ancora nel corso del primo Quattrocento grazie a forze che si sprigionano
dall�interno della citt�: accanto all�ambiente universitario, si fa strada una
cultura nuova che ricorre alla filologia, allo studio delle lingue antiche per
mettere da parte i vetusti commenti scolastici ai filosofi antichi e tornare ai
testi originali. L�interesse per l�antico, gi� fortemente avvertito alla fine
Duecento con il �preumanesimo� di Lovato dei Lovati e Albertino
Mussato, con il collezionismo di Oliviero Forzetta e definitivamente
rifiorito sulla scia degli studi di Petrarca, trova nell�archeologia e
nell�antiquaria forme di espressione capaci di coinvolgere numerosi
intellettuali
4
: Felice Feliciano, antiquario veronese amico ed estimatore di
Mantegna ed in diretto contatto con Ciriaco d�Ancona
5
, Giovanni
Marcanova, medico e filosofo padovano raccoglitore di epigrafi e statue
antiche e Pietro Bembo, padovano anch�egli, proprietario della pi�
importante collezione d�antichit� dell�epoca. A costoro si aggiunge
Francesco Squarcione a sua volta viaggiatore e appassionato antiquario,
ma soprattutto artista a capo di una fiorentissima bottega attraverso la
quale passano alcuni tra i maggiori nomi dell�arte rinascimentale del nord
Italia. In questi anni a Padova lavorano numerose interessanti figure legate
agli stilemi tardogotici: il Maestro di Roncaiette
6
, di cui rimane un vasto e
discusso corpus di opere
7
, il possibile Stefano da Ferrara
8
, che reintegra
parte del salone del Palazzo della Ragione distrutto da un incendio il 2
realizzato per la chiesa di San Michele, oggi al Museo Civico, ma non esistono al momento
prove concrete in grado di suffragare l�ipotesi.
4
Sul tema risulta interessante un testo di R. Weiss (�La scoperta dell�antichit� classica nel
Rinascimento�, 1969, ed. 1989, Padova).
5
Sulla figura di Ciriaco d�Ancona si veda B. Ashmoll (�Cyriac of Ancona� in �Proceedings
of the British Academy�, XLV, 1959, pp. 25-41).
6
Cfr. R. Longhi (�Calepino Veneziano�, 1947, p. 86), M. Lucco (�Di un affresco padovano
del �Maestro di Roncaiette�� in �Arte Veneta�, 1977, pp. 172-175) e S. Padovani (�Materiale
per la storia della pittura ferrarese del Primo Quattrocento� in �Antichit� Viva�, 5, 1974, pp.
3-21; �Qualche nuovo appunto sulla pittura emiliana del primo Quattrocento� in �Cultura
figurativa ferrarese tra XV e XVI secolo�, Venezia, 1981, pp. 35-49).
7
Sulla questione tuttavia esistono oggi alcune perplessit� espresse da M. Lucco: �ora, sarebbe
forse eccessivo dire che tutto quanto � stato battezzato finora �Maestro di Roncaiette� debba
passare in blocco sotto il nome di Federico Tedesco, ma certo pare di quel corpus deve
cambiare titolazione� (�Padova� in �La pittura nel Veneto. Il Quattrocento�, I, Milano, p. 82).
8
Cfr. N. Pietrucci (�Biografia degli artisti padovani�, Padova, 1858, p. 196), C. L. Ragghianti
(�Stefano da Ferrara�, Firenze, 1972).
febbraio 1420 e Jacopo Bellini
9
, allievo prediletto di Gentile da Fabriano.
La persistenza di taluni richiami a un arte arcaizzante pu� essere letta in
chiave di riaffermazione dell�identit� cittadina: un �neogiottismo� che
intende mantenere una forte aderenza con le radici artistiche di Padova
anche, e non casualmente, nella prospettiva dell�individuazione di un
proprio singolare retaggio in polemica opposizione a Venezia e alle sue
sirene orientali. Firenze interviene nella vita culturale veneta anche per
mezzo delle sue vicende di politica interna: nel 1433 Cosimo de� Medici
giunge a Venezia in esilio, portando con s� Michelozzo; l�anno successivo
� il turno di Palla Strozzi
10
e, probabilmente per una sua precisa volont�,
Padova � la citt� che ne ospita il confino. Qui Palla trova
quell�Umanesimo che egli stesso adorava e fomentava, trova una
biblioteca ricca quanto la sua, quella di Donato Vescovo, insigne
esponente di un Umanesimo di corrente profondamente cristiana e mistica,
trova nel contempo un Umanesimo diverso, eterodosso, averroistico, con
un�attenzione tutta aristotelica verso il mondo fisico ed infine trova una
popolazione che di lui ha profondo rispetto e considerazione tanto che,
fino al 1447, la sua presenza all�interno dell�Universit� risulta
estremamente assidua, con tutto ci� che sul piano culturale pu�
conseguirne: certamente porta con s� Nicol� Baroncelli, scultore e
architetto, forse non Filippo Lippi, a Padova gi� l�anno precedente, molto
probabilmente � decisivo nella venuta di Donatello. Una presenza talvolta
ritenuta poco incisiva e tuttavia certamente portatrice di un proprio
originale contributo � proprio quella di Filippo Lippi
11
, a Padova forse gi�
nel 1433 e l� attivo fino al 1437. La sua presenza nella citt� del Santo
12
,
9
Sulla sua presenza a Padova e sul perduto San Michele per la chiesa omonima si trovano
alcune interessanti note in E. Rigoni (�Jacopo Bellini a Padova�, in �L�Arte rinascimentale in
Padova. Studi e documenti�, Padova, 1929, pp. 47-49), G. Fiocco (�Nota su Jacopo da Nerito�
in �L�Arte rinascimentale in Padova. Studi e documenti�, Padova, 1929, pp. 49-50) e N. Land
(�Note on Jacopo Bellini�s Lost St. Michael� in �Zeitschrift f�r Kunstgeschichte�, XLV,
1982, pp. 283-286).
10
Cfr. G. Fiocco (�Palla Strozzi e l�Umanesimo Veneto� in �Umanesimo Europeo e
Umanesimo Veneziano�, Firenze, 1963, pp. 349-358).
11
Sul pittore fiorentino si veda per esempio il testo di G. Marchini �Filippo Lippi�, Milano,
1975.
12
Secondo quanto lasciano intendere i documenti pubblicati da R. Zanocco (�Un nuovo
documento su Fra Filippo Lippi a Padova� in �Rivista d�Arte�, 1936, pp. 107-109) Lippi
dovette essere ben inserito nella realt� pittorica locale o quanto meno godere di un discreto
credito. Vedi numero e nello stesso: Fiocco.
bench� testimoniata gi� dall�Anonimo Gaddiano, da Michiel e da Vasari
13
,
rimane un evento parzialmente ignoto, sia per i tempi sia per la reale
influenza delle sue opere
14
. Sappiamo che affresca un�Incoronazione della
Vergine nella basilica di Sant�Antonio, decora l�armadio delle reliquie per
la sagrestia e dipinge una tavola destinata al medesimo armadio, quindi,
nel Palazzo del Podest� si occupa della cappella, per la quale
probabilmente lavorano pure Nicol� Pizolo e Ansuino da Forl�
15
, tutte
opere di cui oggi non rimane traccia. Cos� l�unico frutto rimasto del
soggiorno padovano di Lippi � forse la Piet� del Museo di Castelvecchio a
Verona
16
, tanto legata al mondo favoloso del tardogotico nella sua tenera
cedevolezza formale che qualcuno ha pensato di proporre i nomi di Beato
Angelico e Domenico Veneziano
17
. Degna di menzione, bench� tuttora
priva di riscontri sicuri, la notizia del soggiorno padovano di Paolo
Uccello, in citt� nel 1445 per affrescare nel palazzo Vitaliani una serie di
Uomini illustri oggi perduti
18
. La vera rivoluzione nell�arte padovana
13
Cfr. C. Von Fabriczy �Il codice dell�Anonimo Gaddiano� in �Archivio Storico Italiano�, V,
XII, 1893, p. 67). e M. Michiel (�Notizia d�opera di disegno nella prima met� del secolo
XVI�, ed. 1884 a cura di G. Frizzoni, Bologna, p. 7) e G. Vasari (�Le vite de� pi� eccellenti
pittori, scultori ed architettori�, ed. 1906, II, p. 619).
14
Sull�argomento � fondamentale il contributo di E. W. Rowlands (�Filippo Lippi�s Stay in
Padua and its Impact with his Art�, Ann Arbor, 1984 e �Filippo Lippi and his Experience of
Painting in the Veneto Region� in �Artibus et Historiae�, XIX, 1989, pp. 53-83) e A. De
Marchi (�Un raggio di luce su Filippo Lippi a Padova� in �Nuovi Studi�, 1, 1996, pp. 5-14).
Per M. Lucco (�Il Quattrocento� in �Le pitture del Santo a Padova�, Vicenza, 1984, pp. 122-
123) la distruzione di questi lavori, circa due secoli dopo il loro compimento, potrebbe far
pensare che non fossero tenuti in gran conto.
15
Una lettera di Domenico Campagnola a Federico Tomei, del 1490 circa, testimonia a tal
proposito ed � stata ripresa da M. Michiel (op. cit., ed. 1884, p. 76). Alla stessa fonte attinge
G. Vasari (op. cit., ed. 1906, III, p. 388) che per�, scrivendo delle opere di Pizolo, mostra di
fraintenderla parzialmente.
16
Su quest�opera si vedano C. Volpe (�In margine a un Filippo Lippi� in �Paragone�, 83,
1956, pp. 38-45) e M. Boskovits (�Fra� Filippo Lippi, i carmelitani e il Rinascimento� in
�Arte Cristiana�, 715, 1986, p. 240). G. Fiocco (�L�arte di Andrea Mantegna�, Bologna,
1927, p. 109) inserisce nel periodo padovano anche la Madonna di Corneto Tarquinia.
17
Per Beato Angelico si � espresso L. Coletti (�Pittura veneta del Quattrocento�, 1953,
Novara, p. 31), per Domenico Veneziano C. Semenzato (�Un�opera giovanile di Domenico
Veneziano?� in �Rivista d�Arte�, 1954, p. 133).
18
G. Vasari scrive: �Fu condotto Paulo da Donato a Padova, quando vi lavor�, e vi dipinse
nell�entrata della casa de� Vitali di verde terra alcuni giganti che, secondo ho trovato in una
lettera latina che scrive Girolamo Campagnola a Messer Leonico Tomeo filosofo, sono tanto
belli che Andrea Mantegna ne faceva grandissimo conto� (op. cit., ed. 1906, II, p. 214).
avviene per� probabilmente solo grazie alla venuta di Donatello
19
, la cui
presenza nella citt� del Santo pu� essere fissata tra il 24 gennaio 1444 e il
novembre 1453
20
, chiamato per la realizzazione del monumento equestre a
Erasmo da Narni detto il Gattamelata
21
: la statua viene commissionata
dagli eredi dello stesso condottiero, morto nel 1443 al servizio della
Repubblica Veneta, e rappresenta uno dei pi� alti risultati della scultura
rinascimentale oltre che un potente stimolo per gli artisti locali. Concepito
come un cenotafio
22
, il monumento viene concluso nel 1453 all�interno di
un�area all�epoca cimiteriale ed in una posizione accortamente studiata
rispetto alla basilica affinch� fosse fruito dal maggior numero possibile di
punti di vista: sorge infatti su un alto basamento a forma di sarcofago
decorato da putti, in asse con una delle principali vie d�accesso alla
basilica, eppure leggermente scostato sia rispetto al fianco che alla facciata
di quest�ultima. Donatello si ispira liberamente a diversi esemplari classici
come il Marco Aurelio, il Regisole, i cavalli di San Marco e propone una
figura idealizzata la cui �gravitas� � enfatizzata dalla sua collocazione che
19
G. Vasari (op. cit., ed. 1906, II, pp. 410-413) dichiara che �per tutta la citt� sono opere di lui
infinitissime�.
20
Numerosi sono i testi sul soggiorno di Donatello a Padova: tra questi spicca la raccolta
documentaria di A. Gloria (�Donatello fiorentino e le sue opere mirabili nel tempio di S.
Antonio�, Padova, 1895) integrata da P. L. Guidaldi (�Ricerche sull�altare di Donatello� in �Il
Santo�, IV, 1932, pp. 239-288), R. Band (�Donatellos Altar im Santo zu Padua� in
�Mitteilungen des Kunsthistorisches Instituts in Florenz�, 5, 1940, pp. 315 e ss.) e A. Sartori
(�Documenti riguardanti Donatello e il suo altare di Padova� in �Il Santo�, I, 1961, pp. 39-89;
�Il donatelliano monumento equestre a Erasmo Gattamelata� in �Il Santo�, I, 1961, pp. 318-
337; �Ancora su Donatello e sul suo altare� in �Il Santo�, I, 1961, pp. 337-344; �Di nuovo
sulle opere di Donatello al Santo� in �Il Santo�, III, 1963, pp. 347-358); Sulle ragioni che
possono averne influenzato la decisione di lasciare Firenze si veda A. Parronchi (�Storia di
una �Gatta Malata��, in �Paragone�, 157, 1963, p. 314).
21
Una buona messe di documenti relativi all�opera si trova in A. Sartori (op. cit.-2-, 1961, I,
pp. 318-337).
22
Diversamente da un apparato funerario tradizionale, il complesso rappresenta un
monumento nel senso moderno del termine, inteso cio� a celebrare la fama del defunto. Il
Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena e il Giovanni Acuto
di Paolo Uccello in Santa Maria del Fiore a Firenze sono altri esempi di uomini d�arme la cui
gloria � stata eternata dagli artisti, ma qui per la prima volta siamo di fronte ad una scultura
per di pi� innalzata nel cuore della citt�. Sul problema della funzione dell�opera si veda H. W.
Jason (�The sculpture of Donatello�, Princeton, 1955, p. 157), G. Fiocco �La statua equestre
del Gattamelata� in �Il Santo�, I, 1961, p. 314) e J. White (�Donatello� in �Le sculture del
Santo a Padova�, Vicenza, 1985, pp. 75-76).
costringe lo spettatore a una visione fortemente scorciata
23
. Tuttavia, pi�
ancora del monumento al Gattamelata, che pure � un�originale espressione
del culto umanistico dell�individuo, risulta fecondo l�altare eseguito per la
chiesa di Sant�Antonio
24
. Donatello vi appare impegnato a partire dal 23
giugno 1447 per realizzare una Sacra Conversazione scolpita nella quale le
statue erano riunite all�interno di una struttura architettonica ugualmente
progettata dal fiorentino e andata irrimediabilmente distrutta sin dal 1591
secolo in seguito alla risistemazione del presbiterio. Oggi, secondo la
ricostruzione ottocentesca di Camillo Boito
25
, nell�insieme risulta inserito
un Crocifisso, in realt� realizzato prima e in maniera indipendente
dall�altare stesso
26
. La testimonianza di Marcantonio Michiel
27
permette
tuttavia di comprendere come l�opera di Donatello rappresentasse una vera
novit� per il mondo padovano: scultura e architettura contribuivano alla
creazione di una pala d�altare a tutto tondo, con una Sacra Conversazione
collocata entro una campitura unitaria architravata, retta da colonne e
pilastri, contenente le sette statue della Madonna in trono col Bambino e i
santi: essa era situata in fondo al coro, quasi a ridosso degli archi del
deambulatorio, mentre oggi si presenta all�inizio del presbiterio. Sotto
questo baldacchino era un basamento, quasi una predella, ornato da rilievi
bronzei (Storie di Sant�Antonio, Evangelisti, Angeli musicanti, Piet�
28
) e
23
Il movimento del cavallo, bloccato dall�espediente della palla, lascia spazio alla figura del
condottiero, che rappresenta l�ideale dell�uomo d�azione guidato dal pensiero: ritto sulle
gambe tese e aperte, fissa un punto lontano, come isolato in una sfera sovrumana, indicandolo
con la mazza di comando; questa, la cui diagonale � continuata dalla spada nel fodero del
capitano, media tra la massa orizzontale del cavallo e quella verticale dell�uomo conferendo
all�insieme la sensazione di un inesorabile movimento in avanti.
24
Un esauriente studio dell�opera lo offre J. White (�Donatello�s High Altar in the Santo at
Padua. Part one: The Documents and Their Implications� in �The Art Bulletin�, LI, 1969, pp.
1-14 e �Donatello�s High Altar in the Santo at Padua. Part two: The Reconstruction� in �The
Art Bulletin�, LI, 1969, pp. 119-141); interessanti documenti si trovano in A. Sartori (op. cit.-
1-, 1961, I, pp. 66-89).
25
C. Boito �La ricomposizione dell�altare di Donatello� in �Archivio storico dell�arte�, II,
1895, pp. 141-162.
26
Oltre alla statua bronzea l�insieme comprende la croce lignea dipinta in oro e azzurro da
Nicol� Pizolo. Documenti relativi alla realizzazione dell�opera si trovano in A. Sartori (op.
cit.-1-, 1961, I, pp. 39-49).
27
M. Michiel (op. cit., ed. 1884, p. 1) � la fonte pi� antica, J. White (op. cit.-2-, 1969, pp. 119-
141) la pi� recente e completa.
28
Di probabile ispirazione per la Piet� di Francesco Squarcione, pubblicata con questa
attribuzione da M. Boskovits (�Giovanni Bellini. Quelques suggestions sur ses d�buts� in
marmorei (Deposizione). L�altare nel suo insieme doveva suscitare
l�impressione del propagarsi successivo di onde di moto sempre pi�
intenso a partire dalla Vergine in centro: questa, di impianto volutamente
arcaizzante sul modello di una vittoria bizantina, si presenta costruita da
volumi bloccati e lucenti, colta nell�atto di alzarsi dal trono per mostrare il
Bambino ai fedeli in un�immota ieraticit� rotta dal ritmo vibrante dei
panneggi. Attorno al gruppo centrale si sviluppa il linguaggio
modernissimo dei rilievi narrativi, caratterizzati da aperture paesistiche e
fondali di ampio respiro in cui le folle sono raggruppate in modo vario e
articolato: nella Presentazione dell�ostia alla mula lo spazio � spartito da
elementi architettonici prospetticamente scorciati in modo tale da esser
letto anche da lontano; nella Guarigione del giovane posseduto dall�ira le
scene si svolgono all�aperto, davanti a prosceni paesistico-architettonici di
una grandiosit� classica: la folla � protagonista, animata da lumi veementi
e improvvisi che creano un�atmosfera mobile e vibrante ricca di echi e
balenii, tuttavia, come nel Miracolo del cuore dell�avaro, l�occhio dello
spettatore � condotto al centro, al miracolo operato dal santo. Nuova
l�accentuazione drammatica dello strazio davanti al corpo del Cristo nella
Deposizione
29
, con una mimica facciale e una gestualit� esasperate
compresse in uno spazio al contrario estremamente ristretto: i personaggi
si schiacciano tra la tomba e il piano di fondo sconvolti da un dolore
lancinante che ne trasfigura i volti e spezza i corpi e le vesti in un
drammatico contrasto di luci e ombre. In quest�opera Donatello sembra
rinnegare i principi di razionalit� e fiducia nell�uomo che avevano retto le
idee umanistiche che avevano informato di s� il monumento al
Gattamelata. Il fiorentino � in effetti un artista assai ricettivo, pronto a
cogliere gli stimoli provenienti dalla cultura che lo circonda: lo si evince
dagli ampi fondali di talune formelle, gi� visti negli affreschi trecenteschi
di Altichiero o di Giusto de� Menabuoi, o dalle dorature e argentature
piegate a effetti espressivi come frutto dell�influenza germanica, presente
in molta della statuaria veneta. Nello stesso tempo, ovviamente, non solo
la rigida disciplina intellettuale che governa le sue opere viene colta dagli
artisti locali, ma pure i tormenti espressionistici della Deposizione trovano
�Revue du Louvre�, 6, 1986, p. 387) e distrutta a Berlino nel corso del secondo conflitto
mondiale.
29
Interessante il rimando al prototipo antico della Morte di Meleagro, rilievo di un sarcofago
del II secolo d. C. conservato al Louvre.
un�eco nell�enfasi prospettica e nel primato della linea intesa come
elemento generatore della forma. La fucina in cui si compie la fusione � la
bottega di Francesco Squarcione che, nato alla fine del Trecento
30
e ancora
legato a una spazialit� tardo-gotica, si dimostra uno dei primi artisti ad
essere toccato dal soggiorno dello scultore fiorentino. Quale sia il vero
ruolo di Squarcione nell�ambito della pittura padovana � stato a lungo
oggetto di discussione, n� oggi la disputa pu� dirsi definitivamente
conclusa: Roberto Longhi ritiene che la sua lezione abbia segnato tutte le
manifestazioni pittoriche dell�area padana tra il 1450 e 1470
31
, secondo
altri
32
al contrario Squarcione fu un pittore men che mediocre abile solo
nello sfruttare gli allievi per il proprio tornaconto personale, tanto che il
rinascimento padovano dipenderebbe esclusivamente dalla lezione dei
30
Tra il 1394 e il 1397 secondo P. Sambin (�Per la biografia di Francesco Squarcione:
briciole documentarie� in �Medioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino
Lazzarini�, I, 1979, pp. 448-449).
31
�Io sento profondamente che tutto quanto avvenne tra Padova e Ferrara e Venezia tra il �50
e il �70 - dalle pazzie pi� feroci del Tura e del Crivelli alla dolorosa eleganza del giovine
Bellini, all�apparentemente rigorosa grammatica mantegnesca - ebbe la sua origine in quella
brigata di disperati vagabondi figli di sarti, di barbieri, di calzolai e di contadini, che pass� in
quei vent�anni nello studio dello Squarcione� (�Lettera pittorica a Giuseppe Fiocco� in �Saggi
e Ricerche, 1925-1928�, ed. 1967, p. 92). Della stessa opinione si mostrano B. Scardeone
(�De antiquitate urbis Patavii�, Basel, 1560, p. 371), F. Lanzi (�Storia pittorica della Italia�,
Bassano, 1795, t. III, p. 17: �Egli � quasi lo stipite onde si dirama per via del Mantegna la pi�
grande scuola di Lombardia, e per via di Marco Zoppo la bolognese; ed ha sulla veneta stessa
qualche ragione, perciocch� Jacopo Bellini venuto in Padova ad operare pare che in lui si
specchiasse�), G. Moschini (�Della origine e delle vicende della pittura in Padova�, 1826, pp.
26-31, 34), P. Selvatico, che tuttavia rifiuta l�idea di un�influenza su Jacopo Bellini (�Il pittore
Francesco Squarcione. Studi storico-critici� in �Scritti d�arte�, Padova, 1839, p. 17), V.
Lazzarini e A. Moschetti (�Documenti relativi alla pittura padovana del secolo XV�, Venezia,
1908, pp. 59-61), L. Testi (�Storia della pittura veneziana�, Bergamo, 1915, I, pp. 428-444) e
M. Boskovits (�Una ricerca su Francesco Squarcione� in �Paragone�, anno XXVIII, numero
325, marzo, p. 55).
32
Cfr. P. Kristeller (�Squarcione e le sue relazioni con Andrea Mantegna� in �Rassegna
d�arte�, IX, 1909, 10, IV-V; 11, IV-V), G. Milanesi (in nota a G. Vasari, ed. 1906, III, p. 386),
G. Fiocco (op. cit., 1927); Fiocco continua nella demolizione dell�immagine di Squarcione ne
�Il Museo immaginario di Francesco Squarcione� (in �Memorie dell�Accademia Patavina di
Scienze, Lettere ed Arti�, LXXI, 1958-59, pp. 59-67), mettendone in dubbio pure la passione
antiquaria. Squarcione risulta poco considerato anche da G. Vasari (op. cit., ed. 1906, III, p.
385). Secondo qualcuno sarebbe significativo il silenzio di M. Savonarola che, in suo scritto
storico-letterario (�Libellus de Magnificis Ornamentis Regie Civitatis Padue�, 1445-46 ca.,
ed. 1902), non dedica alcun cenno alla bottega di Pontecorvo.
toscani e di Donatello in modo particolare
33
. Se la critica odierna appare
divisa sull�importanza da attribuire alla figura di Squarcione, non meno
oscuro � il problema del credito di cui di doveva godere il discusso
personaggio presso i suoi contemporanei: Scardeone
34
lo dice stimato da
illustri personalit� quali l�imperatore Federico III e visitato �a divo
Bernardino�
35
, Kristeller
36
rileva per contro che, significativamente, le pi�
importanti opere di pittura furono affidate ad artisti forestieri o ad altri
padovani. In verit� � ormai chiaro che l�importanza di Squarcione non sia
da rapportare alle sue modeste qualit� di pittore, quanto alla sua passione
per l�antico e di qui, tramite l�esempio e la spinta all�imitazione, ai suoi
meriti di insegnante. Inizialmente registrato come �sartor et recamator�
37
,
dal 1426 nei documenti viene citato come �pictor�
38
e come tale
immatricolato nella locale fraglia: un�evoluzione pi� nei termini che non
nei fatti, poich� nell�eseguire ricami a colori sulle stoffe Squarcione
doveva in qualche modo compiere un lavoro prossimo a quello di un
33
Per un aggiornato approccio alla pittura padovana di questi anni risultano fondamentali i
testi di M. Lucco (op. cit., 1984, pp. 119-143) e A. De Nicol� Salmazo (�Padova� in �La
pittura nel Veneto. Il Quattrocento�, Milano, 1990, pp. 481-540 e �Il soggiorno padovano di
Andrea Mantegna�, Padova, 1993).
34
Scardeone (op. cit., 1560, p. 371), che scrive anche della visita del patriarca di Aquileia e di
non meglio precisati principi e cardinali, avrebbe tuttavia tratto le sue notizie da un libello
scritto dallo stesso Squarcione.
35
Secondo P. Selvatico (op. cit., 1839, pp. 15-16, 35) si tratterebbe del beato Bernardino da
Feltre, predicatore a Padova nel 1423 nella cronaca di A. Portenari (�Della felicit� di Padova�,
Padova, 1623, p. 494) citata dallo studioso in nota: in realt� Selvatico e Portenari ripongono
troppa fiducia nella virt� di Bernardino che, nato Martino nel 1439, nel 1451 si trova
effettivamente nella citt� del Santo, ma come dodicenne studente. L�errore � palese: San
Bernardino da Siena, e non l�omonimo e confratello bellunese, predica a Padova nel 1423 e
certamente vi torna anche in seguito. Dei punti di contatto tra Squarcione e il santo del
trigramma scrive P. Sambin (op. cit., 1979, pp. 443-465), il quale attribuisce al pennello del
maestro tre ritratti di San Bernardino da Siena, campione di quel mondo francescano cui egli
era tanto legato da chiedere di essere sepolto proprio in quella chiesa di San Francesco per la
quale (cfr. M. Muraro, op. cit., 1959, pp. 89-96) produce un ciclo di affreschi presto perduti
(cfr. G. Rossetti �Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova�, Padova, 1765,
p. 172).
36
Op. cit., 1909, n. 10, IV-V, n. 11, IV-V.
37
Cfr. V. Lazzarini, A. Moschetti (op. cit., 1908, pp. 125-126).
38
V. Lazzarini (�Polizze d�estimo di Francesco Squarcione� in �Bollettino del Museo Civico
di Padova�, I, 1898, p. 3) scrive 1426 cos� come A. Sartori (�Documenti per la storia dell�arte
a Padova�, Vicenza, 1976, p. 220), P. Sambin (op. cit., I, 1979, pp. 443-465) riporta la data
del 18 agosto 1429.
pittore
39
. Di Squarcione pittore rimangono tuttavia due sole opere certe
40
,
entrambe legate alla medesima committenza: il polittico de Lazara (1449-
1452)
41
, conservato al Museo Civico di Padova, e una Madonna col
Bambino
42
, oggi nei Musei Statali di Berlino. Un confronto tra la prima
opera, molto rovinata e ridipinta
43
, e la seconda, esemplata sul modello di
una placchetta donatelliana
44
, permette di evidenziare molti di quegli
elementi che in seguito passeranno ai suoi allievi: una predilezione per
l�accentuazione espressionistica, per i volti dolorosi e i gesti violenti delle
figure, che si presentano incorniciate entro nicchie, archi, edicole pesanti e
abbondantemente sagomate; e ancora ritmi spezzati, una linea elaborata e
tagliente che si esaspera in panneggi scheggiati, quasi come incisi nel
legno, colori intensi e marmorei, pietre, coralli, metalli, festoni di fiori e
frutta e in generale una sovrabbondanza decorativa che si esalta
nell�inserimento di particolari rari o insolitamente reinterpretati. In questa
variet� di tendenze si ritrovano i modi opposti degli allievi di Squarcione
45
,
ma anche un dedalo di proposte che da questo centro, come a raggiera, si
dipartono nel nord Italia per costituire un reticolo che coinvolge grandi
nomi e talune comparse, legati tra loro da nessi che sembrano talvolta
39
Cfr. M. Lucco (�Appunti per una rilettura di Francesco Squarcione� in �Francesco
Squarcione �pictorum gymnasiarcha singularis��, 1999, p. 103).
40
Per altre opere attribuite o perdute si vedano per esempio N. Pietrucci (op. cit., 1858, p.
295), V. Lazzarini, A. Moschetti (op. cit., 1909, pp. 14-61), W. Suida (�Das fr�este Bildnis
Friederichs III� in �Belvedere�, I, 1931, pp. 89-92), M. Muraro (�A cycle of frescoes by
Squarcione in Padua� in �The Burlington Magazine�, 1959, pp. 89-96), R. Longhi (�Altri due
numeri per lo Squarcione� in �Paragone�, 1962, p. 51 e op. cit., 1967, pp. 83-84), A. Sartori
(op. cit., 1976, pp. 220-221), M. Boskovits (op. cit., 1977, pp. 40-55 e op. cit., 1986, p. 387) e
P. Sambin (op. cit., 1979, pp. 461-463).
41
Ritrovato nel 1784 da P. Brandolese (�Pitture, sculture, architetture ed altre cose notabili di
Padova�, Padova, 1795, p. 187), rappresenta San Girolamo tra i Santi Lucia, Giovanni
Battista, Antonio abate e Giustina. Commissionato il 2 gennaio 1449 da Leone de Lazara per
la cappella di famiglia in Santa Maria del Carmine a Padova.
42
Pubblicata da G. Moschini (�Guida per la citt� di Padova�, Venezia, 1817, p. 182) che la
rinvenne nel palazzo dei de Lazara.
43
I pi� recenti appunti sulle condizioni del dipinto sono di D. Banzato (�Il polittico de Lazara
di Francesco Squarcione. Considerazioni sullo stato di conservazione, sul restauro, sulla
tecnica e sulla cornice� in �Francesco Squarcione ...�, op. cit., 1999, pp. 79-87).
44
Cfr. A. De Nicol� Salmazo �Francesco Squarcione ...�, op. cit., 1999, p. 520.
45
Il primo allievo di cui si abbia notizia � Michele di Bartolomeo da Vicenza (V. Lazzarini,
A. Moschetti, op. cit, 1909, p. 132).
inestricabili. A Padova cresce l�emiliano Marco Ruggeri, detto lo Zoppo
46
,
forse il pi� squarcionesco tra gli allievi del maestro, artista dalla notevole
vitalit� di tratto con una forte predilezione per la forma scolpita, i contorni
aspri e contorti, i colori intensi e irreali
47
. Con lui troviamo Giorgio di
Tommaso Ćulinović, detto lo Schiavone
48
per le sue origini slave, come lo
Zoppo portato ad utilizzare l�antico come ornamento erudito ma con una
maggiore tendenza a disarticolare le figure in curiose torsioni
49
. Alquanto
misteriosa rimane la figura di Nicol� Pizolo
50
: quantunque sia ricordato da
Scardeone
51
come allievo di Squarcione, non esistono prove documentali
in grado di suffragare la notizia; Michiel
52
ricorda la sua collaborazione ai
lavori della cappella del Podest� sotto la guida di Lippi, certamente lo si
46
Presso Squarcione dall�aprile 1454, viene affiliato a s� dal maestro il 24 maggio 1455 e da
questo si scioglie l�anno successivo attraverso una vittoriosa azione legale come si evince dai
documenti pubblicati da V. Lazzarini e A. Moschetti (op. cit., 1909, pp. 149-155); sulla sua
figura si vedano i recenti testi di L. Armstrong (�The Paintings and Drawings of Marco
Zoppo�, New York, London, 1976) e B. Giovannucci Vigi (�Marco Zoppo. Cento 1433-1478
Venezia� in �Atti del convegno internazionale di studi sulla pittura del Quattrocento padano.
Cento 8-9 ottobre 1993�, Cento, 1993).
47
I documenti citano numerosi lavori realizzati da Marco Zoppo nella bottega di Squarcione,
ma di tanta prolifica attivit� non rimane che un�opera: la Madonna del latte del Louvre. Di una
tipica, austera nobilt�, la Madonna � inserita in una preziosa edicola concava ornata di festoni
di foglie e frutti; altrettanto squarcioneschi sono il motivo dei putti e la simbolica natura morta
dei libri. La firma, inscritta su un cartellino posto sul parapetto marmoreo, recita: �OPERA
DEL ZOPPO. DI. SQVARCIO/ NE�.
48
Presso Squarcione dal 28 marzo 1456 con l�impegno di restarvi nei tre anni e mezzo
successivi, come registrato da V. Lazzarini e A. Moschetti (op. cit., 1909, pp. 157-159).
Recenti studi sulla sua figura si devono a K. Prijatelj (�Profilo di Giorgio Schiavone� in �Arte
antica e moderna�, IX, 1960, pp. 47-63) e M. Bonicatti (�Aspetti dell�Umanesimo nella
pittura veneta dal 1445 al 1515�, Roma, 1964, pp. 43-51).
49
Si veda per esempio la Madonna col Bambino e angeli della Walters Art Gallery di
Baltimora o la Madonna col Bambino della Galleria Sabauda: figure che, quasi scolpite nel
legno, sono immancabilmente affiancate da putti e sovrastate da una ricca ghirlanda. Sul
modello impiegato da Schiavone per la tavola torinese si veda S. Kokole (�Notes on the
Sculptural Sources for Giorgio Schiavone�s Madonna in London� in �Venezia Arti�, IV,
1990, pp. 50-56). La prima � firmata �HOC. PINXIT.GEORGIVS. DALMATICVS. DIS/
CIPVLVS SQVARCIONI. S.�, la seconda non con i consueti caratteri all�antica ma seguendo
la scrittura umanistica: �Opus Sclavoni Dalmatici/ Squarcioni. S.�.
50
Per notizie intorno a Pizolo si vedano V. Lazzarini e A. Moschetti (op. cit., 1909, pp. 69-77)
e E. Rigoni (�Il pittore Nicol� Pizolo� in �L�Arte rinascimentale in Padova. Studi e
documenti�, Padova, 1970, pp. 25-46).
51
Op. cit., 1560, p. 371; ma lo stesso affermano G. Vasari (op. cit., ed. 1906, III, p. 386) e P.
Selvatico (op. cit., 1859, p. 17).
52
Op. cit., ed. 1884, p. 76.
trova impegnato al fianco di Donatello nel cantiere del Santo
53
e, come
maestro gi� affermato, nella cappella Ovetari agli Eremitani. Rimane in
ogni caso, per quanto limitate e frammentarie siano le testimonianze della
sua attivit�, uno dei maggiori interpreti del linguaggio donatelliano a
Padova
54
. In modo particolare dipendente da un modello del grande
fiorentino � la pala Ovetari
55
, realizzata con il contributo di Giovanni da
Pisa
56
: la partecipazione alla cultura di Donatello � lampante nella scelta di
fornire uno dei primi esempi di Sacra Conversazione dell�Italia del nord in
una versione scolpita e non dipinta, a imitazione del cardinale esempio del
Santo, nella scelta di inserire un fregio in terracotta sotto la copertura ricco
di putti danzanti, nella plasticit� delle figure, nell�aspetto classicheggiante
dell�edicola marmorea in cui � inserita. Artista isolato, progressivamente
attardato in nostalgie gotiche, ma certamente figlio della lezione
squarcionesca � Carlo Crivelli
57
che, specialmente nei suoi primi anni,
fornisce opere quali l�acida Madonna col Bambino del Museo di
Castelvecchio a Verona che rivelano inequivocabilmente le sue origini. A
Ferrara l�opera di Cosm� Tura
58
testimonia della diffusione del linguaggio
padovano oltre i confini della Repubblica di Venezia: come esito di un
probabile fugace soggiorno all�interno della bottega di Squarcione, Tura si
esprime unendo una statuaria monumentalit� con una fantasia decorativa
ricca di forzature quasi surreali. Pur temperato dal geometrismo di Piero
della Francesca e dall�espressivit� del Donatello padovano, lo spirito
53
Cfr. A. Sartori (op. cit.-1-, 1969, I, pp. 54-58); Pizolo sarebbe stato impegnato al Santo
anche nella veste di scultore: un documento del 27 aprile 1447 lo elenca insieme ad altri artisti
definiti appunto �sculptores�.
54
Sul debito nei confronti di Donatello per il linguaggio di Pizolo si veda il contributo di G.
Mariani Canova (�Alle origini del Rinascimento padovano: Nicol� Pizolo� in L. Grossato �Da
Giotto a Mantegna�, Milano, 1974, pp. 75-80).
55
Cfr. A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1990, pp. 489-490, 493-494), G. Gentilini (�Intorno
alla pala Ovetari: appunti sull�eredit� donatelliana a Padova, fra Pizolo e Mantegna� in
�Francesco Squarcione ...�, op. cit., 1999, pp. 197-206).
56
Sulla sua presenza si vedano i documenti pubblicati da E. Rigoni (op. cit.-1-, 1970, p. 44)
�... m.o Zovany da Pixa per parte de la pala lui fa ...�, mentre per la controversia sul ruolo da
lui avuto nell�opera A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1990, pp. 494, 534) e G. Gentilini (op.
cit., 1999, p. 199).
57
Cfr. P. Zampetti �Carlo Crivelli�, Firenze, 1988.
58
Su Tura � degna di menzione la monografia di M. Salmi �Cosm� Tura�, Milano, 1957, o il
pi� recente testo di S. Zuffi �Cosm� Tura e la scuola ferrarese a Schifanoia�, Milano, 1995;
per uno sguardo generale sull�arte a Ferrara rimane fondamentale il saggio di R. Longhi
�Officina ferrarese�, Roma, 1934 (3� ed. Firenze, 1956).
eterodosso mutuato dall�orbita squarcionesca trova in lui un terreno fertile
al punto da generare lo stravagante trono ornato di mostri fantastici della
Primavera (Erato), o quello altrettanto capriccioso della Pala di Roverella,
opere della National Gallery di Londra. Come Crivelli e Tura, anche
Liberale da Verona e il marchigiano Nicola di Maestro Antonio non
risultano usciti dalla bottega di Squarcione, eppure portano nella loro arte i
segni indelebili della lezione di quel singolare maestro �antiquario dandy e
sollevatore di spericolati ingegni�
59
. Ingegni assai numerosi stando a
Scardeone, che conta centotrentasette allievi
60
e tra questi anche Dario da
Treviso
61
, ovvero Dario di Giovanni, ovvero Dario da Pordenone: le varie
identit� spiegano quel �pictor vagabundus� con cui viene catalogato nel
1440 al momento di entrare nella bottega di Squarcione dalla quale poi
uscir� soltanto nel 1447
62
per esprimersi per lo pi� su mercati provinciali.
N� alcunch� di rilevante potrebbe emergere da ulteriori indagini sulla
materia, se non fosse che rimane da collocare l�ultima tessera: Mantegna
63
,
l�astro pi� fulgente sorto dalla galassia padovana. Nato a Isola di Cartura
dal falegname Biagio verso il 1431, Andrea entra nella bottega di
Squarcione gi� nel 1441 e qui cresce stimolato dalla passione per l�antico
del maestro. Pur muovendo dalla lezione di quest�ultimo, Mantegna
conduce con ben altro rigore il proprio severo classicismo e la propria
ricerca antiquaria tanto che, nel 1448, giunge ad avvertire come inadeguata
la bottega di Pontecorvo, affrancandosi non senza un seguito di polemiche
dalla protezione di Squarcione
64
. In quello stesso anno esegue una pala per
la chiesa di Santa Sofia
65
, oggi perduta, e immediatamente ottiene la
prestigiosa commissione per i lavori nella cappella Ovetari. Tra il 1449 e il
59
Cfr. M. Valsecchi (�La pittura veneziana�, Milano, 1954, p. 18).
60
Op. cit., 1560, p. 371. Altri nomi di pittori padovani di questi anni sono elencati da G.
Moschini (op. cit., 1826, pp. 23-26).
61
Nei suoi confronti � stato generoso I. Furlan (�Dario da Pordenone� in �Il Noncello�, 28,
1969, pp. 3-32) che, proponendo per lui un vasto catalogo, ha animato il dibattito critico.
62
Cfr. V. Lazzarini, A. Moschetti (op. cit., 1909, pp. 102-104).
63
Si deve a R. Lightbown (�Mantegna�, Oxford, 1986) il pi� completo e aggiornato
ritratto di Mantegna; di A. De Nicol� Salmazo sono un recentissimo testo riccamente
illustrato (�Mantegna�, Milano, 1997) e un approfondimento del tema qui proposto (�Il
soggiorno padovano di Andrea Mantegna�, Padova, 1993).
64
Cfr. P. Kristeller (op. cit., 1909, 10, IV-V)
65
Alcuni documenti relativi all�opera si trovano tra quelli pubblicati da V. Lazzarini e A.
Moschetti (op. cit., 1909, pp. 67-68, 171-172); A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1993, pp. 8-
31) ne offre un esauriente esame nel panorama delle produzioni coeve.
1450 compare a Ferrara
66
, dove conosce il patetismo e i vasti paesaggi di
Rogier Van Der Weyden insieme al geometrismo e all�equilibrio
compositivo di Piero della Francesca, esperienza che acuisce in lui la
passione prospettica gi� alimentata dalla vicinanza di Pizolo. Dai toscani
eredita il gusto per il disegno nettamente delineato, per la forma statuaria,
quasi scolpita nella pietra dura
67
e ne scavalca l�approccio classicismo
giungendo ad interpretare il recupero della forma antica come un elemento
fine a s� stesso, simile al piacere per la messa in scena. Per questa via
Mantegna prepara il terreno al gusto mitologico e arcaizzante che sarebbe
prevalso come soggetto dell�arte profana presso le corti e l�aristocrazia
europea fino alla fine del XVIII secolo. Nel 1452 dipinge la lunetta sopra
la porta maggiore della basilica del Santo con il monogramma di Cristo
retto dai Santi Antonio da Padova e Bernardino da Siena
68
, opera dotata di
un�incombente monumentalit� per l�uso virtuosistico di una prospettiva
scorciata che tiene conto della posizione dello spettatore. Tra il 1453 e il
1455 esegue per il monastero benedettino di Santa Giustina una pala per
l�altare della cappella di San Luca
69
, oggi a Brera, realizzata secondo il
medesimo schema tradizionale riscontrabile nel polittico vivarinesco per
l�abbazia di Praglia; qui per� Andrea sopperisce alla frammentazione delle
tavole e al fondo dorato con un�impaginazione spaziale unitaria resa
possibile dalla visione scorciata di tutte le figure dal sotto in su. Nel 1454
arriva la Santa Eufemia
70
del museo di Capodimonte, ugualmente statuaria
e collocata sotto un arco la cui profondit� � misurata dal sapiente uso della
66
Alla data del 23 maggio 1449 � registrato dai contabili della corte di Ferrara un pagamento
a favore di �m.o Andrea da Padoa dipintore�, elargito per la realizzazione di un doppio ritratto
del marchese Lionello d�Este e del suo camerlengo e amico intimo Folco da Villafora (cfr. A.
Venturi �I primordi del rinascimento artistico a Ferrara� in �Rivista storica italiana�, I, pp.
606-607).
67
L�imitazione dell�antico, fortemente incoraggiata da Squarcione, doveva essere condotta da
Mantegna in maniera un p� troppo entusiastica se fosse vero un episodio narrato da Vasari
(op. cit., ed. 1906, III, p. 389): pare che Squarcione, in visita al cantiere della cappella Ovetari,
rimproverasse aspramente all�ormai ex-allievo le sue figure eccessivamente marmoree,
invitandolo a non colorarle nemmeno tanto poco parevano umane; forse tuttavia pi�
dell�esperienza pot� l�invidia.
68
Un�iscrizione latina nello stipite di marmo sotto la pittura conferma la paternit� dell�opera
�ANDREAS MANTEGNA OPTVMO FAVENTE NVMINE PERFECIT MCCCCLII XI
KAL SEXTIL�. Per altre note cfr. A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1993, pp. 56-65).
69
Il Documento relativo alla commissione si trova in G. Moschini (op. cit., 1826, pp. 34-35);
altre notizie si trovano nel recente testo di A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1993, pp. 65-72).
70
Cfr. A. De Nicol� Salmazo (op. cit., 1993, pp. 72-75).
luce; infine, prima della partenza per Mantova, Andrea realizza la
straordinaria pala di San Zeno
71
, opera capitale per lo sviluppo della pala
d�altare a Venezia
72
. Le tre tavole che compongono l�opera sono unificate
dalla cornice che presenta colonne e architrave coordinati
illusionisticamente alla superficie dipinta e segna un rapporto di continuit�
con lo spazio reale; gli austeri personaggi che affiancano il trono della
Vergine sono trattati con sensazionale perizia tecnica e si dispongono nello
scenario di un�aula quadrangolare ritmata da pilastri e ornata da fregi
all�antica. Contemporaneamente agli esordi di Mantegna sono
documentati a Padova Antonio da Murano
73
e Giovanni d�Alemagna
74
:
interpreti del linguaggio veneziano figlio della tradizione bizantina e
ispirati dal calligrafismo gotico di Gentile da Fabriano e Pisanello, nel
1447 i due eseguono per la chiesa di San Francesco il Polittico della
Nativit�
75
, oggi a Praga, del tutto ignari dei rivolgimenti dell�arte padovana
di quegli anni. Antonio e Giovanni si ripetono l�anno successivo con il
Polittico di Praglia
76
, dipinto per l�omonima abbazia e oggi a Brera, senza
mutare indirizzo ed anzi eliminando quel barlume di sensibilit�
architettonico-prospettica intravisto nella tavola centrale dell�episodio
precedente. Il confronto tra le diverse correnti figurative che si agitano in
citt� si attua nella chiesa degli Eremitani
77
�
71
Cfr. L. Puppi (�Il trittico di Andrea Mantegna per la Basilica di S. Zeno Maggiore in
Verona� in �Aspetti e figure dell�arte veronese�, 2, 1972) e A. De Nicol� Salmazo (op. cit.,
1993, pp. 86-99).
72
Cfr. P. Humfrey (�The Altarpiece in Renaissance Venice�, New Haven, 1993).
73
T. Borenius (in J. A. Crowe, G. B. Cavalcaselle �A History of Painting in North Italy�, I,
London, ed. 1912, p. 38) specifica che Bartolomeo � il primo a firmarsi con il cognome
Vivarini nel San Giovanni da Capestrano, Antonio in precedenza si era sempre firmato �da
Murano�: sono dunque i critici ad associargli retroattivamente il cognome Vivarini.
74
L. Testi (op. cit., II, 1915, pp. 304-314) ne esamina approfonditamente la figura. Sui dubbi
riguardanti la sua identit� si veda inoltre E. Rigoni (�Giovanni da Ulma � il pittore Giovanni
d�Alemagna?�, in �L�arte rinascimentale ...� op. cit., 1970, pp. 51-54).
75
Cfr. R. Pallucchini (�I Vivarini�, Venezia, 1962, pp. 21, 105).
76
Cfr. R. Pallucchini (op. cit., 1962, pp. 22-23, 106-107).
77
La chiesa degli Eremitani venne colpita da un bombardamento aereo l�11 settembre del
1944, restaurata con scrupolosa fedelt� dalla Soprintendenza di Venezia, porta ancora nella
Cappella Ovetari i segni delle ferite inferte. La cappella fu infatti completamente rasa al suolo
e della preziosa decorazione pittorica non rimangono che due riquadri a fresco nella parete
destra, sopravvissuti perch� staccati in precedenza per un provvidenziale restauro, e alcuni
frammenti della stessa parete e dell�arco. Sulle vicende artistiche dell�edificio si vedano un
testo di S. Bettini e L. Puppi (�La chiesa degli Eremitani di Padova�, Vicenza, 1970) e uno
pi� recente di A. M. Spiazzi (�La chiesa degli Eremitani a Padova�, Milano, 1991).