazione collettivo nel sociale ma omogeneo ai mondi vitali” è data dalla modalità
di produzione e di fruizione che le sono proprie, volte a ricercare una diversa qualità della
vita e delle relazioni sociali, quindi il referente empirico è una tipologia di relazioni, una
modalità di rapporti improntati sulla reciprocità, solidarietà, collaborazione, condivisione.
A. Ardigò, Volontariato, Welfare State e Terza Dimensione, in “La ricerca sociale “ n. 25,
1981, p. 58. Terzo sistema: “L'insieme d'attività sia economiche sia sociali rivolte a
conseguire un benessere collettivo piuttosto che il massimo profitto individuale pur non
escludendo che nel compiere queste azioni si possa realizzare anche un vantaggio
individuale di natura economica, come ad esempio un normale reddito da lavoro” la
dicitura nasce e si sviluppa in ambito economico per definire la componente più
organizzata dei soggetti non lucrativi, solidaristici, la cooperazione sociale. C. Borzaga,
S. Lepri (eds.), Le cooperative di solidarietà sociale, Forlì, Edizioni del consorzio Gino
Mattarelli, 1988, p. 37.
7
svolte senza fini di lucro e qualificate in diversa misura da una valenza
espressiva, che si realizzano all’esterno dei meccanismi sia del mercato sia
dello stato”. A differenza dello Stato e del mercato, tuttavia, non siamo di
fronte ad una realtà chiaramente circoscritta vista l’ampia eterogeneità del
codice normativo che la caratterizza, dei sottoinsiemi ad esso afferenti,
delle dinamiche interne e degli scambi comunicativi che s'instaurano. Non
ci resta, quindi, che provare a circostanziare questo fenomeno attraverso
diverse definizioni che, con i loro punti di vista parziali, nell’insieme
possono aiutarci a delineare un quadro complessivo
3
.
Il terzo settore o settore nonprofit definisce il complesso d'organizzazioni
caratterizzate da “un intervento altruistico che induce i soggetti ad
individuare bisogni collettivi non sufficientemente soddisfatti dall’operare
del mercato e dall’azione pubblica e a conferire volontariamente risorse
produttive (lavoro, capitale, attività imprenditoriale) per contribuire a
soddisfarli”
4
. Sono inclusi tutti i campi in cui a scambiarsi non sono merci,
ma “beni relazionali” per produrre i quali occorre una grandissima
componente di lavoro non sostituibile dall'innovazione tecnologica
5
, un
forte radicamento territoriale e una forte dimensione comunitaria.
Il termine terzo settore fa la comparsa nel dibattito scientifico italiano in
epoca relativamente tarda (fine anni ’80) e sempre sulla scorta di scambi
teorico epistemologici con la comunità scientifica internazionale.
L'approccio sociologico sottolinea la valenza espressiva e l’orientamento
2
V. Cesareo, La società flessibile, Milano, FrancoAngeli, 1985, p. 154.
3
Secondo Donati (1993), in riferimento alle varie espressioni, “non si tratta di cose
diverse, ma solo di modalità differenti di osservare uno stesso fenomeno, quello delle
sfere sociali che si distinguono sia dal mercato sia dallo stato”.
4
M. C. Bassanini, P. Ranci, Non per profitto. Il settore dei soggetti che erogano servizi di
interesse collettivo non per fini di lucro, Città di Castello, Fondazione Adriano Olivetti,
1990.
5
“ Mentre l’industria ed il governo, la scienza e la tecnologia spiccano nella creazione e
nel collaudo di innovazioni tecnologiche, il settore non profit è specializzato
nell'attuazione di nuove idee sociali” D. H. Smith, The Impact of Nonprofit Voluntary
Sector on Society, Lexinton, Voluntary Action Research, Lexington Books, 1973, p. 215,
in L. Boccaccin, La sinergia della differenza.Un’analisi sociologica del terzo settore in
Italia, Milano, FrancoAngeli, 1993, p. 54.
8
altruistico di tali relazioni che implicano sempre un coinvolgimento
personale degli attori (Cesareo, 1985). L'approccio economico mette in luce
il valore di tali attività in termini di partecipazione alla determinazione del
benessere collettivo, la cui distinzione guida nei confronti del settore
mercato è data dal fatto di essere senza fini di lucro e profitto (Bassanini e
Ranci, 1990).
Il termine profit indica la remunerazione economica dell’imprenditore,
ossia di chi ha il potere, responsabilità, competenza per cercare di
combinare al meglio risorse limitate rispetto ai bisogni. Tale potere è
esercitato per massimizzare il vantaggio economico dell’imprenditore,
mentre non profit indica che esso è esercitato con motivazioni diverse,
quindi, l’aspetto economico è solo funzionale alla realizzazione della
missione sociale.
L'analisi delle motivazioni che conducono una persona o un gruppo ad
agire non per profitto rappresenta un punto di partenza fondamentale per
contestualizzare l’esito sociale dell’agire solidaristico. Appartenere ad
un'organizzazione nonprofit significa stabilire una relazione di scambio in
cui chi partecipa trae soddisfazione dal proprio operare, appaga la sua
propensione a donare, collocandosi in un settore autonomo in quanto a
sistemi valoriali di riferimento. L’agire politico utilizza l’influenza per il
consenso, l’agire di mercato si basa sullo scambio tra equivalenti con
riferimento ad un sistema di prezzi. Il significato dell’azione non per
profitto può essere indagato alla luce di tre categorie interpretative
6
: il
concetto d'altruismo, quello di reciprocità e quello di scambio simbolico.
9
1.2 Le caratteristiche dell’agire solidale
Una definizione di carattere generale indica l’altruismo
7
come
“comportamento intenzionale e volontario che ha come scopo il benessere
altrui senza interessi personali o prospettive di ricompense”
8
. E’ necessario
perché un'azione possa essere definita tale che risponda ad alcuni requisiti
fondamentali: avere il carattere della volontarietà, essere priva di finalità
strumentali
9
, ed avere un obiettivo positivo, cioè orientato a promuovere un
miglioramento, uno stato di benessere, la risoluzione di un bisogno. A
livello soggettivo l’altruismo
10
, può presentare differenti sfaccettature che
comprendono elementi di pura autogratificazione, quali la soddisfazione di
procurare benessere ad un altro, ed elementi di tipo solidaristico,
maggiormente proiettati all’esterno, in cui è presente una sorta di piacere
generalizzato che si può provare dalla consapevolezza di vivere in una
6
L. Boccaccin, La sinergia…, op. cit., cap. 1.
7
In una rassegna di studi che si proponeva di verificare il nesso tra altruismo e psicologia,
Schwartz evidenzia ad esempio il nesso esistente tra atteggiamenti altruistici e educazione
ricevuta nell’età evolutiva. L’affetto famigliare avrebbe un effetto positivo sulla riduzione
delle preoccupazioni e delle paure dei bambini, che non costituendo più il focus
principale della percezione, favoriscono un’orientamento più indirizzato ad affrontare i
problemi degli altri. Non sono tuttavia solo i fattori famigliari ad influenzare i
comportamenti altruistici. Come ha evidenziato Boudon (1994), l’altruismo è un
sentimento tipicamente morale, quindi è anche il risultato di processi di costruzione
sociale di norme e valori. Sebbene i sentimenti appartengano alla sfera interiore degli
individui, essi devono essere alimentati e sostenuti dai contesti sociali in cui si esprimono.
B. Schwartz, “Why altruism is impossible…and ubiquitous”, Social service review, 3,
1993, R. Boudon, “La logique des sentiments moraux”, L’année sociologique, vol. 44,
1994, entrambi in C. Borzaga, L. Fazzi, Azione volontaria e processi di trasformazione
del settore nonprofit, Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 86-87.
8
N. Eisenberg, The development of Prosocial Bahavior, New York, Academic Press,
1982, p. 213, in L. Boccacin, La sinergia…, op. cit., p. 25.
9
Stabilire se l’altruismo sia un comportamento strumentale non è impresa facile in quanto
non è ben chiaro se vada considerato tale sulla base del risultato dell’azione o sulla base
del tipo di atteggiamento implicato in una relazione sociale, comunque, l’adesione agli
standard socialmente legittimati dà la possibilità di essere considerati membri di una
collettività, dà prestigio sociale, accettazione e senso di condivisione.
10
Titmuss sostiene che la più completa espressione di altruismo si ha nel trattamento che
la società riserva allo straniero universale. Con tale termine vuole indicare i
comportamenti altruistici che hanno luogo al di fuori delle reti familiari e di vicinato,
sottolineando che una società moderna deve essere in grado di consentire l’esplicarsi di
“una prassi altruistica nella vita quotidiana dei gruppi sociali” R. Titmuss, The Gift
Relationship: from Human Blood to Social Policy, London, Allen and Unwin, 1970, in L.
Boccacin, La sinergia…, op. cit., p. 30.
10
società d'aiuto e sostegno reciproco. Se dunque si è in presenza di diverse
interpretazioni, emerge come minimo comune denominatore che il
comportamento altruistico è messo in atto dalla consapevolezza
dell’esistenza di un disagio vissuto da un altro individuo, ed in genere è
sempre espressione di un’azione volontaria.
La reciprocità viene generalmente definita chiarendo ciò che non è,
piuttosto che ciò che è, e viene spesso enfatizzata la rilevanza di tale
dimensione nel contesto sociale. Già Durkheim
11
mette in risalto le
conseguenze dell’assenza di reciprocità nelle società industriali,
sottolineando come il sistema di stratificazione costringa ad uno scambio
ineguale per quanto riguarda sia i beni sia i servizi e questo provoca
frustrazione nelle aspettative degli individui.
Lo scambio sociale si differenzia da quello economico nella misura in
cui, pur prevedendo una ricompensa, implica tuttavia obbligazioni future di
carattere generale non precisate specificamente. Ne consegue, perciò, che
tra i soggetti che interagiscono nello scambio sociale deve instaurarsi la
fiducia. La reciprocità è un concetto ancora più ampio, implica la
consapevolezza che la mutua obbligazione può protrarsi nel tempo ed è
indeterminata rispetto alla natura di ciò che verrà restituito. Questa norma
svolge all’interno dei sistemi sociali un'importante funzione di
stabilizzazione dell’assetto dato grazie al suo carattere indefinito che la
rende applicabile a numerose transazioni.
Con scambio simbolico s’intende “ogni rapporto che consiste nel dare
all’altro ciò di cui si sa o si pensa abbia bisogno nella certezza che l’altro
ricambierà al momento opportuno soddisfacendo, con un equivalente o
quasi-equivalente simbolico, il nostro proprio bisogno”
12
. E’ uno scambio
di tipo empatico che non si fonda necessariamente su un contraccambio del
medesimo bene o servizio ma può riguardare qualcosa di totalmente diverso
11
E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, tr. It., Milano, Comunità, 1963.
12
P. Donati, Pubblico e privato: fine di un’alternativa?, Bologna, Cappelli, 1978, p. 48.
11
alla cui base c’è la fiducia reciproca. Esso promuove la ricerca costante di
una stabilità essenziale tra i soggetti privilegiando le interazioni comunitarie
rispetto a quelle che riguardano esclusivamente l’interesse personale per
dare vita a forme di solidarietà sociali consolidate. Lo scambio di
reciprocità ha l’obiettivo di creare organizzazioni di carattere volontario e
semi-volontario in cui i membri instaurano strutture circolari d'aspettative
condivise, volte all'erogazione di prestazioni che, sotto il profilo
motivazionale, sono prive del carattere utilitaristico proprio dello scambio
mercantile.
1.3 Criteri distintivi delle organizzazioni nonprofit
Le organizzazioni nonprofit possono contribuire ad arricchire il
pluralismo creando centri d'influenza esterni allo Stato, che consentono
anche ai gruppi sociali minoritari di farsi ascoltare e di esercitare influenza.
Grazie ad esse e alle relazioni con esse, il governo riesce ad essere
contemporaneamente laico e cattolico, ebreo e islamico, di destra e di
sinistra, abortista e antiabortista, a favore della famiglia e dei movimenti
omosessuali. Nonostante le diversità ideologiche esistono comunque una
serie di caratteristiche strutturali
13
proprie di tutte le organizzazioni del
terzo settore.
Innanzitutto l’organizzazione deve essere formale, cioè istituzionalizzata,
deve godere di una certa stabilità e durata nel tempo, di confini chiari e
definiti, d'organi di governo e di gestione, di norme e ruoli, di un certo
grado di visibilità sociale. Vi sono numerose forme d'azione collettiva non
istituzionalizzate che giocano un ruolo fondamentale nel determinare la
qualità della vita delle persone e nell’indirizzare il cambiamento sociale,
ciononostante non possono essere incluse nel terzo settore, pena
l’indeterminatezza della definizione.
13
I. Colozzo, A. Bassi, Una solidarietà efficiente, Roma, La Nuova Italia Scientifica,
1995, pp. 69-77.
12
La seconda caratteristica è la natura privata, si tratta di realtà
istituzionalmente separate dalla sfera pubblica statale. Questo criterio si
esplicita attraverso l’esercizio di due libertà-autonomie: una è la facoltà di
esprimere il proprio gruppo dirigente, l’altra è la capacità di impiegare le
proprie risorse economico/finanziarie per il perseguimento dei fini statutari.
Questo non esclude che amministratori e funzionari pubblici facciano parte,
in minoranza, degli organi direttivi di tali organizzazioni, né che le stesse
ricevano una quota sostanziale delle entrate da contributi pubblici.
Inoltre devono ottemperare alla proibizione di distribuire i profitti. E’
negata la possibilità di remunerare il capitale sociale sotto forma d'utili
distribuiti ai proprietari o alla dirigenza. Quest’obbligo non vieta di ottenere
un ricavo economico finanziario, o un surplus dallo svolgimento delle
proprie attività, ma semplicemente richiede che tale plusvalore sia
interamente reinvestito al fine di migliorare la capacità di perseguire la
missione sociale
14
. Questa è una caratteristica distintiva rispetto alle
imprese commerciali.
Il quarto criterio distintivo è quello dell’autogoverno. Si tratta
dell’autonomia organizzativa che permette ai soggetti coinvolti di
strutturarsi in modo tale da poter esercitare una funzione di controllo sulle
proprie attività, attraverso proprie procedure di governo, senza subire il
controllo d'entità esterne. Sono, inoltre, presenti garanzie di democraticità e
di visibilità dei processi di selezione della dirigenza che consentano il
maggior grado di rappresentanza ai diversi donatori, finanziatori, staff-
esecutivo, clienti-utenti.
Un’altra caratteristica è la produzione di benefici esterni, il concetto
economico d'esternalità trova una ridefinizione in termini di benefici per i
non membri dell’organizzazione, cioè i servizi prodotti sono orientati verso
14
“Le organizzazioni nonprofit sono caratterizzate dal divieto di distribuire utili monetari
a coloro che le dirigono, per il resto sono abilitate a compiere operazioni economiche allo
stesso modo delle business corporatios” O. Chillemi, Domanda e offerta nella produzione
di beni pubblici, Milano, Working Paper, Istituto Studi per la Transizione, 1989.
13
il bene comune della collettività. Questo significa che l’attività gestionale
deve avere una ricaduta positiva dal punto di vista sociale della comunità di
riferimento. Ovviamente i benefici esterni possono anche essere intangibili,
pertanto occorre restringere questo criterio alla produzione di benefici
pubblici sostanziali.
Infine deve essere presente l’elemento della volontarietà sia a livello
delle prestazioni dei propri aderenti per il perseguimento delle attività,
nonché per una certa quota, non residuale, d'entrate sotto forma di
donazioni. La volontarietà è riferita, quindi, sia alle risorse umane sia alle
risorse finanziarie. La quantità di tale contributo ritenuta necessaria per
includere un’organizzazione nel terzo settore varia da paese a paese e da
epoca ad epoca
15
.
A questo punto possiamo addentrarci nella realtà del volontariato che, in
quanto parte del terzo settore, contiene in sé tutte le caratteristiche ed i
requisiti finora esaminati; in proposito il Dipartimento degli Affari Sociali
ha scritto che “le organizzazioni di volontariato, in virtù di quella peculiare
capacità di mettere a fuoco le consapevolezze e le aspettative che via via
emergono dalla società civile, in particolare dalle categorie sociali più
deboli, rappresentano l’anima, le fondamenta dell’intero terzo settore”
16
.
1.4 Il Volontariato
Il termine volontariato assume tanti significati quante sono le prospettive
culturali, politiche ed economiche dal cui punto di vista il concetto viene
teorizzato. Oltretutto il ruolo del volontario può variare da quello di quasi
utente a quello di lavoratore specializzato, quindi, l’unica affermazione
15
L. Salamon e H. Anheier aggiungono a questi criteri base altre due caratteristiche ciò il
fatto di essere non religiose e non politiche, cioè escludono quelle organizzazioni il cui
unico fine consiste nel promuovere le manifestazioni di fede dei propri aderenti e quelle il
cui fine è di natura esclusivamente politica. L. Salamon e H. Anheier, In Search of
Nonprofit Sector I: The Question of Definitions,working paper n. 2, Baltimore, Institute
for Policy Studies, 1992 in I. Colozzo, A. Bassi, Una solidarietà…, op. cit., p. 76.
14
certa è che il concetto non si riferisce e non può essere riferito ad una
collettività d'individui caratterizzati in modo univocamente riconoscibile.
In linea generale, comunque, stiamo parlando di un luogo simbolico
collettivo d'energie positive
17
, un giacimento di valori che rafforza e
tonifica la democrazia e rende più integrata una società che si presenta
sempre più frammentata. Il termine volontariato ricorda la capacità di
mobilitare milioni di persone in un impegno di servizio concreto, si tratta di
una delle realtà più stimolanti e significative di promozione della
cittadinanza attiva rivolta alla cura umana e sociale d'ogni individuo. Il
presupposto culturale dell’agire solidale è la consapevolezza che fare azione
gratuita non significa solo intervenire in chiave riparatoria, ma anche porsi
in termini di prevenzione e di rimozione delle cause che inducono
emarginazione, degrado e bassa qualità della vita. L’impegno è quello di
divenire protagonisti attivi di cambiamento e attori significativi delle
politiche sociali.
A livello concettuale possiamo distinguere due ambiti
18
: uno individuale
legato all’idea di volontario e azione volontaria, ed uno strutturato che ruota
attorno al concetto d'organizzazione volontaria. Per volontari Ascoli
19
intende “quegli individui che liberamente prestano la propria attività, senza
remunerazione alcuna, in organizzazioni pubbliche o volontarie, impegnate
nelle varie attività di welfare”. L’agire gratuito, ancora una volta, si lega al
concetto d'altruismo inteso come comportamento sociale che produce un
miglioramento del benessere altrui, piuttosto che del soggetto che lo ha
posto in essere. Operativamente, la solidarietà può strutturarsi per
perseguire i suoi fini contribuendo alla nascita delle organizzazioni
16
Dipartimento degli Affari Sociali, Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Roma,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001, p. 20.
17
Dipartimento degli Affari Sociali, Rapporto…, op. cit., p. 17.
18
I. Colozzi, A. Bassi, Una solidarietà…, op. cit., p. 88.
19
U. Ascoli, Volontariato organizzato e sistema pubblico di welfare: potenzialità e limiti
di una cooperazione, in M. Bonancini (a cura di), I nuovi movimenti, Ancona, Il Lavoro
editoriale, 1986, p. 180.
15
volontarie
20
, si tratta di gruppi di persone che condividono il medesimo
obiettivo ed hanno deciso di unirsi per raggiungerlo. Muovendosi in un
tessuto societario frammentato, usano il loro codici tipici per potenziare e
ricostruire i legami, tale tendenza alla connessione si traduce
nell’orientamento a “fare insieme”, indispensabile per produrre un bene
relazionale. Da un punto di vista giuridico, si evidenzia l’esistenza di un
contratto di comunione di scopo in cui sono determinati i membri e le
modalità attraverso le quali l’organizzazione esprime la sua volontà. La
soddisfazione dell’interesse comune di natura ideale può avvenire anche
attraverso l’esercizio di un’attività economica.
Infine per chiarire cosa contraddistingue il volontariato organizzato si
può definire il suo percorso
21
: il punto di partenza è l’incontro con il
bisogno, il quale catalizza le istanze solidaristiche presenti sul territorio e
rimette in circolo, amplificandone gli effetti, una cultura della solidarietà
non generica ma basata sull’esperienza diretta. Siamo, quindi, di fronte ad
una presenza specificamente qualificata, senza la quale la nostra società non
sarebbe la stessa, poiché la solidarietà non è un optional, ma un elemento
costitutivo.
20
Etzioni ha classificato le organizzazioni secondo tre fondamentali meccanismi utilizzati
per controllare il comportamento dei membri: coercitivo, utilitaristico ed etico. Le prime
sono quelle che esercitano il potere sui propri membri con l’applicazione o la minaccia di
sanzioni materiali. Quelle utilitaristiche, come le società a fini di lucro, spingono le
persone a cooperare per mezzo di una retribuzione. Infine le organizzazioni di tipo etico
sono quelle che adottano ricompense e sanzioni simboliche, come la stima o
l’accettazione e che possono vantare un impegno morale e positivo di grande intensità, tra
queste s'inseriscono le associazioni volontarie. A. Etzioni, A comparative analysis of
complex organizations, New York, Free Press, 1975, in J. L. Pearce, Volontariato,
Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994, pp. 30-31.