4
ordinarie, sentenze della Corte Costituzionale. Una riforma era diventata
necessaria quanto meno per restaurare la legalità costituzionale.
Era, dunque, indispensabile avviare un processo di riforma che, però, ora va
attentamente controllato: individuare i binari in cui incanalare la riforma è un
compito che coinvolge tutti i livelli di governo e, nell’ambito di ognuno di essi, i
vari organi che li compongono.
Rispetto alla su detta idea-forza, la riforma è stata piuttosto radicale:
l’eliminazione della disciplina dei controlli statali sugli atti regionali, il
rovesciamento dell’enumerazione delle competenze, l’attribuzione alle regioni
di una competenza legislativa veramente esclusiva (e la previsione che essa
abbia ad oggetto tutte le materie non riservate espressamente alla legge dello
Stato), l’ampliamento dell’oggetto e l’alleggerimento dei limiti della potestà
statutaria regionale; la rimodulazione delle regole relative alla distribuzione
delle funzioni amministrative, hanno introdotto, infatti, un notevole elemento
di discontinuità rispetto al passato.
Ne è derivato un modello di Stato decentrato che, pur abbandonando il
regionalismo, tuttavia, non presenta neppure i connotati propri dei regimi
federali. Si è ritenuto che l’espressione che meglio definisce questo nuovo
modello, nell’ambito del quale Regioni, Comuni e Province, concorrono con
5
pari dignità a “formare” l’ordinamento, è quella di “Repubblica delle
autonomie”
1
.
Tuttavia, anche se è ancora troppo presto per poter esprimere un giudizio
sufficientemente sedimentato e consolidato, la riforma del Titolo V Cost.,
attualmente non sembra affatto in grado a risolvere i problemi del passato,
come ci si attende, invece, dalle riforme, in genere e da quelle costituzionali, in
modo particolare.
Ciò, si ritiene, sia in parte dovuto al clima particolare in cui è stata approvata la
l. cost. n. 3/2001 che ne ha condizionato fortemente il contenuto, tanto per gli
aspetti problematici, quanto per quelli maggiormente innovativi.
Del resto, comunque, nel testo stesso, in più punti, ma in modo più preciso
nell’art. 11, è esplicitato che si tratta di una riforma solo avviata, che dovrà
trovare completamento, anche, eventualmente, con la riforma di altre parti della
Costituzione, in modo particolare del Titolo I della parte seconda.
L’attuazione della riforma del Titolo V dipenderà in larga misura dalle decisioni
politiche ad essa successive: affinché il processo di riforma non si blocchi
definitivamente è indispensabile, quindi, un clima di accettabile collaborazione
tra Stato, Regioni ed enti locali.
1
V. GROPPI T. – OLIVETTI M., La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo
titolo V, Giappichelli, Torino, 2001.
6
CAPITOLO I
FEDERALISMI E REGIONALISMI
1. Stato federale e Stato regionale.
Negli Stati nazionali dell’Europa continentale, influenzati per lo più dal
modello napoleonico, fortemente accentrato, le strutture amministrative hanno
tradizionalmente conosciuto un unico livello posto al centro del sistema dove si
raccoglievano organi e uffici detentori del potere politico. Ma sin dall’’800, in
ragione dei loro nuovi e crescenti compiti, anche gli Stati europei hanno via via
provveduto a distribuire i poteri amministrativi ad organi e uffici ad essi
dipendenti dislocati sul territorio.
Questo assetto delle competenze ha dapprima comportato, all’interno dello
Stato unitario, una semplice delega della funzione amministrativa ad organi
periferici, privi di effettivi poteri decisionali e gerarchicamente subordinati a
quelli centrali: fenomeno che si definisce “decentramento burocratico”,
alludendo al fatto che gli uffici decentrati, essendo soggetti burocratici, sono
ricondotti, attraverso i tradizionali strumenti di controllo e di direzione, entro le
decisioni politiche dello Stato nel suo insieme.
Nel corso del tempo anche gli Stati liberali si sono però dati un altro tipo di
decentramento assegnando alle unità periferiche il potere di assumere
7
provvedimenti sulle questioni locali: vale a dire una vera e propria attitudine a
realizzare in via amministrativa i propri programmi
2
.
La coesistenza sul territorio accanto al decentramento amministrativo di un
autentico decentramento istituzionale espresso da enti territoriali non ha,
tuttavia, infranto l’unitarietà dello Stato, pur quando tali enti – per lo più
definiti “comuni” o “province” – hanno assunto via via un sempre più marcato
carattere di politicità, quale espressione democratica dei loro corpi elettorali.
Il principio autonomico
3
si è tuttavia diffuso anche in Europa, trovandovi una
affermazione non più ristretta a pochi modelli, come la Svizzera, dove lo Stato
nazionale è sorto come Stato composito e dunque autenticamente decentrato
4
; e
soprattutto tale principio ha conosciuto un salto di qualità nel secondo
dopoguerra, quando il potere sul territorio, quale genuina manifestazione
dell’indirizzo politico, è stato via via distribuito, con le modalità e le forme più
varie, ad enti locali dotati di poteri legislativi propri
5
.
2
CASSESE S. voce Autarchia in Enc. dir., IV, Milano, 1959, pp. 324 ss.
3
REPOSO Profili dello Stato autonomico, Torino, 2000, p. 2.
4
TRUINI A. Federalismo e regionalismo in Italia e in Europa, Padova 2001, pp. 163 ss.
5
Per rendersi conto della portata del fenomeno è sufficiente ricordare che in Europa, negli anni
’50, il modello più diffuso era il modello centralistico di tipo francese. Le sole eccezioni erano
rappresentate dalla Germania ed almeno in parte dall’Italia. La Germania, dopo la tragica
parentesi del nazionalsocialismo, era tornata alla sua tradizione federale, con la legge
fondamentale del 1949, mentre in Italia trovava attuazione un regionalismo a metà, in quanto le
sole Regioni concretamente esistenti erano le cinque Regioni ad autonomia speciale contemplate
dall’art. 116 Cost. Tale situazione ha registrato un profondo cambiamento a partire dagli anni
’70 quando anche Spagna, Portogallo e Belgio hanno intrapreso la strada del decentramento
politico. Sulla diffusione dei sistemi decentrati D’ATENA A., Il federalismo e il regionalismo
nell’esperienza europea in ID. L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano, 2001, pp. 3
ss.
8
Gli Stati europei e successivamente anche quelli extraeuropei si sono così
allineati ad esperienze già note al mondo anglosassone (Canada e Australia) e
in specie agli Stati Uniti d’America, dove il principio dell’autonomia territoriale
si radica in un’antica tradizione di self government che, a sua volta, trae origine
da peculiari motivazioni geografico-politiche quali la lontananza dei coloni
nordamericani dalla madrepatria e l’immensità dei territori da essi occupati.
Attualmente, in tutto il mondo, la grande maggioranza delle comunità statuali,
tranne poche eccezioni relative ai c.d. micro-Stati, attua una qualche forma
verticale di riparto delle competenze legislative tra il centro ed unità periferiche;
può pertanto affermarsi che la maggior parte degli ordinamenti contemporanei
rientrano in quella categoria di enti che, in contrapposto agli unitari, la dottrina
tradizionale definisce convenzionalmente Stati composti, caratterizzati come
sono da una vera e propria autonomia organizzatoria, normativa e politica,
riconosciuta ad enti locali diversi dallo Stato.
Se Stato federale e Stato regionale siano due diversi modelli oppure diverse
gradazioni quantitative di un unico modello è, tuttavia, una questione che non
trova in dottrina una risposta univoca.
Dal punto di vista strutturale gli ordinamenti federali e regionali presentano
alcuni elementi comuni i quali li differenziano dagli ordinamenti di tipo
unitario centralizzato. Ci si riferisce: a) all’esistenza di livelli territoriali di
governo in posizione intermedia tra lo Stato e gli enti minori di base, come i
Comuni e le Province; b) alla circostanza che questi livelli intermedi
9
dispongono di competenze, in qualche modo, garantite dalla Costituzione; c) al
fatto che tali competenze comprendono anche la legislazione
6
. Questi elementi
farebbero supporre che tra i sistemi federali e quelli regionali non sussistano
rilevanti differenze qualitative. In entrambi, infatti, allo Stato centrale si
affiancherebbero entità sub-statali dotate di sfere – più o meno ampie – di
autonomia. Le differenze tra gli assetti federali e quelli regionali sarebbero
quindi differenze di ordine squisitamente quantitativo, le quali troverebbero
espressione nel quantum di autonomia riconosciuto alla periferia, mediamente
maggiore nei sistemi di tipo federale.
Bisognerebbe, tuttavia, interrogarsi se esistano una nozione di Stato federale e
una di Stato regionale che abbiano un sufficiente grado di unità e coerenza.
Esistono, infatti, processi differenziati di “federalizzazione” e di
“regionalizzazione” che rendono problematica la ricostruzione di veri e propri
modelli
7
. L’osservazione comparatistica ci consente, infatti, di rilevare
trasformazioni in senso centripeto che portano più Stati a muovere verso il
tenue vincolo della Confederazione per integrarsi poi in uno Stato composto,
ma contrariamente a quanto si riteneva nel passato, appaiono oggi frequenti
anche tendenze in senso centrifugo, nella direzione che conduce dallo Stato
6
L’importanza di quest’ultimo elemento non può sfuggire. Infatti, mentre negli Stati unitari
l’unica istituzione abilitata ad adottare leggi formali è il Parlamento nazionale (il quale detiene
il monopolio della funzione legislativa), negli Stati federali ed in quelli regionali, il modello
accolto è quello del policentrismo legislativo, in virtù del quale, con il Parlamento centrale
concorrono, in vario modo, le Assemblee rappresentative delle entità periferiche.
7
VOLPI M., Stato federale e Stato regionale: due modelli a confronto, cit., p. 403.
10
unitario a quello regionale e a quello federale; mentre accade pure che Stati
composti, attraverso progressive dissociazioni, si scindano in più Stati unitari o,
via via, in Stati unitari, in Stati federali e in Confederazioni. A tal proposito
immediato è il richiamo alla dissoluzione di alcuni stati federali socialisti
provocata dal persistere di profondi, antichi antagonismi etnici e religiosi,
nonché dal diverso grado di progresso economico e culturale delle varie regioni
costrette ad una innaturale unità, punitiva per le attese delle regioni più
avanzate
8
.
Quindi il decentramento politico-istituzionale, finalizzato com’è di volta in
volta, alla aggregazione o alla disaggregazione, percorre cammini diversi sotto
molteplici profili, che contrappongono non soltanto gli ordinamenti federali a
quelli regionali, e i decentrati agli unitari, ma si sviluppano altresì all’interno di
ciascuna tipologia con peculiari varianti.
Non c’è quindi da stupirsi del fatto che vi sia discordanza sulle formazioni
politiche da qualificare Stati federali e sugli elementi che le distinguono da
8
L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si è dissolta nel 1991, a seguito della crisi
mondiale dell’ideologia comunista. Si trattava di uno stato fortemente federale ma in sostanza
governato in modo rigorosamente unitario da un partito comunista soggetto, a sua volta, al
dominio di una inflessibile direzione centrale.
Venuto meno il collante dell’ideologia e del partito, l’unione è crollata, col distacco definitivo di
varie sue componenti (p.s. l’Ucraina, la Georgia, gli stati baltici, …). Ha preso il posto della
vecchia unione una “Comunità di Stati indipendenti”, collegati fra loro da semplici trattati
internazionali (i baltici comunque restando estranei anche a questa teorica “comunità”). La
Russia, il maggiore soggetto statale della vecchia URSS, è emersa dal processo come stato
organizzato federalisticamente al suo interno: stato peraltro deciso a non tollerare – secondo del
resto la più classica logica del tipico stato federale in senso stretto – ulteriori tentativi di
secessione o distacco; come dimostra l’episodio della repubblica di Cecenia costretta con la
forza delle armi a restare nella federazione russa. A un processo analogo di dissoluzione è
11
quelle similari, in particolare da quelli regionali venuti ad esistenza nel secondo
dopoguerra. Non solo, ma a ben vedere sussistono incertezze anche
relativamente alla categoria giuridico – formale in cui inquadrare lo Stato
regionale e quello federale.
Nella maggior parte dei manuali italiani di diritto pubblico e costituzionale si fa
riferimento a diverse forme di Stato, valutando la distribuzione territoriale del
potere come un criterio, anche se non l’unico, utile ad operare una
classificazione delle stesse
9
.
Diversamente, c’è chi ritiene questa distinzione come attinente non alle forme
ma ai tipi di Stato. Questa categoria viene individuata in base o al “grado di
autonomia o di centralizzazione delle strutture di autorità sul territorio”
10
o
della configurazione che alcuni ordinamenti statali assumono nei confronti
degli altri grazie ad accordi conclusi al di fuori dell’ordinamento internazionale
generale
11
. In effetti questa opinione sembra supportata dalla constatazione che
la natura accentrata o decentrata del potere attraversa trasversalmente gli Stati
contemporanei, per cui si hanno Stati democratici unitari, regionali o federali,
ma lo stesso avviene per gli Stati autocratici. In base a questa impostazione il
soggiaciuta l’Unione federale iugoslava. BOGNETTI G., Federalismo, in Digesto disc. pubbl.,
Aggiornamento, 2001.
9
La distinzione tra Stato unitario, Stato regionale e Stato federale verrebbe quindi ad incrociarsi
con quella, più consolidata, tra Stato liberale, Stato democratico-pluralistico, Stato autoritario,
Stato socialista e Stato in via di sviluppo. VOLPI M., Stato federale e Stato regionale: due modelli a
confronto, in Quad. cost., n. 3, 1995, p. 368.
10
LANCHESTER F., voce Stato (forme di), in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990, p. 799, n. 14.
11
MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, I, p. 134 e II, pp. 1508 ss. In questa
accezione anche la Confederazione di Stati viene ricompresa fra i tipi di Stato.
12
criterio della distribuzione territoriale del potere non è di per sé in grado di
cogliere l’essenza di una forma di Stato, che è data dalla qualità dei rapporti che
si vengono a determinare nel complesso tra Stato – apparato e società civile
12
.
Infine, alcuni ritengono che la tematica del decentramento politico, regionale o
federale, attenga, anziché alle forme di Stato, alle forme di governo, essendo
relativa ai rapporti che si creano non tanto tra Stato e società, quanto, piuttosto,
tra i diversi livelli di governo nella gestione verticale, oltre che orizzontale, dei
poteri fondamentali dello Stato
13
.
I problemi terminologici si complicano anche in ordine alla distinzione tra lo
Stato federale e le figure contigue spesso identificate con espressioni che non
corrispondono alle rispettive forme istituzionali.
Così la Svizzera si autodefinisce ancor oggi come “Confederazione” e l’attuale
Russia è qualificata “Federazione russa” pur rientrando entrambi questi paesi
nella categoria dello Stato federale e non in quello della Confederazione. La CSI
– che è invece una confederazione sui generis – si denomina “Comunità” come le
Comunità europee, che pure sono un tipo anomalo di organizzazione
sovranazionale in itinere (tanto che i più recenti accordi parlano di “Unione
europea”). Ancora: l’attuale forma istituzionale del Belgio viene definita “Stato
federale”, mentre forse è soltanto un particolare Stato regionale. In Italia, la
12
La trasversalità di tale criterio potrebbe risultare più apparente che reale ove si ritenga che il
decentramento politico oggi sarebbe rinvebibile solo nell’ambito dello Stato democratico-
pluralistico.
13
RESCIGNO G. U., voce Forme di Stato e forme di governo, in Enc. Giur., VIV, Roma, 1989, p. 16.
13
Costituzione si intitola “della Repubblica italiana” (e dunque lo Stato non si
autoqualifica federale), ma nella sua parte seconda, nel passato progetto di
riforma predisposto dalla Commisione bicamerale, disciplinava, con una
contestuale ambiguità “l’ordinamento federale della Repubblica”.
Inoltre, l’apparato centrale degli Stati federali si chiama talora “Federazione”,
termine che altre volte identifica anche nei Paesi anglosassoni lo Stato federale o
confederale nel suo complesso; mentre le unità locali che compongono gli
ordinamenti autonomici si qualificano indifferentemente “Province”, “Paesi”
(Länder), “Regioni”, “Comunità”, “Cantoni” o “Stati – membri”, quale che sia la
forma dello Stato complessivo, federale o regionale che le ricomprende.
Infine molte Costituzioni centroamericane, sudamericane, africane e asiatiche,
come in precedenza talune Costituzioni dell’est europeo, abusano talora della
qualificazione “Stato federale” o “Stato regionale”, disciplinando in realtà
sistemi istituzionali accentrati che ostentano un federalismo di “facciata”
14
.
14
Sulla non essenzialità delle autoqualificazione per identificare la natura giuridica degli Stati
formalmente o nominalmente federali. PEGORARO L. BALDIN S., Costituzioni e qualificazioni
degli ordinamenti (Profili comparatistici) in Dir. Soc., 1997 pp. 143 ss.
14
1.1. Lo Stato federale.
La questione dello Stato federale non andrebbe sovrapposta e confusa con
quella del federalismo
15
. Il federalismo, più che come un modello di
organizzazione costituzionale, deve intendersi, più correttamente, come un
“processo dinamico”
16
, cioè come la tendenza ad organizzare ordinamenti
politico-giuridici ripartendo i poteri di comando tipici dello Stato fra enti
politici distinti. Lo Stato federale riguarda, invece, la prospettiva statica e non la
dinamica dei fenomeni costituzionali, ed è per questo che a prima vista esso
sembrerebbe definibile con nettezza e precisione, in modo da poter essere
distinto da tutti gli altri tipi di Stato
17
.
Sotto il termine Stato federale vengono, tuttavia, ricomprese realtà molto
diverse.
Dall’obiettivo riscontro delle fattispecie storiche più significative si ricava che i
processi di formazione delle entità definite (e per lo più definitesi) Stati federali
possono ridursi essenzialmente a due: a) stati formati per associazione o
integrazione di Stati indipendenti legati da un vincolo confederale (Stati Uniti,
Svizzera) o di entità ex-coloniali con l’ottenimento dell’indipendenza (Australia,
Canada); b) stati formati per dissociazione di uno Stato unitario che viene
15
LUCIANI M., A mo’ di conclusione: le prospettive del federalismo in Italia, in PACE A. (a cura di),
Quale dei tanti federalismi? Atti del Convegno Internazionale organizzato dalla Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”, Roma, 31 gennaio-1 febbraio 1997, Cedam, Padova,
1997, p. 215; ALBERTINI M., Il federalismo e lo Stato federale, Milano, 1963, VIII; DE VERGOTTINI
G., voce Stato federale, in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990, pp. 831 ss.
16
BOGNETTI G., Federalismo, in Digesto disc. pubbl., VI, Torino, 1991, p. 274.
17
LUCIANI M., A mo’ di conclusione: le prospettive del federalismo in Italia, cit., pp. 216-224.
15
suddiviso in entità territoriali autonome (Austria, Germania, Argentina, Brasile,
Messico).
In base al riparto delle competenze legislative si può distinguere tra modello
anglosassone e modello europeo.
Nel primo c’è la tendenza a distinguere in modo formalmente rigido le
competenze esclusive del livello di governo centrale e di quelli periferici,
mediante l’elencazione delle materie di competenza del Parlamento federale e
l’attribuzione dei poteri residui agli Stati - membri. Anche negli Stati federali
europei la clausola dei poteri residui è prevista a vantaggio degli Stati-membri,
ma in Svizzera e in Germania è prevista dalla Costituzione e si è ampliata
costantemente un’ampia area di competenze legislative concorrenti nell’ambito
della quale lo Stato fissa solo i principi ma in alcune materie può intervenire con
normative di dettaglio. Questa differenza ha i suoi riflessi sul riparto delle
funzioni amministrative. Infatti, mentre nei paesi anglosassoni, normalmente,
queste seguono le competenze legislative, con la conseguenza che gli Stati –
membri sono responsabili nelle stesse materie sia della legislazione che
dell’esecuzione, in Svizzera e in Germania il federalismo si configura come un
federalismo di esecuzione nel quale al predominio federale nella legislazione
corrisponde l’intervento prevalente dei Cantoni e dei Länder
nell’amministrazione e quindi nell’attuazione delle scelte legislative.
Notevoli diversità vi sono, poi, anche nel grado di partecipazione delle entità
federate alla formazione della volontà dello Stato federale.
16
Per ciò che concerne il procedimento di revisione costituzionale, infatti, il
consenso richiesto agli Stati – membri può essere indiretto, tramite
l’approvazione della seconda Camera (con i 2/3 dei voti del Bundesrat in
Germania e del Senato in Belgio), o diretta attraverso l’approvazione dei
Parlamenti statali (3/4 degli Stati membri nordamericani, 2/3 delle province
Canadesi) o tramite l’intervento del corpo elettorale, nel qual caso il voto
favorevole deve essere maggioritario su scala nazionale e in più della metà
degli Stati membri (Svizzera e Australia). Talvolta sono stabilite ulteriori
garanzie a favore degli Stati membri per la modificazione di particolari
disposizioni costituzionali
18
.
Ancora più marcate sono le differenze che concernono la struttura e le funzioni
della Camera rappresentativa delle entità federate. La configurazione di questa
assemblea può variare notevolmente per quanto riguarda sia la composizione
sia le funzioni svolte. Sotto il primo profilo essa può essere composta secondo
un criterio paritetico che attribuisce ad ogni Stato membro lo stesso numero di
rappresentanti (due negli Stati Uniti, in Svizzera,) oppure differenziato in
relazione alla popolazione degli Stati, pur essendo mai direttamente
proporzionale
19
.
18
L’art. V cost. degli Stati Uniti stabilisce, ad esempio, che nessuno Stato può essere privato,
senza il suo consenso, del diritto di avere una rappresentanza paritetica al Senato.
19
E’ il caso del Bundesrat tedesco e quello austriaco, nei quali l’escursione tra il massimo e il
minimo è, rispettivamente compresa tra 6 e 3 e tra 12 e 3 rappresentanti per ogni Land. Per
rendersi conto della portata del dato, è sufficiente rilevare che, nel Bundesrat tedesco, la Baviera
conta solo il doppio del Land di Brema, pur avendo una popolazione di quasi venti volte
maggiore.
17
Anche la designazione dei senatori può variare a seconda che essi siano eletti
dal corpo elettorale di ogni Stato membro (Stati Uniti dopo il XVII
emendamento del 1913, maggioranza dei Cantoni svizzeri) o dai Parlamenti
statali (Stati Uniti fino al 1913, Austria) oppure siano nominati dai Governi
statali (Germania).
Per quanto riguarda l’aspetto funzionale sono riscontrabili due modelli. Quello
del Senato, largamente dominante, nel quale i senatori esprimono il loro voto
individualmente e senza vincolo di mandato e quello del Consiglio, tipico
dell’esperienza tedesca, nel quale i consiglieri sono delegati dei governi statali,
esprimono un unico voto come delegazione di ogni Stato membro e sono
soggetti alle direttive politiche del rispettivo Governo.
Dal punto di vista delle singole funzioni attribuite alla seconda Camera, il
bicameralismo negli Stati federali può essere tendenzialmente perfetto, quando
ad essa siano attribuiti poteri identici o equivalenti a quelli dell’altra Camera
(Stati Uniti, Svizzera, Stati latino-americani) o imperfetto quando questa sia
collocata su un piano di inferiorità. In questa seconda ipotesi negli Stati
caratterizzati dall’esistenza del rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo,
questo vale solo nei confronti della prima Camera (Austria, Germania,
Australia, Canada, Belgio)
20
.
20
REPOSO A. Federalismo e ragionalismo cit., pp 41 ss.