Nel secondo capitolo, sono raffrontati tutti i formaggi DOP prodotti
in Italia, incentrando l’analisi sul mercato primario, quello dei
formaggi duri; attraverso figure e tabelle, si può notare quali sono le
quote di mercato e come si compone la bilancia commerciale dei
formaggi duri in Italia.
In questo capitolo, sono descritti anche i principali competitors del
Parmigiano-Reggiano; il Grana Padano e il Trentingrana.
Il terzo capitolo sarà relativo al Parmigiano-Reggiano, verrà
descritta la storia, la tecnologia di produzione, e spiegato quale è
ruolo del consorzio. Inoltre viene spiegato come il marketing mix è
sviluppato dal consorzio.
Nel quarto capitolo si è scelto di analizzare il caso di Unigrana,
l’azienda leader mondiale per la produzione e il commercio di
Parmigiano-Reggiano, illustrandone la storia e gli obiettivi.
La case story fornisce indicazioni utili circa l’andamento dell’azienda
leader del settore del grana e mostra in che modo, essa si serve delle
leve di marketing mix.
Unigrana, con il proprio marchio non vuole sovrapporsi al marchio
consortile Parmigiano-Reggiano, ma essere garante di un elevato
standard produttivo. L’azienda vuole che il consumatore riconosca
nel marchio Unigrana un formaggio con elevata stagionatura ed un
alto livello qualitativo
1 OBIETTIVI E STRATEGIE CONNESSI AL BRANDING
1.1 Che cosa è il branding
I produttori di merci sin dai tempi più remoti hanno sempre fatto uso delle marche
per distinguere i propri prodotti. L’orgoglio per quello che si produce ha giocato
indubbiamente un ruolo di primo piano nella diffusione di questo fenomeno.
Ma quel che più importa è che, contrassegnando i propri prodotti, essi hanno
fornito agli acquirenti uno strumento utile per riconoscere e per specificare ciò
che gli acquirenti stessi desiderano riacquistare o raccomandare agli altri.
L’uso della marca da parte dei produttori si è esteso considerevolmente nel corso
del tempo, soprattutto nell’ultimo secolo. Ma la funzione principale di una marca,
di distinguere le merci di un produttore da quelle di un altro e di permettere
perciò ai consumatori una reale libertà di scelta, è rimasta inalterata.
Nel corso degli anni, l’uso delle marche si è sviluppato essenzialmente in tre
modi.
Primo, i sistemi legislativi hanno riconosciuto l’importanza delle marche sia per i
produttori, che per i consumatori. Nella maggior parte degli Stati si riconosce la
proprietà intellettuale –marchi di fabbrica, brevetti, diritti d’autore– come
proprietà in senso reale e perciò vengono conferiti particolari diritti ai relativi
titolari.
Secondo, il concetto di bene di marca è stato esteso con successo per
comprendere i servizi. Perciò i fornitori di servizi finanziari, al dettaglio e di altri
servizi possono ora differenziare tali servizi rispetto a quelli dei concorrenti, così
come si differenziano i prodotti di marca. Quindi le marche che
contraddistinguono i servizi godono ora generalmente degli stessi diritti di cui
godono prodotti.
Terzo, e più importante, le modalità con cui i prodotti e i servizi contrassegnati
da marche vengono differenziati l’uno dall’altro hanno incominciato sempre più
ad abbracciare fattori non tangibili, oltre a elementi concreti quali dimensione,
forma, aspetto e prezzo
1
.
Le qualità di una marca, sulle quali fanno affidamento i consumatori
nell’effettuare le proprie scelte tra le alternative disponibili, sono diventate
sempre più sottili e, a volte mutevoli.
Perciò il branding (attività di creazione di marche) più moderno e sofisticato si
occupa oggi soprattutto dell’assemblaggio e del mantenimento di un mix di
valori, sia tangibili, sia intangibili, che sono rilevanti per i consumatori e che
distinguono significativamente e in maniera appropriata la marca di un produttore
da quella di un altro.
I fattori intangibili sono, tuttavia, molto difficili da valutare, persino se
singolarmente considerati. Quando un certo numero di tali elementi viene poi
assemblato per una creazione unica, il prodotto di una marca, l’apprezzamento di
questi elementi distinti ma collegati e molto difficile. Persino dopo il lancio può
non essere del tutto possibile determinare con assoluta certezza le ragioni del
successo o del fallimento di una marca.
1
J.M. Murpy (1989) - Branding : le politiche di marca- Milano: McGraw-Hill Libri
In termini pratici, questo ha portato le imprese ad avvalersi di un certo numero di
strategie alternative per l’introduzione di nuovi prodotti. La più ovvia consiste
nello sviluppare dei prodotti imitativi. Ogni nuova marca di successo attrae uno
stuolo di imitatori che offrono prodotti simili all’originale per quanto concerne
concezione, aspetto, nome e funzione. Tali prodotti imitativi di solito hanno
scarse possibilità di competere seriamente all’originale, sempre che, per esempio,
non siano in grado di offrire un sostanziale vantaggio in termini di prezzo.
Forniscono, tuttavia, al produttore un’opportunità a basso rischio per entrare in un
certo mercato con costi limitati e per assicurarsi una modesta quota.
Un altro approccio comune è quello della pseudosofisticazione. Ogni possibile
attributo di una nuova marca è valutato nella sua rilevanza per il consumatore; si
analizza poi se tale misurazione riesce a fornire dati di un certo valore per il
processo di assunzione delle decisioni.
L’approccio più appropriato e apportatore di successo per lo sviluppo di nuove
marche è quello concreto: provare ad identificare nuovi prodotti con un certo
livello di caratterizzazione e di attrazione nei confronti del consumatore, evitando
di creare semplicemente dei prodotti imitativi; usare appropriate tecniche di
ricerca per misurare il probabile successo di mercato di marca; riconoscere che
l’introduzione di una marca si distingue per la sua forte componente creativa;
incoraggiare la creatività e l’intuizione. Ma riconoscere anche le nuove marche, a
causa di alcuni elementi di effettiva intangibilità, non possono mai essere garanti
di successo. Le possibilità di successo possono essere tuttavia accresciute
significativamente.
Capire le marche e il brand marketing è essenziale per capire la moderna società
industriale.
Le marche rispondono all’esigenza da parte del consumatore di prodotti che
svolgono una chiara funzione, l’adempiano in modo costante e offrano qualcosa
di peculiare, in aperta concorrenza con gli altri. Il marketing parte dalla
comprensione delle esigenze funzionali e psicologiche dei consumatori, e solo
dopo le riveste in una marca e le comunica al mercato.
Nel fare questo, collega l’incredibile gamma di possibilità di produzione offerte
dalla moderna tecnologia all’altrettanto vasta gamma di esigenze dei consumatori
resa possibile dai moderni livelli di vita. Il campo in cui questo è più evidente è
quello dei beni di consumo, fortemente pubblicizzati, e dei servizi. Oggi più che
mai il successo dipende da un’attenta risposta alle specifiche esigenze di specifici
mercati e settori di mercato. Allo stesso tempo le tendenze globali nella
tecnologia e nello stile di vita creano dei mercati per marche internazionali che
rispondono ad esigenze simili in paesi diversi.
Per capire cosa sia una marca occorre partire dalla definizione data da Philip
Kotler (1986)
2
: <<nome, termine, segno, simbolo, o disegno o una combinazione
di questi che mira ad identificare i beni o i servizi di un venditore o un gruppo di
venditori e a differenziarli da quelli dei concorrenti>>.
Questa spiegazione tecnica è vera, poiché, via via che i miglioramenti nella
produzione e nella distribuzione offrono ai consumatori una scelta sempre più
ampia, una qualche forma d’individuazione del venditore diventa un elemento
d’informazione necessario nella scelta d’acquisto. Tuttavia la marca moderna è
2
P.Kotler (1986) Marketing Management-Torino:Isedi.
andata al di là degli aspetti meccanici della differenziazione del prodotto. Le
grandi marche d’oggi sono delle “personalità” che invadono la nostra cultura
come le star del cinema.
La creazione di una marca (branding) consiste, allora, nello sviluppo e nella
conservazione di un insieme di attributi e di valori di prodotto che siano coerenti
tra loro, adeguati, distintivi, tutelabili e che si adattino ai desideri dei
consumatori.
Il marketing è una funzione più ampia, che include la creazione di una marca, ma
anche lo sviluppo e l’implementazione di strategie per portare i prodotti o i
servizi dal produttore al consumatore in maniera redditizia. La pubblicità è una
funzione più ristretta nell’ambito del marketing, interessata all’uso dei mezzi di
comunicazione, con l’obiettivo di stimolare i consumatori e di informarli che i
prodotti e i servizi, di marca o non, sono disponibili per il loro acquisto.
1.2 Il sistema delle risorse immateriali: patrimonio di marca,
sistema informativo e cultura d'impresa
Nelle economie moderne le imprese si confrontano in mercati globali,
caratterizzati da un’alta intensità di concorrenza e da un esubero strutturale
d’offerta.
Nei mercati saturi, le produzioni migliorano continuamente le caratteristiche-base
della funzione d’uso, ed inoltre sono realizzate a costi decrescenti e con quantità
nettamente superiori alle capacità di assorbimento della domanda.
In tali condizioni i caratteri fisici delle produzioni tendono ad essere
standardizzati e pertanto perdono la connotazione di elemento di differenziazione
competitiva dell’offerta
3
.
Le risorse dell’impresa sono di due tipi :quelle materiali,come le infrastrutture
produttive, che sono sotto gli occhi di tutti e inscritte a bilancio ,e quelle
immateriali. Queste ultime si possono classificare in risorse di conoscenza e
risorse di fiducia.
Nei sistemi socio-economici ad alta competitività, il successo delle strategie
aziendali è propriamente condizionato dalle risorse immateriali d’impresa
(intangible assets).
Le risorse immateriali nell’economia d’impresa si suddividono pertanto in Input
(vale a dire flussi informativi ottenuti dall’ambiente) e in Output (ossia flussi
informativi che l’impresa offre all’ambiente).
3
S. M. Brondoni (1996)- Brand equity e politica di marca, Progetto Comunicazione
Aziendale CREA - Università L. Bocconi e DEPA Università degli Studi di Milano.
In particolare, le potenzialità di input delle risorse immateriali consentono di
acquisire conoscenze in precedenza non disponibili; conoscenze che
rappresentano la condizione per i successivi miglioramenti dell’attività aziendale.
Per contro, le risorse immateriali governabili dall’impresa nella dimensione di
output possono riguardare: lo sviluppo di una specifica cultura aziendale
all’interno dell’organizzazione (ambiente interno); la predisposizione ed il
continuo aggiornamento del sistema informativo aziendale (rivolto all’ambiente
interno ed anche all’ambiente esterno); ed infine la creazione e la gestione di un
definito patrimonio di marca (Brand Equity), riconosciuto dall’ambiente esterno a
particolari offerte oppure all’impresa nel suo insieme.
In una logica di ‘market driven management’, le risorse immateriali si connettono
pertanto a flussi informativi, specificatamente classificabili in interni, ambientali
e aziendali, che palesano importanti potenzialità sinergiche quando siano gestiti,
come un sistema di fattori concorrenziali, per avvalorare rispettivamente la
cultura aziendale, il sistema informativo d’impresa ed il patrimonio di marca
(Brand Equity).
In un’ottica di sistema, le risorse immateriali d’impresa possono, quindi,
concretizzarsi in:
· flussi informativi interni: si originano e si esauriscono all’interno dell’azienda, e
nel tempo consolidano la ‘cultura dell’organizzazione’. Quest’ultima sintetizza:
lo stato d’animo delle risorse umane; le capacità del management; l’abilità nel
gestire, trasferire ed utilizzare le informazioni; ecc.
Ad evidenza, la capacità di un canale di elaborare informazioni, avvalendosi di
peculiari strutture e abilità di management, rappresenta anch’essa un’importante
risorsa immateriale e riveste la stessa importanza critica del database del sistema
informativo;
· flussi informativi ambientali: fluiscono dall’ambiente all’azienda e sviluppano
risorse immateriali collegate allo spazio di operatività. Tali flussi ambientali sono
finalizzati ed organizzati nel ‘sistema informativo aziendale’ e ricomprendono le
conoscenze e le competenze produttive, le informazioni sulla domanda e i canali
per acquisire informazioni. Si noti che costituiscono importanti risorse
immateriali sia il complesso delle informazioni sia la capacità dei canali di
ottenerle;
· flussi informativi aziendali: sono veicolati dall’azienda verso l’ambiente e
generano lo stock di valutazioni e percezioni che definiti segmenti di domanda
riconoscono ad una data impresa (ovvero a particolari offerte). Questa categoria
di risorse immateriali trova concreta espressione nel ‘patrimonio di marca’ (Brand
Equity) e sintetizza diversi caratteri, quali: la reputazione dell’azienda,
l’immagine di marca e d’impresa,ecc.
Anche questa fattispecie comprende l’insieme delle conoscenze accumulate e la
capacità dei canali informativi di crearle e di gestirle.
Nei mercati dove i prodotti tendono tutti qualitativamente ad assomigliarsi sta
assumendo sempre più rilievo il “brand”, che addirittura può arrivare a porsi
come unico vantaggio differenziale esistente, tra l’azienda leader e le altre
imprese.
In sintesi, le risorse immateriali specificamente riguardanti il patrimonio di marca
si sviluppano in un più vasto sistema di ‘intangible assets’ d'impresa che
condizionano il successo della gestione aziendale
4
.
Nell'ambito del sistema delle risorse immateriali, il patrimonio di marca (Brand
Equity) tende a definire un fattore critico di gestione della instabilità della
relazione impresa-domanda-concorrenza, e a tale fine interagisce con altre risorse
immateriali, composte da:sistema informativo aziendale, i cui flussi di
informazione in entrata e in uscita di fatto determinano la base conoscitiva per la
gestione del patrimonio di marca;
cultura aziendale, da cui discendono le linee di condotta per strutturare il sistema
informativo, in coerenza con i profili -specifici per ogni singola organizzazione-
di sintonia e di partecipazione delle risorse umane.
La criticità delle relazioni sinergiche tra ‘Brand Equity’, sistema informativo e
cultura aziendale risulta particolarmente evidente negli accordi e nelle alleanze
che sempre più spesso le grandi corporation stipulano a fini competitivi proprio
per contenere l’eccesso di offerta.
Nei grandi accordi internazionali, in effetti, appare chiaro come la valutazione del
patrimonio di marca non si riduca alla semplice quantificazione, cioè di un
‘valore di facciata espressivo di micro-indicatori spesso ad alta volatilità (come
quote di mercato, numero di punti di vendita esclusivi, ecc.), valutati
indipendentemente dai caratteri strutturali delle organizzazioni che li hanno
generati e che sono in grado di governarli.
4
op.cit. S. M. Brondoni (1996)
Gli avvenimenti degli ultimi anni insegnano che non sempre gli accordi e le
operazioni di ‘fusioni e acquisizioni ’ possono essere stipulati con una
predominante finalità finanziaria, senza valutare in via preventiva le effettive
possibilità di integrazione delle risorse immateriali delle organizzazioni
interessate (specificamente, le culture e la compatibilità dei sistemi informativi)
5
.
5
op.cit. S. M. Brondoni (1996)
1.3 La politica di marca
In presenza di un continuo ampliamento della gamma dei prodotti
disponibili, l’adozione di una politica di marca caratterizzante e le
potenzialità di comunicazione spontanea e automatica legate all’uso dei
segni distintivi sono indubbiamente destinate a ricoprire un ruolo di
crescente importanza nel determinare il successo o il fallimento di un
prodotto.
L’utilità della marca e legata all’insieme delle politiche di valorizzazione
dell’immagine del prodotto che possono essere attuate grazie alla sua presenza.
In pratica la marca consente di aggiungere valore a un prodotto, di porre
le premesse per la fedeltà della clientela. Per questo la diffusione delle
marche e continua e crescente, coinvolge settori e prodotti che un tempo
ne risultavano privi, promuove addirittura lo sviluppo di nuove
professionalità come i consulenti di marca, i creatori di nomi.
Si può affermare che le marche sono divenute patrimonio quotidiano del
linguaggio, riferimento simbolico, forse parte di una ossessione sociale,
con una efficace politica di marca si può infatti :
1. differenziare i prodotti di un’impresa da quelli di un’altra;
2. indicare al pubblico la fonte dei prodotti;
3. facilitare il riconoscimento del livello qualitativo del prodotto;
4. facilitare il reperimento e il riacquisto del prodotto;
5. trasmettere dei messaggi ai consumatori;
6. facilitare il posizionamento del prodotto;
Un impresa quando decide di attuare una politica di marca deve anticipatamente
decidere quanto potrà investire e, su quali componenti si deciderà di far leva.
Nella marca si possono distinguere le componenti vocali le componenti grafiche,
le componenti simboliche, le componenti legali.
6
Le componenti vocali identificano la parte di marca che viene pronunciata, detta,
espressa fonicamente. Riguardano quindi il nome della marca e il suono che ne
deriva.
II nome della marca può derivare da un nome di persona, in genere l’imprenditore
qualcuno a lui collegato, da un acronimo derivato da una serie di nomi, da una
scelta di fantasia, da un nome comune che viene associato al prodotto per
facilitarne 1’identificazione.
La scelta di un nome di persona, si ritrova soprattutto nelle marche nate fino alla
prima meta del secolo, deve poter seguire linee di compatibilità, che presentano
comunque una validità generale. In genere si preferisce una scelta di marca legata
al nome una persona quando 1’offerta non può venire disgiunta dall’ immagine
personale.
I nomi derivati da persone, sono i più utilizzati nella composizione delle marche.
I criteri che dovrebbero venire rispettati nella definizione della marca di un
prodotto possono venire cosi riassunti: distinguibilità, rispetto ad altre marche
basate su cognomi, per evitare di confondere1’immagine; coerenza, o almeno
assenza di incoerenza con il prodotto; facilità di pronuncia, soprattutto per marchi
6
T. Vescovi (1990)- Il marketing del Prodotto- Padova :CEDAM.
che operano in nazioni diverse, con caratteri linguistici differente. facilità di
ricordo, attraverso un collegamento semplice e immediato tra marca e prodotto;
evocazione, che assegni valori affettivi al prodotto attraverso il richiamo ad
immagini simboliche ed evocative.
I nomi derivati da acronimi risultano particolarmente efficaci quando
costituiscono di per sé un nome compiuto, o almeno facilmente
pronunciabile, superando cosi la difficoltà del ricordo delle sigle.
Spesso la forma di acronimo è il risultato di una successiva modifica di
un nome troppo lungo e complesso. In realtà non sempre 1’acronimo
presenta caratteri positivi, perché può contenere un messaggio di
introversione, di dissimulazione. Inoltre può essere facilmente
confondibile, equivocabile, e costringe a comunicazioni ulteriori di
chiarimento.
La sigla può quindi diventare una scelta rischiosa per piccole imprese, e
per tutte quelle che in genere svolgono una attività di comunicazione
limitata.
In alcuni casi le marche nascono come fonemi di nomi comuni
di prodotto o di benefici incorporati nel prodotto. In questo caso occorre
comprendere come un’imitazione sia difficile da contrastare. Va comunque
verificata la pronuncia della marca, anche in altre lingue, per eliminarne i
possibili effetti di distorsione del significato.
Le componenti grafiche di una marca riguardano il logo ed eventuali disegni che
a esso si accompagnano.