12
Nelle tappe di definizione dell’oggetto specifico della tesi ho attraversato le
diverse discipline che si occupano dei meccanismi che regolano il marketing
editoriale, indagando con particolare attenzione lo sviluppo del mercato dei
quotidiani locali e le variabili che condizionano il comportamento d’acquisto dei
lettori di giornali provinciali. Per facilità di analisi e possibilità di accesso diretto alle
fonti, l’indagine è stata limitata alle sole imprese editrici di quotidiani in Italia; la
letteratura di riferimento è stata quindi selezionata di conseguenza. Ciò, tuttavia, non
ha impedito di introdurre confronti con l’esperienza di paesi stranieri ogniqualvolta
l’analisi comparata sembri arricchire significativamente gli argomenti trattati. A
fronte di una sostanziale puntualità spaziale – il mercato italiano in generale, quello
bergamasco in particolare – e temporale – l’ultimo decennio – si è allargato
l’obiettivo nel mettere a fuoco l’oggetto di analisi, comprendendo tanto il prodotto-
giornale quanto l’impresa che ne cura la realizzazione.
Nella prima parte della tesi ho indagato in particolare le politiche e le strategie di
marketing della stampa quotidiana italiana. Nelle parti successive ho sviluppato le
ipotesi di ricerca definite nella prima, concentrando l’attenzione prima sulla
differenziazione delle testate provinciali, poi sul processo di radicamento in un
territorio - che si conclude, nella migliore delle ipotesi, con una stretta identificazione
tra comunità locale e giornale provinciale, fino a decretarne una condizione di
monopolio dell’opinione pubblica territoriale (è il caso de L’Eco di Bergamo) -,
posto si è piazzato il Giornale di Brescia con una media di 54.655 copie vendute ogni giorno, al terzo
L’Arena di Verona con 50.418 copie.
13
infine sulle motivazioni psicologiche che stanno alla base dell’affermazione di un
quotidiano locale. Per arricchire la tematica e tratteggiare il possibile futuro di una
testata provinciale di successo, ho concluso la ricerca con una serie di interviste ai
direttori dei due quotidiani locali presenti nel territorio di Bergamo e provincia.
La principale difficoltà in una ricerca sperimentale di questo tipo consiste nel fatto
che, a differenza della generalità dei settori maturi, il comparto dell’editoria
quotidiana è stato e continua a essere interessato da un processo di innovazione
tecnologica di intensità tale da modificarne i contorni in materia sostanziale. Questo
ha chiaramente importanti ripercussioni sulle dinamiche concorrenziali interne,
provocando una revisione continua dei comportamenti competitivi delle imprese. La
complessità nel tracciare un potenziale scenario futuro della stampa italiana,
nazionale e provinciale, proviene, inoltre, dal fatto che la perenne evoluzione del
contesto sociale, culturale, politico ed economico, oltre che tecnologico, in cui si
muove e da cui è condizionato il mercato dei quotidiani, rende spesso già superate
anche le ipotesi più circostanziate. Identificare un preciso punto di arrivo nello
sviluppo del settore della stampa quotidiana, un settore costantemente “in fieri”, è
come tentare di trattenere della sabbia in un pugno. La materia, insomma, è molto
fluida. Sarà anche per questo ordine di motivi che un’indagine sistematica ed
esaustiva sulle tecniche di successo del marketing editoriale è difficilmente reperibile,
come dimostra la scarsità della letteratura di riferimento. E’ giocoforza quindi
ricorrere, nel tentativo di delineare alcune ipotesi sul futuro della carta stampata
(nazionale o provinciale che sia), a una serie di fonti, tanto più varie quanto più
14
complete: ricerche e analisi sulla domanda di quotidiani (Abacus, Cirm, Censis), dati
e statistiche su vendite e diffusione (Ads, Audipress, Fieg, Wan), articoli di riviste
specializzate (“Problemi dell’informazione”, “Prima Comunicazione”, “Tabloid”),
articoli e inserti di giornale (nel mio caso “L’Eco di Bergamo”), interviste personali.
Il percorso, che si è concluso con la focalizzazione dell’analisi sul caso de L’Eco di
Bergamo, non poteva, tuttavia, fare a meno di prendere il via da uno sguardo
panoramico sul marketing editoriale in generale, in modo da individuarne le
caratteristiche salienti e proiettarle sulla situazione particolare della testata
bergamasca.
Nel trattare una materia tanto complessa le chiavi di lettura potrebbero essere
molteplici. Nella prima parte si è ritenuto opportuno fare riferimento a uno schema
analitico di matrice economica, adottando la prospettiva degli studiosi di economia
aziendale e del marketing dei sistemi di comunicazione di massa. A parte il
riferimento a fonti di carattere statistico, quanto mai necessarie per identificare i punti
di forza e debolezza del mercato dei quotidiani in Italia, si sono utilizzate per lo più
opere che trattassero la gestione delle imprese editrici di quotidiani. Nello specifico,
l’attenzione è andata in via prioritaria alle scelte organizzative e alle tecniche di
lavorazione, distribuzione e diffusione del prodotto, con l’intento di analizzarne la
criticità in vista di un obiettivo di “soddisfazione della domanda” assai composito e
variegato (i due principali target di riferimento sono rappresentati da una parte dagli
utenti di pubblicità, dall’altra dai lettori). Di fatto, giungendo da un passato di più o
meno spiccata strumentalizzazione di carattere politico o economico (il retroterra
15
storico è stato analizzato nel capitolo 2), i quotidiani in quest’ultimo decennio sono
per la prima volta “entrati” nel mercato e hanno cominciato a seguirne le leggi.
Proprio da questo sfondo, caratterizzato dalla ricerca di un giusto equilibrio tra il
prodotto-giornale ed il servizio-informazione, tra cultura manageriale e cultura
giornalistica, ha preso avvio la presente tesi (capitolo 1). Per meglio delineare il
percorso analitico seguito, il lavoro è stato dedicato anche alla descrizione del
contesto in cui l’impresa editrice di quotidiani si colloca, tentando di delimitare i
contorni del settore e le peculiarità del prodotto/servizio offerto (capitolo 3). Si sono
esaminate, quindi, le diverse tipologie di quotidiano che l’impresa editrice può
realizzare (capitolo 4) e i gruppi strategici che potrebbero condizionare la
differenziazione competitiva delle varie testate (capitolo 5). Si è ritenuto opportuno,
per maggior scrupolosità, esaminare anche la situazione della domanda di quotidiani
in Italia, accennando ad alcune tipologie di classificazione della stessa (capitolo 6).
Argomento centrale di questa prima parte è stata, tuttavia, l’indagine sulle variabili
specifiche del marketing mix che l’impresa editrice può manovrare per rendere più
appetibile il proprio prodotto e migliorare complessivamente il posizionamento sul
mercato (capitolo 7). Analizzando le possibilità di sopravvivenza e sviluppo delle
imprese editrici di quotidiani si è, infine, accennato agli scenari futuri, ovvero alle più
probabili linee di evoluzione del comparto, già oggi in parte emergenti dal
moltiplicarsi delle iniziative in ambiente virtuale (capitolo 8). Questo per ricordare
che pochi settori sono oggi soggetti a una trasformazione tanto rapida e dagli esiti
incerti quanto quello dell’editoria quotidiana.
16
Nella seconda parte si è avviato il passaggio dall’impostazione teorica dei
problemi e dalla definizione dell’oggetto e degli strumenti d’analisi, all’analisi vera e
propria. Si è puntato l’obiettivo sulla situazione dei quotidiani locali in Italia,
esaminandone differenziazione, posizionamento, punti di forza, ragioni di successo,
potenziali risposte alle sfide future. Si sono, inoltre, attuati una prima serie di
confronti fra L’Eco di Bergamo, il concorrente territoriale, e gli altri giornali
provinciali. Da tale analisi è emersa l’importanza del fattore “territorialità”, ovvero la
rilevanza del rapporto di reciproca fiducia tra giornale e comunità locale nel fornire
forza e senso all’esistenza, presente e futura, dei quotidiani provinciali in un mondo
“globalizzato” (capitolo 9).
Si è quindi passati (Parte terza) allo studio di tale fattore nella comunità
bergamasca. La storia de L’Eco di Bergamo (capitolo 10), oggetto specifico della tesi,
e della concorrenza (capitolo 11), è stata esemplificativa delle modalità con cui una
testata locale si radica in un determinato territorio.
Nell’ultima parte del percorso, infine, attraverso lo studio dei risultati di ricerche
condotte sui lettori bergamaschi dagli istituti Abacus e Cirm, ho provato a mettere in
rilievo le motivazioni psicologiche che stanno alla base del successo di un quotidiano
locale (capitolo 12). Le interviste al direttore de L’Eco di Bergamo, al Responsabile
Progetti Editoriali del giornale in questione, e al direttore de Il Nuovo Giornale di
Bergamo (capitolo 13), hanno completato l’analisi e fornito utili indicazioni sulla
linea che i quotidiani bergamaschi intendono seguire nel medio-lungo periodo.
17
Il percorso è stato irto di tentazioni di perdermi lungo gli innumerevoli rivoli della
specializzazione di ogni argomento che affrontavo. Ringrazio, quindi, la dott.ssa
Paola Salmaso per avermi tenuto ancorato all’oggetto di analisi.
Un grazie anche a L’Eco di Bergamo, la testata in cui in sei anni di collaborazione
ininterrotta è maturata la mia passione per il mondo editoriale e, quindi, il primo seme
di questa tesi. Nell’ambito di tale giornale, si ringraziano, in particolare, per la
disponibilità mostrata nel venire incontro alle mie esigenze di lavoro (accesso
all’utilizzo di dati e fonti riservate), Claudio Calzana (responsabile Comunicazione e
Progetti Editoriali), Glauco Tarchini (responsabile Diffusione e Abbonamenti),
Daniela Taiocchi e Ezio Pellegrini (Segreteria di redazione), e i responsabili
dell’Archivio del quotidiano bergamasco.
Parte prima
Il marketing delle imprese editrici di
quotidiani
19
1. Giornalismo e logica d’impresa: alla ricerca di
un equilibrio
In Italia i giornali nascono sulla base di “intuizioni” o, se si preferisce, di
“pratica” giornalistica. Non sono rari i casi di giornalisti bagnati dal successo, che
hanno pensato di poter creare un “prodotto chiamato giornale” semplicemente
trasferendo in un’impresa editoriale i propri personali risultati positivi.
Un’operazione che Paolo Maria Di Stefano commenta con una certa ironia
1
: “E’
la stessa operazione che compirebbe un caporeparto o un operaio che, ritenuto o
ritenendosi bravissimo e tecnicamente insuperabile nella sua specializzazione di
saldatore, fondasse un cantiere navale.”
Gran parte delle imprese cosiddette product oriented nasce in questo modo, e
gran parte di queste imprese nel mercato attuale, fortemente concorrenziato, è
costretta a ricorrere a tecniche di marketing per sopravvivere. Solo che, gestiti in
questo modo, i mezzi di marketing (per esempio, il mezzo promozionale) si
rivelano generalmente molto più costosi e molto meno efficaci di quanto non lo
siano quando ad impostarli ed utilizzarli sia un’impresa marketing oriented
2
e
1
P. M. Di Stefano, Il marketing e la comunicazione nel terzo millennio, FrancoAngeli, Milano,
2001, p. 228.
2
Per la differenza tra imprese product oriented e imprese marketing oriented si può rimandare alla
spiegazione di W. J. Stanton e R. Varaldo, Marketing, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 26: “Nelle
imprese orientate al prodotto l’attenzione è concentrata sulle funzioni di progettazione e
produzione dei beni, mentre per quanto riguarda il settore commerciale l’attività svolta è molto
20
dunque dotata di prodotti attesi dai portatori di bisogno e di un piano di marketing
correttamente impostato.
Purtroppo, l’esigenza di applicare i principi e gli strumenti economici aziendali
alla produzione di un quotidiano ha spesso incontrato dure resistenze
nell’ambiente giornalistico, geloso della “esclusività” della propria attività.
“Alcuni giornalisti – scrive Claudio Dematté
3
- , fautori e succubi di una
sindacalizzazione ideologica, per anni si sono rifiutati di riconoscerla come
attività soggetta anch’essa alle regole economiche”. Di Stefano rincara la dose
4
: “I
giornalisti nascono sul marciapiede, e su questo si formano e (troppo spesso)…si
fermano. A differenza di tutti gli altri professionisti dello stesso alto livello
(avvocati, medici, architetti, dottori commercialisti…) non hanno una scuola
specifica alle spalle
5
. Non hanno cioè quel bagaglio verificato di “saperi” che,
approfondito, riconosciuto esistente da una verifica apposita, affinato e
sperimentato nella pratica è il patrimonio di un professionista. Soprattutto, non
hanno cultura manageriale e gestionale”.
ridotta ed in pratica concerne soltanto la cura dei rapporti con la clientela […]. L’orientamento al
prodotto è tipico delle situazioni di mercato e concorrenziali nelle quali non sussiste l’esigenza di
un effettivo sforzo di vendita da parte dei produttori, in quanto l’offerta complessiva non è
squilibrata rispetto alle dimensioni della domanda”; e pp. 30-31: “L’orientamento al marketing
caratterizza il comportamento delle imprese che mirano a realizzare un giusto equilibrio tra le
esigenze della clientela e le esigenze dell’azienda, ovvero che cercano di tener conto dei desideri e
delle preferenze dei consumatori senza peraltro trascurare lo scopo proprio di qualsiasi impresa,
che consiste nella realizzazione di un risultato economico nella prospettiva del medio-lungo
periodo […] La funzione marketing non interviene così solo a valle del processo produttivo per
gestire le attività connesse alla vendita, ma riveste un ruolo fondamentale nella fase di definizione
delle strategie aziendali ed in specie nella scelta dei beni da produrre, per far sì che siano coerenti
con le opportunità espresse dall’ambiente/mercato”.
3
C. Dematté, “Prefazione” a E. Prandelli, Oltre la notizia, economia e gestione delle imprese
editrici di quotidiani, Etas, Milano, 1999, p. XI.
4
P. M. Di Stefano, op. cit., p. 229.
5
“Attenzione: non significa - aggiunge P. M. Di Stefano, op. cit., nota 3, p. 229 – che i giornalisti
non abbiano una cultura, una o più lauree e magari anche un premio Pulitzer ed uno Nobel.
Significa soltanto che una scuola di giornalismo equiparabile ad una facoltà di giurisprudenza o di
21
Ecco, quello che manca nell’impresa-giornale è soprattutto la preparazione e la
professionalità di un responsabile di gestione dello scambio di cui il giornale è
oggetto. “Tecnica produttiva (in senso lato di “come” il giornale è fatto, di “cosa
contiene”, di “qual è la linea editoriale”) – continua Di Stefano
6
– e tecnica di
gestione in un giornale tendono a coincidere nella figura del direttore […]
Generalmente proviene dalla pratica giornalistica e altrettanto generalmente
conosce tutti gli aspetti tecnici della produzione di un giornale. Il fatto è, appunto,
che egli è il capo della produzione, il responsabile degli aspetti tecnici e
contenutistici del prodotto nei termini stessi in cui lo è un direttore di fabbrica o di
produzione. Ma i fatti tecnici sono solo uno degli aspetti della gestione del
prodotto”.
7
Insomma, secondo Di Stefano
8
: “Il giornale non è un “prodotto diverso”, come
i giornalisti (e gli editori) tendono a credere. O, meglio, lo è nella stessa misura
nella quale un cioccolatino è diverso da una portaerei e da una brioche. Tutti i
prodotti sono “diversi”, nel senso che ciascun prodotto ha necessità diverse da
architettura o di ingegneria è stata per troppi anni la grande assente in un fenomeno, quello della
comunicazione, che per altri versi proprio di professionalità specifiche vive e si giova”.
6
P. M. Di Stefano, op. cit., p. 229.
7
A proposito del ruolo del direttore responsabile di un quotidiano è possibile confrontare E.
Prandelli, Oltre la notizia, economia e gestione delle imprese editrici di quotidiani, Etas, Milano,
1999, p. 180: “[…] Il direttore responsabile è il vero artefice dello sviluppo della singola testata,
conferendogli un’autonomia sconosciuta a qualsiasi pari livello operante in un diverso settore,
dove forse l’identità tra ruolo e potere non è così accentuata […] La complessità delle logiche che
ispirano i prodotti editoriali – al servizio di bisogni politici e di integrazione sociale, oltre che di
informazione – ha inciso sulla stessa organizzazione della produzione e dell’impresa: non esiste
praticamente nessun altro settore nel quale all’azienda nella sua totalità sfugga il controllo su una
parte della stessa – quella redazionale -, che gode di un’indipendenza tale da non consentirne la
piena integrazione”; e p. 184: “Il direttore responsabile di un quotidiano assume sempre più
frequentemente compiti di tipo manageriale, fungendo da anello di congiunzione tra redazione ed
editore e, specie nei giornali locali, svolgendo anche una funzione di raccordo tra la testata e il
territorio”.
8
P. M. Di Stefano, op. cit., pp. 229-230.
22
quelle di ciascun altro; vincoli diversi da quelli cui ciascun altro è soggetto;
opportunità diverse da quelle che ciascun altro prodotto ha. E, naturalmente, non è
vero che il giornale “non è un prodotto”
9
. Quando un giornale entra nel mondo
delle promozioni delle vendite e della concorrenza afferma in toto, in assoluto,
senza alcuna possibilità di equivoco, la propria natura di “prodotto per la vendita”,
in aperto contrasto con la “filosofia” sintetizzata sopra. Si rischia che si verifichi
la stessa cosa che accadrebbe se una operazione chirurgica venisse effettuata da
un architetto”.
Senza bisogno di essere così ingenerosi e quasi provocatori come Di Stefano, è
tuttavia vero che il rispetto dei principi di economicità è ormai imprescindibile
anche nell’ambito di un settore che, individuando nella parte giornalistica l’anima
della propria attività, tende a relegare in secondo piano il problema del
raggiungimento di un equilibrio tra costi e ricavi. La realtà odierna ha insomma
costretto anche i giornali a fare i conti con la cura dell’organizzazione e della
gestione. Osserva a questo proposito Emanuela Prandelli
10
: “A partire dagli anni
ottanta
11
le case editrici di quotidiani hanno cominciato a dimostrare crescente
9
“Giornalisti e scrittori – aggiunge P. M. Di Stefano, op. cit., nota 4 p. 229 - hanno lo strano
atteggiamento di coloro che reputano che il termine “prodotto” (e più ancora quello di “merce”)
abbiano una connotazione negativa, in qualche modo “non etica” e dunque denobilitante, assieme
al prodotto, anche la professione. Dopo di che, non esitano non tanto e non solo a prostituire se
stessi ed il giornali sui viali della pubblicità, per esempio, ma addirittura a “far nascere” questo
nobilissimo “non prodotto” esclusivamente in vista della raccolta pubblicitaria ed a condizionare il
contenuto delle pagine e il numero di esse alla quantità di pubblicità presente. Salvo offendersi se
qualcuno glielo fa notare. E salvo addossare la “colpa” all’editore.”
10
E. Prandelli, op. cit., p. 3.
11
Fino agli anni ottanta le imprese editoriali si sono sempre caratterizzate per bilanci in perdita e
una conseguente, perenne dipendenza da risorse esterne, con inevitabili ripercussioni sulle stesse
politiche editoriali. Al proposito è bene ricordare quanto affermato da G. Airoldi, G. Brunetti e V.
Coda (Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 177): “Se l’azienda non si svolge
secondo convenienza economica, essa non può essere mezzo per conseguire gli altri fini di istituto
non economici ispirati dall’etica, dalla morale e dalla politica. Si pensi ad una impresa editoriale
volta a trasmettere alta cultura che trascuri l’equilibrio economico. E’ naturale che per continuare a
23
consapevolezza della necessità di non poter rinviare oltre obiettivi di generazione
di utili: è nato così un vero e proprio mercato della notizia
12
che, come qualsiasi
altro mercato di consumo, impone alle imprese editrici una nuova attenzione a
politiche e strategie di marketing. In altre parole, mentre le imprese industriali
sono generalmente chiamate a conseguire obiettivi non più solo economici e
competitivi, ma anche sociali, nelle imprese editrici di quotidiani si registra un
percorso inverso: nate per perseguire – almeno teoricamente – scopi sociali
attraverso la corretta diffusione delle informazioni, devono oggi mettere a punto
strategie per realizzare anche profitti. Cambiano, quindi, le regole che governano
il gioco competitivo”.
Un gioco, tuttavia, parecchio complicato. Se infatti è ormai assodato che i
quotidiani necessitano di una gestione “manageriale”, vicina alle logiche del largo
consumo – basti pensare alla crescente importanza acquisita da pubblicità e
promozioni -, tuttavia non si può non tenere conto che la produzione di un
giornale ha oggettivamente peculiari funzioni sociali, tali da richiedere una
rilettura profonda degli usuali strumenti concettuali e pratici di gestione.
Insomma, il giornale è pur sempre un “prodotto particolare”.
svolgere il suo ruolo culturale, essa dovrà ricorrere a continui sussidi e aiuti esterni, stravolgendo
la funzione strumentale dell’azienda e rendendo precario lo stesso perseguimento dei fini di
istituto”.
12
Il compito principale dei giornalisti si assume come “il dare una notizia” tenendo ben distinto il
fatto dalla interpretazione. A questo proposito è da notare come il fatto in sé non sia quantificabile
come “notizia”: diviene tale soltanto nel momento in cui entra a far parte di un sistema di
comunicazione qualsivoglia. La “notizia” è definibile come un accadimento che è divenuto oggetto
di comunicazione (Cfr. Di Stefano, 2001).
24
Si possono rilevare almeno quattro elementi che differenziano l’impresa
editoriale dalla maggior parte delle altre imprese (Cfr. Dematté, 1999, pp. XII-
XIII):
• le motivazioni extraeconomiche: il bisogno di far avanzare un’idea, la
necessità di contrastare idee non condivise, la volontà di far sentire la
propria voce sono spesso i fattori principali della nascita di un giornale. La
dimensione economica interviene in un secondo tempo: per raddrizzare
un’iniziativa che non aveva fatto i conti con i ricavi, i costi, la struttura
organizzativa. Proprio il fatto che la discussione economica entri in campo
successivamente determina la difficoltà di far interagire efficacemente
l’anima giornalistica con quella gestionale;
• la pressione temporale: il quotidiano ha vita breve, deve essere prodotto,
distribuito e acquistato in quel dato giorno. Acquistano quindi rilievo tutte
le iniziative volte a recuperare e riutilizzare in modi alternativi parti di un
prodotto che muore ogni giorno;
• la compresenza di due anime complementari ma potenzialmente in
conflitto: l’anima informativa e quella pubblicitaria. Due fonti di ricavo
economico, ma anche di collisione potenziale, come quando la logica
dell’informazione si scontra con gli interessi di importanti inserzionisti.
Questo intreccio tra informazione e pubblicità ha bisogno di equilibri e
pone delicate questione etiche;
• il rilievo delle questioni etiche: l’informazione è un bene così prezioso per
la democrazia, per la dignità umana, per la vita della comunità, da
25
comportare, per chi la raccoglie, la confeziona e la diffonde, responsabilità
eccezionali. La pressione a espandere la diffusione e i ricavi può scontrarsi
con il dovere della correttezza nell’informazione; l’esigenza di ridurre i
costi può tradursi in cattiva informazione. Gestire questi equilibri è una
componente centrale nella gestione di un’impresa editoriale.
L’efficacia nella gestione di un quotidiano risiede quindi nella capacità di
coniugare tra loro funzioni a elevato grado di eterogeneità. L’impresa editrice
deve insomma essere in grado di soddisfare con un unico prodotto clienti dai
bisogni diversi (utenti pubblicitari da una parte, lettori dall’altra), deve mediare tra
direzione e amministrazione, ovvero tra gestione propriamente redazionale-
giornalistica (attinente alla missione di fornire un’informazione completa e
obiettiva al lettore) e gestione-manageriale (che ha come finalità l’ampliamento
dell’audience in vista di un aumento delle vendite e degli introiti pubblicitari),
deve infine integrare un “prodotto” fisico, il giornale quotidiano, con un
“servizio” intellettuale, l’informazione. Sono quindi necessarie accurate politiche
di marketing-mix
13
laddove, anche nei maggiori quotidiani nazionali, spesso
ancora non esiste un’autentica funzione di marketing strategico.
13
Per la definizione di marketing-mix confrontare W. J. Stanton e R. Varaldo, op. cit., pp. 48-49:
“Con il termine marketing-mix si usa indicare la combinazione dei quattro fattori fondamentali che
rappresentano il cuore del sistema di marketing di un’azienda: i prodotti offerti, i prezzi praticati,
le attività di comunicazione ed il sistema di distribuzione […] I quattro “ingredienti” della
“miscela” (mix) di marketing sono tra loro strettamente interrelati. Tra le diverse possibili
combinazioni, i responsabili aziendali devono scegliere quel marketing-mix che meglio si adatta
alle condizioni interne ed all’ambiente nel quale l’azienda opera e che può portare ai migliori
risultati, tenuto conto dell’azione di sinergia che caratterizza le quattro variabili che compongono
tale mix.”