4
principi fondatori e le priorità, cercando all’interno delle comunità le capacità per
superarlo.
Il secolo passato ha dato ampia dimostrazione che la costante preoccupazione tanto
della sopravvivenza delle comunità quanto del benessere dei componenti, la natura
democratica del kibbutz e il continuo interagire con il mondo esterno, danno a questa
singolare comunità una innata capacità di innovazione. Capacità che da oltre 100 anni,
e nonostante i naturali ricambi generazionali, si dimostra inalterata.
5
Capitolo I
Cos’è un kibbutz?
“Un insediamento organizzato come una società collettiva i cui membri vivono secondo
il principio generale della proprietà collettiva. I loro scopi sono il lavoro svolto da
ognuno di loro, l’eguaglianza e la cooperazione in tutte le aree della produzione, del
consumo e dell’educazione”
1
"Una comunità collettiva volontaria, principalmente agricola, nella quale non esiste la
proprietà privata e dove ognuno è responsabile di tutti i bisogni dei suoi membri e delle
loro famiglie.”
2
“L’impresa sociale più originale del movimento sionista.”
3
“Una specifica comunità socioeconomica esistente in Israele, fondata sui principi della
libertà personale, dell’autogoverno e della reciproca responsabilità.”
4
“Comunità agricola, autogestita, basata sull’economia redistributiva, sull’aiuto
reciproco, sulla libertà personale, sull’uguaglianza tra i sessi, sulla reciproca
responsabilità e sulla condivisione di tutto.”
5
“Fermento di idee sociali, intensità di sentimento, prolungata dedizione al modo di vita
scelto, esperimento di organizzazione sociale senza precedenti, considerato l’esiguo
numero di individui e la povertà di mezzi con cui si doveva attuare ogni cosa.”
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1. Questa è la definizione legale che si trova nel Registro delle Società Cooperative di Israele
2. Encyclopedia Judaica, Gerusalemme, 1971
3. Lorenzo Cremonesi, Le origini del totalitarismo e la nascita del kibbutz, Firenze, 1985, p. 8
4. Stanley Maron, Mercato e comunità. Il kibbutz tra capitalismo ed utopia, Milano, 1994 p. 7
5.Franco Cardini (a cura di), Israele.Da Mosè agli accordi di Oslo,Bari, 1999,p.261
6. Jacob L. Talmon, Israele tra le nazioni, Milano, 1973, p. 176
6
“ La vittoria sulla terra è stata il punto di partenza e ha condizionato il resto. Gli ebrei
durante i duemila anni del loro esilio si erano astenuti da ogni attività agricola. Ritornati
alla terra d’origine, a quel tempo ampiamente occupata dalla sabbia, da rocce e paludi,
decisero di farne una terra fertile che avrebbe dovuto far rinascere insieme al popolo.
Un fervore mistico animava i pionieri, pronti a dare per l’impresa non solo le loro
risorse spirituali e il loro lavoro, ma anche la vita (…). Il kibbutz, la comunità collettiva
israeliana, è stata una creazione spontanea, capace di rispondere alla duplice esigenza
dell’uomo e della terra. Nel kibbutz gli uomini si associano per dedicarsi al lavoro,
mantenendosi al di fuori dei quadri dell’economia capitalistica, in virtù del principio:
“Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. (…) I
notevolissimi risultati sono stati conseguiti con immigrati che non solo ignoravano tutto
dell’agricoltura, ma che spesso presentavano tutte le caratteristiche delle popolazioni
sottosviluppate. Grazie ad un'utilizzazione razionale dell’acqua, ad un gigantesco
sforzo di istruzione e di informazione, si è raggiunto un alto livello tecnico, che ha
assicurato al paese un gettito medio equivalente o superiore a quello di agricoltori
meglio provvisti di tradizioni agricole e di risorse naturali.”
7
L’unione del sogno populistico per il risanamento della società da tutti i suoi mali
attraverso il lavoro agricolo, con l’ideale socialista del collettivo e della cooperazione.
Tutto questo per realizzare l’utopia sionista: una Nazione ebraica nella terra del Padri.
8
Istituzionalmente il kibbutz è una comunità rurale permanente, organizzata come una
democrazia diretta, che si fonda sul principio della proprietà in comune, dove l’intero
gruppo diventa il sostituto della tradizionale famiglia.
Questa nuova forma di cooperazione era, nei fini dei fondatori, destinata a creare,
sviluppare e possibilmente esportare all’esterno un nuovo sistema di vita.
Legalmente il terreno dove sorge ogni kibbutz è di proprietà di una Fondazione
nazionale e viene semplicemente affittato al kibbutz. Per le origini agricole di tutti gli
insediamenti, ogni kibbutz sorge su un territorio di estensione pressoché analoga, pari a
circa 550 ettari. Questo terreno, così come gli edifici, le attrezzature, gli impianti,
apparterrà ai membri finché lo lavorano e lo rendono produttivo.
9
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7. Albert Chouraqui, Resurrezione nel deserto in “Atlante”, 1972, Aprile, p.23
8. I principi generali del populismo, del sionismo e del socialismo sono descritti nel capitolo III.
9. I membri quindi non possono vendere i beni, liquidare il kibbutz e andarsene con il ricavato.
Al massimo possono abbandonare le strutture dell’insediamento. In passato si sono verificati
casi di abbandono del kibbutz. La terra, gli edifici e tutti i beni sono tornati alla Fondazione che
ha promosso, quasi sempre con successo, il ripopolamento dei luoghi abbandonati.
cfr. S. Maron, op.cit., p. 13 e segg.
7
Attualmente in Israele ci sono circa 270 kibbutzim, e anche se ne troviamo qualcuno
composto da qualche decina di membri e qualcuno che supera il migliaio di residenti,
per la maggior parte le comunità sono composte da 300-400 membri adulti, ai quali
bisogna aggiungere i bambini, le persone che lavorano nei kibbutz senza farne parte e
gli ospiti, arrivando mediamente a 500-600 persone per insediamento. In totale la
popolazione dei kibbutzim è all’incirca di 130.000 persone, quasi il 3% della
popolazione d’Israele.
Tranne qualche eccezione, per altro sperimentale, tutti gli insediamenti hanno
un’economia mista basata sull’agricoltura, sull’industria e sul turismo. Tutto è
collettivo sia nella produzione sia nei consumi. Non esiste lavoro remunerato, non si
usa denaro, tutto è di proprietà di tutti.
Le decisioni sono prese in un'assemblea composta da tutti i membri del kibbutz, che di
norma si riunisce settimanalmente, e che si pronuncia su qualsiasi aspetto della vita del
kibbutz, sia esso organizzativo, economico, finanziario o educativo.
10
L’assemblea dunque formula la politica della comunità, elegge i funzionari, prende le
decisioni economiche e produttive, approva il bilancio del kibbutz e l'ammissione dei
nuovi membri. Non funziona solo come organo decisionale, ma è anche un momento
nel quale tutti i membri possono esprimere i loro pareri e punti di vista.
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10. A prima vista il kibbutz sembra presentare molte analogie con altre comunità utopistiche
del XIX e del XX secolo.
In realtà il kibbutz è unico nel suo genere e il confronto con altre organizzazioni comunitarie
presenta più diversità che similitudini.
Le comuni sorte negli Stati Uniti nel XIX cercavano di soddisfare esigenze di ordine
pratico ed immediato, concentrandosi sull’ottenimento del benessere materiale del
singolo; il kibbutz invece presenta orizzonti culturali che vanno oltre l’interesse
individuale, basando la sua organizzazione sui principi dell’eguaglianza e sulla struttura
sociale collettivista.
Nei kolkhoz sovietici esisteva la proprietà privata ed era previsto un salario in denaro; nel
kibbutz vige la proprietà collettiva e con l’abolizione dei salari si è voluto togliere la persona
dal mercato della forza-lavoro nonché, attraverso il processo lavorativo, stimolare
l’integrazione tra l’individuo e la comunità. Non essendoci proprietà privata, non possono
esistere rapporti di mercato all’interno del kibbutz né tra i suoi membri.
Nelle comuni cinesi esiste il controllo diretto del governo, mentre i kibbutzim sono organismi
autonomi che non subiscono alcuna interferenza governativa.
Qualche similitudine possiamo trovarla nelle obscina, le unità base della società agricola
dell’Europa Orientale (specialmente in Russia), dove il tradizionale sistema di autogoverno che
regolava la redistribuzione della terra all’interno delle stesse, il mir, era simile
all’organizzazione del kibbutz. Infatti fu proprio in queste comunità che prese vita il
movimento populista e il romanticismo agrario, principi base del sionismo, il movimento
ispiratore del kibbutz.
Anche il “falansterio” teorizzato dal socialista utopico Charles Fourier, può in qualche modo
essere ritrovato nel kibbutz. Descritto come un grande edificio per alloggiare gli aderenti
8
Gli affari quotidiani del kibbutz sono gestiti da comitati eletti, che si occupano
dell'istruzione, degli alloggi, delle finanze, della salute, della pianificazione produttiva e
delle attività culturali. I presidenti di alcuni di questi comitati, assieme al segretario
generale del kibbutz (che occupa la posizione preminente), formano il comitato
esecutivo del kibbutz. Gli incarichi di segretario del kibbutz, tesoriere e coordinatore
dell'attività lavorativa sono, normalmente, a tempo pieno, mentre gli altri membri del
kibbutz partecipano alle attività dei comitati in aggiunta ai loro lavori quotidiani.
Nonostante i mutamenti registrati all’interno delle comunità con il passare degli anni e
il loro sviluppo sociale ed economico e nonostante le diversità ideologiche che
caratterizzano le federazioni nazionali che li raggruppano
11
, tutti i kibbutzim (plurale di
kibbutz) restano comunque fedeli ai principi dei fondatori: rispetto del lavoro,
dell’autonomia e della responsabilità; negazione della proprietà privata e condivisione
dei guadagni; divisione egualitaria dei poteri e democrazia diretta.
Fare parte del kibbutz è una libera scelta dell’individuo; anche se nato nel kibbutz,
arrivato all’età adulta, il membro può non chiedere di farne parte. Se presenta la
domanda per diventare kibbutznikim (membro del kibbutz), questa deve essere
sottoposta all’esame dell’assemblea generale, che come detto delibera su tutte le
questioni che riguardano la vita del kibbutz.
12
Quasi tutti i kibbutzim sono strutturati anche fisicamente in modo simile.
Somigliano alle città-giardino suburbane, si pone molta cura ai prati ed ai giardini
(probabilmente perché gli insediamenti per la maggior parte sorgono nel deserto). Non
ci sono strade all’interno, generalmente esiste un unico ingresso, come fossero
abitazioni private. E sono proprio questo, abitazioni allargate per alloggiare un’intera
comunità.
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doveva essere organizzato come una cooperativa autonoma di produzione e consumo che
garantiva a tutti il benessere.
11. La popolazione dei kibbutzim si divide in quattro federazioni diverse ed indipendenti, che
coordinano attività e servizi comuni.
Due di queste federazioni, l’United Kibbutz Movement, più conosciuta con l’acronimo del suo
nome ebraico TAKAM, e il Kibbutz Artzi sono di orientamento laico-socialista e
raggruppano la maggior parte dei kibbutzim esistenti in Israele, circa il 92%; la terza, il Kibbutz
Dati, è di orientamento religioso e rappresenta il 6% delle comunità; infine il Poalei Agudat
Yisrael unisce gli unici due kibbutzim di orientamento religioso ultra-ortodosso.
Tutti i kibbutzim, comunque, indipendentemente dalla federazione cui fanno parte, rientrano
all’interno in quello che è conosciuto come “movimento kibbutzista” nazionale, che attraverso
accordi di reciproca assistenza, ha aiutato ed aiuta le varie comunità a superare le crisi
economico-finanziarie che li hanno colpiti, a dimostrazione dei principi di solidarietà e mutua
assistenza che costituiscono la base dell’ideologia del kibbutz.
12. cfr. F.Cardini, op. cit., pp. 485-48
9
Il centro degli insediamenti è da sempre la sala da pranzo, dove vengono serviti i pasti
collettivi e dove si svolge l’assemblea generale. E’ generalmente il luogo più
frequentato dei kibbutzim.
Come grandi famiglie i kibbutzim provvedono alle esigenze di tutti i membri, dal cibo
all’alloggio, dai capi di vestiario all’istruzione, dalla sanità agli svaghi, attingendo alla
cassa comune.
Nell’emporio dei kibbutzim si trovano, a disposizione di tutti, una vasta gamma di
merci di prima necessità, ma ogni membro ha anche diritto ad un bilancio individuale
che può spendere secondo i suoi gusti e le sue inclinazioni (ad esempio diversi prodotti
gastronomici, abbigliamento, viaggi all’estero, suppellettili, mobili). Proprio per venire
incontro a queste nuove esigenze attualmente negli empori si trova anche una buona
scelta di prodotti provenienti dal mercato esterno. All’interno degli insediamenti
collettivi non circola denaro, tutti gli acquisti sono registrati in un computer che
fornisce mensilmente il proprio resoconto ad ogni membro.
L’area residenziale, molto curata, generalmente riunisce tutte le abitazioni, i giardini,
l’asilo, la scuola, la sala giochi, l’auditorium, la biblioteca, la clinica medica, la
lavanderia, oltre al supermercato e alla mensa. In molti kibbutzim troviamo anche la
piscina, la palestra e il campo da tennis. Adiacenti troviamo la cucina e poi gli impianti
industriali.
I campi agricoli, i frutteti e gli allevamenti sono situati all’esterno del perimetro del
kibbutz, i cui collegamenti sono tenuti con piccoli trattori.
Ai giorni nostri nelle comunità vivono contemporaneamente almeno tre, e a volte anche
quattro, generazioni di persone, quasi una sorta di famiglia allargata, dove anche gli
anziani hanno un loro ruolo e dove i giovani possono trarre beneficio dall’esperienza
delle persone più vecchie. Nel kibbutz troviamo quindi realizzato un nuovo modello di
unità domestica, una comunità di famiglie e di individui che uniscono le loro capacità e
le loro forze per costruire un tipo di vita qualitativamente e moralmente superiore.
13
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13. cfr. Stanley Maron, op.cit., p. 18 e segg.
10
Capitolo II
Origini storiche del kibbutz.
L’Europa.
“Il mio fine e quello di altri, è magnifico, lontano e sublime, ma non irraggiungibile. E’
impossessarci della terra di Israele e, col tempo, ridare agli ebrei quella indipendenza
nazionale di cui essi furono derubati duemila anni or sono. Non ridere, non è una
chimera temporanea, ma un obiettivo serio che ci proponiamo di raggiungere in tre
modi: la costituzione di insediamenti agricoli, l’avvio di qualsiasi attività artigianale e
industriale, ed infine la loro costante espansione. In sintesi, un grande sforzo per
condurre la terra e tutta la sua economia in mano ebraica.”
1
Queste parole sono di Zee Dubnov, un pioniere giunto in Palestina nel settembre del
1882, e identificano il kibbutz, comunità caratteristica di Israele, come un punto di
arrivo di un lungo percorso storico, ideologico, spirituale.
E’ la ricerca di una patria, di una terra con cui identificarsi.
Kibbutz in ebraico significa “riunione” e identifica una specifica comunità
socioeconomica esistente in Israele, stabile, basata sull’agricoltura, fondata sui principi
della libertà personale, dell’autogoverno, della reciproca responsabilità e dell’economia
distributiva.
2
Il primo kibbutz venne fondato in Palestina, vicino al lago di Tiberiade, nel 1910, ma il
percorso storico che porta a tali insediamenti risale almeno Medioevo, anche se è fuor
di dubbio che affondi le sue radici fin dall’inizio della Diaspora, l’emigrazione del
popolo ebraico dalla Palestina, nel I secolo d.C., all’epoca della dominazione romana.
3
Dal I secolo d.C. e fino al Medioevo, il popolo ebraico aveva vissuto senza particolari
problemi, sparso un po’ in tutti gli stati europei, mantenendo l’autonomia nella gestione
delle proprie comunità, i Kahal,
4
ma gradualmente integrandosi con la popolazione
europea.
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1. Lorenzo Cremonesi, op. cit, pp.111-112
2. cfr. Stanley Maron, op.cit., p.7
3. Tradizionalmente si fa coincidere l’inizio della Diaspora del popolo ebraico dall’allora
Giudea con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., ad opera dei
Romani, durante il regno dell’imperatore Tito. In realtà fu 65 anni dopo, nel 135 d.C., che gli
Ebrei vennero definitivamente espulsi da quella che era diventata la provincia romana della
Siria-Palestina
4. Fin dagli inizi dell’emigrazione dalla Palestina, nel I secolo, in tutta Europa il popolo ebraico
si era strutturato in comunità indipendenti e autosufficienti con una propria dimensione
culturale, religiosa e civile, i “Kahal”, dirette da un consiglio di Anziani. La vita all’interno
11
Nel Medioevo iniziano le prime lente migrazioni della popolazione ebraica verso l’Est
del continente europeo.
Durante i secoli precedenti in alcune nazioni non erano mancati episodi di
antisemitismo, con accuse di fomentare guerre e di diffondere epidemie di peste nera.
5
Ma non è solo l’antisemitismo a spingere gli ebrei all’emigrazione. L’esclusione dalla
vita sociale ed economica delle Nazioni in cui risiedevano; la nascita di nuove forme di
Stato centralizzato che mal accettavano l’autonomia delle comunità ebraiche; le misure
di segregazione che, sotto l’influenza della Chiesa di Roma, iniziavano a venire
applicate nei paesi di fede cattolica, provocarono questi spostamenti.
6
Conseguenza di queste migrazioni all’inizio del XVIII secolo la maggior parte del
popolo ebraico europeo si trova concentrato tra i regni Germanici, la Polonia e la
Lituania. Con delle differenze.
Nei paesi germanici gli Ebrei si stabiliscono essenzialmente nelle città, svolgendo
attività tipicamente urbane (commercianti, avvocati, medici, banchieri), ma i Kahal
vengono osteggiati dal potere centrale per timore di complotti e sommosse.
In Polonia e Lituania gli Ebrei divengono agricoltori, allevatori, commercianti,
albergatori, amministratori di proprietà, e quelle stesse comunità, altrove invise,
venivano incoraggiate, tanto che lentamente si evolvono centralizzando sempre più
l’organizzazione interna e continuando a coltivare la propria autonomia e un certo
particolarismo cooperativo.
Nonostante queste diversità tra le varie zone europee, la vita del popolo ebraico procede
nel complesso serenamente fino all’incirca alla metà del XVIII secolo, quando, a
seguito degli sconvolgimenti politici che portano in tre riprese alla spartizione della
Polonia, nel giro di poco più di vent’anni la maggior parte della popolazione ebraica
mondiale divenne suddita dell’impero zarista.
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delle comunità era organizzata autonomamente, sia per l’amministrazione, sia per l’educazione,
sia per l’assistenza. Inoltre le comunità filtravano i rapporti con l’esterno, si occupavano di
raccogliere le imposte e assicuravano tutte le relazioni con il governo dello Stato in cui
risiedevano.
5. Queste accuse portarono alle grandi espulsioni degli Ebrei dalla Francia e dall’Inghilterra
nell’ultimo decennio del 1200 e per tutto il 1300
6. Durante questi secoli il continente europeo assiste al sorgere delle grandi monarchie
nazionali di Francia e Spagna. Inoltre viene profondamente scosso, non solo religiosamente,
dalla Riforma Protestante e dalla Controriforma Cattolica.
7. Nel 1756 ha inizio la Guerra dei Sette Anni, culmine di una serie di scontri che
coinvolgevano quasi tutte le nazioni europee (Prussia, Inghilterra, Francia, Austria, Russia,
Polonia e Sassonia) da oltre 20 anni. Durante questo conflitto cambiarono molti sovrani,
vennero mutate alleanze ed accordi, e a fare le spese di questo fu soprattutto la Polonia, la