2
Concorrenza, dunque, vuol dire il correre insieme, il
competere con gli altri; la disciplina della concorrenza si
prefigge l’obbiettivo di far concorrere i vari soggetti nel
rispetto di regole certe e eguali a tutti.
Il punto dirimente è questo: l’esistenza di pari opportunità
e l’eguaglianza di diritti e di doveri, perché ove esistesse per
alcuni una situazione di maggior favore, anche alimentata da
comportamenti scorretti, è chiaro che gli tutti gli altri
sarebbero competitivamente sfavoriti.
E’ per questa ragione che la tutela della concorrenza è uno
tra i “fondamentali” della disciplina giuridica, in quanto
definisce le regole che tutti i partecipanti devono rispettare
nell’esercizio della loro attività economica.
Da ciò ne discende che la disciplina giuridica che tutela e
protegge la concorrenza, e implicitamente i valori etici che la
connotano, è una tra le condizioni primarie a dover essere
rispettata in un società basata sul mercato, e le sue regole.
Del resto, solo una investigazione sul passato di questo
istituto, e di come esso sia venuto progressivamente
evolvendosi, permette di arrivare alla “vera” comprensione
dell’istituto giuridico attuale. Solo uno studio sistematico
della sua evoluzione ci permetterà di capire il perché della
disciplina attuale, solo individuando i motivi che hanno
portato il Legislatore a modificare la disciplina nel tempo, ci
consentirà di coglierne pienamente l’odierna tutela.
Solo conoscendo il Passato, possiamo sperare di
comprendere il Presente.
3
La storia della competizione economica e sociale e delle
regole che devono disciplinarla è la stessa storia della civiltà
occidentale.
Già Platone, nel dialogo di Lisia, riporta le condanne
inferte, durante la guerra del Peloponneso, agli importatori
ateniesi accusati di essersi accordati, in una sorta di cartello
ante-litteram, per fissare il prezzo del grano.
Nella common law britannica, già a partire dal xv° secolo,
si sanzionarono quei comportamenti commerciali che si
riteneva danneggiassero i clienti o i concorrenti: nella
London Gazette del 24-27 maggio 1703 venne pubblicato un
avviso con cui un coltellaio di Londra, certo How, si
lamentava che altri avesse adottato il “seme di picche e una
corona” ( in tutto simile al suo marchio costituito dal “seme di
cuori e una corona” ) e il nome fittizio di Now, del pari simile
al suo
4
; nella Francia pre-rivoluzionaria gli accordi di cartello
per la fissazione dei prezzi erano considerati alla stregua del
furto.
Lo stesso concetto di concorrenza, nel corso dei secoli, è
mutato sensibilmente: gli economisti del XIX° secolo per
esprimere il concetto di concorrenza economica utilizzavano
il termine libertà, intesa come assenza dei vincoli legislativi e
corporativi che vincolavano i lavori, le industrie ed il
commercio; la libertà economica veniva considerata
nell’accezione di “non intervento” statuale nei rapporti
economici privati.
L’economista scozzese Adam Smith
5
usava
promiscuamente le parole “perfect liberty” e “competition”.
4
FRANCESCHELLI, trattato diritto industriale, vol. I, p.163.
5
An Inquiry into the nature and causes of the wealth of Nation di A. SMITH.
4
Non si può tacere che ancora una volta Smith colse nel
segno perché la libertà, la concorrenza ed il pluralismo
costituiscono una triade inscindibile.
Negli scritti degli economisti italiani del XVIII° secolo la
concorrenza si ritrova nel senso d’offerta di una merce o
servizio, intesa come condizione generale della domanda e
offerta d’una merce
6
. Nel XIX° secolo il significato di
concorrenza si è andato specificando tecnicamente, mentre si
estendeva la sua applicazione nell’uso corrente; da quì libertà
industriale o economica e concorrenza sono termini che non
definiscono più la stessa cosa
7
; ma pur definendo cose diverse
è da ritenere che ciascuna di esse non può prescindere
dall’altra.
Nel corso del XX° secolo, alcuni sistemi politici hanno
provato a strutturare la propria società deprivandola della
concorrenza e, conseguentemente, della sua connaturale e
conseguente disciplina giuridica; il riferimento è,
evidentemente, ai Regimi comunisti che hanno governato per
quasi un secolo, ma lo stato miserrimo delle loro economie e
delle condizioni di vita dei loro cittadini dimostrano il
fallimento di questi tentativi, che pur hanno coinvolto e illuso
milioni di persone.
I vantaggi economici indotti dal sistema concorrenziale
sono chiaramente individuabili
8
; infatti, le imprese in
concorrenza tra loro nello stesso mercato tenderanno a
contendersi l’un l’altra i clienti, allettandoli con le condizioni
più attraenti: attraverso il ribasso dei prezzi o l’aumentata
6
Elementi di economia pubblica di C. BECCARIA.
7
Princ. of Pol. Econ.,di A. MARSHALL.
8
Corso di Economia Politica di base,di G. CHIRICHIELLO, 1995, giappichelli; Economia, di FISCHER S.,
DORNBUSCH R., SCHMALENSEE R., 1994, hoepli; Concorrenza e antitrust, di PERA A., Il Mulino, 1998.
5
qualità delle merci. D’altra parte, lo stesso stimolo alla
massimizzazione del profitto spingerà gli imprenditori alla
ricerca di nuove opportunità produttive e commerciali,
mediante la creazione di nuovi beni o l’introduzione di nuovi
processi produttivi, che permettano di risparmiare sui costi.
Attraverso questo processo virtuoso le risorse disponibili
sono indirizzate a produrre beni che i consumatori desiderano,
nella quantità che essi desiderano ed ai prezzi che prevalgono
nel mercato; i prezzi spuntati sono, data la propensione delle
imprese a contendersi sempre più vaste aree di mercato,
tendenzialmente i più favorevoli per i consumatori.
E’ importante osservare che gli effetti della spinta
all’efficienza, indotta da un sistema concorrenziale, hanno
luogo non solo in un contesto “statico”, cioè con dati prodotti
e tecniche produttive, o di “breve periodo”, in cui l’impresa è
indotta a ridurre il più possibile i costi e ad utilizzare nella
maniera più efficace le tecniche disponibili.
La concorrenza esercita un effetto benefico anche in un
contesto “dinamico”, e di “lungo periodo”, in cui si assiste
all’introduzione di nuovi processi produttivi, o di nuove
modalità di distribuzione commerciale, nonché all’immissione
sul mercato di nuovi prodotti, in sostituzione di quelli
obsoleti, mediante cui le imprese cercano di acquisire
situazioni di vantaggio rispetto ai concorrenti.
Nel “lungo periodo” i consumatori si avvantaggeranno
dell’introduzione di nuovi e più efficienti processi produttivi,
che consentiranno un decremento del costo, e dunque del
prezzo della merce, mentre la diffusione di nuovi prodotti,
6
rispondenti alle esigenze della domanda, amplierà la loro
possibilità di scelta.
E’ questo il modo con cui la concorrenza modella lo
sviluppo dell’apparato produttivo di un’economia moderna,
così da consentire il più congruo utilizzo delle risorse
disponibili.
Questa pressione verso l’efficienza da luogo a situazioni
desiderabili per i consumatori in quanto usufruiscono dei
prezzi bassi indotti dalla concorrenza.
Pertanto il sistema di mercato concorrenziale garantisce la
migliore tutela delle esigenze dei consumatori, pur essendo
questa una conseguenza indiretta del suo funzionamento.
Si può, dunque, comprendere come la concorrenza porti ad
una maggiore efficacia del sistema produttivo che si traduce
in un miglioramento della società stessa; ed è proprio per
questo motivo che la tutela della concorrenza è basilare.
Determinare quale è la concorrenza lecita e quale, invece, è
la concorrenza sleale è una sorta di precondizione senza la
quale il sistema concorrenziale subisce una involuzione a
danno del consumatore che ne patirà gli inganni ed a
detrimento della stessa efficienza del sistema economico e
produttivo.
L’evidente opposto della concorrenza è il monopolio. Il
monopolio può essere di origine “naturale”, nel senso che è
creato dal “monopolista”, che “naturalmente” produce il
monopolio, espellendo tutti i concorrenti dalla competizione;
oppure può essere “legale”, nel senso che è il legislatore ad
interviene, per eliminare la competizione economica in un
dato settore.
7
Questa scelta del legislatore può derivare da motivi
ideologici, sociali o economici. Il legislatore può favorire il
monopolio, perché ritiene che un dato settore economico, sia
più efficacemente gestibile da un unico soggetto, oppure
perché ritiene che, in quel determinato settore, la normale
competizione del sistema liberale non sia rispondente alle
esigenze della collettività.
Fuori dai casi dell’esistenza di monopoli legali, quando il
concorrere stesso è illecito, e illecita è l’entrata di nuove
imprese nel mercato, nessuno ha titolo o diritto ad impedire
che altri entrino in campo, concorrendo con lui, per
conquistare quella parte di mercato che potrà.
In ordinamenti giuridici come quello italiano, dove la
libertà di iniziativa economica è un dato costituzionale
9
,
l’entrata di altri operatori nel mercato, lo stabilirsi o l’allagarsi
di una situazione concorrenziale dove prima non c’era o era
limitata, sono consentiti e, comunque, non ostacolati.
Coloro che già sono sul mercato risentiranno certo dei
riflessi sfavorevoli di una tale sopravvenuta o accresciuta
concorrenza, ma questo pregiudizio è meramente di fatto, che
non potrà certo, in sé, dirsi “iniuria” ed essere eliminato o
risarcito.
L’articolo 41 della Costituzione, per vero, “…enuncia sul
piano costituzionale la libertà economica nella sua
fondamentale manifestazione di iniziativa economica privata,
che si traduce nella possibilità di indirizzare liberamente,
9
Articolo 41 della Costituzione della Repubblica Italiana del 27 dicembre 1947; FRANCESCHELLI, Trattato di diritto
industriale, II, p.493 e ss.; ASCARELLI, Teoria della concorrenza, p.13 e ss.
8
secondo le proprie convenienze, la propria attività nel campo
economico…”
10
.
“…La legge, perciò, permette il libero esercizio della
attività economica, che anzi incoraggia e tutela come di
pubblico vantaggio…( e se ) ciascun atto di concorrenza in
quanto tale produce sempre un pregiudizio agli altri
concorrenti, sottraendo loro clientela, affari o mercato,
quanto meno in via potenziale…”
11
ciò da luogo “…a mere
ripercussioni di carattere economico quali comporta
inevitabilmente ogni forma di concorrenza
12
, ma tali
ripercussioni non costituiscono un danno giuridico…”
13
La legge non garantisce ad alcuno, che inizi o svolga una
attività produttiva o di scambio, che nessun altro verrà a
concorrere; nessuno insomma garantisce all’imprenditore il
monopolio di quella attività o la clientela che con essa si è
formata, o il profitto che egli ne ha tratto e ne spera, o anche
solo che ad un dato suo sforzo corrisponda un determinato
effetto correlato alla sua aspettativa
14
.
Nessuno, pertanto che non abbia un legittimo titolo per
farlo ( esempio un brevetto d’invenzione, e nel periodo di
durata del brevetto stesso, relativo al prodotto che altri
vorrebbero ) potrà impedirlo.
Un tale titolo non può rinvenirsi nella dottrina della
concorrenza in quanto non è, com’è stato giustamente detto,
un mezzo per allargare il contenuto o allungare o perpetuare la
10
Sentenza n. 29 del 27 gennaio 1957 della Corte Costituzionale, in Raccolta ufficiale delle sentenze e ordinanze della
Corte Costituzionale, II, p.281 e ss.
11
Cassazione, 22 ottobre 1956, in Riv. dir. ind., 1958, II, p.209.
12
Cassazione, 14 marzo 1957, in Riv. dir. ind., 1958, II, p.215.
13
Cassazione, 22 ottobre 1956, in Riv. dir. ind., 1958, II, p.209.
14
FRANCESCHELLI, Piccola miscellanea, p.471; ASCARELLI, Teoria della concorrenza, p.192,193,195.
9
durata dei diritti assoluti su beni immateriali o posizioni
esclusive
15
.
Questo concetto ( che è poi una variazione dell’altro,
precedentemente enunciato, ossia che la concorrenza è in sé
lecita e sono semmai illeciti i mezzi adoperati o le modalità
con cui viene compiuta) ha permesso alla giurisprudenza
italiana di riaffermare la validità delle importazioni in zona di
esclusiva contro le pretese monopolizzatrici degli agenti
16
, e le
ha permesso di negare che possa costituire titolo ad escludere
altri dall’esercizio di una data attività, il fatto che ci si è ad
essa dedicati per primi, con larghe spese di pubblicità e
simili
17
. In ciò pienamente d’accordo con la giurisprudenza di
altri Paesi
18
.
Scrisse la Corte d’Appello di Milano
19
che “… la
circostanza che l’esclusività abbia sostenuto spese di
organizzazione e propaganda non arreca alcun contributo
alla configurazione di un rapporto suscettibile di tutela erga
omnes, in quanto da un lato, come sul piano economico è
inidonea a generare un diritto soggettivo alla clientela,
dall’altro la posizione dell’esclusività non è diversa da quella
di qualsiasi altro imprenditore che abbia sostenuto le spese di
una campagna pubblicitaria, della quale si avvantaggino per
forza di cose anche i suoi concorrenti, senza che egli abbia
mezzo legale per impedirlo…”.
15
ASCARELLI, Teoria della concorrenza, p.187.
16
Cassazione del 22 ottobre 1956, del 14 marzo 1957, del 31 luglio 1957.
17
Cassazione del 31 luglio 1957, in Riv. dir. ind., 1958, II, p.219.
18
In America, la sentenza nel caso Perlberg c. Smith, della New Jersey Court in 70 nj Eq. 642 62 A 442 (1905), la quale
ha ritenuto in un caso in cui lo sfruttamento dell’altrui pubblicità era anche più diretto che “…it may be unethical for
one trader to take advantage of the advertising of his neighbour, but his so doing would in many instances be entirely
legal…”.
19
Corte d’Appello di Milano, 3 febbraio 1956, in Riv. dir. ind., 1956, II, p.70.
10
I° CAPITOLO
LO SVILUPPO DEL CONCETTO DELLA
CONCORRENZA DAL CORPORATIVISMO
MEDIOEVALE ALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Il problema della lealtà concorrenziale e,
corrispondentemente, la definizione di una disciplina rivolta a
reprimere la concorrenza sleale, sono due esigenze speculari
che si possono già rintracciare nel diritto romano; infatti il
diritto romano tese a ricondurre nell’ambito del rimedio
generale previsto contro l’atto illecito, e cioè nell’ambito
dell’actio iniuriarum, sia l’assunzione di un nome falso volto
ad ingannare, facendosi passare per chi non si è, sia la
falsificazione di marchi e sigilli che le false indicazioni di
provenienza.
Nel diritto romano lo storno o la subordinazione di
dipendenti (e di schiavi) onde carpire i segreti commerciali
faceva parte dell’actio servi currupti e viene prospettato come
un precedente dell’attuale storno di dipendenti
20
.
Né era ignota al diritto romano quella che oggi
chiameremmo la frode in commercio, e cioè l’inganno circa
l’origine, la qualità e l’identità delle cose vendute
(stellionato).
Parimenti, non erano ignoti alcuni tipi di patti limitativi
della concorrenza, come risulta dall’Editto di Zenone del
483
21
, né era sconosciuta l’illecita concorrenza consistente
nella violazione delle norme imposte agli artigiani nel tardo
20
FRANCESCHELLI, trattato di diritto industriale, I, l’intero capitolo III dalle p. 69 e ss.
21
Riportato in Cod.IV, 59,2, sia, per Bisanzio, dal libro del Prefetto di Leone il savio.
11
impero, rivolte a garantirne la qualità e la continuità
produttiva, nonché le prestazioni degli artigiani
22
.
Le Corporazioni
Il sistema economico e produttivo medioevale, sia
nell’industria che nell’agricoltura, era caratterizzato dalla
mancanza di libertà economica.
L’assetto illiberale dell’economia medievale escludeva “ab
ovo” la presenza di una qualche disciplina che tutelasse la
libera concorrenza e che, dunque, sanzionasse la concorrenza
sleale in quanto, evidentemente, il principio della libera
concorrenza, e della relativa disciplina giuridica che la tutela,
è una applicazione del più ampio principio della libertà
economica.
L’industria e il commercio, nel medioevo, erano
appannaggio esclusivo di quelle particolari organizzazioni di
mestiere dette “Corporazioni di arti e mestieri”.
Le Corporazioni di arti e mestieri, oltre alla condizione di
assoluto monopolio che assicuravano ai loro membri nello
svolgimento dell’attività economica
23
, erano caratterizzate dal
fatto che l’attività produttiva era inscindibilmente connessa
all’attività commerciale.
L’artigiano aderente alla Corporazione produceva le merci
e le vendeva direttamente, senza sostanziale intermediazione
22
D. XXXVII, 14-18. “…quadro an libertus prohiberi potest a patrono in eadem colonia in qua ipse negotiatur idem
genus negotii exercere. Scevola respondit non posse prohiberi…”. Il passo è riferito dal GIANNINI, La concorrenza
illecita, p.11, nota 2.
23
PERTILE, storia del diritto italiano, vol II, parte 1°, Torino 1897, pagine 178 ss.; CALISSE, storia del diritto
italiano, 2° edizione, vol. II, Firenze 1903, pp. 223-224; SOLMI, arti, in enciclopedia italiana, vol. IV.
12
mercantile; ossia, il processo di produzione delle merci era
“verticalizzato”, nel senso che ciascun lavoratore artigiano
realizzava il prodotto finito che immetteva nel mercato.
Da ciò si evince, chiaramente, che nell’assetto produttivo
ed economico medioevale mancava del tutto la più elementare
forma di impresa. L’artigiano medievale era un lavoratore in
proprio aiutato, a volte, da qualche altro lavorante:
l’apprendista.
Le corporazioni medievali ebbero, specialmente in Italia,
in Francia e in Germania, una importanza economica
notevolissima ed una non meno determinante influenza
politica nel governo delle città.
Gli storici ritengono che le corporazioni siano di origine
romana, ma è certo che si andarono più favorevolmente
sviluppando nei territori sottoposti alla dominazione
Longobarda ed è, quindi, verosimile che le migliori condizioni
al loro sorgere e consolidarsi si ebbero prevalentemente in
quei territori in cui il diritto longobardo ben si innestò nella
tradizione giuridica romana .
Tra gli aspetti, all’epoca, positivi da riconoscere alle
corporazioni è che svolsero un utile ruolo nel dar forza alla
difesa degli interessi popolari nei confronti dei feudatari
24
.
Al principio del secolo XII° si ha notizia di varie
corporazioni a Ravenna e a Roma, e nel secolo XIII° a Verona
e a Padova
25
.
Ogni mestiere e arte era ordinato a corporazione e nessuno
poteva esercitarla senza esserne iscritto; il che presupponeva
una serie di requisiti a cui si doveva sottostare e dava quindi
24
CALISSE, po. vol. citt., pag. 223.
25
PERTILE, op. vol. citt., pag. 180.
13
luogo a molteplici esclusioni, fra cui quella dei così detti
“forestieri”, cioè delle persone non residenti.
Perno del sistema corporativo era l’obbligatorietà
dell’appartenenza ad una corporazione, cioè l’esclusione
dell’artigiano forestiero e l’abilitazione esclusiva dei soci.
In questa forma l’obbligo di appartenenza ad una
corporazione si presenta già nel 1149, nell’ordinamento di
Colonia dei tessitori di federe: chiunque avesse voluto
esercitare quel mestiere nella città (infra urbis ambitum)
doveva necessariamente appartenere alla specifica
corporazione.
L’appartenenza alla corporazione permetteva a tutti i suoi
appartenenti di acquistare le merci alle stesse condizioni; non
era consentita la prelazione
26
, intendendo per prelazione la
preferenza accordata per legge o per convenzione, a parità di
condizioni, a un dato soggetto nell’esercizio del diritto di
acquisto di un dato bene.
Altra causa di esclusione dalle corporazioni era una grave
violazione delle norme statuarie: in tal caso i vertici gerarchici
delle corporazioni (consoli e capitani), che avevano anche
funzioni giurisdizionali, avevano facoltà di espellere il
colpevole in perpetuo dalla corporazione.
Gli statuti delle corporazioni regolavano ogni aspetto della
vita del lavoratore; stabilivano, perfino, il numero di botteghe
che potevano essere aperte in ogni città, e le distanze cui le
botteghe dovevano essere l’una dall’altra
27
.
Gli statuti contenevano, inoltre, delle norme di mutualità
rivolte ad assistere gli aderenti e salvaguardarne i beni.
26
ENNEN, storia della città medievale, laterza, 1975, pag. 146.
27
PERTILE, op. vol. citt., pagg. 186 e nota 38.